Papa Luciani, 30 anni fa moriva il "Papa del sorriso"

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Nikki72
00domenica 28 settembre 2008 13:32
Papa Luciani: Anniversario della sua morte...

Chissà come sarebbe andato il mondo, se non fosse morto
improvvisamente! Ci sarebbe ancora l'Unione Sovietica? E la Guerra
Fredda? Ed il Muro di Berlino? O saremmo,grazie alla sua bonta' e
semplicità, tutti piu' fratelli?



ROMA - Trent'anni fa il Papa del sorriso. Era il 26 agosto 1978, quando i 111 cardinali riuniti in conclave scelsero Albino Luciani, all'epoca patriarca di Venezia, quale successore di Papa Paolo VI, morto il 6 agosto dopo 15 anni di pontificato. Ma quella di Luciani fu una meteora. Il nuovo Papa, che aveva preso il nome Giovanni Paolo I, morì improvvisamente dopo 33 giorni, colto da infarto la notte fra il 28 e il 29 settembre. Avrebbe compiuto 66 anni il 17 ottobre. Nel suo brevissimo papato, Luciani pronunciò 9 discorsi, tenne 4 udienze e due omelie. Ma la sua semplicità e il suo sorriso sono rimasti impressi nella memoria di tutti. Appena eletto, Papa Luciani si presentò al mondo confessando la sua paura di fronte al grande compito cui era stato chiamato, per il quale si sentiva inadeguato. Arrossì davanti alla folla che in piazza San Pietro lo salutava e applaudiva. Parlò di sé in prima persona; disse io, con semplicità, abrogando senza colpo ferire il plurale maiestatis di secolare memoria. Si mostrò rispettoso e umile verso i predecessori, e spiegò di aver scelto di chiamarsi Giovanni Paolo in ossequio a Giovanni XXIII, di cui venerava la memoria, e a Paolo VI di cui ammirava la sapienza. Fin da subito si capì che sarebbe stato un Papa diverso, dopo il severo e tormentato Paolo VI. Luciani era sorridente e allegro, parlava in modo semplice, perfino troppo semplice secondo alcuni. In uno dei suoi primi discorsi suscitò stupore affermando che Dio è padre ma anche madre. Benché il suo pontificato sia durato un niente, Luciani diventerà famoso come il papa del sorriso e dell'umiltà (humiltas, era scritto sul suo stemma papale). Prima ancora che Papa, era una specie di parroco della Chiesa universale. Memore dell'infanzia poverissima vissuta con la famiglia, il futuro Papa, nato nel 1912 a Forno di Canale (Belluno), oggi Canale d'Agordo, e prete dal 1935, condusse sempre una vita molto sobria, attenta all'essenziale. Conobbe sofferenza e malattia, finì in sanatorio, subì 8 operazioni. E proprio la salute stava per costargli la nomina a vescovo: Giovanni XXIII, che stimava quel parroco bellunese, un giorno chiese come mai Luciani non venisse mai proposto per la promozione, e gli fu detto che era malaticcio. Si racconta che Papa Giovanni replicò: allora vuol dire che lo faremo morire vescovo.

E così nel 1958 finalmente don Albino diventa vescovo e nel 1973 cardinale. Luciani fu eletto a tempo di record: dall' 'extra omnes' alla fumata bianca passarono solo 25 ore e 48 minuti. Solo 4 votazioni per trovare l'accordo. Il card. Felici annunciò l'Habemus Papam alle 19:19. Pochi minuti dopo il nuovo Papa si affacciò dalla loggia di san Pietro per salutare e dare la benedizione ai 25.000 presenti e al mondo collegato via tv. L'elezione fu tanto rapida che colse in contropiede anche il cerimoniale, e il Papa dovette affacciarsi di nuovo più tardi per il rituale saluto alle guardie svizzere e a un battaglione dell'esercito italiano, nel frattempo schieratisi. Si disse che Luciani era stato scelto quasi per caso, una sorta di figura minore, a metà strada fra le personalità sostenute da chi voleva un nuovo papa conservatore e da chi lo voleva modernista. Alla vigilia del conclave non era ritenuto fra i papabili, benché la sua figura fosse tutt'altro che secondaria. Uomo di vasta cultura e preparazione teologica, era fermissimo in materia dottrinale; coniugava tali caratteristiche con la semplicità e la partecipazione, con la passione per le persone e il loro destino. Si ricorda la sua attenzione per i problemi delle famiglie e di quelle povere in particolare, si batté contro il divorzio, si interrogò sugli anticoncezionali.

Quando Paolo VI pubblicò l'Humanae vitae, la sua lealtà al Papa fu assoluta. Negli ambienti ecclesiastici, oltre che fra i fedeli, godeva di molta stima. Qualche anno fa, l'allora card. Ratzinger disse alla rivista '3' Giornì che il nome di Luciani era affiorato in un incontro fra cardinali di lingua tedesca e brasiliani (Schröffer, Koenig, Hoeffner, Bengsch, Arns e Lorscheider): 'non volevamo decidere niente, ma solo parlare un po'. Mi sono lasciato guidare dalla Provvidenza ascoltando i nomi, e vedendo come si è formato finalmente un consenso sul patriarca di Venezia. Ne fui molto felice. Avere come pastore della Chiesa universale un uomo con quella bontà e con quella fede luminosa era la garanzia che le cose andavano bené.

L'improvvisa morte di Albino Luciani sollevò interrogativi e sospetti, qualcuno scrisse addirittura che il Papa era stato avvelenato. Ma una commissione medica ne accertò la morte per cause naturali. Per Giovanni Paolo I è in corso la causa di beatificazione.



www.nonsolonews.it/thread-190-0-1641-62/it-cultura-newage/Papa-Luciani-Anniversario-dell...



Sui misteri legati alla morte del pontefice...



Roma - Non era lui il "Papa Buono" ma fu un Papa mite e sorridente. Non era lui il Papa sciatore, ma fu un Papa dallo spirito montanaro, gioviale e semplice. Non fu Roncalli e non fu nemmeno Wojtyla, ma non ne ebbe il tempo. Fu solamente Luciani, pontefice per 33 giorni, un segmento brevissimo nella lunga traiettoria terrena del Vaticano, una linea subito interrotta in modo inopinato, violento e misterioso. Voleva una Chiesa povera e una volta si definì addirittura "un povero Cristo" di fronte ai fedeli. In Curia fece scandalo, qualcuno lo riteneva inadeguato al Soglio di Pietro, qualcun altro lo criticava alle spalle. "Una svista dello Spirito Santo", dissero altri ancora a proposito della sua elezione. Ma intanto Luciani insisteva, vagheggiava un ritorno alle origini, all'essenza evangelica della fede. Appena si insediò rifiutò la tiara e la sedia gestatoria. E poi parlava in modo semplice, chiaro alla gente. Forse era a disagio in una Curia costruita su misura per il suo predecessore, ma coltivava idee nitide così come aveva dimostrato da Patriarca a Venezia. Sapeva cosa fare e cosa cambiare in Vaticano.

Osò dire che la proprietà privata non era "un diritto inalienabile", voleva rimuovere il segretario di Stato Jean Villot e mettere al suo posto Giovanni Benelli, il vero regista della sua elezione. Ritenne poi che un cardinale non poteva stare a capo di una banca. Marcinkus, lo Ior, Calvi. Luciani fu eletto il 26 agosto del 1978 e il 29 settembre fu trovato morto nel suo letto. Embolia? Attacco cardiaco? Il suo medico disse che a 65 anni nulla poteva far pensare a una fine così repentina. E allora? Nessuna autopsia fu autorizzata dal Vaticano, un Papa non si tocca. Mai. Di certo, però, il Vaticano gestì in modo quantomeno maldestro quel tragico evento. E subito emersero parecchie contraddizioni: su chi lo avesse trovato morto per primo, sull'ora presunta del decesso, ma soprattutto su ciò che Luciani tenesse in mano, o sul comodino, la notte in cui morì. Il Vaticano parlò del testo "Imitazione di Cristo", ma pare invece che recasse un diario personale o comunque degli appunti in cui veniva ridisegnato l'organigramma della Curia.

Erano progetti che non andavano bene a qualcuno? E' possibile che quegli appunti fossero la causa della morte di Giovanni Paolo I? "Io credo di no, ma sono certo che Luciani è stato ucciso. Ammazzato per ragioni di soldi e potere. Ne ho le prove documentali non falsificabili". A parlare non è una vecchia volpe del giornalismo investigativo o un vaticanista di comprovata consuetudine curiale. Luis Miguel Rocha è un trentenne portoghese che non conosce granché della vita in Santa Sede, non è un fervente cattolico e non si cura molto della Chiesa d'oggigiorno. Eppure ha scritto "La morte del Papa" (Ed. Cavallo di Ferro, pp. 432, 18,50 euro), un'inchiesta vestita da romanzo che promette rivelazioni deflagranti, da far impallidire David Yallop. A dargli retta, Rocha ha scoperto il segreto della morte di Giovanni Paolo I: "Ho molti documenti, tutti veri. Alcuni sono anche nel libro, altri no, sono troppo pericolosi". Di fronte a un manipolo di cronisti un po' basiti per le sue rivelazioni e un po' interdetti dalla sua laconicità, il giovane scrittore spiega: "Si tratta di carte che ho avuto da una fonte che conosco da 11 anni, con cui ho una grande amicizia. Una persona che mi si è rivelata come detentrice di questi segreti solo nell'aprile del 2005". Giusto all'indomani della morte di Papa Wojtyla, guarda caso. "E' una persona che ha fatto parte del complotto per uccidere Albino Luciani - aggiunge Rocha - Ora queste carte sono nascoste, sono in mano a un giornalista inglese e uno italiano. Io non temo per me perché tanto non mi occuperò più di questa vicenda, temo soltanto per loro. Relativamente alla fonte, beh, adesso ha solo voglia di fare chiarezza". Proprio adesso.

Alla domanda, scontata, sul nome dei presunti assassini, Rocha risponde: "Non posso dire chi furono gli esecutori materiali, ma i mandanti sì: Marcinkus, Calvi e Gelli". Che poi sono più o meno i nomi cui pensa ogni sostenitore della pista dell'omicidio. Rocha parla delle carte che Luciani aveva in mano quella notte, uno dei punti da sempre più controversi: "Teneva il suo diario e tre fogli: il primo conteneva una lista arrivata da Pecorelli di 112 nomi di massoni, alcuni sottolineati con delle note a margine scritte dal Pontefice; il secondo recava le sostituzioni che Luciani voleva fare in Curia e appunti personali; sull'ultimo, che stava lì un po' per caso, c'era il Terzo Segreto di Fatima che Suor Lucia aveva comunicato al Papa nell'incontro del '77 a Coimbra". La lista di Pecorelli era parzialmente diversa da quella poi pubblicata dal fondatore di Op. Rocha quindi precisa che "alcune persone interne al complotto contro Luciani, furono poi coinvolte anche nell'attentato dell'81 a Wojtyla. Solo alcune". Infine annuncia che il suo prossimo libro, in uscita nel 2008, riguarderà proprio l'agguato a Giovanni Paolo II. E lascia intendere che sarà un'altra bomba. Vedremo.

redazione.romaone.it/4Daction/Web_RubricaNuova?ID=7880...


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Etrusco
00domenica 28 settembre 2008 13:45
Stamattina appena ho scorto questa notizia tra i titoli dei giornali mi son detto:
"Nikki la posterà, oh si che la posterà!" [SM=x44451]

Nikki72
00domenica 28 settembre 2008 13:48
Re:
Etrusco, 28/09/2008 13.45:

Stamattina appena ho scorto questa notizia tra i titoli dei giornali mi son detto:
"Nikki la posterà, oh si che la posterà!" [SM=x44451]






[SM=x44455]


Etrusco
00domenica 28 settembre 2008 13:51
Ecco QUI l'altro thread in cui abbiamo approfondito la misteriosa morte(/omicidio?) di quel papa che in soli 33 gg. rivoluzionò il Vaticano.... LINK:::

(Forse fu proprio per questo che morì tanto improvvisamente quanto misteriosamente, proprio il giorno prima in cui aveva preannunciato di voler mettere ordine allo IOR, la Banca del Vaticano?)

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[SM=x44471]
Etrusco
00domenica 28 settembre 2008 14:16
Uno dei pontificati più brevi della storia: dal 26 agosto al 28 settembre 1978
«In 33 giorni entrò nel cuore della gente»
Sua Santità Papa Benedetto XVI ricorda Papa Luciani nel XXX anniversario della morte:
«Scelse come motto l'umiltà»


Sua Santità Giovanni Paolo I, «il Papa del sorriso»

ROMA - «Bastarono 33 giorni perché Papa Luciani entrasse nel cuore della gente.
Nei discorsi usava esempi tratti da fatti di vita concreta, dai suoi ricordi di famiglia e dalla saggezza popolare».
Papa Ratzinger ha ricordato con queste parole Giovanni Paolo I, di cui oggi ricorre il trentesimo anniversario della morte.
«La sua semplicità - ha sottolineato - era veicolo di un insegnamento solido e ricco, che, grazie al dono di una memoria eccezionale e di una vasta cultura, egli impreziosiva con numerose citazioni di scrittori ecclesiastici e profani.
È stato così un impareggiabile catechista
, sulle orme di san Pio X, suo conterraneo e predecessore prima sulla cattedra di san Marco e poi su quella di san Pietro».
Di Luciani Ratzinger ha anche citato alcune frasi, che testimoniavano la sua umiltà:
«Dobbiamo sentirci piccoli davanti a Dio.
Non mi vergogno di sentirmi come un bambino davanti alla mamma:
si crede alla mamma, io credo al Signore, a quello che Egli mi ha rivelato»,
aveva detto Giovanni Paolo I in un'udienza generale. «Queste parole - ha commentato oggi il Papa teologo - mostrano tutto lo spessore della sua fede».

IL SUO INSEGNAMENTO - Un'altra frase di Luciani ricordata oggi da Ratzinger riguardava l'umiltà:
«anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili. Invece la tendenza, in noi tutti, è piuttosto al contrario: mettersi in mostra».
«Egli - ha commentato il Papa di oggi - scelse come motto episcopale lo stesso di san Carlo Borromeo: Humilitas.
Una sola parola che sintetizza l'essenziale della vita cristiana e indica l'indispensabile virtù di chi, nella Chiesa, è chiamato al servizio dell'autorità».
«Mentre ringraziamo Dio per averlo donato alla Chiesa e al mondo, facciamo tesoro - ha esortato i fedeli presenti nel cortile della residenza estiva di Castegandolfo del suo esempio, impegnandoci a coltivare la sua stessa umiltà, che lo rese capace di parlare a tutti, specialmente ai piccoli e ai cosiddetti lontani».


Fonte: Corriere della Sera - 28 settembre 2008
Etrusco
00domenica 28 settembre 2008 15:09

Nel 30° anniversario della sua morte

VENEZIA, venerdì, 26 settembre 2008 (ZENIT.org).- Si è concluso questo venerdì un Congresso sulla figura di Albino Luciani, Papa Giovanni Paolo I, nella Diocesi di Venezia, della quale fu Patriarca prima di essere eletto Papa.

Il Congresso, dal titolo “Papa Luciani, dal Veneto al mondo”
, ha voluto sottolineare nel 30° anniversario della sua morte non il suo breve pontificato, ma la sua opera come sacerdote e Vescovo. I partecipanti si recheranno nel fine settimana a Roma, dove domenica celebreranno un'Eucaristia nella Basilica di San Pietro.

Domenica l'attuale Patriarca di Venezia, il Cardinale Angelo Scola, celebrerà una Messa commemorativa nella Cattedrale di San Marco, alla quale parteciperà il movimento Comunione e Liberazione.

Passione missionaria

Nel corso del Congresso, ricorda “L'Osservatore Romano”, tra gli altri aspetti della personalità di Papa Luciani è stato sottolineato il suo grande amore per le missioni, come si deduce dai suoi molti scritti sulla questione.

In particolare, si è dedicata attenzione a una Lettera alla Diocesi di Venezia pubblicata nell'ottobre 1996 dopo una visita compiuta in Burundi. La Lettera, spiega l'esperto Roberto Morozzo della Rocca, spiegava che il futuro Papa era “un uomo pratico refrattario a questioni ideologiche”.

L'allora Patriarca di Venezia aveva molto a cuore il rapporto tra la missionarietà e l'autonomia delle Chiese locali,
che nel Concilio provocò un ampio dibattito.

Per lui non c'era contrasto tra queste realtà, visto che “la Chiesa è unica ed è la medesima in Veneto e all'altezza dell'Equatore
, il Vangelo è unico per tutti, la grazia si effonde sugli uni come sugli altri, e in ogni caso chi ha l'ultima parola è il Vescovo locale, non una teoria intellettuale”. (stoccata a IOR e P.Marcinkus...)

Ciò che contava, secondo il futuro Pontefice, era l'evangelizzazione.

Per Morozzo della Rocca, la sua visione della questione missionaria “mostra un Vescovo che vive il primato della pastoralità, un moderato che non vuole perdere il buono delle tradizioni ma anche vuole capire la realtà presente”.





Albino Luciani pastore umile e obbediente, quindi libero

Senza compromessi per difendere l'unità


Si è chiuso venerdì 26 settembre a Venezia, presso l'Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, il convegno "Albino Luciani dal Veneto al mondo" organizzato in occasione del trentesimo anniversario della morte di Giovanni Paolo i. Pubblichiamo l'intervento conclusivo del cardinale patriarca di Venezia.

di Angelo Scola
Cardinale patriarca di Venezia


Le circostanze storiche mi hanno portato in questi mesi a dovermi chinare, in più occasioni, sulla figura dei tre patriarchi veneziani del secolo scorso che poi sono diventati Papi. Tutti e tre, in gradi diversi, sono ormai nell'orizzonte della santità canonicamente riconosciuta.

Debbo riconoscere che affrontare, come patriarca e nella città di Venezia, la figura del servo di Dio Papa Giovanni Paolo i a chiusura del presente convegno mi è risultata, tra le tre, l'impresa meno agevole e nello stesso tempo la più stimolante. E ciò anche perché diretti protagonisti degli anni, certamente complessi, del ministero patriarcale di Albino Luciani sono ancor oggi attivi nella vita veneziana. Ma soprattutto mi sembra di poter serenamente affermare che all'interno della nostra Chiesa veneziana continuano a convivere due atteggiamenti profondamente diversi verso la figura di Albino Luciani.

Da una parte esiste, e si va rafforzando, una memoria riconoscente e grata. La sua figura emerge spontaneamente nei ricordi della grande maggioranza dei fedeli quando li si incontra, ad esempio, in occasione della Visita pastorale. Sono assai numerosi tra il popolo quanti, con una punta di sano orgoglio, dicono, ad esempio, di essere stati cresimati dal futuro Giovanni Paolo i o menzionano episodi significativi di rapporto con Lui. Dall'altra non mancano, in qualche membro del clero e in taluni intellettuali, voci di critica, talora anche aspra, nei confronti del patriarca Luciani, che rivelano ferite non completamente rimarginate.

Non è mia intenzione, né peraltro ne avrei i mezzi, formulare un giudizio sintetico sulla figura e sull'azione di questo mio venerato predecessore. Vorrei tuttavia aprire queste mie riflessioni fornendo una chiave di lettura sul ministero veneziano di Luciani. Non nascondo di volerlo fare proprio in quanto pastore, con l'intento di pacificare lo sguardo di tutti i veneziani su questa grande personalità della ancor recente storia della Chiesa. Per far questo partirò proprio dall'episodio, assai noto, della difficile vicenda legata al referendum per il divorzio.

Erano gli anni della contestazione anche ecclesiale, anni difficili perché segnati da circostanze nuove, complesse e di problematica decifrazione. Nella sua qualità di pastore della Chiesa veneziana e di figura eminente della Chiesa italiana, Luciani dovette sovente esporsi. Fu soprattutto nell'aprile del 1974, in occasione del referendum sul divorzio, che prese posizione non nominando un successore all'assistente della Fuci, che si era dimesso, e sciogliendo la Comunità studentesca di San Trovaso che si era pronunciata a favore del mantenimento della legge. A esse aveva permesso sperimentazioni liturgiche e ricerche bibliche anche piuttosto avanzate per allora, ma non tollerò che si esprimessero pubblicamente contro la dichiarazione ufficiale dei vescovi italiani sul referendum. Si produsse in tal modo una "significativa frattura" che certamente segnò gli anni successivi della vita diocesana.

Come leggere oggi le scelte dell'allora patriarca?
Mi sembra di essere rispettoso dei fatti nell'affermare che le scelte del patriarca furono dettate dall'amorevole cura del pastore. Egli ebbe in primo luogo a cuore il bene di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei semplici. Pertanto non esitò ad assumere una posizione decisa e anche impopolare quando percepì minacciata l'articolata unità della Chiesa che gli era stata affidata. Non scese a compromesso con avanguardia alcuna, fosse profetica o meno, per evitare opposizione tra i fedeli e i loro pastori che si erano pubblicamente espressi. Prese con dolore una posizione chiara, ben sapendo di dover ferire taluni protagonisti. Una posizione che, nell'ottica classica dell'obbedienza cristiana, da Luciani sempre scrupolosamente perseguita anzitutto in prima persona, implicava precisi risvolti disciplinari.

Leggere questa scelta con le categorie sempre riduttive di conservazione e progresso non renderebbe, tra l'altro, giustizia a un tratto essenziale della personalità di Luciani. Mi riferisco al fatto che lungo tutto l'arco del suo ministero egli si impegnò incessantemente per affinare le ragioni delle sue scelte. Basti pensare al lavoro di riflessione e di studio nonché al cambiamento di posizioni teologiche che comportò per lui la partecipazione al Concilio vaticano ii e l'assunzione, che fu piena, di Humanae vitae.
Ulteriore segno di questa obiettiva apertura di mente e di cuore fu il fatto che egli tentò poi, per come poté e seppe, un abbraccio costruttivo con tutti. Infatti il patriarca continuò a cercare il contatto con i preti in qualche modo coinvolti nelle vicende della contestazione, riconoscendone pubblicamente le competenze, affidando loro importanti servizi diocesani o chiedendone, anche da Papa, la collaborazione.

Preziosa conferma di questo atteggiamento profondamente pastorale si può trovare nel Messaggio urbi et orbi di domenica 27 agosto 1978 quando, appena eletto Papa, Luciani ritorna sulla necessità di superare le tensioni interne alle Chiese. Lo fa nel contesto della riflessione sulla responsabilità di tutti i "figli della Chiesa": "Chiamiamo anzitutto i figli della Chiesa a prendere coscienza sempre maggiore della loro responsabilità (...) Superando le tensioni interne, che qua e là si sono potute creare, vincendo le tentazioni dell'uniformarsi ai gusti e ai costumi del mondo, come ai titillamenti del facile applauso, uniti nell'unico vincolo dell'amore che deve informare la vita intima della Chiesa come anche le forme esterne della sua disciplina, i fedeli devono essere pronti a dare testimonianza della propria fede davanti al mondo".

Questa mia personale lettura della nota vicenda veneziana mi consente di identificare due importanti criteri della singolare immedesimazione di Luciani all'essenza del cristianesimo. Su di essi vorrei ora brevemente soffermarmi per lumeggiare ulteriormente il valore della persona e del ministero del servo di Dio. Mi sembra di poterli individuare in un affettivo ed effettivo senso di appartenenza alla Chiesa vissuto con profonda gratitudine e, in secondo luogo, in un'acuta consapevolezza della natura missionaria del popolo di Dio. La vicenda dolorosa relativa al referendum poteva incrinare, agli occhi di Luciani, sia l'appartenenza ecclesiale, sia la testimonianza missionaria dei cristiani nel mondo.

Quanto al primo criterio, l'appartenenza grata al popolo di Dio, altro non fu che l'esplicitarsi della coscienza del mistero della Chiesa, profondamente radicata in lui fin dall'infanzia. Il vescovo Luciani la comunica con sapienza catechetica straordinaria e, soprattutto, con amore incondizionato alla Sposa di Cristo nel suo magistero sia a Vittorio Veneto, sia a Venezia.

Sono tante le testimonianze in proposito: "È dunque una fortuna appartenere alla Chiesa: inseriti in essa, si diventa cosa così grande, che Cristo stesso si chiama felice di averci come suoi. Per Cristo, noi siamo un premio, un'ambita conquista, una sposa ardentemente desiderata e teneramente amata". Noi siamo una sposa, dice il patriarca.

Si può intravedere fin da questo passaggio l'uso del linguaggio nuziale - oggi finalmente più corrente - per descrivere i misteri cristiani che lo porterà a parlare di Dio come Madre già nella prima omelia in San Marco: "Dio è madre e tale madre, nei nostri confronti, che mai a nessun patto, dimenticherà il frutto del proprio seno". Come è noto questo tema e linguaggio fece scalpore quando lo riprese in un ormai celebre Angelus.

E passando dal tema sponsale a quello della Chiesa-corpo egli afferma:
"Siamo Corpo, perché ciascuno di noi non sta alla Chiesa come una parte qualunque sta a un tutto qualunque, ma come un organo qualificato sta a un corpo animato (...). Un occhio (...), una mano, un braccio concorrono al bene di tutto il corpo e ciascuno in modo proprio, con risorse distinte. Così un vescovo, una suora, un padre di famiglia, un giovane impegnato danno alla Chiesa ciascuno un proprio apporto, particolare e diverso".

Ne consegue allora che la Chiesa è il luogo della comunione e dell'amore effettivo e "per questa comunione ognuno di noi sa di essere amato da Dio e dai fratelli, si sente impegnato a contraccambiare amore, a sviluppare le iniziative esterne di carità già nella Chiesa primitiva chiamate "segno di comunione"". Riferendosi a un'espressione di Paolo vi il patriarca sostiene poi che tale comunione, continuamente esposta al rischio di venire stravolta e strumentalizzata, può essere pienamente vissuta solo mantenendosi "nella filiale obbedienza".

Né si può sottacere che al tema dell'appartenenza ecclesiale rettamente inteso appartiene per Luciani il tema del mondo.
La Chiesa non può essere spiegata se non in relazione al mondo e alla sua salvezza.
A causa di questo aspetto dominante, la Chiesa appare come una realtà essenzialmente eccentrica, definibile solo in base a una duplice costitutiva relazione: a Cristo e alla sua missione, da una parte, e al mondo, verso cui è continuamente ed essenzialmente inviata, dall'altra. Da qui la profonda convinzione che la vita della Chiesa è viva nel cuore degli uomini, anche di quelli che non condividono la sua verità e non accettano il suo messaggio.
Nel Messaggio urbi et orbi Giovanni Paolo I si mostra ben cosciente della "insostituibilità della Chiesa cattolica" in ordine allo sforzo comune a tutta la famiglia umana di dare risposta ai problemi lancinanti del momento.

In questa prospettiva ecclesiologica, chiaramente alimentata dal Concilio Vaticano II che Luciani approfondì con la partecipazione, non comune, a ben tre Assemblee del Sinodo dei vescovi, emerge anche la forte sottolineatura della natura missionaria della Chiesa.
Scrivendo ai veneziani in occasione della giornata missionaria del 1971, il patriarca individua nella evangelizzazione, cioè nella diffusione della Buona Novella, il compito prioritario della Chiesa. Nel suo nucleo centrale, esso consiste nell'annuncio che Dio ci ha immensamente amato, da sempre, e ha preparato per l'umanità un efficace piano di salvezza, che si viene attuando nella storia, attraverso l'incarnazione del Cristo. La Chiesa non può non evangelizzare, ma per farlo deve essere particolarmente attenta alla realtà sempre storicamente determinata dell'uomo. Per stare all'azione veneziana di Luciani mi preme ricordare due dati. Lo stile della sua visita pastorale e il mandato ai catechisti.

In questo contesto, il patriarca sottolinea alcuni elementi problematici:
il fatto che l'evangelizzazione porti con sé indirettamente influenza sociale e politica, civilizzazione e riti religiosi
, richiede attenzione a non confondere tali aspetti con il Vangelo, ma anche a non credere che tra loro ci sia un abisso.
Allo stesso modo il rapporto con il potere politico va affrontato con grande equilibrio: la Chiesa deve insegnare, anche con i fatti, che l'autorità civile va rispettata, ma nello stesso tempo deve denunciarne gli eventuali abusi.
Compito della Chiesa è, infatti, promuovere lo sviluppo integrale dell'uomo, di ogni uomo, proponendo la visione cristiana dell'esistenza, nella fedeltà alla Parola di Dio. Questo significa considerare anche l'importanza dei problemi legati alle diverse culture, di cui la Chiesa non può non tener conto, pena il trascurare l'uomo e mortificare il Vangelo. Gli verrebbe impedito di penetrare tutti gli ambiti dell'esperienza umana per sostenere la libertà nel compito di dare risposta ai grandi interrogativi dell'esistenza.

Come si può notare, le riflessioni del patriarca sembrano in qualche modo anticipare i contenuti della III Assemblea Generale del Sinodo dei vescovi del 1974, dedicata all'evangelizzazione, e la conseguente, insuperata Esortazione apostolica di Paolo vi Evangelii nuntiandi, pubblicata l'8 dicembre 1975; ma anche il Convegno della Chiesa italiana del 1976 su "Evangelizzazione e promozione umana".
Lo stesso Luciani sarà, successivamente, uno dei più convinti sostenitori e dei più lucidi commentatori dell'esortazione pontificia. Nelle sue presentazioni del testo, il patriarca parte dalla consapevolezza che il cristiano ha il dovere di conservare nella sua purezza intangibile il patrimonio della fede, ma ha anche quello di presentarlo agli uomini del nostro tempo in modo non solo comprensibile, bensì capace di toccare davvero il loro cuore.
Appartenenza ecclesiale e coscienza missionaria vissute come l'esito, non privo di dramma, di due virtù che il servo di Dio esercitò in modo eccellente: l'umiltà e l'obbedienza. Lo si vede assai chiaramente ripercorrendo i suoi scritti, soprattutto quelli catechistici - come il suo grande predecessore sulla cattedra di Marco prima e di Pietro poi, Pio x, fu un grande catecheta - e quelli pastorali. E il cemento che tenne unite queste due virtù fu la libertà propria dei figli di Dio. Questa tocca il suo vertice nella decisione dell'amore oggettivo la cui essenza è il "per sempre". Non a caso, come ho già avuto modo di richiamare a Canale d'Agordo lo scorso mese di agosto, quasi al termine della sua vita, appena eletto Papa, Albino Luciani ce ne diede piena testimonianza: "Io ricordo come uno dei punti solenni della mia esistenza il momento in cui, messe le mani in quelle del mio vescovo, ho detto: "Prometto". Da allora mi sono sentito impegnato per tutta la vita e mai ho pensato che si fosse trattato di una cerimonia senza importanza".

(©L'Osservatore Romano - 27 settembre 2008)

binariomorto
00domenica 28 settembre 2008 20:44
Me lo ricordo bene: un altro scheletro negli armadi Vaticani ?
Shaolinsoccer
00lunedì 29 settembre 2008 00:09
Ma ceeeerto che è uno scheletro negli immensi armadi Vaticani...Sono sempre i migliori che se ne vanno per primi !




p.s.
Ciao nikki, tutto bene ? [SM=x44477]
Nikki72
00lunedì 29 settembre 2008 00:15
Re:
Shaolinsoccer, 29/09/2008 0.09:

Ma ceeeerto che è uno scheletro negli immensi armadi Vaticani...Sono sempre i migliori che se ne vanno per primi !




p.s.
Ciao nikki, tutto bene ? [SM=x44477]





Chi si rivede!! [SM=x44500] dove sei stato?? [SM=x44466]


KuntaKinte77
00lunedì 29 settembre 2008 00:22
ricordate il padrino III che fa riferimento - manco tanto velatamente - alla morte di papa luciani? [SM=x44461]
Etrusco
00lunedì 29 settembre 2008 01:11
Re:
KuntaKinte77, 29/09/2008 0.22:

ricordate il padrino III che fa riferimento - manco tanto velatamente - alla morte di papa luciani? [SM=x44461]




No, cosa direbbe a riguardo?
Anche gli americani sanno di questo presunto omicidio? E qui da noi se ne è parlato pochissimo... [SM=x44466]
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