Raddoppiano le imprese in crisi, ma la detassazione promessa per dar ossigeno tarda

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binariomorto
00martedì 22 dicembre 2009 00:30
Cassazione sconfessa studi di settore
Standard per misurare evasione da soli non provano nulla


ROMA - Gli studi di settore - spauracchio dei contribuenti che hanno un'attività in proprio - non sono più un parametro certo in base al quale l'Agenzia delle entrate può inoltrare la cartella di accertamento fiscale sulla presunzione che lo scostamento, dai parametri di reddito introdotti dalla legge finanziaria del 1996, nasconda l'elusione dell'imposta dovuta. Lo sottolineano le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 26635 destinata a rivoluzionare - a favore del contribuente - la formazione della prova nelle cause con il fisco.

D'ora in poi - questo il senso della decisione della Suprema Corte - gli studi di settore, anche se frutto della diretta collaborazione con le categorie interessate, sono da considerare solo "una elaborazione statistica, il cui frutto é una ipotesi probabilistica che, per quanto seriamente approssimata, può solo costituire una presunzione semplice". D'ora in poi - quindi - sono da considerarsi nulli gli accertamenti fiscali che si poggiano solo sulle indicazioni provenienti dagli studi di settore.

Anche nelle cause con il fisco la prova si forma in dibattimento e il contribuente "ha la più ampia facoltà di prova" per contestare "l'applicabilità degli standard al caso concreto". Così è stato respinto il ricorso con il quale l'Agenzia delle entrate sosteneva che gli studi del settore 'parrucchiere da uomo' fossero applicabili - tout-court - anche nel caso del gestore di un piccolo salone dell'entroterra lucano che già da anni aveva ammortizzato i costi riferiti a minime quantità di beni e servizi, acquistati in tempi remoti, e ormai obsoleti.

- ''La sentenza della Cassazione ribadisce quello che la Confesercenti ha sempre sostenuto, valea dire che gli studi di settore sono un punto riferimento ma chenon vanno considerati esaustivi riguardo alla fedeltà delcontribuente rispetto ai suoi impegni con il fisco". Così Mauro Bussoni, vicedirettore generale della Confesercenti,commenta il pronunciamento della Corte di Cassazione sugli studidi settore, giudicandolo "un passaggio importante".

"Certo, ora bisognerà capire bene il contenuto dellasentenza e vedere il caso nello specifico ma comunque lasentenza ribadisce un concetto importante, cioé - prosegueBussoni - che lo scostamento dagli studi di settore non vuoldire che il contribuente sia in dolo, e comunque vi è per ilcontribuente o l'azienda la possibilità di un contraddittorio,indicando i motivi di tali scostamento. Una sentenza insomma -conclude - che non può che migliorare il rapporto tra contribuente e fisco".

Fonte: ANSA
Etrusco
00martedì 22 dicembre 2009 14:11
indagine del Centro Studi di Confcommercio: chiusure superano aperture (crisi consumi+export)
Soffrono anche le piccole imprese: gli Autonomi
Chiudono più negozi, il timore di investire
35'000 saracinesche abbassate, il nodo tutele

Le perdite

Le imprese in perdita sono raddoppiate dal 20 al 41% del totale.
I commercianti fino a 100'000€ hanno smesso di chiedere credito alle banche

I numeri del commercio
35.000: il saldo tra le chiusure, circa 100 mila e le aperture (65 mila)


(Fotogramma)

MILANO — In un anno in cui la crisi economica internazionale e la contrazione dei consumi hanno trascinato nella bufera professionisti, lavoratori autonomi e sistema industriale, potevano rimanere al sicuro quelle micro-imprese rappresentate dai negozi di vendita al dettaglio?
Naturalmente no, come conferma anche un’indagine condotta dal centro studi di Confcommercio.

Il primo dato che balza all’occhio è che sia nel 2008 che nel 2009
le chiusure hanno ampiamente superato le nuove aperture (alla fine di quest’anno i negozi chiusi dovrebbero superare i 100 mila, le aperture sono state 65 mila con un saldo negativo di 35 mila).
Malgrado il sistema di rotazione in Italia sia stato sempre molto alto, è evidente che in questo biennio abbia subito una forte accelerazione.
Il malessere colpisce l'industria italiana nel suo complesso, al punto che le imprese in perdita, che nel nel 2007 erano pari al 20%, nel 2008 sono raddoppiate toccando quota 41,2%.
Però, considerando il fatturato medio per settore di attività economica, si nota come la crisi abbia
colpito nel 2008 maggiormente il commercio all'ingrosso (- 9,1%) che include anche una quota di attività di import-export, mentre il commercio al dettaglio ha avuto un impatto meno negativo (addirittura un più 0,3% di fatturato medio rispetto all'anno precedente).

Attenzione però, l’anno prossimo il commercio all’ingrosso, che finora è stato più penalizzato dalla crisi, dovrebbe ripartire trascinato dall’export e dalla crescita dei grandi mercati internazionali, mentre assisteremo a una penalizzazione del commercio al dettaglio che per risalire avrà bisogno di una ripresa dei consumi interni.
La radiografia effettuata da Confcommercio ci dice che da 2 anni centri storici e prime periferie vedono moltiplicarsi le vetrine vuote con la scritta affittasi. Per un negozio che apre ce ne sono due che chiudono.
Chi resta stringe i denti senza neanche poter attuare una politica dei prezzi riducendo i margini come fa la grande distribuzione sfruttando l’economia di scala.

Ai piccoli serve un clima di fiducia e una maggiore disponibilità economica delle famiglie.
Un’occasione per aumentare il potere di spesa degli italiani poteva essere
la detassazione della tredicesima,
adesso invece i commercianti chiedono di pensare a una manovra strutturale per ridurre la pressione fiscale sul lavoro.

Un intervento mirato a rimettere in moto i consumi interni ridando fiato e speranza a quelle micro-imprese commerciali
che vivono la crisi con ammortizzatori sociali molto marginali
e con un debole sistema di previdenza.

Ma la posta in gioco l’anno prossimo è molto alta

e la partita dovranno giocarsela anche i commercianti.
Dall’indagine infatti appare evidente che le imprese con un fatturato fino a 100'000 € annui (quelle più a rischio chiusura) non hanno chiesto finanziamenti, probabilmente perché non potevano permetterseli o magari perché le richieste di garanzia delle banche sono troppo alte.
Però la mancanza di investimenti crea un ritardo nell’ammodernamento.

Altro nodo emerso dalla ricerca è quello legato agli studi di settore:
il timore dei commercianti è che questo strumento, costruito con riferimento a periodi di normalità, venga poi applicato, senza modifiche significative, in un momento di crisi in cui i volumi di vendite, i margini commerciali presentano valori completamente alterati.
Su un punto però tutti sembrano d’accordo: gli studi di settore vanno rimodellati e ripensati, ma non aboliti. Come dire, nessuno torni a parlare di redditometro.

Fonte: Corriere della Sera - Isidoro Trovato
22 dicembre 2009

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