Un solo programma: sperare nel fallimento di Obama
DOPO BUSH IL PEDIDILUVIO
– REPUBBLICANI ALLO SBANDO:
IL GOP NON SA CHE PESCI PIGLIARE,
STRETTO TRA L’ULTRA CONSERVATORE (E STAR RADIOFONICA) LIMBAUGH E IL CONFUSO GOTHA DEL PARTITO
– CON UN SOLO PROGRAMMA: SPERARE NEL FALLIMENTO DI OBAMA…
Antonio Carlucci per "L'espresso"
l'ex Presidente repubblicano George Bush
Lo scontro è avvenuto in pubblico, un po' via radio, un po' via televisione, un po' via carta stampata.
A partire da gennaio,
Rush Limbaugh, la star radiofonica degli ultraconservatori del Partito repubblicano, si è augurato che "Barack Obama fallisca".
Lo ha detto molte volte, con diverse sfumature e accenti, qualche volta aggiungendo la sua speranza che l'America si salvi mentre il presidente affonda,
qualche altra volta rendendo più esplicito il suo pensiero con un "mi auguro che il piano di salvataggio economico non funzioni".
E dopo una, due, tre volte - l'ultima sabato 28 febbraio a Washington, da star della serata organizzata dalla Conservative Political Action Conference -
Michael Steele, il capo del Republican National Committee, ha detto quello che pensava di Limbaugh. "È un comico", ha sentenziato domenica primo marzo dagli studi della Cnn.
Per definirlo subito dopo "incendiario" e "ripugnante".
Dick Cheney
Limbaugh, che da 20 anni conduce un programma radiofonico che va in onda su una catena di antenne locali, radunando intorno al suo microfono ultra conservatore 13 milioni di fedeli ascoltatori, non si è lasciato sfuggire l'occasione.
E ha menato fendenti: "Signor Steele, per lei è meglio lasciare il palcoscenico e cominciare a fare quello per cui è stato eletto, invece di provare a fare il mezzobusto in tv dove non riuscirà di certo a sfondare".
L'attacco frontale ha centrato l'obiettivo e ha ricacciato
in un angolo il numero uno del Partito repubblicano.
Steele si è cosparso il capo di cenere facendosi intervistare da Politico.com: "Non avevo intenzione di dare addosso a Limbaugh, ho un enorme rispetto per lui, Forse sono stato incapace di esprimermi. E comunque non c'era alcuna volontà da parte mia di sminuire la sua voce e la sua leadership".
Non poteva esserci prova più evidente di questa che il Grand Old Party si trova a vivere una situazione del
tipo donne sull'orlo di una crisi di nervi.
La sconfitta elettorale dello scorso novembre ha gettato nello sconforto i repubblicani che non sono riusciti ancora a tracciare la strada da percorrere da partito di opposizione.
Rush Limbaugh
da 20 anni conduce un programma radiofonico per un pubblico conservatore (circa 13 milioni di fedeli ascoltatori)
Avevano tutto il potere e improvvisamente non ne hanno più.
Un'astinenza forzata e improvvisa alla quale non erano preparati.
Era
dal 1994, infatti, che il Partito repubblicano non viveva l'esperienza di non avere un suo uomo alla Casa Bianca o, almeno, la maggioranza alla Camera dei rappresentanti o al Senato.
Adesso tutti i posti che contano, nei ministeri come nelle più importanti agenzie federali, sono in mano ai democratici.
Logico che sorgesse subito un problema.
Chi comanda nel Partito repubblicano?
Chi è il leader che deve organizzare la riscossa per pareggiare il conto con i democratici alla prima occasione?
Pesa di più un conduttore di talk radiofonici o il numero uno del Partito?
Fino a ora Limbaugh sembra essere in pole position.
Tanto è vero che non ha incrociato le spade solo con Steele.
Agli inizi di febbraio,
Phil Gingrey, un deputato repubblicano della Georgia, si è lasciato sfuggire questo commento:
"È facile essere come Rush e tirare pietre stando dietro un microfono.
Non devi mica pensare a che cosa è meglio per la tua gente e per il partito".
Neanche 24 ore dopo ha cambiato musica: "Mi dispiace e mi scuso che i miei commenti possano avere offeso i miei amici conservatori;
Rush, come anche Sean Hannity e Newt Gingrich, sono la voce della coscienza conservatrice del movimento".
Ufficialmente il gruppo dirigente del partito dovrebbe vedere alla testa Steele insieme ai capi repubblicani di Camera e Senato, John Boehner e Mith McConnell.
Capi informali, naturalmente, perché in un partito leggero dove contano molto i leader locali il gruppo dirigente ha soprattutto la funzione di guidare la battaglia parlamentare.
Anche l'elezione di Steele, un afro-americano dai modi gentili, è apparsa a tutti come il
tentativo di inseguire la scia vincente dei democratici che hanno sfidato tutte le previsioni portando per la prima volta un nero a Washington. Ma quella elezione non ha cambiato il corso politico del Grand Old Party.
Improvvisamente quelle che erano state
le fondamenta repubblicane e conservatrici degli ultimi otto anni sembrano scomparse.
Gli ultraconservatori religiosi sono in un angolo, sepolti dall'errore di aver scelto la governatrice dell'Alaska Sarah Palin per correre al fianco del senatore John McCain la volata verso la Casa Bianca.
I temi sulla sicurezza a tutti i costi e a qualsiasi prezzo sono stati spazzati via dagli errori e dalle violazioni,
oltre che dai poveri risultati, commessi dai papaveri dell'amministrazione Bush.
Su tutto poi è calato il buio di una crisi economica e di una recessione come mai ce ne erano state e per le quali nessuno conosce la medicina perfetta.
È accaduto perfino che quattro o cinque governatori eletti sotto le bandiere repubblicane abbiano pubblicamente rifiutato fondi destinati ai loro Stati dalla legge anti-recessione:
il no è stato giustificato dal fatto che quella legge voluta fortemente dalla Casa Bianca è un'ingerenza insopportabile del governo centrale nella vita degli americani.
Ma i governatori del no sono stati smentiti dalla scelta di altri, a cominciare da Arnold Schwarzenegger, che guida la California, uno Stato che è sull'orlo della bancarotta.
L'effetto più visibile è che
nel Partito repubblicano ognuno si è messo a cantare la canzone che conosce meglio.
E il più bravo è sicuramente
Rush Limbaugh che sa come solleticare le corde dei conservatori con un misto di patriottismo, nazionalismo, ricordo dei bei tempi, senza mai dimenticare
una spruzzata di battute a sfondo razzista.
Sulla sua scia è riapparso anche
Newt Gingrich, nel cui medagliere c'è sicuramente l'aver guidato le truppe repubblicane alla riscossa contro Bill Clinton nella seconda parte degli anni Novanta, che ha conquistato la copertina del settimanale domenicale del 'New York Times'.
Il ritorno di Gingrich ha messo alla luce esplicite ambizioni presidenziali: "Io voglio dare un contributo al mio Paese. E se capisco che è arrivato il momento di correre, lo faccio".
E da qui al 2012, prossimo scontro per la Casa Bianca?
Un po' poco affidarsi solo a Limbaugh e ai no che giorno dopo giorno vengono detti alle scelte di Barack Obama in tema di economia.
Il giornalista scrittore
David Frum, repubblicano doc, scrittore dei discorsi di George W. Bush durante la sua prima presidenza, ha cercato di spiegare quale direzione dovrebbe prendere il Partito repubblicano con un articolo
su 'Newsweek':
pensare alla middle class, trovare ricette per l'economia che non siano solo il taglio delle tasse, tutelare chi deve mandare i figli all'università, adottare una nuova etica ambientale, recuperare quella larga parte di America acculturata che ha voltato le spalle ai repubblicani.
"Se Obama ha vinto perché una larga maggioranza di americani ha ritenuto che sia una persona intelligente, dotata di buon senso e responsabile che può risolvere i problemi che stanno a cuore, noi
dobbiamo convincere con i fatti gli elettori che possiamo fare le stesse cose alla stessa maniera se non meglio".
Invece, la crisi di nervi modello Pedro Almodóvar sembra sempre prevalere.
Come in una fiera dello strano ma vero
sul palco della conferenza dei conservatori di Washington è stato portato anche
un ragazzino di 14 anni di Atlanta, Jonathan Krohn,
autore di un libro dal titolo 'Define Conservatism'. Il ragazzo ha parlato ripetendo il Bignami repubblicano
dell'America che prospera solo se ci sono governi leggeri che non si intromettono nella vita dei cittadini.
Una performance che ha fatto sorridere molti.
Lo scrittore politico Jeremy Lott, che si riconosce nelle idee conservatrici, ha scritto che i genitori di Jonathan avrebbero dovuto prendere da parte il figlio e riportarlo a casa.
Spiegandogli amorevolmente: "Scusa ragazzo, ma lo facciamo per il tuo bene".
Antonio Carlucci per "L'espresso" 16-03-2009