Repubblicani allo sbando

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Etrusco
00martedì 17 marzo 2009 14:09
Un solo programma: sperare nel fallimento di Obama
DOPO BUSH IL PEDIDILUVIO
– REPUBBLICANI ALLO SBANDO:
IL GOP NON SA CHE PESCI PIGLIARE,

STRETTO TRA L’ULTRA CONSERVATORE (E STAR RADIOFONICA) LIMBAUGH E IL CONFUSO GOTHA DEL PARTITO
– CON UN SOLO PROGRAMMA: SPERARE NEL FALLIMENTO DI OBAMA…


Antonio Carlucci per "L'espresso"



l'ex Presidente repubblicano George Bush

Lo scontro è avvenuto in pubblico
, un po' via radio, un po' via televisione, un po' via carta stampata.
A partire da gennaio, Rush Limbaugh, la star radiofonica degli ultraconservatori del Partito repubblicano, si è augurato che "Barack Obama fallisca". [SM=x44466]
Lo ha detto molte volte, con diverse sfumature e accenti, qualche volta aggiungendo la sua speranza che l'America si salvi mentre il presidente affonda,
qualche altra volta rendendo più esplicito il suo pensiero con un "mi auguro che il piano di salvataggio economico non funzioni". [SM=x44463]

E dopo una, due, tre volte - l'ultima sabato 28 febbraio a Washington, da star della serata organizzata dalla Conservative Political Action Conference - Michael Steele, il capo del Republican National Committee, ha detto quello che pensava di Limbaugh. "È un comico", ha sentenziato domenica primo marzo dagli studi della Cnn.
Per definirlo subito dopo "incendiario" e "ripugnante".


Dick Cheney

Limbaugh, che da 20 anni conduce un programma radiofonico che va in onda su una catena di antenne locali, radunando intorno al suo microfono ultra conservatore 13 milioni di fedeli ascoltatori, non si è lasciato sfuggire l'occasione.
E ha menato fendenti: "Signor Steele, per lei è meglio lasciare il palcoscenico e cominciare a fare quello per cui è stato eletto, invece di provare a fare il mezzobusto in tv dove non riuscirà di certo a sfondare".

L'attacco frontale ha centrato l'obiettivo e ha ricacciato in un angolo il numero uno del Partito repubblicano.
Steele si è cosparso il capo di cenere facendosi intervistare da Politico.com: "Non avevo intenzione di dare addosso a Limbaugh, ho un enorme rispetto per lui, Forse sono stato incapace di esprimermi.
E comunque non c'era alcuna volontà da parte mia di sminuire la sua voce e la sua leadership".

[SM=x44456] [SM=x44456]


Non poteva esserci prova più evidente di questa che il Grand Old Party si trova a vivere una situazione del tipo donne sull'orlo di una crisi di nervi.
La sconfitta elettorale dello scorso novembre ha gettato nello sconforto i repubblicani che non sono riusciti ancora a tracciare la strada da percorrere da partito di opposizione.
[SM=x44452]


Rush Limbaugh
da 20 anni conduce un programma radiofonico per un pubblico conservatore (circa 13 milioni di fedeli ascoltatori)

Avevano tutto il potere e improvvisamente non ne hanno più.
Un'astinenza forzata e improvvisa alla quale non erano preparati.
Era dal 1994, infatti, che il Partito repubblicano non viveva l'esperienza di non avere un suo uomo alla Casa Bianca o, almeno, la maggioranza alla Camera dei rappresentanti o al Senato.
Adesso tutti i posti che contano, nei ministeri come nelle più importanti agenzie federali, sono in mano ai democratici.

Logico che sorgesse subito un problema.
Chi comanda nel Partito repubblicano?
Chi è il leader che deve organizzare la riscossa per pareggiare il conto con i democratici alla prima occasione?
Pesa di più un conduttore di talk radiofonici o il numero uno del Partito?
Fino a ora Limbaugh sembra essere in pole position. [SM=x44452] Tanto è vero che non ha incrociato le spade solo con Steele.

Agli inizi di febbraio, Phil Gingrey, un deputato repubblicano della Georgia, si è lasciato sfuggire questo commento:
"È facile essere come Rush e tirare pietre stando dietro un microfono.
Non devi mica pensare a che cosa è meglio per la tua gente e per il partito".
Neanche 24 ore dopo ha cambiato musica: "Mi dispiace e mi scuso che i miei commenti possano avere offeso i miei amici conservatori;
Rush, come anche Sean Hannity e Newt Gingrich, sono la voce della coscienza conservatrice del movimento".

Ufficialmente il gruppo dirigente del partito dovrebbe vedere alla testa Steele insieme ai capi repubblicani di Camera e Senato, John Boehner e Mith McConnell.
Capi informali, naturalmente, perché in un partito leggero dove contano molto i leader locali il gruppo dirigente ha soprattutto la funzione di guidare la battaglia parlamentare.
Anche l'elezione di Steele, un afro-americano dai modi gentili, è apparsa a tutti come il tentativo di inseguire la scia vincente dei democratici che hanno sfidato tutte le previsioni portando per la prima volta un nero a Washington. Ma quella elezione non ha cambiato il corso politico del Grand Old Party.

Improvvisamente quelle che erano state le fondamenta repubblicane e conservatrici degli ultimi otto anni sembrano scomparse.
Gli ultraconservatori religiosi sono in un angolo, sepolti dall'errore di aver scelto la governatrice dell'Alaska Sarah Palin
[SM=x44452] per correre al fianco del senatore John McCain la volata verso la Casa Bianca.
I temi sulla sicurezza a tutti i costi e a qualsiasi prezzo sono stati spazzati via dagli errori e dalle violazioni,
oltre che dai poveri risultati, commessi dai papaveri dell'amministrazione Bush. [SM=x44452]

Su tutto poi è calato il buio di una crisi economica e di una recessione come mai ce ne erano state e per le quali nessuno conosce la medicina perfetta.
È accaduto perfino che quattro o cinque governatori eletti sotto le bandiere repubblicane abbiano pubblicamente rifiutato fondi destinati ai loro Stati dalla legge anti-recessione:
il no è stato giustificato dal fatto che quella legge voluta fortemente dalla Casa Bianca è un'ingerenza insopportabile del governo centrale nella vita degli americani.
Ma i governatori del no sono stati smentiti dalla scelta di altri, a cominciare da Arnold Schwarzenegger, che guida la California, uno Stato che è sull'orlo della bancarotta.

L'effetto più visibile è che nel Partito repubblicano ognuno si è messo a cantare la canzone che conosce meglio.
E il più bravo è sicuramente Rush Limbaugh che sa come solleticare le corde dei conservatori con un misto di patriottismo, nazionalismo, ricordo dei bei tempi, senza mai dimenticare una spruzzata di battute a sfondo razzista.

Sulla sua scia è riapparso anche Newt Gingrich, nel cui medagliere c'è sicuramente l'aver guidato le truppe repubblicane alla riscossa contro Bill Clinton nella seconda parte degli anni Novanta, che ha conquistato la copertina del settimanale domenicale del 'New York Times'.
Il ritorno di Gingrich ha messo alla luce esplicite ambizioni presidenziali: "Io voglio dare un contributo al mio Paese. E se capisco che è arrivato il momento di correre, lo faccio".

E da qui al 2012, prossimo scontro per la Casa Bianca?
Un po' poco affidarsi solo a Limbaugh e ai no che giorno dopo giorno vengono detti alle scelte di Barack Obama in tema di economia.
Il giornalista scrittore David Frum, repubblicano doc, scrittore dei discorsi di George W. Bush durante la sua prima presidenza, ha cercato di spiegare quale direzione dovrebbe prendere il Partito repubblicano con un articolo su 'Newsweek':
pensare alla middle class, trovare ricette per l'economia che non siano solo il taglio delle tasse, tutelare chi deve mandare i figli all'università, adottare una nuova etica ambientale, recuperare quella larga parte di America acculturata che ha voltato le spalle ai repubblicani.

"Se Obama ha vinto perché una larga maggioranza di americani ha ritenuto che sia una persona intelligente, dotata di buon senso e responsabile che può risolvere i problemi che stanno a cuore, noi dobbiamo convincere con i fatti gli elettori che possiamo fare le stesse cose alla stessa maniera se non meglio".

Invece, la crisi di nervi modello Pedro Almodóvar sembra sempre prevalere.
Come in una fiera dello strano ma vero sul palco della conferenza dei conservatori di Washington è stato portato anche
un ragazzino di 14 anni di Atlanta, Jonathan Krohn,
autore di un libro dal titolo 'Define Conservatism'. Il ragazzo ha parlato ripetendo il Bignami repubblicano

dell'America che prospera solo se ci sono governi leggeri che non si intromettono nella vita dei cittadini.

[SM=x44456]

Una performance che ha fatto sorridere molti.
Lo scrittore politico Jeremy Lott, che si riconosce nelle idee conservatrici, ha scritto che i genitori di Jonathan avrebbero dovuto prendere da parte il figlio e riportarlo a casa.
Spiegandogli amorevolmente: "Scusa ragazzo, ma lo facciamo per il tuo bene".


[SM=x44452]



Antonio Carlucci per "L'espresso" 16-03-2009
paperino73
00martedì 17 marzo 2009 16:27
Chi è Rush Limbaugh ?

Un commentatore radiofonico conservatore, da oltre 20 anni impegnato on air a divulgare il pensiero conservative.
Un tipo folkloristico a suo modo, ma che sta alla politica come un Santoro o un Fazio.

Ebbene, come mai questo personaggio è diventato così famoso ultimamente ?
Perché 2 giornalisti della CNN (Stanley Greenberg e James Carville - già spin-doctors clintoniani al tempo dei due mandati di Bill) decisero di nominarlo “vero leader del partito repubblicano” dopo aver letto da un sondaggio pre-elettorale che Rush non è amato da una larga fetta di popolazione, soprattutto liberal e giovane, e di muovere una campagna mediatica contro di lui con l’idea di diffondere l’equazione GOP=Limbaugh e per torvare il nuovo angry white man che possa sostituire Bush e la sua amministrazione come nemico pubblico e incubo dei liberal. Il tutto con la complicità di Rahm Emanuel (tutta la ricostruzione su ThePolitico.com a firma di J. Martin).
Il suddetto Rush, nella polemica e nella popolarità ci sguazza, ma tutto ciò ha ben poco a che vedere con la politica, tanto che pure esponenti democratici di spicco bollano tutta la vicenda come poco utile alla causa (su tutti Peter Daou, già consigliere di Hillary Clinton, dalle pagine dell’Huffington Post).
E i giornali stranieri ? Presi dalla loro Obamania, tutti a correre dietro alla ricostruzione del Capo Terribile dei Repubblicani. Riducendo la politica a puro gossip (chiederei agli stessi giornali europei: ma le critiche del FT e del WPost allo “stimulus” economico dove le avete perse ? )

La chiusura è tutta per il nuovo “eroe” che un paio di giorni fa ha detto in diretta radiofonica:
Ho un’idea: se questi ragazzi sono così impressionati da se stessi, se sono così convinti di essere nel giusto, perché il presidente Obama non viene a dircelo direttamente in trasmissione? Potremmo fare un dibattito sulle idee e sulla politica. Offro al presidente la possibilità di essere ospite del mio programma. Senza staff, senza telepromoter, senza appunti, per dibattere con me dell’interventismo statale contro il libero mercato. Lo sfido ufficialmente
Etrusco
00martedì 26 maggio 2009 22:49
LA CARICA DEL GENERALE POWELL

Colin Powell

– L’ULTIMA BATTAGLIA DEL REPUBBLICANO NERO CHE VOTÒ PER OBAMA: “VOGLIO SALVARE IL PARTITO”
– DUELLO CON CHENEY SULLE MACERIE DEL GOP,
DIVISO TRA LA TENTAZIONE DELL´ESTREMISMO E LA RAGIONE DEL MODERATISMO…


L´ultima battaglia del vecchio soldato contro il vecchio politicante
non si combatte più per le paludi del Mekong
o per le sabbie d´Arabia, ma per l´anima e per il futuro della destra americana. Colin Powell, il settantaduenne generale che rifiuta di seguire la profezia di McArthur e di andarsene quieto nella dissolvenza della storia, contrattacca il suo ex superiore e antagonista, il sessantottenne Dick Cheney che lo aveva accusato - se accusa è - di non essere più un autentico Repubblicano e di essere passato al nemico Democratico.

Gli ricorda che il loro partito,
quello che fu di Lincoln, di Reagan, di Bush il Saggio,
corre verso una deriva estremista e fanatica, e non è lui, il generale, a non essere più Repubblicano.
È semmai il partito ad essersi gettato fra le braccia di idrofobi populisti e demagoghi alla Sarah Palin o alla Rush Limbaugh, il signore delle farneticazioni
via radio che stanno impossessandosi del "Grand Old Party", dei Repubblicani in via di restringimento quotidiano.

[SM=x44466]

È un duello a distanza, condotto dagli studi dei talk show, fra due uomini che si sono sempre odiati, da quando Powell era il capo di stato maggiore costituzionalmente sottoposto all´autorità di Cheney, allora suo ministro della Difesa sotto la presidenza di Bush il Vecchio.
Ma è anche un regolamento di conti non soltanto in un partito allo sbando dopo la Caporetto elettorale, che negli ultimi sondaggi gode dell´appoggio di appena un americano su cinque, il 21%, ma interno a una generazione che porterà dentro di sé fino alla tomba la cicatrice del Vietnam.


Dick Cheney [SM=x44467]

Il pretesto, il "casus belli" per questo scambio di bordate,
è apparentemente il rancore che i repubblicani, e l´anima nera della Presidenza Bush, Cheney, portano a Powell per avere dato la propria investitura a Barack Obama nelle presidenziali, un gesto che diede al giovane e inesperto senatore dell´Illinois quell´elemento di peso e di autorità che soltanto una figura come Powell poteva dare.

«Lo ha fatto perché è un afroamericano come lui» abbaiò Cheney, sapendo quanto grave sarebbe stata per i Repubblicani questa investitura.
«Un gesto maldestro», gli ha risposto ora il vecchio generale in pensione che ripete:
«Io sono e resto un repubblicano, che nella propria vita ha sempre votato alle elezioni presidenziali per il candidato che considerava migliore». E «Obama era dei due il migliore». [SM=g51505]


George Bush [SM=x44467]

Ma la ruggine è assai più profonda e corrosiva di questo episodio elettorale, che pure ancora brucia. Arriva a quegli anni ‘60 nei quali un giovane sottotenente della riserva, figlio di immigrati giamaicani che aveva dovuto fare il corso allievi ufficiali per pagarsi gli studi, partì per due volte verso il fronte in Vietnam, restando ferito.
Mentre il giovane (e bianco) Cheney, in età di leva, utilizzava, come altri della sua generazione, Clinton nascondendosi dietro gli studi universitari, Bush imboscandosi nella sinecura della aviazione Texana, ogni legittimo mezzo e mezzuccio per schivare la cartolina precetto.

Per quanto importanti siano state le loro carriere fino alla Segreteria di Stato per Powell e alla vice presidenza per Cheney, la ruggine è rimasta, sotto le mani di vernice.
All´ombra di Bush padre, che li adoperava l´uno contro l´altro, i due avevano convissuto di malavoglia.
Il politico sfogando le sue smanie bellicose sparando alle quaglie, il soldato tenendosi lontano da armi e uniformi, trafficando con vecchie Volvo nei week end, fra i sospiri della moglie Alma.
E avrebbero probabilmente portato con sé nella vecchiaia, afflitta da sei infarti e due pacemaker per Cheney, i loro odi se Powell non fosse stato costretto alla «più terribile umiliazione della mia vita».
A quel giorno in cui fu mandato davanti alle Nazioni Unite per illustrare il libro dei sogni contro l´Iraq costruito proprio per volontà di Cheney.


Ora, il duello finale sembra essere per il futuro di un´opposizione che, come tutte le forze di opposizione in difficoltà, si contorce fra la tentazione dell´estremismo e la ragione del moderatismo.
Soldato fino all´ultimo, Powell,
che fu buon profeta
quando spiegò a Bush che nelle occupazioni militari vale «la legge delle cristallerie, quello che rompi, compri», rifiuta di attaccare Cheney sul terreno delle torture, che il vicepresidente si sbraccia per difendere in questo suo bizzarro e personale "post mortem":
«Non so se siano servite, so che uomini dello Fbi dicono oggi che tutte le informazioni importanti furono ottenute prima di usare mezzi speciali di interrogatorio».

Si preoccupa del futuro di una destra moderata e di governo che possa un giorno riprendere il timone del governo,
che la destra furiosa alla Cheney,
garrula alla Sarah Palin,
o demente
come quella degli arruffapopoli radiofonici alla Limbaugh, vorrebbero spostare verso le estreme.
I neo-chenisti, malattia senile dei neo-con, fanno notare che da quando lui è tornato dal sepolcro, la sua popolarità è risalita.
Ma anche la popolarità di Bush sta risalendo, pur non avendo detto più una parola. O proprio per questo. [SM=x44455]
La Repubblica 26-05-2009
paperino73
00mercoledì 27 maggio 2009 08:59
Qualcuno spieghi a laRepubblica che Cheney conta e conterà sempre meno nel GOP e che lo stesso partito sta cercando di ripartire da persone nuove (come il nuovo chairman Steele che è libertario).

Poi spieghi pure che Powell sarà pure sempre stato un repubblicano, ma il fatto che il suo endorsement per Obama non sia stato premiato con un ruolo nell'amministrazione copre questa sua affermazione di dubbio.

PS - Bush risale nei sondaggi ? Solo a Repubblica non hanno ancora capito come mai, ossia perchè Obama sta utilizzando le sue stesse politiche in campo di antiterrorismo. E alla fine anche i suoi più forti contestatori stanno capendo che forse certe scelte non erano così assurde (o antidemocratiche o contrarie ai principi e ai valori americani, come le definì Obama in campagna elettorale).

NYTimes

The New Repubblic

Washington Post

Financial Times
Etrusco
00venerdì 29 maggio 2009 19:34
Incredibile, ma adesso è scontro persino
tra i Neocon e l'Osservatore romano!

Intellettuali di spicco come George Weigel (biografo di Giovanni Paolo II) e blogger d'assalto come Deal W. Hudson sono scesi in campo per contestare al quotidiano vaticano un'eccessiva apertura nei confronti di Barack Obama, sotto accusa per le sue posizioni in favore dell'aborto e della ricerca sugli embrioni.
C'è persino chi ha messo in dubbio che il direttore, Gian Maria Vian, sia cattolico. [SM=x44457]

Ma il vero obiettivo dell'attacco neocon è la segreteria di Stato vaticana, che sarebbe in rotta di collisione con alcuni vescovi americani fautori della linea dura. [SM=x44499]
Tra questi:
il cardinale di Chicago, Francis E. George, l'arcivescovo di Denver, Charles J. Chaput, e quello di Kansas City, Joseph F. Naumann.
E come se non bastasse Benedetto XVI si è già detto disponibile a incontrare Obama al termine del G8, in programma dall'8 al 10 luglio a L'Aquila.

(Ignazio Ingrao)
Da "Panorama", in edicola oggi.


Su questi Neocon dovrebbero farci un film! [SM=g1741324]

paperino73
00mercoledì 3 giugno 2009 12:36
George Weigel e Deal W. Hudson non sono Neocon (nonostante il primo abbia collaborazioni con gruppi d'area neoconservatrice).

Ma d'altra parte è ormai chiaro che spesso parli di cose che non conosci (parlo del neoconservatorismo, che a differenza di quello che tu pensi non ha nulla a che vedere con il fondamentalismo religioso).
Etrusco
00mercoledì 3 giugno 2009 13:09
Re:
paperino73, 03/06/2009 12.36:

George Weigel e Deal W. Hudson non sono Neocon ...




Allora scrivi a Panorama,
magari ti assegneranno il posto di Ignazio Ingrao [SM=x44452]

paperino73
00mercoledì 3 giugno 2009 13:32
Re: Re:
Etrusco, 03/06/2009 13.09:


Allora scrivi a Panorama,
magari ti assegneranno il posto di Ignazio Ingrao [SM=x44452]




Vista l'opinione che ho di Panorama, non mi sorprende che scrivano cose che non conoscono.
Mi piacerebbe solo che chi le riporta in questo forum faccia lo sforzo di non copiare acriticamente ciò che legge.

[SM=x44450]
Etrusco
00mercoledì 3 giugno 2009 13:45
Re: Re: Re:
paperino73, 03/06/2009 13.32:




Vista l'opinione che ho di Panorama,...




sembra che siano pochi i giornali italiani delle tue simpatie;
sei arrivato persino a declassare il Corriere della Sera come "giornale di gossip" [SM=x44452]

Comunque sia potranno anche chiamarli erroneamente neocon o banda bassotti,
ma ciò non cambia la sostanza dei fatti. [SM=x44461]

Non vorrai mica far passare in secondo piano le contestazioni all'Osservatore Romano
e Segreteria di Stato Vaticano? [SM=x44466]



paperino73
00mercoledì 3 giugno 2009 14:02
Re: Re: Re: Re:
Etrusco, 03/06/2009 13.45:


Comunque sia potranno anche chiamarli erroneamente neocon o banda bassotti, ma ciò non cambia la sostanza dei fatti.




Bonino: "il papa non capisce niente".

oppure

Casini: "il papa non capisce niente".

La sostanza dei fatti cambia.
Eccome.
Etrusco
00venerdì 19 giugno 2009 14:40


Bush torna
e critica la politica «comunista» del Presidente


Una maglietta contro Obama
I conservatori attaccano il presidente.
E spunta un t-shirt in cui il simbolo Gm si coniuga con la falce e il martello


La maglietta che accusa Obama
(da wwwtcritic.com )

WASHINGTON (USA) - Con l’appoggio dell’ex presidente George W. Bush, che dopo 5 mesi ha rotto la consegna del silenzio, [SM=x44474]
e – involontariamente - di due sondaggi del New York times e della tv Cbs e del Wall street journal e della tv Nbc, i conservatori, gli industriali e i finanzieri americani hanno lanciato una massiccia offensiva contro Obama e le sue due riforme più importanti, quella finanziaria e quella sanitaria.

IL SIMBOLO - Un attacco che rinnova le accuse rivoltegli di essere socialista (comunista), [SM=x44452]
accuse che la Casa bianca è stata costretta a confutare assicurando che “il presidente vuole solo salvare il capitalismo”, cosa senza precedenti.
E di cui è diventata simbolo una maglietta rossa con la scritta GM (General motors) dove la G ha la forma di una falce e martello, e si denuncia la “nuova rivoluzione amerikana” con la k, perché lo Stato assumerà il controllo della casa automobilistica. L’offensiva segna l’inizio della fine della luna di miele tra Obama e l’elettorato e getta un’ombra sulla sua presidenza.

Con la riforma finanziaria, Obama mira a regolamentare i mercati che causarono la catastrofe dello scorso autunno, in modo da prevenirne un’altra.
E con la riforma sanitaria mira a fornire l’assistenza medica pubblica ai 50 milioni di americani che ne sono privi e non hanno assicurazioni private.
Ma i suoi nemici le denunciano come statalismo.

I banchieri e i finanzieri in particolare non vogliono che crei un Ente per la tutela dei consumatori,
le vittime dei muti subprime e delle borse; gli industriali che intervenga nel mondo degli affari;
e gli assicuratori che ampli la sanità di stato.

I sondaggi del New York times e del Wall street journal hanno rafforzato le critiche.
La popolarità di Obama rimane alta, dal 63% in su, ma i suoi programmi suscitano dubbi negli americani, tuttora ferrei capitalisti: una forte maggioranza depreca che gli stimoli dell’economia abbiano aggravato l’enorme disavanzo del bilancio dello stato, e una lieve maggioranza è contro la sanità di stato.

L'INTERVENTO DI BUSH - Nel suo intervento a una conferenza di investitori in Pennsylvania, George W. Bush ha cavalcato la tigre dell'opposizione.
Precisando che non intende denigrare il suo successore, Bush ha sostenuto che «sarà il settore privato non lo stato a rilanciare l’economia, perché spende i soldi meglio del governo, che ha solo il compito di agevolare chi rischia e produce profitto».
L’ex presidente ha aggiunto che l’America non può sostenere l’onere di una troppo ampia assistenza sanitaria pubblica.
E si è opposto alla chiusura del campo di detenzione dei terroristi a Guantanamo: «Il conflitto ideologico in corso non è finito, a Guantanamo c’è gente che è pronta ad assassinare altri americani, nessuna terapia li cambierà».
Bush ha respinto l’accusa di avere usato le torture contro i terroristi:
«Ho usato tutti i mezzi legali a nostra disposizione per impedire che ci colpissero di nuovo».
L’offensiva dei poteri forti americani non bloccherà le due riforme perché i democratici, il partito di Obama, controllano il Congresso, ma potrebbe limitarne la portata.

E’ il timore dei liberal, che gli rimproverano di essere «un pallido Roosevelt», ossia di non essere aggressivo e autoritario come il presidente che sconfisse la Grande depressione degli Anni trenta e il nazismo nella seconda guerra mondiale.

Ennio Caretto
18 giugno 2009








[SM=g1700002]
Etrusco
00mercoledì 25 novembre 2009 18:14
Mercoledì 25 Novembre 2009 00:10

La banda del collegio 23.




Dopo la batosta elettorale del 2008,
che ha visto il Partito Repubblicano degli Stati Uniti d’America sconfitto sia alle presidenziali sia alle legislative,
il “Grand Old Party” appariva come un partito politico spacciato.

Già nel corso delle elezioni primarie, iniziate nel gennaio 2008, la contesa per la leadership repubblicana sembrava, agli occhi dell’opinione pubblica, come una partita molto meno interessante della super sfida democratica tra Obama e Hillary Clinton.

Tutto ciò mentre comunque si registrava sul fronte repubblicano una gara aperta con possibili esiti ben più numerosi di quelli del partito dell’asinello:
basti pensare che il favorito alla vigilia della primarie, Rudy Giuliani, dopo i deludenti risultati dei primi stati si era ritirato dalla corsa, lasciando il tutto con un esito incerto:
stati vinti da Mitt Romney, stati vinti da Huckabee…alla fine fu il veterano John McCain ad avere la meglio.
E non era un risultato scontato.

Subito dopo la vittoria di Obama del 4 novembre del 2008, qualche commentatore già si chiedeva:
valutando che il capitale politico-carismatico di Obama è immenso,
chi sarà lo sfidante repubblicano alle elezioni presidenziali del 2012?
Chi avrà il difficile compito di sfidare la ventata d’aria fresca rappresentata dalla candidatura e dalla vittoria di Obama?

Già avvenivano cose folkloristiche:
il 20 novembre del 2008
(ribadisco: il 20 novembre 2008) l’ex candidato alle primarie repubblicane Mike Huckabee (che già di suo è un personaggio folkloristico, tanto da aver ricevuto l’agognato endorsment da parte di Chuck Norris) annunciava la sua candidatura in vista delle presidenziali del 2012 e annunciava l’inizio della sua raccolta fondi per la competizione elettorale.

Lunghi editoriali di quel geniaccio di Karl Rove, spin doctor di Bush jr. sin dai tempi del Texas, ricordavano che “chi vorrà candidarsi nel 2012 dovrà dare una mano alle elezioni di mid-term nel 2010”.

Tutto questo mentre si denigrava la scelta autolesionista di McCain di proporre l’inesperta Sarah Palin alla vicepresidenza, e mentre il duo Bush-Cheney registrava un livello di popolarità bassissimo.

Insomma, il Partito Repubblicano era inesistente. Non c’era.

Almeno nella fase di coabitazione.

Assunto l’incarico di presidente, Obama ha subito aperto vari fronti (e non è ancora riuscito a chiuderne nessuno nonostante il buon iter dell’importantissima riforma sanitaria).
Ciò ha consentito alla sua opposizione di potersi organizzare sia dal punto di vista politico-programmatico che dal punto di vista della propaganda.

Gli attacchi più forti dei repubblicani al presidente vengono proprio a proposito della riforma sanitaria:
si accusa Obama di essere un socialista, si teme di perdere il comodo seggio senatoriale e di dispiacere le lobby locali, e soprattutto si fa credere ai cittadini (già abbastanza svantaggiati dal sistema sanitario) che le proposte di Obama non possono che peggiorare le cose.

Quindi si risveglia l’opposizione ad Obama, anche se il piano propagandistico impera su tutto.

Gran parte di questo “focolaio propagandistico” è frutto della rete televisiva “Fox News”
che ha attaccato cosi tanto il presidente Obama da portarlo ad un boicottaggio totale da parte della Casa Bianca della rete di Murdoch.

Da notare che proprio in questo periodo, oltre a concentrarsi quasi sempre e solo sulla riforma sanitaria e sui suoi presunti danni, il network statunitense trasmette programmi televisivi con conduttori alquanto particolari: c’è Mike Huckabee con un suo programma denominato con molta fantasia “Huckabee” (potete vederlo verso le due di notte italiane…dite la verità, non aspettavate altro!) oppure il tribuno Glenn Beck (ore 23 ore italiane) che scrive i suoi appunti su una lavagnetta e butta libri di Mao e Hitler addosso alla telecamera. Per non parlare dello storico commentatore radiofonico neo-con Rush Limbaugh che mette insieme tutti gli stereotipi degli americani ultra-conservatori degli ultimi anni.

Ma tutti i settori dei media sono coinvolti in questa apparente rinascita di “destra” del Partito Repubblicano:
è uscito da poco negli Stati Uniti il libro di Sarah Palin che ogni giorno è citato in qualche talk show e che comunque, oltre ad essere un notevole fenomeno mediatico, appare quasi come una rivalutazione di un personaggio, quello dell’ex governatrice dell’Alaska, forse giudicato in maniera negativa troppo in fretta.

Questo vuoto programmatico e politico quindi consente comunque lo sviluppo di una forma di opposizione ad Obama.
Una posizione conservatrice e molto propagandistica, quindi probabilmente anche poco concreta.

Primo atto politico di questa “informale rinascita dello spirito repubblicano” sta nella svolta conservatrice del GOP presso il collegio 23 della Camera dei rappresentanti dello stato di New York: gli Huckabee, i Beck, i Limbaugh e le Palin varie hanno proposto a tutti i costi un candidato conservatore, di destra come loro, per quel collegio.

Risultato:
la repubblicana moderata Scozzafava, storica deputata di quel collegio, ha deciso di appoggiare il candidato democratico che è risultato il vincitore di questa sfida.

I Repubblicani non si sono forniti ancora di una tattica ed una strategia ben precisa.

Ma stanno costruendo un base ideologica da non sottovalutare.

Considerando che si tratta del partito erede della tradizione di Lincoln,
possiamo ben dire che non si tratta dello scenario migliore per la politica americana.



Livio Ricciardelli - TP - Mercoledì 25 Novembre 2009

[SM=x44464]

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