Su Emanuela Orlandi - di Pino Nicotri

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Nikki72
00lunedì 23 gennaio 2006 11:29
Come evitare a tutti i costi

di far sapere la verità

sulla fine di Emanuela Orlandi


Nei giorni scorsi è stato scarcerato in Turchia Alì Agca, il terrorista islamico che nel 1981 attentò alla vita di papa Wojtyla. Puntuale come un orologio svizzero s’è levato il coro di chi insiste a dire che la cittadina vaticana Emanuela Orlandi, bella ragazza di poco meno di 16 anni scomparsa a Roma il 22 giugno 1983, è stata rapita da sostenitori di Agca per essere liberata in cambio della scarcerazione del terrorista. Ecco che dal cardinale ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta fino all’ultimo gazzettiere, dai parenti di Emanuela fino all’ex magistrato Ferdinando Imposimato, oggi avvocato e legale rappresentante della madre di Emanuela nell’inchiesta per la scomparsa, tutti si sono rimessi a battere un tasto che è ormai assodato essere fasullo. E’ stata infatti la stessa magistratura italiana, con la sentenza istruttoria firmata il 19 dicembre 1997 dall’allora giudice istruttore Adele Rando, a scrivere che il movente politico-terroristico fu ‘un’abile operazione di dissimulazione dell’effettivo movente del rapimento di Emanuela Orlandi’. Lo stesso giudice istruttore indiziò inoltre del grave reato di concorso nella sparizione della Orlandi non già un terrorista turco né un agente del Kgb sovietico o della Cia americana, bensì il vice capo della sicurezza vaticana, ingegner Raul Bonarelli. Ripeto, per il lettore che credesse di avere le traveggole: la magistratura italiana ha messo per iscritto che se c’era qualcuno da accusare per la scomparsa di Emanuela questo qualcuno andava cercato dentro le mura della città del Vaticano. E a partire da chi si occupa della sua sicurezza interna...

Ma lo sconcerto non finisce qui. L’ufficio di Bonarelli è infatti a meno di 30 metri dalla palazzina di piazzetta S. Egidio dove abitavano e abitano gli Orlandi: è ancor più straordinario quindi che i familiari della ragazza – il padre Ercole, la madre Maria, il fratello Pietro e le tre sorelle Natalina, Federica e Maria Cristina - non abbiano neppure mai fiatato sulla pesante e ben precisa accusa del giudice istruttore Rando contro il loro vicino di casa, che è legittimo pensare capitasse loro di incontrare non di rado in piazzetta o nelle stradine limitrofe. Qualunque altro genitore avrebbe ovviamente, se non scatenato l’inferno, almeno gridato ad alta voce di volerne sapere di più. Invece in questo caso sono stati zitti perfino gli avvocati, compreso l’ineffabile Imposimato, tanto ciarliero quando si tratta di far balenare speranze, se non certezze, di ritorno a casa della ragazza, sparita ormai da ben 23 anni. Imposimato in questo affaire è il legale della signora Maria, madre di Emanuela, nonostante sia stato per un breve periodo difensore di Agca, cioè della persona in favore della quale sarebbe stata rapita la figlia della stessa signora Maria di cui oggi è l’avvocato. Strano, nevvero? Imposimato cercò di fare ottenere la semilibertà ad Agca a patto che questi accettasse di essere ospite della comunità gestita da monsignor Giovanni D’Ercole, amico dell’ex magistrato e capuffico della prima sezione della Segreteria di Stato. Agca non accettò la proposta perché temeva pressioni per essere convertito al cristianesimo. Come se non bastasse, più di una volta alcuni cardinali, a partire dal potente Giovan Battista Re - sostituto alla Segreteria di Stato, carica che equivale a quella di vice primo ministro del Vaticano, e presidente di quella Prima Sezione che ha come capufficio monsignor D’Ercole - hanno rifiutato la richiesta della magistratura italiana di interrogarli. Segno evidente, tra molti altri, che il Vaticano sulla scomparsa della sua giovane e bella cittadina ha una lunga coda di paglia.

Non a caso quindi è proprio un monsignore vaticano, tale Bertani, insignito del titolo di cappellano di Sua Santità, ad avere telefonato a Bonarelli il giorno prima che venisse interrogato da Adele Rando per raccomandargli di tacere: ‘Non dire che l’Ufficio ha indagato e che la cosa è andata alla Segreteria di Stato.... limitati a dire che è affare della magistratura italiana perché la ragazza è scomparsa su suolo italiano’. E che in Vaticano si sapesse molto, se non tutto, lo ha testimoniato per iscritto anche monsignor Francesco Salerno, che all’epoca si occupava delle ‘sante’ finanze: ‘Mi risulta che presso la Segreteria di Stato esiste un dossier con notizie probabilmente risolutive riguardo la scomparsa di Emanuela Orlandi’. Più chiari di così! Anzi, monsignor Salerno ha messo per iscritto un’altra cosa sconvolgente: ‘Dato che grazie al mio occuparmi delle finanze avevo conoscenze in molti ambienti, pochi giorni dopo la scomparsa della Orlandi offrii a monsignor Re la mia disponibilità a cercare notizie, ma monsignor Re rifiutò. Mi disse che era meglio lasciare le cose come stavano’. Monsignor Salerno mente o esagera o ricorda male? Impossibile. Dopo tale testimonianza è stato infatti promosso a capo della basilica del Laterano e annessi palazzi, vale a dire del più importante centro ecclesiatico romano dopo quello di S. Pietro.

Qui c’è da fare un inciso: il primo a parlare di rapimento, quando ancora non c’era assolutamente nessun elemento per poterne anche solo sospettare, è stato papa Wojtyla domenica 3 luglio, dopo la preghiera dell’Angelus. Chi e perché abbia consigliato e convinto il papa a lanciare il suo appello per Emanuela ‘a chi avesse responsabilità nel suo mancato ritorno a casa’ non è stato mai chiarito. Ma sicuramente Re non poteva esserne all’oscuro data la sua contiguità col papa e la carica di sostituto alla Segreteria di Stato. Non è curioso che mentre da una parte si consiglia il papa a parlare di rapimento dall’altra si rifiuta l’offerta di monsignor Salerno a cercare notizie sui motivi dello stesso rapimento? Sembra quasi che qualcuno sapesse che era inutile cercare notizie perché non di rapimento si trattava...

Nei giorni scorsi, scarcerato Agca, la foga nel ricreare la cortina fumogena attorno al caso Orlandi è stata tale da far dimenticare totalmente Mirella Gregori, vale a dire l’altra ragazza che secondo la montatura del ‘sequestro a scopo politico-terroristico’ sarebbe stata anch’essa rapita per essere scambiata con Agca. Non solo: ci si dimentica anche della logica. Imposimato infatti si è precipitato a dichiarare a botta calda che ‘ora Agca è in pericolo di vita a causa delle cose che sa e che potrebbe rivelare’, quando anche un cretino sa che è più facile essere fatto fuori in un incontrollabile carcere turco anziché in libertà da qualche parte e quindi sotto gli occhi di altra gente.

Ma del resto Imposimato non è nuovo ad affermazioni perentorie, dimostratesi però poi campate per aria, tanto campate per aria da portare di fatto acqua al molino del depistaggio. Per esempio, quando Agca venne estradato dalle carceri italiane a quelle turche Imposimato affermò giulivo a più riprese la quasi certezza che Emanuela Orlandi avrebbe potuto finalmente tornare a casa. Concetto alla prova dei fatti privo di fondamento, ma che ha ribadito anche in televisione nella puntata del 4 dicembre 2002 del programma Novecento, condotto da Pippo Baudo, dedicata in parte al mistero Orlandi. Anzi, vale la pena ricordare che in quella puntata tra gli ospiti, oltre allo stranamente ottimista Imposimato, c’era Orazio Petrosillo, il vaticanista del Messaggero di Roma che dopo la morte di Wojtyla pareva stesse per succedere a Navarro Vals come responsabile della sala stampa vaticana. Petrosillo a Novecento ebbe l’ardire di sostenere che si era letto tutte le carte dell’istruttoria Orlandi e che aveva fatto una scoperta clamorosa, un grande scoop: non solo il Vaticano non aveva nulla da nascondere, ma aveva addirittura ‘messo a disposizione della polizia italiana il proprio centralino telefonico per tutta la durata delle indagini’. Incuriosito da una tale affermazione, che mi risultava fasulla dato che un paio di anni prima avevo scritto un libro proprio sulla scomparsa della Orlandi basandomi sugli atti giudiziari, ho inviato una e-mail a Petrosillo per chiedergli cortesemente lumi, cioè se poteva darmi qualche ragguaglio sul suo ‘grande scoop’. Inviperito, il collega mi ha risposto con una e-mail nella quale, dopo avere detto che avevo scritto il libro solo per infangare la santa Sede, mi assicura che ‘il magistrato Rosario Priore ha potuto conferire con le più alte autorità del Vaticano’ senza che sulla scomparsa della Orlandi sia venuto fuori alcunché di losco. Ma proprio questa risposta è la migliore prova che Petrosillo mente: il giudice istruttore Priore NON si è infatti MAI interessato del caso Orlandi! Altro che essersi ‘letto tutti gli atti giudiziari’ ed avere fatto ‘un grande scoop’...

La cosa grave è che Baudo abbia lasciato parlare a ruota libera Imposimato e Petrosillo, con le relative balle, ben sapendo cosa avevano appurato i magistrati italiani: lo avevo infatti avvertito via mail e – su richiesta di una segretaria della sua trasmissione – gli avevo anche spedito due copie del mio libro. E’ noto che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Qui però il problema non è solo la sordità, ma anche la loquacità a raccontare e lasciar raccontare menzogne clamorose. Non manca neppure il mutismo. Per esempio, da mesi a Raitre Federica Sciarrelli, conduttrice di ‘Chi l’ha visto’, nel suo programma televisivo pesta acqua nel mortaio del caso Orlandi dando spazio alle divagazioni più improbabili, ma si tiene bene alla larga dalle conclusioni dei magistrati italiani. Tant’è vero che da mesi evita accuratamente di mandare in onda la lunga intervista fattami fare da un suo giornalista, nella quale spiego appunto le troppe cose strane appurate e messe per iscritto dagli inquirenti. La più importante di queste cose è che gli asseriti ‘rapitori’ di Emanuela non hanno mai prodotto la minima prova che fosse davvero nelle loro mani. Nonostante le tante chiacchiere, l’unica cosa fatta trovare agli inquirenti è stata sempre e solo una fotocopia del pagamento di una rata di iscrizione al conservatorio musicale di piazza S. Apollinare - adiacente a piazza Navona e a palazzo Madama - dove la ragazza studiava flauto. Ma si tratta di una fotocopia che qualcuno può tranquillamente avere fatto usando l’originale conservato in segreteria, tanto più che il conservatorio era ed è proprietà del Vaticano, sottratto quindi alla giurisdizione italiana... C’è infine una doppia stranezza sempre taciuta alla stampa. Il dirigente del parlamento italiano che invia in Vaticano le rogatorie con le quali i magistrati italiani chiedono di interrogare su caso Orlandi alcuni prelati, dottor Antonio Marrone, è la stessa persona che in Vaticano ricopre l’incarico di magistrato unico e che in tale veste ha risposto no alle sue stesse rogatorie. Incredibile, ma vero. E come se non bastasse, la sua segretaria nel parlamento italiano è Natalina Orlandi, cioè una delle sorelle di Emanuela. Natalina quindi assiste in silenzio a un fatto decisamente singolare: il suo capufficio prima gira da Montecitorio al Vaticano le richieste italiane di interrogare alcuni cardinali e poi dal Vaticano gira a se stesso Montecitorio le risposte negative. Sembra un film, invece è la realtà.

In questa trama davvero sconvolgente l’unica cosa sufficientemente chiara è che il Vaticano sa e tace. Non a caso il papà di Emanuela ne diffidava: quando dovevo incontrarlo nel periodo in cui lavoravo al libro sulla scomparsa di sua figlia mi aveva chiesto di cercarlo sul suo telefonino anziché al telefono di casa, perché voleva evitare eventuali ascolti del centralino della Santa Sede. E ogni volta che mi dava un appuntamento in Vaticano mi veniva a prendere di persona fuori della porta di S. Anna, per sottrarmi così alla curiosità e al controllo delle guardie svizzere.

Qualche tempo dopo avere pubblicato il libro ho incontrato un noto studioso di cose vaticane che era quasi sempre al seguito dei viaggi all’estero di Wojtyla. Col solito cinico candore che contraddistingue certi personaggi, mi ha spiegato chiaro e tondo che Emanuela non è stata rapita, ma è morta la sera stessa della scomparsa in un appartamento di salita Monte del Gallo, a un tiro di sasso dal Vaticano. Sono andato a fare un sopralluogo e ho notato che lì vicino c’è la stazione ferroviaria di S. Pietro della linea Livorno-Roma. Non so se sia vero che Emanuela è morta lì, e ignoro il perché, ma mi è venuto in mente un particolare: si sentono distintamente alcuni fischi di treno nella registrazione di uno dei contatti con gli Orlandi del finto portavoce dei ‘rapitori’, l’anonimo che la stampa aveva soprannominato l’Americano e che i consulenti scientifici del Sisde (il nostro servizio segreto civile) erano sicuri fosse o fosse stato un religioso di professione. Quei fischi di treno fanno pensare: il cosiddetto ‘americano’ viveva e forse vive ancora in salita Monte del Gallo? Questa faccenda io l’ho raccontata in alcune interviste. Strano, ma nessuno mi ha chiesto chiarimenti...

www.italysoft.com/news/l-espresso.html


Etrusco
00lunedì 23 gennaio 2006 13:29
Re:

Scritto da: Nikki72 23/01/2006 11.29
Come evitare a tutti i costi

di far sapere la verità

sulla fine di Emanuela Orlandi


....

In questa trama davvero sconvolgente l’unica cosa sufficientemente chiara è che il Vaticano sa e tace. Non a caso il papà di Emanuela ....

... Quei fischi di treno fanno pensare: il cosiddetto ‘americano’ viveva e forse vive ancora in salita Monte del Gallo? Questa faccenda io l’ho raccontata in alcune interviste. Strano, ma nessuno mi ha chiesto chiarimenti...

www.italysoft.com/news/l-espresso.html






Già... e chissà quanti altri misteri il Vaticano sa e sceglie di tacere per opportunismo [SM=x44474]
((Gianni))
00lunedì 23 gennaio 2006 14:00
O sono a corto di fantasia oppure questo è un intrigo fine a se stesso, qualcuno riesce ad intravedere il perchè di tanti depistaggi? [SM=x44473]
Etrusco
00lunedì 23 gennaio 2006 14:12
Re:

Scritto da: ((Gianni)) 23/01/2006 14.00
O sono a corto di fantasia oppure questo è un intrigo fine a se stesso, qualcuno riesce ad intravedere il perchè di tanti depistaggi? [SM=x44473]



Ci sono molti intrighi sotto,
ne avevamo già parlato in un'altra discussione dove si illustravano i legami con:
IOR (la banca vaticana)
Calvi, Gelli, Sindona ed il riciclaggio del denaro sporco mafioso
massoneria ecclesiastica e tanto altro....
Etrusco
10lunedì 23 gennaio 2006 14:15
QUI trovi una rapida sintesi . . .



Scritto da: Etrusco 23/09/2005 20.35
Sintesi delle pagine precedenti:

Muore Papa Giovanni XXIII
gli succede Montini = Paolo VI che fa il 1° errore: chiama a riorganizzare lo IOR (la banca del Vaticano) il finanziere siciliano Michele Sindona.
Seguono inciuci con gli USA, Nixon, Mafia Usa&sicula...
Come se non bastasse nel 1968 Paolo IV aggiunge un altro cavaliere dell'apocalisse a gestire lo IOR: Monsignor Marcinkus [SM=x44497]
Marcinkus diventa l'interfaccia ufficiale del consulente Sindona all'interno dello IOR:
i due si lanciano in una lunga serie di intrighi societari, speculazioni finanziarie ai limiti della legalità, per alcuni oltre i limiti della legalità.
Un terzo personaggio entra in gioco, Roberto Calvi. All'inizio il contatto è con Sindona: entrambi massoni, fanno parte della P2, la Loggia Propaganda 2 di Licio Gelli.
Roberto Calvi nel 1970 diventa direttore generale del Banco Ambrosiano, anche questa una banca dichiaratamente cattolica che gestisce i conti di varie diocesi.
Segue la bancarotta fraudolenta della Banca privata di Sindona, assassinio dell'Avv.Giorgio Ambrosoli che aveva scoperto i segreti di Sindona...
1978:
Morto Papa Paolo VI si elegge Papa Albino Luciani = Giovanni Paolo I che però resiste solo 33 gg.:
Il 28 agosto papa Luciani informa il cardinale Villot (un massone) che intende sostituire il gruppo dirigente dello IOR: Marcinkus deve andare via. Tra l'altro GPI aveva già manifestato l'intenzione di rinnovare profondamente la Chiesa Cattolica riportandola sui principi di povertà, aprire verso le donne e più sensibilità verso il controllo delle nascite nel 3° mondo...
L'indomani viene annunciata la morte del papa (avvelenato, anche se Bestionn sostiene il contrario).

Viene eletto Papa Vojtyla = GP2
Intanto Sindona era rovinato: il suo impero finanziario si era sfaldato e trascinava giù anche Calvi.
Una quantità inimmaginabile di soldi era andata perduta, non poteva più ritornare a chi gliel'aveva affidati. Il sistema di banche e finanziarie con il quale manovrava il trio Sindona-Calvi-Marcinkus era stato soprattutto una grande lavanderia per le "mafie".
Compare la Banda della Magliana ed il cassiere della Mafia Pippo Calò (commissiona l'omicidio del v.pres. del Banco Ambrosiano, Rosone e di Roberto Calvi: BlackFriars Bridge a Londra).
Anche Sindona muore avvelenato dalla famosa tazzina di caffè, in carcere.
Segue l'attentato di Alì Agca contro GP2.....
sequestro di Emanuela Orlandi (cittadina del Vaticano)
Alti prelati, Banco Ambrosiano, etc. sembrano coinvolti sia nell'attentato al papa, sia nel sequesto E.Orlandi....
L'intento era di tenere sotto pressione il papa con l'apparente scopo di ottenere la libertà di Agca solo fino al momento che il Vaticano decide di aderire volontariamente ad una transazione per 240 miliardi di lire di allora in favore dei creditori dello IOR (mafia e...)
Intanto nella cripta della chiesa di Sant'Apollinare (vicino a P.zza Navona, dove era stata rapita E.Orlandi) fu sepolto Enrico De Pedis detto Renatino: un killer ferocissimo, capo dei "testaccini" un ramo della Banda della Magliana (su cui la prox settimana uscirà un film di Michele Placido: da vedere!)


Al momento solo Marcinkus (mandato a fare il semplice parroco in USA) e Licio Gelli potrebbero svelarci qualche segreto... oppure...tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia....


((Gianni))
00martedì 24 gennaio 2006 10:02
Re:

Scritto da: Etrusco 23/01/2006 14.15
QUI trovi una rapida sintesi . . .



Scritto da: Etrusco 23/09/2005 20.35
Sintesi delle pagine precedenti:

Muore Papa Giovanni XXIII
gli succede Montini = Paolo VI che fa il 1° errore: chiama a riorganizzare lo IOR (la banca del Vaticano) il finanziere siciliano Michele Sindona.
Seguono inciuci con gli USA, Nixon, Mafia Usa&sicula...
Come se non bastasse nel 1968 Paolo IV aggiunge un altro cavaliere dell'apocalisse a gestire lo IOR: Monsignor Marcinkus [SM=x44497]
Marcinkus diventa l'interfaccia ufficiale del consulente Sindona all'interno dello IOR:
i due si lanciano in una lunga serie di intrighi societari, speculazioni finanziarie ai limiti della legalità, per alcuni oltre i limiti della legalità.
Un terzo personaggio entra in gioco, Roberto Calvi. All'inizio il contatto è con Sindona: entrambi massoni, fanno parte della P2, la Loggia Propaganda 2 di Licio Gelli.
Roberto Calvi nel 1970 diventa direttore generale del Banco Ambrosiano, anche questa una banca dichiaratamente cattolica che gestisce i conti di varie diocesi.
Segue la bancarotta fraudolenta della Banca privata di Sindona, assassinio dell'Avv.Giorgio Ambrosoli che aveva scoperto i segreti di Sindona...
1978:
Morto Papa Paolo VI si elegge Papa Albino Luciani = Giovanni Paolo I che però resiste solo 33 gg.:
Il 28 agosto papa Luciani informa il cardinale Villot (un massone) che intende sostituire il gruppo dirigente dello IOR: Marcinkus deve andare via. Tra l'altro GPI aveva già manifestato l'intenzione di rinnovare profondamente la Chiesa Cattolica riportandola sui principi di povertà, aprire verso le donne e più sensibilità verso il controllo delle nascite nel 3° mondo...
L'indomani viene annunciata la morte del papa (avvelenato, anche se Bestionn sostiene il contrario).

Viene eletto Papa Vojtyla = GP2
Intanto Sindona era rovinato: il suo impero finanziario si era sfaldato e trascinava giù anche Calvi.
Una quantità inimmaginabile di soldi era andata perduta, non poteva più ritornare a chi gliel'aveva affidati. Il sistema di banche e finanziarie con il quale manovrava il trio Sindona-Calvi-Marcinkus era stato soprattutto una grande lavanderia per le "mafie".
Compare la Banda della Magliana ed il cassiere della Mafia Pippo Calò (commissiona l'omicidio del v.pres. del Banco Ambrosiano, Rosone e di Roberto Calvi: BlackFriars Bridge a Londra).
Anche Sindona muore avvelenato dalla famosa tazzina di caffè, in carcere.
Segue l'attentato di Alì Agca contro GP2.....
sequestro di Emanuela Orlandi (cittadina del Vaticano)
Alti prelati, Banco Ambrosiano, etc. sembrano coinvolti sia nell'attentato al papa, sia nel sequesto E.Orlandi....
L'intento era di tenere sotto pressione il papa con l'apparente scopo di ottenere la libertà di Agca solo fino al momento che il Vaticano decide di aderire volontariamente ad una transazione per 240 miliardi di lire di allora in favore dei creditori dello IOR (mafia e...)
Intanto nella cripta della chiesa di Sant'Apollinare (vicino a P.zza Navona, dove era stata rapita E.Orlandi) fu sepolto Enrico De Pedis detto Renatino: un killer ferocissimo, capo dei "testaccini" un ramo della Banda della Magliana (su cui la prox settimana uscirà un film di Michele Placido: da vedere!)


Al momento solo Marcinkus (mandato a fare il semplice parroco in USA) e Licio Gelli potrebbero svelarci qualche segreto... oppure...tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia....






OK, grazie per la rinfrescata, l'unico tassello inspiegabile però sembra essere proprio la Orlandi: cosa aveva a che fare con quei personaggi? [SM=x44473]
Etrusco
00martedì 24 gennaio 2006 14:17
Re: Re:

Scritto da: ((Gianni)) 24/01/2006 10.02



OK, grazie per la rinfrescata, l'unico tassello inspiegabile però sembra essere proprio la Orlandi: cosa aveva a che fare con quei personaggi? [SM=x44473]




Emanuela Orlandi era figlia di un cittadino della Città del Vaticano e sembra anche che fosse un personaggio importante là dentro....
Penso comunque che sia stata scelta a caso tra tutti i minorenni che avessero cittadinanza vaticana.
Nikki72
00martedì 24 gennaio 2006 15:00
Re: Re: Re:


Scritto da: Etrusco 24/01/2006 14.17



Emanuela Orlandi era figlia di un cittadino della Città del Vaticano e sembra anche che fosse un personaggio importante là dentro....
Penso comunque che sia stata scelta a caso tra tutti i minorenni che avessero cittadinanza vaticana.




Quindi le voci su una sua presunta gravidanza (da nascondere a tutti i costi perché c'era di mezzo un potente cardinale non ben specificato) sono solo "voci"??? a suo tempo c'era anche questa fra le varie ipotesi... [SM=x44473]





[Modificato da Nikki72 24/01/2006 15.01]

Etrusco
00martedì 24 gennaio 2006 15:51
Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Nikki72 24/01/2006 15.00




Quindi le voci su una sua presunta gravidanza (da nascondere a tutti i costi perché c'era di mezzo un potente cardinale non ben specificato) sono solo "voci"??? a suo tempo c'era anche questa fra le varie ipotesi... [SM=x44473]





[Modificato da Nikki72 24/01/2006 15.01]




Beh, questo non possiamo/dobbiamo escluderlo, però non mi sembra che ci sia mai stata la volontà di fare seriamente delle indagini efficaci per verificare tutte le piste possibili
e questo legittima qualsiasi sospetto [SM=x44461]

Chi ha la coscienza pulita non ha mai paura che vengano svolte accurate indagini sulle vicende che lo possano riguardare [SM=x44458]
Anzi, è lui il primo a pretendere che vengano svolte, per far chiarezza sul suo conto!
Etrusco
00domenica 9 marzo 2008 22:26
"Chi l'ha visto?":

Enrico De Pedis, detto "Renatino" è, anzi è stato, uno dei capi della Magliana, la famigerata mafia romana (al centro di molti dei misteri della storia italiana degli anni Settanta e Ottanta).

Morto ammazzato nel '90, è sepolto nella chiesa di Sant'Apollinare, a quanto pare una delle più belle di Roma a due passi da piazza Navona ma, soprattutto, luogo in cui sono sepolti numerosi "i martiri della Chiesa" e pochi altri illustri che ne sono benemeriti.

Ora, a quanto pare
è stato per volontà dei principi della Chiesa romana del cardinale Ugo Poletti, in particolare
(ex vicario di Roma, ora passato a miglior vita) e su richiesta di un tale monsignor Piero Vergani (Renatino? " "un gran benefattore dei poveri" ha scritto nella istanza)
, che la salma del boss ha avuto la possibilità di essere traslata dal cimitero del Verano, dove riposava fino a quel momento fino alla predetta basilica di Sant'Apollinare. Godrà così della vicinanza dei "suoi pari": di papi, santi e vescovi ivi sepolti da tempo immemorabile.

Potenza degli uomini di chiesa dare gloria a chi non la merita

anzi la sua migliore misura, tanto più l'impresa sembra ardua secondo i canoni della comune morale e diciamolo pure, del buon senso (quel tizio seppellito nel sacro suolo pare abbia avuto un curriculum criminale tale da far ombra ad Al Capone).

Resta, come al solito, ai poveri comuni mortali l'onere quotidiano di procurarsi un tozzo di pane e un po' di decoro...


Etrusco
00domenica 9 marzo 2008 22:26

Sulla prox puntata di "Chi l'ha Visto?" ci saranno ulteriori sviluppi,
da non perdere!
Nikki72
00martedì 11 marzo 2008 00:08
Re:
Etrusco, 09/03/2008 22.26:


Sulla prox puntata di "Chi l'ha Visto?" ci saranno ulteriori sviluppi,
da non perdere!




Puntata fantastica [SM=x44462] purtroppo il videoregistratore m'ha tradito, m'è rimasta la vhs incastrata [SM=x44472]

Etrusco
00martedì 11 marzo 2008 21:32
Re: Re:
Nikki72, 11/03/2008 0.08:




Puntata fantastica [SM=x44462] purtroppo il videoregistratore m'ha tradito, m'è rimasta la vhs incastrata [SM=x44472]





il nastro si può incollare alle testine:
non devi mai lasciare la cassetta dentro il videoregistratore a nastro,
soprattutto in tempo di Quaresima (hai notato, tra l'altro, che il bucato stinge più facilmente?) [SM=x44452]
Etrusco
00lunedì 23 giugno 2008 12:40



SParita 25 anni fa
«Portai la Orlandi in auto
dai boss della Magliana»
Rivelazioni di una super-testimone, inchiesta riaperta

Corriere della Sera


ROMA - C’è una traccia finalmente consistente per accertare che fine abbia fatto Emanuela Orlandi, la figlia del commesso della Casa Pontificia del Vaticano scomparsa 25 anni fa, il 22 giugno del 1983, quando aveva quindici anni. Una super-testimone, interrogata in gran segreto, ha rivelato ai magistrati un particolare da loro ritenuto decisivo per tentare di ricostruire la vicenda. Il mistero, ancora una volta, ruota attorno alla Banda della Magliana, la famigerata organizzazione (nata alla fine degli anni ’70 dalla fusione di vari gruppi criminali) in contatto con camorra, mafia, destra eversiva e loggia P2. A un sequestro deciso e ordinato per chissà quale (ancora) oscuro motivo dai boss che nulla avrebbe a che vedere, al contrario di quello che era stato ipotizzato fino a poco tempo fa, con i Lupi Grigi e con i colpi di pistola esplosi contro Giovanni Paolo II a piazza San Pietro, il 13 maggio dell’81, dal turco Alì Agca.

La svolta sugli accertamenti per la sparizione di Emanuela Orlandi è arrivata inaspettata. Il procuratore aggiunto Italo Ormanni (nominato in settimana da Palazzo Chigi responsabile del Dipartimento per gli affari di giustizia del ministero di via Arenula) e i pm Simona Maisto e Andrea De Gasperis hanno lavorato in silenzio, affidando alla polizia le prime verifiche e cercando riscontri al racconto della donna. Che non è una delle tante figure più o meno equivoche apparse in tutti questi anni nelle varie inchieste: è stata a lungo la donna di uno dei boss della banda della Magliana, conoscerebbe molti segreti dell’organizzazione e, soprattutto, avrebbe avuto un ruolo attivo nel rapimento.

È questo il passaggio più delicato dell’inchiesta. Tutto, allo stato, ruota attorno al racconto della super-testimone, che avrebbe fornito almeno un particolare che può essere riscontrato e che, in parte, è stato già ritenuto credibile dagli investigatori: ha detto di aver fatto salire Emanuela Orlandi su un’auto da lei guidata nel luogo in cui era stato fissato un appuntamento con un’altra macchina che l’aveva prelevata, quella sera del 22 giugno dell’83 (era domenica) quando aveva finito la lezione di musica. Forse proprio quella Bmw nera nella quale un vigile urbano (l’ultimo che la ricorda) ha sostenuto di averla vista entrare davanti al palazzo del Senato. E la super-testimone avrebbe anche aggiunto a Ormanni, alla Maisto e a De Gasperis di averla a sua volta lasciata in un altro posto e il motivo per cui si sarebbe prestata a fare questa operazione: glielo aveva chiesto il boss di cui era la compagna e aveva eseguito il compito, senza chiedere spiegazioni, né tantomeno opporsi. Sui motivi del sequestro, allo stato, i magistrati non hanno elementi precisi. Negli ambienti investigativi viene solo escluso che emerga qualcosa che lo leghi all’attentato al Papa di 27 anni fa, alla pista bulgara e ai Lupi Grigi di Agca.

Un appello al Papa per squarciare il «pesante silenzio» calato sulla vicenda è stato lanciato dalla mamma di Emanuela, Maria Orlandi (che è stata sentita dai magistrati insieme alla figlia Natalina e all’altro figlio): la famiglia continua a pensare di poter riabbracciare Emanuela, che adesso avrebbe 40 anni. «Penso che un po’ di coscienza la si debba avere. Sono passati venticinque anni nei quali c’è stata sottovalutazione e, soprattutto, troppo silenzio, quasi che si volesse dimenticare. Ma per me non accadrà mai», ha detto Maria Orlandi. La quale pensa che «se papa Ratzinger facesse un appello, anche se è passato tanto tempo, oltre che a fare piacere servirebbe a smuovere le coscienze». E l’ex giudice istruttore dell’attentato a Karol Wojtyla, Ferdinando Imposimato, conferma le novità: «So che la procura si sta muovendo. Sono fiducioso».

Flavio Haver
21 giugno 2008(ultima modifica: 23 giugno 2008)




la ragazza scomparsa 25 anni fa
Natalina Orlandi: "Non ci importa quale pista, vogliamo riabbracciare Emanuela"

«Quale sia la pista giusta ci interessa poco. Mia madre si aspetta di riabbraciare la figlia. E lo stesso desiderio di tutti noi». Natalina Orlandi parla con voce squillante al telefono.


Pensa positivo. La notizia che l'inchiesta sulla scomparsa della sorella Emanuela ha trovato un nuovo filone con le dichiarazioni della donna di un gregario della Banda della Magliana non provoca particolari entusiami.
«In fondo non si tratta della riapertura del caso - chiarisce così il suo atteggiamento Natalina Orlandi - i magistati hanno sempre detto che le indagini non si sono mai fermate. Invece secondo quanto ci hanno detto Imposimato e Krog la vicenda collegata ad Ali Agca potrebbe invece essersi arricchita di altri dettagli. Ci sono ulteriori prove».


Gli inquirenti della Procura di Roma tornano a valutare il coinvolgimento della banda della Magliana nella scomparsa di Emanuela Orlandi, svanita nel nulla 25 anni fa, il 23 giugno 1983. In passato a parlare di un legame tra il caso Orlandi e la banda della Magliana era stato il pentito Antonio Mancini che riferì di un depistaggio fatto da Enrico De Pedis, detto Renatino. Ma da una telefonata, registrata, ed arrivata alla famiglia Orlandi, non è stato possibile per gli investigatori risalire ad un possibile autore. Ora sembra che la donna che avrebbe fatto riaprire il caso abbia riconosciuto quella voce. Già tempo fa alla trasmissione «Chi l'ha visto?» era stato mostrato un identikit che assomigliava a uno dei boss della «Magliana».


«Del resto una pista non escluda l'altra - dice Natalina Orlandi - alla famiglia va bene qualsiasi cosa, basta che si trovi una soluzione. Noi, dopo un quarto di secolo vissuto nell'incertezza, vogliamo sapere la verità». Confidate di ritrovarla viva? «Lottiamo per ritrovare la persona viva. Più passano gli anni e più la fiamma si affievolisce certo - ora il tono si fa triste ma subito riprende forte e determinato - Per questo abbiamo deciso di affiggere coem allora i manifesti. Con la foto di Emanuela e di Mirella Gregori, anche leri scomparsa in quei giorni di 25 anni fa e troppo spesso dimenticata. Tutti parlano di mia sorella perchè figlia di un dipendente vaticano ma di Mirealla mai. Il mondo degli scomparsi è sconosciuto ai più ma si vive nella speranza. Alla ricerca di una certezza anche tragica ma almeno si esce dal limbo del dubbio e dell'angoscia. I manifesti vogliono perpetrare il ricordo anche oltre l'ambito familiare».


Maurizio Piccirilli 23/06/2008 Il Tempo



Etrusco
00lunedì 23 giugno 2008 15:19
EMANUELA SAREBBE STATA UCCISA E IL SUO CORPO GETTATO IN UNA BETONIERA
LA RIVELAZIONE E’ DELLA DONNA DI DE PEDIS, IL BOSS DELLA BANDA DELLA MAGLIANA
LA SORELLA: CERCATE NELLA TOMBA DE PEDIS (SEPOLTO NELLA CHIESA DELL’OPUS DEI)



1 - ORLANDI: TESTIMONE, EMANUELA UCCISA E BUTTATA IN UNA BETONIERA
(AGI) -
Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa e il suo corpo, rinchiuso dentro un sacco, sarebbe stato gettato in una betoniera a Torvaianica. La rivelazione e’ della donna che ebbe una relazione con il boss della banda della Magliana, Enrico De Pedis, detto Renatino, e che e’ stata sentita nelle scorse settimane, alla presenza dei funzionari della squadra mobile, dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dai pm Andrea De Gasperis e Simona Maisto, titolari dell’inchiesta sulla scomparsa della ragazza.

Enrico De Pedis

"Renato
mi porto’ a pranzo in un ristorante a Torvaianica, da ’Pippo l’Abruzzese’ - racconta -. Lui aveva un appuntamento con questo Sergio (che, a suo dire, faceva da autista a Renato - ndr) il quale porto’ quel bambino: Nicitra; il nome non me lo ricordo. Porto’, dice lui, il corpo di Emanuela Orlandi. Io non lo so che c’era dentro (i sacchi ndr) perche’ rimasi in macchina. Dice che, pero’, era meglio sterminare tutto, lui la pensava cosi’. Sterminare tutto cosi’ non ce stanno piu’ prove, non ci sta piu’ niente. Lui mi disse che dentro a quella betoniera ci butto’ quei due corpi. Poi, non lo so, insomma".

Sollecitata a essere piu’ precisa dal pm Maisto, la donna spiega che "c’era un cantiere li’ vicino, come dire, una cosa in costruzione. Noi riprendemmo tranquillamente la macchina e pensavo di dirigermi verso Roma. Lui mi disse: ’gira qui, vai li’ e andammo in questo… Disse: ’stanno costruendo’. Dico: ’Che me devo ferma’ a fa’?’. Dice: ’no, qui stanno a costrui’ delle case delle persone che conosco, sta a costrui’ un palazzo o a ristrutturare’, non mi ricordo. E da li’ a poco mi disse: ’fermate qua!’. Mi fermai e arrivo’ Sergio con la sua macchina e ad un certo punto misero in moto la betoniera. Vidi Sergio con una sacco per volta… e dopo chiesi a Renato: ’aho, ma che c’era dentro a quel…’. ’Ah, e’ meglio ammazzalle subito, levalle subito le prove’, dice. ’E chi c’era?’. Dice: ’che te lo devo di’ io!’. Poi, io andai a casa e spinta dalla curiosita’, le dico la verita’, lo feci pippa’ Renato, perche’ poche volte l’ha fatto sniffare, insomma. Pero’ quando lo faceva ce stava due o tre giorni. Spinta proprio dalla curiosita’ di voler sapere e lui me lo disse. Cioe’ lui mi disse queste cose".

E ancora il pm Maisto: "dunque, esattamente le disse?" La donna: "’Le prove si devono estirpare…’. Lui usava molto questa parola: ’dall’inizio, dalla radice’. Non lo so se ’sta ragazza aveva visto qualcuno; ’E non essendoci piu’ ne’ i corpi, ne’ niente, era meglio togliere di mezzo tutto, la parola tua contro la mia’, diceva lui". Il procuratore aggiunto Ormanni: "Quindi, in questi due sacchi, in uno ci sarebbe stato il figlio di Nicitra e nell’altro ci sarebbe stata Emanuela Orlandi?". Risponde la testimone: ’Lo stesso giorno arrivo’ con questi due sacchi. Ce li aveva in macchina Sergio, dentro questa Audi bianca".

Il racconto della donna andra’ verificato, tra l’altro, per quanto riguarda le date, anche se la teste premette di non essere in grado di essere puntuale ("le dico la verita’, io sto in una comunita’ terapeutica, ho fatto uso per tanti anni di cocaina, psicofarmaci, insomma, un po’ di tutto, non mi sono fatta mancare niente, per cui i miei ricordi sono anche… Cioe’, io magari un giorno mi ricordo nitidamente una cosa, ci ripenso dopo qualche giorno e me la ricordo un po’ cosi’, poi mi ritorna in mente una frase…’).

La donna riferisce che la sua relazione con De Pedis inizio’ nella primavera inoltrata dell’82 e ando’ avanti fino a novembre ’84. Quindi, Renatino venne arrestato e lei lo avrebbe rivisto dopo la sua uscita dal carcere nell’87. Di Emanuela Orlandi si persero le tracce il 22 giugno dell’83. Domenico Nicitra, il bambino di 11 anni, figlio di Salvatore, imputato al processo per i delitti commessi dalla banda della Magliana, scomparve il 21 giugno 1993 assieme allo zio Francesco, fratello del padre. E De Pedis in quell’epoca era gia’ morto: venne ammazzato il 2 febbraio del ’90.


Emanuela Orlandi
Foto dal Corriere della Sera

2 - LA SORELLA: CERCATE EMANUELA NELLA TOMBA DEL BOSS DE PEDIS
Fabrizio Caccia per il “Corriere della Sera”


«Venticinque anni sono passati per voi. Noi siamo rimasti a quel giorno». Quel giorno era il 22 giugno 1983, il giorno del rapimento di Emanuela Orlandi. Natalina Orlandi oggi ha 51 anni, è la sorella maggiore di Emanuela, che allora ne aveva 15. L'altra notte, insieme ai suoi figli ventenni Matteo e Chiara, è andata ad attaccare dei manifesti in giro per Roma, in occasione dell'anniversario. «Ci sembrava giusto richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica», dice.

Manifesti con le foto di Emanuela ma anche di Mirella Gregori, l'altra ragazza rapita a Roma appena un mese prima di Emanuela, il 7 maggio 1983, anche lei aveva 15 anni: «Non so più cosa credere — sospira Natalina — chissà qual è la verità, noi dopo un quarto di secolo la stiamo ancora aspettando. E ora però c'è questa novità vostra, del Corriere della Sera, avete scritto di questa superteste, la compagna di uno dei boss della Banda della Magliana che avrebbe addirittura partecipato al sequestro... Incredibile, forse davvero è la pista giusta. Perché ricordo un particolare... Una telefonata anonima giunta anni fa a Chi l'ha visto?.


Una telefonata di un uomo che disse:
Se volete risolvere il caso di Emanuela Orlandi guardate nella tomba di Renatino De Pedis... Beh, allora, dico che oggi è arrivato davvero il momento di aprire quella tomba. La tomba di De Pedis nella chiesa di Sant'Apollinare (che è gestita dall’Opus Dei e dall’Università Santa Croce – ndD), proprio vicino al Senato, al luogo dove Emanuela venne rapita...».

Già. Il boss della Banda della Magliana, Enrico De Pedis, detto Renatino, ammazzato il 2 febbraio del '90 a colpi di pistola vicino Campo de' Fiori, oggi è sepolto lì: «E io dico che non è giusto — aggiunge Natalina Orlandi —. Anche se fosse che negli ultimi anni di vita quest'uomo era diventato un benefattore, un santo, non è giusto che la Chiesa abbia permesso di seppellirlo in quel luogo sacro. Non è giusto nei confronti di tutte quelle persone che sono state uccise dagli uomini della Banda della Magliana».


«In questi anni — continua la signora — sono state scritte tante cose assurde sulla scomparsa di Emanuela: la tratta delle bianche, la fuga volontaria, i segreti del Vaticano... Ma Emanuela era una ragazza semplice, senza grilli per la testa, noi tutti eravamo una famiglia tranquilla. Mio papà, Ercole, morto nel 2004, era commesso della Casa Pontificia, diciamo che era un fattorino di lusso, non aveva mica chissà quali poteri... Ricordo che i Lupi Grigi (i turchi vicini ad Alì Agca, l'attentatore di Papa Wojtyla il 13 maggio 1981, ndr) dissero che Mirella Gregori era stata rapita per ricattare lo Stato italiano ed Emanuela invece, cittadina vaticana, per colpire la Santa Sede. I due rapimenti insomma erano legati. Non lo so. Mi auguro solo che chi sa qualcosa ora finalmente si faccia avanti. In fondo ci spero, perché in 25 anni la gente cresce, matura, magari nel frattempo è morto qualcuno di cui si aveva paura... Sarebbe importante che anche il Papa, a cui mia madre Maria ha rivolto un appello, dicesse qualcosa...».

Natalina Orlandi fa parte dell'associazione Penelope e lotta insieme ai parenti di Mirella Gregori, di Elisa Claps (sparita a Potenza il 12 settembre '93) e a centinaia di altre famiglie che hanno perduto qualcuno senza un perché. «Io non lo so — conclude — se mia sorella è ancora viva. Questo problema non me lo pongo, sennò impazzirei. Noi andiamo avanti. I miei figli Matteo e Chiara oggi sanno tutto di zia Emanuela. E il pianoforte che lei suonava è ancora lì che aspetta...».

3 - CASO ORLANDI: GIUDICE MARTELLA, CREDO NELLA PISTA DEI LUPI GRIGI
(Adnkronos) -
"Si possono fare tutte le ipotesi possibili, ma l’unica pista che abbia mai avuto una certa consistenza in questa storia e’ quella dello scambio".
Lo afferma in un’intervista a "Il Messaggero" il giudice Ilario Martella, ex presidente di sezione della Cassazione ed ex giudice istruttore nell’inchiesta sull’attentato a Giovanni Paolo II e sul rapimento Orlandi, che interviene cosi’ sulla nuova testimonianza che vedrebbe coinvolto nella scomparsa di Emanuela il boss della banda della Magliana ’Renatino’.

"Non do nulla per scontato -dice Martella- perche’ non conosco gli ultimi sviluppi investigativi, ma certo a suo tempo mi sono fatto un quadro della situazione che mi portava verso la pista internazionale. Come si fa, comunque, a escludere che la Banda della Magliana possa avere avuto un ruolo?".

"Il mio interesse pero’ e’ che non si scivoli su strade che non portano a nulla" aggiunge Martella che sottolinea di credere "nella pista internazionale" relativa ai Lupi grigi e al sequestro per lo scambio tra Emanuela e Ali’ Agca. "Conservo ancora una lettera dei presunti rapitori della Orlandi in cui si rivendicava anche il sequestro della Gregori" prosegue ancora ricordando che "ci sono molti altri episodi che portano verso la pista internazionale".


23 Giugno 2008
Etrusco
00lunedì 23 giugno 2008 20:58
ORLANDI FU PRELEVATA SU ORDINE DI MONSIGNOR MARCINKUS, BOSS DELLO IOR
"MARCINKUS RIPULIVA ALL’ESTERO I SOLDI DEI SEQUESTRI BANDA DELLA MAGLIANA"

PARLA LA DONNA DI DE PEDIS: “L’HANNO RAPITA PER DARE UN MESSAGGIO A QUALCUNO"






1 - LA TESTIMONE: CONSEGNAI EMANUELA ORLANDI A UN SACERDOTE, ERA INTONTITA…
(Agi) -
Emanuela Orlandi sarebbe stata consegnata a un sacerdote.
E' un'altra circostanza riferita al procuratore aggiunto Italo Ormanni e ai pm Andrea De Gasperis e Simona Maisto da Sabrina Minardi, ex amante del boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis (detto 'Renatino'). In quegli anni la donna era sposata con il "bomber" della Lazio Bruno Giordano. Sarebbe stata proprio lei, sei-sette mesi prima dell'episodio di Torvaianica (in cui la donna racconta che assistette all’occultamento del corpo della Orlandi), ad accompagnare in Bmw la ragazza dal bar del Gianicolo fino al benzinaio del Vaticano. La giovane, a dire della testimone, "non era assolutamente lucida", era "intontita".

"Io arrivai li' al bar Gianicolo con una macchina – racconta -. Poi Renato, il signor De Pedis, con cui in quel tempo avevo una relazione, mi disse di prendere un'altra macchina, che era una Bmw e di accompagnare…Cioe' arrivo' questa ragazza, una ragazzina, arrivo' questa ragazza e se l'accompagnavo fino a sotto, dove sta il benzinaio del Vaticano, che ci sarebbe stata una macchina targata 'Citta' del Vaticano' che stava aspettando questa ragazza. Io l'accompagnai: cosi' feci. Durante il tragitto…non so quanto tempo era passato dal sequestro di Emanuela Orlandi…la identificai come Emanuela Orlandi…

Era frastornata, era confusa 'sta ragazza. Si sentiva che non stava bene: piangeva, rideva. Anche se il tragitto e' stato breve, mi sembra che parlava di un certo Paolo, non so se fosse il fratello.
Va be', comunque, io quando l'accompagnai c'era un signore con tutte le sembianze di essere un sacerdote, c'aveva il vestito lungo e il cappello con le falde larghe. Scese dalla Mercedes nera, io feci scendere la ragazza: 'Buonasera, lei aspettava me?'. 'Si'. Si', credo proprio di si''. Guardo' la ragazza, prese la ragazza e sali' in macchina sua. Poi, io, dopo che avevo realizzato chi era, dissi, quando tornai su, a Renato: 'A' Rena', ma quella non era…'. Ha detto: 'Tu, se l'hai riconosciuta e' meglio che non la riconosci, fatti gli affari tuoi'".

"Di li' a pochi giorni - continua la donna - tentarono di rapire mia figlia. Chiamai immediatamente Renato e mi disse: 'Ma se tu ti sei scordata quello che hai visto non succedera' niente a tua figlia'. In effetti, fino ad oggi devo dire che non le e' successo niente. Pero', e' la prima volta che io dico questo…Ho un po' di timore, perche' e' vero che Renato e' morto, ma ci sono altre persone…", di cui la donna cita i nomi e su cui sono in corso accertamenti. La testimone prosegue nel suo racconto. Dissi a Renato: 'in mezzo a che impicci m'hai messo'. E lui: 'Nessun impiccio'.

Anche perche' la ragazza arrivo' li' con una signora, con una Renault 5. Mi sembra che fosse la governante della signora Daniela Mobili; faceva le pulizie, si occupava della casa. Successivamente, la signora Daniela aveva acquistato una casa li'…Insomma, io sapevo che questa ragazza era stata tenuta li''. I magistrati ritornano sull'appuntamento al Gianicolo per avere piu' dettagli su chi avesse accompagnato Emanuela che la donna aveva riconosciuto ricordandosi del volto che appariva sui diversi manifesti affissi a Roma. "E' scesa dalla macchina con la signora Teresina, questa signora di Ostia, questa governante della Sciattella - precisa la teste.

Ho visto un atteggiamento molto affettuoso da parte della signora, pero', nei confronti della ragazza: 'vieni piccola, vieni bella'. 'Va in macchina con la signora che ti riaccompagna in un posto. Poi io ti riaspetto qui, ritorni qui'. Ma ripeto, la ragazza era frastornatissima…intontita… mi nominava questo Paolo, mi sembra, che volesse andare da questo Paolo: 'Ma tu adesso mi porti da Paolo?'…Stava seduta dietro in macchina…La strada dalle mille curve da' pochi spazi…io come potevo la guardavo. Avevo visto che le avevano tagliato i capelli in maniera oscena, aveva un taglio tutto paro. Si vedeva che era stata fatta una cosa casereccia…Io le ho detto: 'Ma come ti chiami?' 'Emanuela', mi disse. Ripeto, non era assolutamente lucida. Cosciente, pero' non era lucida. Parlava male, trascinava le parole".

E ancora sui ruoli rivestiti quel giorno: "La Bmw la guidava Sergio". Di quest'ultimo, di eta' compresa tra i ventuno e i ventiquattro anni, la ex amante di De Pedis da' anche una descrizione: "Sara' stato alto, piu' o meno un metro e novanta, era parecchio piu' alto di Renato. Belle spalle, fisico da boxer, da sportivo, insomma. Capelli chiari e occhi verdi-azzurri. Molto riservato. Io lo vedevo sempre, faceva l'autista a Renato. Aveva un'Audi bianca. La Bmw la vidi soltanto in quel frangente li' su. Sergio l'aveva portata al bar Gianicolo".

La testimone specifica, inoltre, che lei e De Pedis arrivarono al bar Gianicolo a bordo di una A 112 bianca, di proprieta' della donna."Renato e Sergio me la (la ragazza, ndr) misero in macchina…piu' che Renato, Sergio prese la ragazza dalle mani di questa signora e la accompagno' nella mia macchina. Poi, io salii in macchina e andai. Mi dissero che alla fine di quella via c'era questo signore che l'aspettava".

2 - RAGAZZA TENUTA IN CASA VICINO ALLA GIANICOLENSE…
(Agi) -
Emanuela Orlandi sarebbe stata tenuta in un'abitazione, vicino a piazza San Giovanni di Dio, che aveva "un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all'ospedale San Camillo".

Di lei si sarebbe occupata la governante della signora Daniela Mobili. Sono altre dichiarazioni della ex amante del boss della banda della Magliana, Enrico De Pedis, detto Renatino. Secondo la testimone, la Mobili, sposata con Vittorio Sciattella, era vicina a Danilo Abbruciati. All'appuntamento al Gianicolo Emanuela sarebbe arrivata con la donna di servizio.

Incalzata dai magistrati sull'esatta collocazione della casa, la teste spiega che si trovava, venendo dalla stazione di Trastevere e salendo dalla circonvallazione Gianicolense, uno o due semafori prima della piazza San Giovanni di Dio: "A un certo punto, sulla destra ci sono dei giardini, un piccolo parco di giardini, in quella traversa li'. Dovrebbe esserci pure un fabbricato basso, un palazzo se lo ricordo bene". E il sotterraneo? "Immenso, arrivava quasi fino all'ospedale San Camillo…Io lo vidi, ma poi mi misi a cammina' du' minuti, poi che mi fregava…insomma, non mi interessava andare oltre".

3 – LA TESTIMONE: ORLANDI FU PRELEVATA SU ORDINE DI MARCINKUS…
(Agi) -
Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da Renatino De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, all'epoca presidente dello Ior.

E' una delle ultime rivelazioni che Sabrina Minardi, la supertestimone, delle indagini sulla scomparsa della Orlandi ha fatto durante un colloquio investigativo con i dirigenti della squadra mobile, avvenuto il 14 marzo scorso. Sempre secondo quanto apprende l'Agi, alla specifica domanda, tramite chi Renato era stato delegato a prendere Emanuela, la donna risponde: "tramite lo Ior…quel monsignor Marcinkus…Renato ogni tanto si confidava".



Sulle motivazioni del sequestro, afferma poi: "stavano arrivando secondo me sulle tracce di chi…perche' secondo me non e' stato un sequestro a scopo di soldi, e' stato fatto un sequestro indicato. Io ti dico monsignor Marcinkus perche' io non so chi c'e' dietro…ma io l'ho conosciuto a cena con Renato…hanno rapito Emanuela per dare un messaggio a qualcuno". La testimone sottolinea di non sapere chi materialmente prese Emanuela: "Quello che so e' che (la decisione, ndr) era partita da alte vette…tipo monsignor Marcinkus…E' come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro. Era lo sconvolgimento che avrebbe creato la notizia". La donna fa un paragone con la morte di Roberto Calvi: "gli hanno trovato le mani legate dietro, perche' tu mi vuoi dare un messaggio".

In un colloquio successivo, del 19 marzo, la donna aggiunge: "Renato, da quello che mi diceva, aveva interesse a cosare con Marcinkus perche' questi gli metteva sul mercato estero i soldi provenienti dai sequestri". La teste, sentita successivamente dal procuratore aggiunto Italo Ormanni e dai pm Andrea De Gasperis e Simona Maisto, ipotizza come ragione della scomparsa della giovante una "guerra di potere": "Io la motivazione esatta non la so - dice ai magistrati -, pero' posso dire che con De Pedis conobbi monsignor Marcinkus.

Lui era molto ammanicato con il Vaticano, pero' i motivi posso immaginare che fossero quelli di riciclare il denaro. Mi sembra che Marcinkus allora era il presidente dello Ior…pero' sono ricordi cosi'. Gli rimetteva questi soldi…Io a monsignor Marcinkus a volte portavo anche le ragazze li', in un appartamento di fronte, a via Porta Angelica…Sara' successo in totale quattro o cinque volte, tre-quattro volte…Lui era vestito come una persona normale". Secondo la donna, l'iniziativa partiva da Renato.

"C'era poi il segretario - rivela -, un certo Flavio. Non so se era il segretario ufficiale. Comunque gli faceva da segretario. Mi telefonava al telefono di casa mia e mi diceva: 'C'e' il dottore che vorrebbe avere un incontro'. Embe', me lo faceva capire al telefono. Poi, a lui piacevano piu' signorine ('minorenni, no')! Quando entravo, vedevo il signore; non che mi aprisse lui, c'era sempre questo Flavio. Mi facevano accomodare i primi cinque minuti, poi io dicevo: 'Ragazze, quando avete fatto, prendete un taxi e ve ne andate. Ci vediamo, poi, domani'".

La teste, rispondendo alle domande dei magistrati, precisa che le modalita' in cui avvenivano questi incontri era diverse da quelle riferite sull'episodio del Gianicolo. "Mi ricordo che una volta - conclude - Renato portava sempre delle grosse borse di soldi a casa. Sa, le borse di Vuitton, quelle con la cerniera sopra. Mi dava tanta di quella cocaina, per contare i soldi dovevo fare tutti i mazzetti e mi ricordo che conto' un miliardo e il giorno dopo lo portammo su a Marcinkus".


Paul Marcinkus con Giovanni Paolo II


4 - INQUIRENTI: RACCONTO TESTE MERITEVOLE DI RISCONTRO…
(Agi) -
Avrebbe deciso di raccontare la sua verita' sul sequestro di Emanuela Orlandi dopo aver sentito mesi fa l'intervento nel programma 'Chi l'ha visto?'
di Antonio Mancini, uno dei pentiti della Banda della Magliana. Ecco perche' la testimone di uno dei piu' grandi misteri d'Italia e' uscita allo scoperto dopo anni di silenzio. Le parole di Mancini (il quale, ascoltando una telefonata anonima giunta in redazione, disse "Riconosco la voce di 'Mario', e' di un killer al servizio di De Pedis") avrebbero scosso la donna al punto da incontrare i magistrati della procura di Roma e la polizia per riferire loro quanto fosse a sua conoscenza.

Se per i legali della famiglia Orlandi, gli avvocati Massimo Krogh e Nicoletta Piromallo, la teste e' inattendibile, diverso e' l'atteggiamento degli inquirenti che, prima di pronunciarsi sulla fondatezza o meno di quelle dichiarazioni, vogliono riscontrare ogni piu' piccolo particolare raccontato dall'ex amante del boss 'Renatino'. "Nel verbale della testimone, ci sono indubbie incongruenze temporali che ci lasciano un po' perplessi - ammettono a piazzale Clodio - ma alcuni dettagli sono cosi' precisi e circostanziati che meritano di essere approfonditi con molta attenzione".

Del resto, e' la prima volta che qualcuno riferisca fatti concreti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi anche se il coinvolgimento in questa vicenda della Banda della Magliana non e' un elemento inedito. "La supertestimone - e' stato spiegato in procura - non beneficia di alcun regime di protezione, non e' indagata cosi' come nessuno altro e' finito sotto inchiesta sulla base di quanto da lei stessa detto". Protagonista di un passato un po' troppo avventuroso, la donna, tra l'altro, non avrebbe chiesto agli inquirenti nulla in cambio della sua lunga audizione.

5 - ORLANDI, LA SORELLA: SENZA PROVE NON CREDO A 'PRESUNTA' TESTE…
(Agi) -
"Non do credito a nulla di quello che viene detto in queste ore finche' non si accerta per davvero quello che e' accaduto e lo si possa provare". E' la risposta che arriva da Natalina Orlandi, una delle sorelle di Emanuela, contattata dall'Agi dopo la diffusione di parte della deposizione della ex amante dell'allora boss della 'Banda della Magliana', Enrico De Pedis (detto 'Renatino'), al procuratore aggiunto di Roma Italo Ormanni e ai sostituti Andrea De Gasperis e Simona Maisto che stanno indagando sulla scomparsa, proprio ieri sono trascorsi 25 anni da allora, di Emanuela.

"Per me - continua Natalina - questa notizia e' una come tante altre che escono fuori purtroppo quando sono in corso indagini ed accertamenti. Non si sa come mai vengano fuori notizie che dovrebbero essere riservate, ma e' risaputo che accade.... Ad ogni modo non penso nulla di tutto questo, aspetto soltanto, cosi' come aspetta tutta la famiglia". Natalina Orlandi si dice comunque "fiduciosa", e del resto "e' notorio che noi lo siamo sempre stati e continueremo ad esserlo fino a quando non avremo motivo per non esserlo".


23 Giugno 2008
Etrusco
00mercoledì 25 giugno 2008 01:28
WOJTYLA, IL CONVITATO DI PIETRA DI CUI NESSUNO PARLA (ALTRO CHE MARCINKUS)
L’EX DELLA MAGLIANA: “SÌ, FU RAPITA DA DE PEDIS, PER ESTORCERE SOLDI AL VATICANO”
UN AGENTE DEL SISDE SCOVÒ SABRINA MINARDI, MA DALL’ALTO L’ORDINE A “DESISTERE”




1 – KAROL WOJTYLA, IL CONVITATO DI PIETRA DI CUI NESSUNO PARLA

Dopo le dichiarazioni del teste Sabina Minardi, si è spalancato un abissale pozzo nero dove in fondo compare la silhouette bianca di un personaggio che nessuno osa nominare:

la figura appartiene a Karol Wojtyla, prossimo santo. Inutile girare intorno ai magheggi malandrini di monsignor Marcinklus con la Banda della Magliana: tutte le operazioni, da Calvi a Sindona, messi in opera dal banchiere americano dello Ior sono state controfirmate dal Papa. Che aveva una sola e unica fissa: abbattere il comunismo.

Sabina Minardi e l'ex marito Bruno Giordano
Foto Repubblica





Di qui, i miliardi e miliardi di dollari che sono stati spediti clandestinamente in Polonia per inventarsi quel sindacato che ha poi davvero ha destabilizzato il regime sovietico: Solidarnosch by Lech Walesa. Obiettivo che certo la Santa Sede non poteva permettersi da sola. Di qui la joint-venture con la Cia degli Stati Uniti, che avrebbe avuto proprio nell’amerikano Marcinkus la sua protesi vaticana. Di qui, anche l’attentato sovietico - via manovalanza turca – di Alì Agca al Pontefice, anno ‘81.

La fissazione anti-comunismo di Giovanni Paolo II fu totale e disperata, al punto che se ne fregò dell’azzeramento tangepolesco della DC e del Psi, infilzati dal Pool di Milano grazie soprattutto al tangentone Enimont (by Gardini, cliente dello Ior). Ora il tangentone finì non solo nelle tasche dei vari partiti e politici ma sarebbe finito anche in Vaticano destinato sempre a rifornire le tasche degli iscritti di Solidarnosch. E le incredibili dichiarazioni al Messaggero di un ex bandito della Magliana, Antonio Mancini, sono assolutamente verosimili.

2 - “SÌ, FU RAPITA DA DE PEDIS, VOLEVA ESTORCERE SOLDI AL VATICANO”
Enrico Gregori per “Il Messaggero”

Antonio Mancini, 60 anni, «malavitoso di razza».
La banda della Magliana
non ha mai avuto un boss, ma semmai un vertice. Lui, soprannominato ”accattone”, Maurizio Abbatino, Edoardo Toscano e Marcello Colafigli. Oggi ha cambiato vita, sta ai semi-domiciliari e lavora in una cooperativa che assiste i disabili.
Attraverso il suo avvocato Ennio Sciamanna chiediamo ad ”accattone” cosa pensa di questo nuovo filone di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.


Antonio Mancini detto l'accattone


La ragazza fu rapita per scambiare la sua liberazione con quella di Alì Agcà?
«Ma quando mai!»

E invece?
«Soldi, sempre i soldi. La banda aveva prestato cifre da capogiro a Roberto Calvi, soldi girati al Vaticano. Soldi che dovevano prima o poi tornare a casa».

Quadrerebbe. Ma la famiglia Orlandi era così importante da poter essere ”oggetto” di trattative?
«Secondo me sì, ma non mi vorrei sbilanciare».

E allora si sbilanci a dire chi rapì Emanuela Orlandi e se, oggi, Sabrina Minardi dice cose verosimili.
«In parte sì. Emanuela Orlandi fu sequestrata da Enrico De Pedis. Le trattative per il rilascio furono gestite ad alto livello. Molto alto».

Però andò tutto a scatafascio.
«Per me De Pedis ammazzò la Orlandi e provò ad andare avanti lo stesso con le trattative. Però a un certo punto il Vaticano capì come poteva essere andata e scattò il panico».

E in tutto questo c’entra anche il fatto che De Pedis sia sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare?
«Ottenne questo durante le trattative. De Pedis era religiosissimo. Sì, ammazzava la gente, ma era religioso».

Ma De Pedis era così potente?
«Con noi in carcere lo diventò
e questo non lo faceva vedere di buon occhio. Spadroneggiava. Lui fece ammazzare Edoardo Toscano, un amico mio vero».



La condanna a morte di De Pedis.
«Per forza. Edoardo doveva essere vendicato. Del resto anche in carcere qualcuno cercò di ammazzare De Pedis strangolandolo con i lacci dalle scarpe».

Comunque la vicenda Orlandi conferma che la banda aveva le mani in pasta in affari di alto livello.
«Certamente. Il documento falso in cui si parlava del cadavere di Moro nel lago della Duchessa lo fece Antonio Chichiarelli, uno di noi. Dal nostro arsenale uscì la pistola che uccise Mino Pecorelli e le armi usate per il depistaggio sulla strage di Bologna».

Quindi è vero che voi individuaste la prigione di Moro?
«Verissimo. Ce lo chiese Raffaele Cutolo di darci da fare, e trovammo la casa».


Poi?
«Poi marcia indietro. Insomma ci sono le carte, io di queste cose non mi impiccio».

E “accattone” di cosa si impicciava?
«A me piacevano i soldi, le Ferrari, i locali e le donne. Per quello ho cominciato a fare il bandito, per fare la bella vita. C’avevo i miliardi e me li sono mangiati tutti».


Quindi la banda ”morì” quando cominciò a occuparsi d’altro.
«E certo. Ma che c’entravano banditi come noi con l’attentato a Rosone? Ma Abbruciati e altri si erano legati a politici, ai servizi. Roba da matti!».


Paul Marcinkus

Ma lei, oggi, chi è?
«Uno che fece del male e che tenta di riscattarsi lavorando per il bene degli altri. Oggi pulisco il naso ai disabili e ne sono orgoglioso. Il male di ieri e il bene di oggi, questo è quello che ho voluto raccontare in ”Col sangue agli occhi”, un libro su di me e sulla banda scritto insieme alla giornalista Federica Sciarelli».

Cosa la spinse a diventare collaboratore di giustizia?
«La mia figlia più grande io l’ho vista solo attraverso i vetri del parlatorio del carcere. Quando stava per nascere la seconda, un carabiniere mi chiese ”ma pure questa la vuoi vedere così?”. No, mi sono detto, pure lei no. Ho scelto la famiglia. E ho fatto bene».

Ma oggi esiste ancora la banda della Magliana?
«Sì, esiste. Anche se non spara».


3 - LA PISTA DELLA BMW PORTAVA ALLA BALDUINA
Massimo Martinelli per “Il Messaggero”

Una persona c’era arrivata vicinissima alla soluzione del caso, come accade spesso in ogni giallo che si rispetti. Erano passate poche settimane dalla sparizione di Emanuela Orlandi; forse la ragazza era già morta, anzi quasi di sicuro. Però c’era la Bmw Touring ”verde tundra” - come l’aveva descritta un agente di polizia - che aveva portato via Emanuela. E c’era pure una dama con i capelli tinti di biondo, aggressiva e strafottente. Sopratutto molto protetta dall’alto. Che, se fosse stata messa alle strette subito, forse avrebbe potuto fornire indicazioni precise agli investigatori dell’epoca.


La storia non è mai stata formalizzata in un verbale della Procura perchè il protagonista della vicenda aveva un obbligo di segretezza verso un’altra istituzione dello Stato, il Sisde. Lui si chiama Giulio Gangi, era un agente operativo dei servizi segreti civili, in forza al reparto che aveva sede a piazza della Libertà, in quella ”Palazzina Vargas” come la chiamavano all’epoca che poi divenne sede dell’Alto Commissariato Antimafia.

Gangi conosceva la famiglia Orlandi e fu tra i primi ad essere allertati. Capì che accanto alle indagini della Questura forse poteva servire anche un lavoro da segugio vecchio stampo, da consumatore di suole. Ascoltò gli unici due testimoni che avevano visto l’auto sospetta: un vigile urbano e un agente di Ps. Il vigile ricordava una Bmw grossa e nera; l’agente una Bmw modello Touring, cioè giardinetta, colore ”verde tundra”, di quelle che in quegli anni in Italia erano davvero rarissime. Gangi cominciò a battere le rimesse, i garage, gli autolavaggi: magari qualcuno l’aveva vista Bmw familiare così poco diffusa in quegli anni.

L’idea si rivelò azzecata, perchè un meccanico del quartiere Vescovio ne aveva riparata una appena pochi giorni prima; non aveva guasti meccanici ma un danno di carrozzeria. Precisamente un finestrino rotto, quello anteriore lato passeggero. Ed era stato frantumato dall’interno verso l’esterno, come se qualcuno avesse dato un colpo violento per fuggire. O come se all’interno della macchina si fosse verificata una colluttazione molto energica. A portare la vettura in officina - disse il meccanico - era stata una donna bionda, molto bella, disinvolta. Aveva lasciato anche un recapito, per essere avvisata quando la macchina era pronta.

Gangi annotò tutto su un foglio: nome, cognome e indirizzo. Che era quello di largo Damiano Chiesa 8, zona Balduina, a due chilometri dal Vaticano, dove c’era (e c’è tuttora) il residence Mallia. Gangi si presentò da solo, mostrando il tesserino di copertura da ispettore di polizia che è in dotazione a tutti gli agenti operativi del Sisde. Parlò con la signora bionda alla presenza di due dipendenti della reception: fu lei a scendere in portineria quando la avvisarono che aveva visite. E fu parecchio aggressiva. Chiese di essere lasciata in pace, disse che non doveva dare spiegazioni a nessuno.

Gangi provò a forzare la mano, le rispose che in ogni caso sarebbe stata convocata in Questura. Poi fece per allontanarsi, ma fu preceduto dalla collega che lo aveva accompagnato con una macchina di servizio, una Fiat Panda color avana, con la quale entro nel cortile. Fu allora che, con ogni probabilità, la donna bionda annotò la targa della macchina, che era intestata ad una società di copertura del Sisde, la Gattel. E questo le fu sufficiente per dimostrare all’agente Gangi tutta la sua capacità di liberarsi dagli scocciatori: quando la Panda arrivò a piazza della Libertà, più meno dopo mezz’ora, Gangi fu chiamato dal suo caposezione, che gli chiese come si fosse permesso di andare a disturbare una persona così legata a personaggi altolocati. E lo invitò a non seguire più quella vicenda.

Nessuno ha mai chiesto a Giulio Gangi se quella donna fosse la Minardi, forse lui stesso neanche ricorda bene il nome di quella avvenente e iraconda inquilina del Mallia. Ma la faccia, certamente si.




4 - IL BOSS E LA BELLA TRA AEREI PRIVATI E REVOLVERATE, FESTE E COCAINA
Valentina Errante e Cristiana Mangani per “Il Messaggero”

Sabrina Minardi ed Enrico De Pedis, storia di amore e di coltelli.

Si conoscono e lei ne diventa l’amante per qualche anno. Sono anni di delitti, di violenze, ma anche di conoscenze altolocate, di benessere e denaro a fiumi. Sabrina si è appena separata dal “bomber” della Lazio, Bruno Giordano, dal quale ha avuto una figlia, con una vita sfortunata quanto la sua. Proprio un paio di mesi fa la ragazza, Valentina, è in auto con Stefano Lucidi, il giovane che ha travolto e ucciso due sue coetanei in motorino sulla Nomentana, Alessio Giuliani e la sua fidanzata Flaminia Giordani. Stava litigando con lei perché voleva lasciarlo. Sabrina ha parlato spesso della figlia, forse ha fatto anche intuire che vorrebbe cercare il modo per aiutarla.

Ma sono i due anni con De Pedis il momento di gloria. «Roberto Calvi (il banchiere dell’Ambrosiano, il cui cadavere venne rinvenuto sotto il ponte dei Frati Neri a Londra) mi metteva a disposizione un aereo privato per viaggiare», ha raccontato la donna lasciando intravedere i rapporti dell’alta finanza con la banda della Magliana. Gli stessi rapporti dei quali ha parlato anche il figlio del banchiere ucciso.

È proprio il legame con la Minardi, però, che costa caro a De Pedis, perché, nel dicembre 1984, viene catturato grazie al pedinamento della donna. Le manette ai polsi di “Renatino” scattano nell'appartamento di Via Vittorini 63 dove lei viveva. Negli anni successivi Minardi attraversa periodi segnati dalla cocaina. E oggi si trova in una comunità di recupero.
De Pedis è il boss, uno dei capi del sodalizio criminale più famoso e misterioso degli anni ’80. Viene ucciso a colpi di pistola in un agguato a Roma, vicino Campo de’ Fiori. Un regolamento di conti tra compari, viene definito.

Però, al contrario degli altri suoi complici, a De Pedis venne riconosciuto uno spirito imprenditoriale fuori del comune. Mentre gli altri sperperavano il bottino nei vizi, “Renatino” investiva in attività legali, imprese edili, ristoranti, boutique. Al punto che è arrivato il giorno in cui non ha più voluto dividere “la stecca”: uno smacco da far pagare caro. Così, nell’89, quando esce dal carcere Edoardo Toscano detto “Operaietto” il suo obiettivo è cercare De Pedis per ammazzarlo. Ma “Renatino” gioca d’anticipo e lo fa uccidere dai suoi killer personali (Ciletto e Rufetto), dopo averlo fatto cadere in una imboscata. È il 2 febbraio del ’90 quando gli assassini, assoldati per l’occasione, lo raggiungono fuori da una bottega di via del Pellegrino e lo freddano.

Criminale in vita, un’autorità da morto: al boss della Magliana va il riconoscimento di essere seppellito nella Basilica di Sant’Apollinare tra le alte sfere del clero e la nobiltà patrizia. «Ha fatto tante offerte - giustifica la decisione il rettore - L’ha deciso il cardinal Poletti». E su quelle spoglie nessuna indagine potrà mai essere fatta, perché la Basilica è territorio del Vaticano.


24 Giugno 2008
Etrusco
00mercoledì 25 giugno 2008 01:33
LA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI ROMA STAREBBE PRENDENDO IN CONSIDERAZIONE DI CHIEDERE AL VATICANO DI POTER ISPEZIONARE LA TOMBA IN SANT’APOLLINARE DEL BOSS DELLA BANDA DELLA MAGLIANA, DE PEDIS…




1 - ORLANDI: DA INVESTIGATORI IPOTESI ISPEZIONE TOMBA DE PEDIS…
(Adnkronos) -

La Procura della Repubblica di Roma e gli investigatori della Squadra Mobile starebbero prendendo in considerazione, nell’ambito della nuova indagine sulla scomparsa di Emanuela Orlandi avvenuta il 22 giugno del 1983, il suggerimento dato nel 2006 da uno sconosciuto che telefono’ alla trasmissione ’Chi l’ha visto’, e cioe’ di ispezionare la tomba del boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, detto ’Renatino’. Il nome di De Pedis e’ tornato in evidenza dopo le dichiarazioni fatte da Sabrina Minardi, la nuova super testimone della vicenda, la quale ha sostenuto che fu lui, su mandato del cardinale Marcinkus, a sequestrare la Orlandi e ad ucciderla gettando poi il cadavere in una betoniera.



La chiesa di Sant'Apollinare in Roma

L’anonimo telefonista suggeri’ nel 2006 di ispezionare, per avere elementi utili a risolvere il giallo, la tomba che, nella chiesa di Sant’Apollinare che gode dell’extra territorialita’ vaticana, custodisce le spoglie mortali di De Pedis.

Se il suggerimento verra’ accolto il primo ’nodo’ da sciogliere sara’ comunque quello di ottenere dalla Santa Sede le necessarie autorizzazioni per accedere alla cripta dove si trova la tomba del boss. In passato, nell’ambito di questa indagine sulla scomparsa della Orlandi, piu’ volte i magistrati italiani avevano chiesto collaborazione alle autorita’ della Santa Sede che pero’ non ha mai dato una risposta. [SM=g1470351]



2 - RETTORE SANT'APOLLINARE: APRIRE TOMBA DE PEDIS? NON AVREI NULLA DA RIDIRE…
(Adnkronos) -
Aprire la tomba di Enrico De Pedis per fare luce sulla scomparsa di Emanuela Orlandi?

’Le valutazioni competono ai magistrati, al Vicariato di Roma e alle famiglie coinvolte; se la decisione venisse presa da queste istituzioni, in maniera regolare, io non avrei certo niente da ridire’. Lo ha dichiarato a ’24 minuti’, free press del gruppo ’Il Sole 24 Ore’, don Pedro Huidobro, rettore della chiesa di Sant’Apollinare nella quale e’ sepolto "Renatino", boss della banda della Magliana.
Nell’articolo che compare oggi sul quotidiano don Pedro si dice anche stanco delle polemiche: ’In questi casi meno si parla e meglio e’’, afferma il rettore.


24 Giugno 2008
Etrusco
00mercoledì 25 giugno 2008 11:18
ESPLODE LA MINA MINARDI: LA ORLANDI FU SEQUESTRATA COME ARMA DI RICATTO
IL PADRE ERCOLE, MESSO DEL VATICANO, AVEVA AVUTO DOCUMENTI “SCOTTANTI”
“RAPIMENTO PER CONTO IOR PER DARE MESSAGGIO A QUALCUNO SOPRA DI LORO”


Paul Marcinkus - Sabrina Minardi - Enrico De Pedis


Fulvio Milone per La Stampa




La basilica di Sant'Apollinare


Il silenzio è durato per tutta la mattina. Poi, alle due del pomeriggio, il Vaticano ha diffuso un breve comunicato. Breve ma dal tono sdegnato, per dire che il cardinale Paul Marcinkus, il «banchiere di Dio» coinvolto con lo Ior nel crack del Banco Ambrosiano, non c’entra nulla con il caso Orlandi: «Si divulgano accuse infamanti senza fondamento nei confronti di Sua Eccellenza Monsignor Marcinkus morto da tempo (nel 2006; ndr) e impossibilitato a difendersi».

Insomma, la Chiesa scende pesantemente in campo contro «i modi di informazione più debitori del sensazionalismo che delle esigenze di serietà ed etica professionale». Il riferimento è ai giornali che hanno dato conto delle confessioni di Sabrina Minardi, per anni la compagna del boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, detto «Renatino», il presunto rapitore della Orlandi morto ammazzato nel ‘93 e sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare. Un onore che il Vaticano concede a pochi cattolici particolarmente meritevoli: secondo la Minardi quel privilegio fu accordato al suo amico grazie alle opere di beneficenza della moglie, che una volta avrebbe fatto un’offerta da un miliardo di lire.



I genitori di Emanuela Orlandi

A proposito: in questa sporca e complessa storia del sequestro Orlandi si è ipotizzato nel corso degli anni che i resti di Emanuela fossero stati nascosti proprio nella tomba del suo sequestratore.
E i magistrati, sia pure con una forte dose di scetticismo, stanno valutando l’opportunità di ispezionare la cripta. Un affare non da poco, visto che la basilica è territorio del Vaticano
e quindi «garantita» da precisi accordi in materia di extraterritorialità.

Dice la Minardi che l’input per il rapimento venne dal cardinale Marcinkus, e che poi il suo «Renatino» gettò il cadavere di Emanuela in una betoniera a Torvaianica. Non basta. La testimone, la cui attendibilità è tutta da verificare, ha offerto ai magistrati anche un possibile movente del rapimento: la Orlandi fu sequestrata perchè il padre Ercole, commesso della prefettura della Casa Pontificia, aveva avuto fra le mani documenti «scottanti» che non avrebbe dovuto leggere. Questo, almeno, è quanto De Pedis avrebbe detto alla sua amica.


Cardinal Paul Marcinkus

E la sua amica, a distanza di 25 anni, ha spifferato tutto al procuratore aggiunto Italo Ormanni e ai pm Andrea De Gasperis e Simona Maisto, che procedono con grande cautela. «Renatino», sostiene la Minardi, «era interessato a cosare con Marcinkus perchè questi gli metteva sul mercato estero i soldi dei sequestri».

Ancora: il rapimento avvenne «per conto dello Ior... hanno rapito Emanuela per dare un messaggio a qualcuno sopra di loro...», dice la testimone, lasciando intravedere dietro il caso Orlandi scenari inquietanti, peraltro già abbondantemente ipotizzati in questi 25 anni: le trame oscure della P2; il crack del Banco Ambrosiano di cui era presidente il piduista Roberto Calvi poi ucciso a Londra; i rapporti d’affari fra questo spregiudicato finanziere e la banda della Magliana nei confronti della quale Calvi era debitore; i copiosi capitali investiti proprio nell’Ambrosiano dallo Ior di Marcinkus.


Sabrina Minardi con l'ex marito Bruno Giordano

In questo contesto, il rapimento della figlia di un funzionario dello Stato Pontificio sarebbe stato usato come arma di ricatto e di pressione per mantenere tali segreti inconfessabili.

Ma con la sua discesa in campo nel caso Orlandi, il Vaticano respinge con decisione ogni ipotesi di coinvolgimento di un suo esponente. Non solo: con la divulgazione di «informazioni non sottoposte a verifica e dal valore estremamente dubbio si ravviva il profondissimo dolore della famiglia Orlandi». La Minardi, insomma, è per il Vaticano una testimone inattendibile. (Ndr o scomoda?)

Lo è anche per il senatore Giulio Andreotti, pure lui chiamato in causa dall’amica di De Pedis («Fui invitata a cena a casa di Andreotti con Renatino, che a quell’epoca era latitante»).

Il senatore a vita non commenta questo episodio specifico, ma prende le difese del cardinale che fu per anni alla guida dello Ior:
«Non credo alla tesi dei legami fra Marcinkus, la banda della Magliana e il caso Orlandi: mi sembra un romanzetto, una cosa di fantasia».


25 Giugno 2008
Etrusco
00mercoledì 25 giugno 2008 19:11
MORO, DE PEDIS, CALVI. NON GIOCATE COI MISTERI D’ITALIA: RISCHIATE DI FARVI MALE
LA CARCERIERA BIONDA AMICA DI ABBRUCIATI, CHE RACCONTÒ DELLA CENA CON CALVI
I TANTI SOLDI CHE CALVI SI ERA IMPEGNATO DI “RIPULIRE” CON INTERESSI DA CAPOGIRO






1 – LA BMW E QUEI CAPELLI TAGLIATI, COSÌ IL “TELEFONISTA” PORTÒ ALLA BANDA DELLA MAGLIANA…
Massimo Martinelli per “Il Messaggero”


Se c’è una firma della Banda della Magliana nell’affare Orlandi, ha il profilo di una Bmw station wagon verde. La stessa utilizzata da un giovane biondo e un po’ stempiato per avvicinare Emanuela di fronte al Senato. In quella estate dell’83 probabilmente ce n’era una sola in tutta Roma di Bmw di quel colore e di quel modello. Giulio Gangi, l’agente del Sisde che la trovò in una officina autorizzata di piazza Vescovio, si era sentito dire dalla Bmw Italia che la versione station wagon non era in vendita nel nostro paese, tantomeno di quel colore così sgargiante.



Se ce n’era una, doveva essere stata importata dalla Germania. Eppure il 22 giugno 1983 fu sul cofano di quella Bmw che il giovane ben vestito e con una borsa con la scritta Avon, aprì i suoi cataloghi per mostrare a Emanuela Orlandi quali profumi avrebbe dovuto distribuire in occasione di una sfilata delle sorelle Fontana presso la sala Borromini. Emanuela avrebbe voluto fermarsi ma aveva la lezione di musica; un vigile era infastidito dalla vettura in doppia fila e l’esposizione del campionario si interruppe con un ”ci vediamo più tardi”.

Di quell’incontro parlerà a più riprese uno dei telefonisti che nei giorni successivi alla scomparsa di Emanuela telefonò in casa Orlandi. Si faceva chiamare Mario e la sua appartenenza alla Banda della Magliana è stata certificata da un boss del calibro di Antonio Mancini, che ascoltando una delle telefonate registrate dagli Orlandi disse senza esitazione: «Questa è la voce di uno dei killer più spietati agli ordini di De Pedis». Mario chiamava e chiedeva; si informava e dava dettagli.

«Sembrava interessato a sapere quanto gli Orlandi avevano scoperto sul giovane che aveva avvicinato Emanuela con la scusa dei prodotti Avon - ha ricordato Giulio Gangi, l’agente del Sisde che si attivò per primo per amicizia personale con la famiglia - Ma allo stesso tempo forniva dettagli che solo chi aveva in mano Emanuela poteva sapere». Ad esempio, i capelli. Mario disse che Emanuela stava bene, che si era fidanzata con il ragazzo della Avon, che non voleva tornare a casa e che si era tagliata i capelli corti.

La cosa sembrò incredibile, perchè Emanuela era fierissima della sua lunga capigliatura corvina. Ma a sorpresa, nella sua lunga deposizione di poche settimane fa, Sabrina Minardi ha dichiarato che quando prelevò la ragazza per condurla da un prete vicino al Vaticano, notò che le avevano tagliato i capelli in maniera orrenda. Poi potrebbe essere stata sempre la Minardi a portare la Bmw verde in riparazione, in un’officina di persone vicine alla banda della Magliana. Gangi lo scoprì a poche settimane dal sequestro, ma la sua indagine fu bloccata dai vertici del Sisde. Per motivi che ancora devono essere chiariti.


2 – LA CARCERIERA BIONDA AMICA DI ABBRUCIATI, CHE RACCONTÒ DELLA CENA CON CALVI…
Rita Di Giovacchino per “Il Messaggero”


Il ruolo di carceriera di Emanuela Orlandi in una casa sulla Gianicolense glielo ha attribuito Sabrina Minardi, ultima superteste di questo giallo infinito. Ma finora D.M., che oggi ha quasi sessant’anni, era nota alle cronache soprattutto per la sua affettuosa amicizia con Danilo Abbruciati, nei primi anni Ottanta, cosa che la rese testimone privilegiata di molti segreti legati alla tragica fine del banchiere Calvi e al vorticoso giro di soldi mafiosi inghiottiti dal crack dell’Ambrosiano.

All’epoca dei fatti era poco più che trentenne, bionda ma soprattutto aggressiva, come quasi tutte le ragazze della Magliana. Ora la donna vive in una grande villa blindata alle spalle del Vaticano, mura, cancelli, citofoni senza nome. E al cronista che suona viene risposto senza mezzi termini di non ripresentarsi mai più.



I rapporti di D.M. con Abbruciati non sembravano in contrasto con il fatto di essere amica della fidanzata ufficiale del boss. E in verità neppure con quello di essere la moglie di un altro personaggio di spicco che in quegli anni fu arrestato per spaccio di stupefacenti. Anche lei fu arrestata nel giugno dell’82, per detenzione e spaccio di cocaina. La polizia aveva notato un certo via vai di sudamericani, nella sua abitazione alla circonvallazione Gianicolense, fece irruzione, alla vista degli agenti la donna gettò inutilmente dalla finestra un pacco con mezzo chilo di cocaina. Ma questo non le evitò il carcere.


La sua fama non è però legata ad episodi di così poco conto. Messa alle strette dal pm Sica la donna riferì di una riunione avvenuta alla fine del 1981 in casa del gangster romano. Una cenetta al riparo da occhi indiscreti alla quale avrebbero partecipato, oltre al padrone di casa, cioè Abbruciati, proprio il presidente dell’Ambrosiano e alcuni «banchieri» della Magliana. Dunque si era parlato di soldi, i tanti soldi che Calvi si era impegnato di «ripulire» con interessi da capogiro, ma che in realtà non si sapeva bene che fine avessero fatto. Il banchiere non aveva mantenuto i suoi impegni e questo aveva creato una certa fibrillazione in personaggi come Pippo Calò, che rappresentava i corleonesi, e Fausto Annibaldi capofila dei romani.

A questo incontro gli inquirenti attribuirono una grande importanza rispetto ai successivi sviluppi. Non ultimo quello che Calvi avesse incontrato il futuro killer di Roberto Rosone, poco prima che Abbruciati tentasse di ammazzarlo a Milano, anche se alla fine fu lui a rimanere a terra ucciso dalla guardia del corpo del vice dell’Ambrosiano. Insomma D.M. è stata finora soprattutto una teste chiave. La donna non risulta indagata, il sequestro di persona è nel frattempo caduto in prescrizione. E non c’è alcun riscontro che la Orlandi sia davvero morta.

3 - ATTENTI A GIOCARE CON I MISTERI D’ITALIA: RISCHIATE DI FARVI MALE
(La Velina Azzurra) – Troppe rivelazioni.
La pentola sempre a pressione dei misteri d’Italia ha lasciato uscire troppi miasmi nei giorni scorsi. E qualcuno rischia di farsi male davvero.

Nell’ordine, è uscito fuori, a metà maggio, il “grande vecchio” delle Brigate Rosse, individuato nell’ex killer di Stalin e di Togliatti che rispondeva al nome di Vittorio Vidali. Insieme a quest’ultimo, il settimanale Panorama ha additato come agenti esecutivi delle BR anche Franca Rame e un magistrato facilmente identificabile. Incredibilmente, nessuno ha fiatato, la stampa nazionale ha taciuto in blocco. Roba troppo scottante, forse.

Con le nuove rivelazioni ai primi di giugno sull’assassinio della contessa Alberica Filo della Torre si è rimasti nel classico delle storie da ombrellone, in cui il delitto dell’Olgiata (del 1991) si alterna ad ogni estate con l’immortale caso di Simonetta Cesaroni di Via Poma. (del 1990) . Storie gustose e innocenti ma non troppo, perché olezzanti anch’esse della presenza dei servizi segreti. Alla terza decade del mese è scattato invece un affare assai più grosso: la riapertura delle indagini sulla tragedia di Ustica (del 1990) grazie agli aggiornamenti di Francesco Cossiga, rivelatore professionale sempre prezioso per giornalisti e magistrati. Quando lo incontri al bar, è una fortuna: gli offri un whisky e lui si mette subito a raccontare i retroscena di Gladio o di qualche altro dossier.


Da marzo a maggio, i mesi delle rituali celebrazioni, i mass media sono stati intasati dalle ricostruzioni sul caso Moro (1978) che secondo noi è la vera madre di tutti i misteri precedenti e susseguenti. Ogni volta che se ne parla viene aggiunto qualche tassello in più all’architettura della vicenda, così c’è da sperare che un giorno o l’altro si finirà per sapere tutto. E adesso, sali, sali su per li rami è scoppiato il caso del solito arcivescovo Marcinkus, ormai il peggior criminale della Chiesa dopo i Borgia, che avrebbe fatto rapire e assassinare Emanuela Orlandi (1983) dalla solita banda della Magliana. Dopo una cena a casa di chi? Indovinato: Andreotti! Ma il mandante era davvero l’arcivescovo o qualcuno anche sopra di lui? Ormai c’è da chiederselo, se non altro per stabilire se Giovanni Paolo II ha davvero diritto alla santità.

Il meccanismo delle rivelazioni sulla Orlandi è classico ed elementare. C’è una signora, l’ex donna di un boss della Magliana, in angoscia da qualche settimana perché sua figlia era nell’auto pirata che ha ammazzato due fidanzati in Via Nomentana a Roma e rischia una bella condanna. E questa signora si mette a raccontare cose dell’altro mondo. Le rivelazioni più strabilianti arrivano spesso da qualcuno che si trova nei guai. Così gli italiani si esercitano nel gioco nazionale del “chi lo guida e chi c’è dietro”, “chi spara contro chi, perché spara e che cosa vuole”.

Poi arrivano con i loro riti ufficiali Vespa di Porta a Porta e l’imitatore di seconda audience Mentana di Mediaset. E gli italiani, tra scelleratezze vaticane e delitti di Cogne, Erba, l’inglesina di Perugia e porcherie varie passano serenamente il tempo. Ma c’è un problema: pur ammettendo che l’Italia è diventata una fogna, ci pare che si stia esagerando un po’. Se tutti continuano a parlare, qui finisce che qualcuno magari un po’ frastornato ci creda sul serio e si metta davvero a raccontare qualche cosa di grosso.


25 Giugno 2008
Etrusco
00giovedì 26 giugno 2008 13:20
SPIE, DEPISTAGGI E RICATTI
– UN EX DELLA STASI (I SERVIZI SEGRETI DDR): LO SCAMBIO ORLANDI-AGCA? INVENTATO DA NOI PER “PROTEGGERE” I BULGARI
– IL TENTATIVO DI DE PEDIS DI RICATTARE MARTINAZZOLI…




1 - LO SCAMBIO ORLANDI-ALI AGCA FU UN’INVENZIONE DI NOI DELLA STASI…
Marco Ansaldo per “la Repubblica”




«Le missive inviate in Italia sul caso di Emanuela Orlandi? Le conosco. È roba che usciva dal mio ufficio. Le facevamo scrivere in turco. Oppure in un italiano approssimativo. Poi venivano inviate al ministero della Giustizia, ad alcuni magistrati, o all´agenzia di stampa Ansa. Chiedevamo la liberazione di Ali Agca, e uno scambio con la ragazza. Ma era un trucco per distogliere l´attenzione dai bulgari, in quel periodo sotto tiro. Ce lo aveva chiesto non solo Sofia, ma direttamente Mosca. E, su direttiva del Kgb, la Stasi aveva fabbricato quei messaggi».

Al ristorante italiano di Berlino "La buca di Bacco" si mangia bene e si fanno un sacco di incontri interessanti. Solo un paio di anni fa, prima di morire, questo era uno dei ritrovi preferiti di Markus Wolf, il mitico "uomo senza volto", la grande spia della Germania Est, qui solito conversare con gli amici. Oggi, a un tavolo dove viene servito un cocktail con spremuta d´arancia e bitter, siede il suo vice, l´ex colonnello Guenter Bohnsack.

Alto quasi un metro e novanta, fisico massiccio, a 69 anni Herr Bohnsack ricorda perfettamente il caso Orlandi e la "Operation Papst", l´azione di contenimento fatta dalla Ddr per arginare l´ondata di accuse contro la Bulgaria, nella bufera per l´attentato a Papa Wojtyla. Perché Guenter Bohnsack era il capo della Abteilung X, la Decima Divisione, addetta alla disinformazione nella Stasi, i famigerati servizi di sicurezza tedesco orientali.


L'ex colonnello Guenter Bohnsack


Dottor Bohnsack, che cosa ricorda della vicenda Orlandi?
«Davvero quella ragazza non è mai stata trovata? Al nostro Dipartimento ci eravamo occupati di quel caso solo in modo tangenziale. Eravamo impegnati nell´"Operation Papst"».

In che cosa consisteva?
«La mia sezione doveva aiutare i bulgari a fronteggiare e respingere le accuse che li volevano coinvolti nell´attentato a piazza San Pietro».

E i bulgari erano davvero coinvolti?
«Per quel che ne sapevamo, no. Del resto, non avevamo prove, né informazioni, in un senso o nell´altro. Il nostro compito era, comunque, di farli uscire dal pantano».

Chi lo aveva chiesto?
«Naturalmente Mosca. Così ci mettemmo d´accordo con il Kgb per cercare di depistare le accuse».

Che cosa faceste?
«Producemmo una serie di carte per sviare l´attenzione dai bulgari».



E con la Orlandi?
«Una procedura simile, ma concentrando l´attenzione sui Lupi grigi. Ci mettemmo a tavolino, e scrivemmo alcune lettere a Roma».

A chi furono inviate?
«A diversi enti. Al ministero della Giustizia. Oppure alle agenzie di stampa, mi ricordo l´Ansa. O ai magistrati che si occupavano del caso».

Quali?
«Il giudice Ilario Martella».

In che lingua erano state redatte?
«In turco. A volte in un italiano approssimativo».

Perché? Quale era il loro contenuto?
«Il senso era questo. Chiedevamo la liberazione di Ali Agca, l´attentatore del Papa. E uno scambio con la ragazza. Volevamo far credere di essere dei nazionalisti turchi, interessati alla sorte del loro compagno. Ma lo scopo vero era naturalmente quello di stornare l´attenzione dalla Bulgaria».


La pista turca sul caso Orlandi, dunque, era un´invenzione?
«Era stata creata ad arte. Così ci era stato chiesto di fare».



2 – “VOLEVANO RICATTARE MARTINAZZOLI, MA LA TRAPPOLA FALLI'…
Marino Bisso per “la Repubblica” -

Dalle nuove indagini sul caso Orlandi emerge anche il piano di ricattare Mino Martinazzoli, esponente della sinistra democristiana, nell´83 ministro della Giustizia.
La trappola era stata ideata da Renatino De Pedis: la Minardi avrebbe dovuto sedurre il leader politico.


Per l´occasione Renatino aveva costretto la sua amante a farsi bionda, addirittura a sottoporsi a interventi di chirurgia plastica. Renatino voleva che fosse bellissima per fare colpo su Martinazzoli. Poi il politico sarebbe stato invitato ad accompagnarla in un appartamento che Renatino aveva preparato da tempo: la camera da letto era stata rivestita da specchi dietro ai quali erano state sistemate telecamere per riprendere l´incontro e ricattare Martinazzoli. Ma il piano non funzionò perché l´appuntamento con la Minardi saltò all´ultimo momento.

26 Giugno 2008
Etrusco
00giovedì 26 giugno 2008 20:25
NON È UN FILM
– “L’AMERIKANO” CHE TELEFONAVA A CASA ORLANDI SFUGGÌ ALLA POLIZIA PER 30 SECONDI
– IL KILLER DI DE PEDIS MORTO IN KENYA (E CREMATO IN 3 ORE)
– LA SCIENTIFICA CERCA TRACCE COL GEORADAR…




1 - CASO ORLANDI, IN CORSO PERQUISIZIONE AL QUARTIERE GIANICOLENSE…
(Adnkronos) -
Agenti della Squadra Mobile e della Polizia Scientifica stanno perquisendo un appartamento nel quartiere Gianicolense, in via Pignatelli in cui, secondo le indicazioni rese dalla teste Sabrina Minardi, sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela Orlandi. Le perquisizioni sono state disposte per ordine dei magistrati Italo Ormanni, Simona Maisto e Andrea De Gasperis ai quali e’ affidata l’indagine sui nuovi risvolti della vicenda Orlandi rivelati dalla nuova testimone.

All’ispezione che avviene in un appartamento e nello scantinato di via Pignatelli nei pressi di piazza San Giovanni di Dio partecipano il procuratore aggiunto Italo Ormanni, che ha assunto la direzione del caso, e il sostituto Andrea De Gasperis, che in passato si e’ occupato delle varie inchieste sulla banda della Magliana e percio’ collabora ora a questi nuovi accertamenti.

2 - ESPERTI POLIZIA SCIENTIFICA EFFETTUANO RILIEVI CON GEORADAR…
(Adnkronos) -
Prosegue la perquisizione nell’appartamento di via Antonio Pignatelli
, nel quartiere Gianicolense di Roma, in cui, secondo le indicazioni rese dalla teste Sabrina Minardi, sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela Orlandi.
Gli Esperti Ricerca Tracce, un nucleo specializzato della Polizia Scientifica, stanno utilizzando un geo-radar per verificare se al di sotto del manto stradale, nella zona di via Pignatelli, ci siano cavita’. Gli agenti hanno effettuato delle verifiche in via Giovanni De Romanis, una strada che fa angolo con via Pignatelli, e nel giardino della scuola materna distante circa 20 metri dalla palazzina ispezionata.


3 – PER TRENTA SECONDI “L’AMERIKANO” SFUGGÌ ALLA TRAPPOLA…
Enrico Gregori per “Il Messaggero”


Il giallo Orlandi ha inevitabilmente riportato alla luce anche il mistero di Mirella Gregori
e, soprattutto, le ipotesi di un collegamento tra i due casi. Ci sono coincidenze ma anche (secondo gli investigatori) verità accertate. Il che, però, lascia comunque aperta la pista di un colossale depistaggio. Ma veniamo ai fatti e consideriamo la figura del cosiddetto ”amerikano”, il telefonista del caso Orlandi. Ebbene, lo stesso misterioso personaggio telefonò almeno una volta anche a casa Gregori, descrivendo esattamente come era vestita Mirella al momento della sua scomparsa. L’abbigliamento della giovane fu confermato dalle persone che per ultime videro Mirella.

È poco? Forse. Ma all’epoca dei fatti c’era un uomo della sicurezza vaticana sotto intercettazione da parte degli investigatori. Le sue conversazioni vertevano sul caso Orlandi. «È quantomeno singolare - dicono gli inquirenti - che questo personaggio abitasse nel palazzo adiacente il bar della famiglia Gregori».

Eppure la verità sarebbe stata a portata di mano, se la fortuna avesse assistito gli investigatori. Perché a un certo punto l’amerikano fu a un passo dal cadere in trappola. Era stata infatti individuata la zona Appio-Claudio come quella dalla quale partivano quasi tutte le sue telefonate. I mezzi tecnologici dell’epoca non erano sofisticati come quelli odierni e quindi furono messe fuori uso circa trecento cabine telefoniche per costringere l’amerikano a chiamare da una delle circa 250 rimaste in funzione.

Alle 22.30 di un giorno d’inverno, lui chiamò il legale della famiglia Orlandi proprio da uno di quei telefoni pubblici. Il pool investigativo coordinato da Nicola Cavaliere aveva dislocato nelle strade dell’Appio-Claudio trenta volanti pronte a rintracciare il telefonista. La centrale d’ascolto segnalò la cabina ”buona” e due pattuglie si precipitarono. Ma arrivarono con trenta secondi in ritardo. I poliziotti fecero solo in tempo a vedere la schiena dell’amerikano e a notare che aveva un berretto calcato sulla testa. Lo videro fuggire a gambe levate per i vicoli del quartiere.


Il cadavere di Enrico De Pedis, detto 'Renatino'

Oggi, ma non solo, si ipotizza che l’amerikano fosse monsignor Marcinkus.

«Fantasie - dicono gli investigatori - l’amerikano per noi era certamente qualcuno che apparteneva ufficialmente o no ai servizi segreti. Buoni o deviati non si sa, ma da lì veniva. Marcinkus che va a spasso per l’Appio-Claudio in cerca di cabine telefoniche è fantascienza».

Inoltre la famiglia Orlandi e quella Gregori avevano lo stesso avvocato, ossia Gennaro Egidio. E fu proprio lui a essere contattato dall’amerikano. La comunicazione fu questa: «Mirella Gregori...non abbiamo nulla da fare. Prepara i genitori a questo...non esiste più nessuna possibilità. Questo io ti dico». Sibillino, ma fino a un certo punto. Mirella, insomma, era morta.

Ma perché gli Orlandi e i Gregori avevano lo stesso legale? Per rispondere a questo bisogna tornare a un’altra singolare coincidenza, ossia la pista turca. In un comunicato del ”Fronte liberazione Turkesh” del 4 agosto 1983 comparve una frase esplicativa: "Mirella Gregori? Vogliamo informazioni. A queste condizioni la libereremo".

E poi c’è la questione degli identikit. Le due “facce” che pedinarono Emanuela assomigliavano molto, secondo i familiari di Mirella, a quelle viste parecchio tempo prima nei dintorni del bar. E qui la cronaca cede di nuovo il passo alle ipotesi. Mirella Gregori scomparve il 7 maggio del 1983, ossia 46 giorni prima di Emanuela Orlandi.



Una teoria investigativa fu che il sequestro di Mirella dovesse essere una ”esercitazione” per il futuro rapimento di Emanuela Orlandi. Un macabro esperimento, insomma, per verificare come e con quali tempi si sarebbero mossi gli investigatori. Del resto, si pensò all’epoca, sequestrare Emanuela Orlandi avrebbe avuto un senso essendo la ragazza figlia di una persona che lavorava presso la Santa Sede.

Mentre Mirella Gregori era figlia di onesti lavoratori e brava gente ma certamente non in vista. Quale forza poteva avere un’estorsione basata sull’eventuale rilascio della ragazza? Non fu quindi fuori dal mondo ipotizzare una connessione e che la stessa ”mente” avesse progettato i due sequestri.

Anche il giudice Imposimato sostenne che le due vicende erano collegate. Il fine era ottenere la grazia di Ali Agca per intercessione del pontefice Giovanni Paolo II (nel caso Orlandi) e del presidente Sandro Pertini (nel caso Gregori). Ma in questo caso si riaffaccerebbe l’ombra dei ”lupi grigi” e, forse, il colossale depistaggio.

4 – UNO DEI KILLER DI RENATINO MORTO IN KENYA CON I SUOI SEGRETI…
Cristiana Mangani per “Il Messaggero”



Antonio D'Inzillo

Un altro morto, un altro protagonista di quegli anni neri che non potrà parlare o ricordare. Come Andrea Ghira
, come tanti altri criminali fuggiti per evitare il carcere. Il nuovo mistero riguarda Antonio D’Inzillo, terrorista dei Nar, uno dei killer di Enrico De Pedis, e ancora prima il ragazzo di soli 16 anni che è stato armato di un mitra per uccidere Antonio Leandri, studente-lavoratore scambiato per l’avvocato Giorgio Arcangeli, sospettato di aver tradito e consegnato alla polizia Pierluigi Concutelli.

D’Inzillo è morto come è vissuto, misteriosamente. O almeno questo ritengono gli inquirenti che, comunque, non potranno controllare, visto che il suo cadavere è stato cremato nel giro di tre ore, dopo che, nell’aprile scorso, sarebbe avvenuto il decesso in un ospedale di Nairobi.

Era latitante dal ’93 questo ragazzo di buona famiglia e dal curriculum criminale che lo rendeva uno dei maggiori ricercati d’Italia. Gli uomini dell’Interpol e della Criminalpol sembravano averlo rintracciato in Uganda (fino al ’94 è segnalato in Kenya) dove, con l’ennesima identità falsa, pare si fosse messo in attività con il presidente. Aveva 44 anni e di recente si era sposato con una donna italiana, «una persona perbene», spiegano. Qualcuno azzarda anche che fosse cambiato, fosse diventato meno violento e impulsivo. Di certo di cose ne sapeva parecchie, di segreti ne custodiva molti.

Perché si trovasse in un ospedale di Nairobi non è chiaro. La polizia lo avrebbe individuato a Kampala, in Uganda, dove viveva con la moglie. La morte sarebbe arrivata per una cirrosi epatica, conseguenza di una grave epatite. Aveva una fattoria e sembra che lavorasse per il Governo, anche se per molti anni viene segnalato come mercenario e poi come trafficante di oro, armi e legnami pregiati. La Criminalpol ha tenuto d’occhio i suoi familiari per mesi.

E le segnalazioni sono finite in un fascicolo d’inchiesta che è stato assegnato al pm romano Giuseppe De Falco. È stata tentata la via della rogatoria internazionale, ma senza risultato: nessuno ha risposto. Per gli investigatori c’era un’unica possibilità: aspettare che facesse un passo falso, che venisse in Italia per trovare qualcuno. I parenti della moglie dicono che non sapevano assolutamente che si trattasse di un super latitante: «Per noi era un ragazzo d’oro», spiegano. Hanno saputo del suo passato solo quando la polizia è andata a trovarli.

E di passato ne aveva, Antonio D’Inzillo. La sua vita è stata segnata dal coinvolgimento con i Nar sin da giovanissimo. Per il primo omicidio sconta 16 anni e torna libero nell’85. Sono anni in cui si parla poco di lui, fino agli inizi del ’90 quando si fidanza con Patrizia Spallone, figlia del ginecologo Ilio. Due mesi dopo rientra in carcere perché accusato, questa volta, di aver partecipato all’organizzazione di un tentativo di evasione da Rebibbia: esplosivo nascosto in una torta destinata a Concutelli. Il fidanzamento con la Spallone finisce tragicamente, la ragazza “vola” dall’auto in corsa e lui viene accusato di omicidio volontario.

Nel frattempo D’Inzillo diventa sempre più un bandito comune che sembra godere, però, di particolari protezioni. Nel ’90 l’ultimo atto noto della sua carriera di criminale: è lui a guidare la moto che porta Dante Del Santo in via del Pellegrino, dove verrà ucciso “Renatino” De Pedis. Per quell’omicidio Antonio D’Inzillo viene condannato all’ergastolo, ma ormai ha già fatto perdere le sue tracce.

Ora, dall’ospedale di Nairobi e dai parenti della moglie, arriva la notizia che è morto. Gli inquirenti sembrano nutrire molti dubbi sul decesso, anche se la famiglia dice: «Ce l’aveva chiesto lui di essere cremato». Ma che si tratti del terrorista nero o di una qualsiasi altra persona sarà comunque impossibile stabilirlo.


Cristiana Mangani per “Il Messaggero”, 26 Giugno 2008

Etrusco
00martedì 1 luglio 2008 00:07
ERRORE DI PERSONA?
– NELLO STESSO PALAZZO DI EMANUELA ABITAVA RAFFAELLA GUGEL, FIGLIA DI UN FUNZIONARIO VATICANO
– ESTERMANN, CAPO DELLE GUARDIE SVIZZERE CHE VERRÀ ASSASSINATO, SPIA DELLA STASI…


Rita Di Giovacchino per “Il Messaggero”



C’è una «città sotterranea» dietro l’accesso segreto dell’anonima palazzina di Monteverde.
La scoperta arriva un quarto di secolo dopo
grazie a Sabrina Minardi, testimone vacillante, ma non sul nascondiglio segreto dei boss romani. In questi anni sono stati setacciati alberghi, residence, ville, barche. Ma non era stato scoperto il passaggio segreto alla rete di cunicoli dell’ospedale San Camillo. E’ stata davvero tenuta prigioniera qui Emanuela Orlandi? Per il momento il giallo della ragazzina scomparsa il 22 giugno 1983 ha trovato un punto d’approdo.

Emanuela aveva 15 anni, era nata il 14 gennaio del 1968, quindici giorni prima della rivolta studentesca. Cittadina vaticana, quarta figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, Ercole Orlandi. E questo segnerà il suo destino. Nello stesso palazzo abitava un’altra ragazza, Raffaella Gugel, più o meno la stessa età, la stessa capigliatura bruna. Ai primi di luglio, quando Roma è già invasa dai tremila manifesti con la foto di Emanuela, si scopre che tre donne della famiglia Gugel forse erano state seguite, ma la famiglia Orlandi non lo aveva saputo.


Flavio Carboni (AP)

Angelo Gugel, padre della ragazza, aveva un ruolo più importante rispetto ad Ercole Orlandi, era segretario di Camera di Papa Wojtyla.
Uno scambio di persona?

Una zia della Ragazza, Rita Gugel, era intestataria di società facenti capo a Flavio Carboni, tuttora imputato dell’omicidio Calvi anche se assolto in primo grado. Ma nessuno ha mai collegato questi anelli. «Manca solo che gli addebitino l’attentato alle Torri gemelle», è stato il commento dell’avvocato Renato Borzone

Intrecci trascurati in una prima fase delle indagini
, mentre prendeva corpo la pista dei Lupi Grigi, convalidata dalle dichiarazioni di Ali Agca. Un depistaggio della Stasi, dice ora il colonnello Bohansak, ex capo dei servizi segreti della Ddr. Di sicuro Emanuela quel 22 giugno arrivò a lezione in ritardo alla scuola di musica, dietro la chiesa di Sant’Apollinare. Spiegherà per telefono alla sorella di essere stata abbordata da un rappresentante della Avon, è la sua ultima telefonata.

Quel giorno le telecamere di sorveglianza del Senato non erano in funzione, ma l'appuntato Bruno Bosco e il vigile urbano Alfredo Sambuco, riferirono di averla vista parlare con un uomo che si era poi allontanato con una BMW scura. Una Bmw verde bottiglia, non fabbricata in Italia, la stessa su cui talvolta era stata vista circolare anche Sabrina Minardi. Ne sortì un identikit: quello di un uomo giovane, smilzo, stempiato.

Nei giorni successivi arrivarono in casa Orlandi telefonate sospette fatte da due uomini diversi: uno disse di chiamarsi Pierluigi, l’altro Mario. Mario, secondo il pentito Antonio Mancini, era un killer spietato della Banda della Magliana. Ma lo ha detto 20 anni dopo. Il 5 luglio arriva la prima telefonata in Vaticano. E’ l’Americano, l’uomo dall’accento straniero suggerisce uno scambio tra la ragazza e Alì Agca. Il 6 luglio viene fatta trovare la fotocopia della tessera della scuola di musica. La ragazza era viva, in mano loro. Chi sono loro?

L'Americano fa in tutto 16 telefonate, in prevalenza le chiamate arrivavano da cabine telefoniche dell’Appio Latino. La polizia mise fuori uso molte cabine, disseminò la zona di volanti, si disse che l’uomo sfuggì per un soffio alla cattura. Il direttore del Sisde Vincenzo Parisi fece un'identikit del "Amerikano", tenuto all’epoca nascosto, dove per la prima volta veniva fatto il nome del cardinale Paul Marcinkus, presidente dello IOR. Sembra in realtà si trattasse di un agente segreto poi identificato.

Il processo sul caso Orlandi si chiuse il 19 dicembre 1997. Nessuna prova del complotto terroristico. Eppure il giudice Imposimato aveva indicato due spie della Stasi in servizio al Vaticano: una di queste è Alois Estermann, capo delle guardie svizzere che verrà assassinato con la moglie il 4 maggio 1998.


Rita Di Giovacchino per “Il Messaggero”, 27 Giugno 2008

Etrusco
00martedì 1 luglio 2008 01:32
LA PISTA ORLANDI PORTA A 5 DELITTI IN FOTOCOPIA
- BERTONE "SCANDALO ESTIVO CREATO AD ARTE"
- COSSIGA: DE PEDIS SEPOLTO IN BASILICA? IL SEQUESTRO ORLANDI NON C’ENTRAVA NULLA…





1 - LA VERITÀ DI BERTONE "SCANDALO ESTIVO CREATO AD ARTE" Da “la Repubblica” - «Uno scandalo estivo creato ad arte».

Così il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, torna sul caso Orlandi, su Avvenire. Intanto la Procura disporrà la comparazione fonetica tra le voci dei telefonisti che chiamarono casa Orlandi e quelle di alcuni esponenti della Banda della Magliana, a cominciare da un 50enne somigliante a uno degli identikit tracciati nell´83.


2 – COSSIGA: DE PEDIS SEPOLTO IN BASILICA? IL SEQUESTRO ORLANDI NON C’ENTRAVA NULLA
Bruno Volpe per Petrus
[SM=x44467]


www.papanews.it/dettaglio_interviste.asp?IdNews=8250#a

I ‘giallisti’ più incalliti mettono in relazione la sepoltura in una Chiesa di Roma di Renato De Pedis, il capo storico della ‘Banda della Magliana’, con la sparizione della Orlandi. Come se lo spiega?
“Le do’ una risposta precisa. Un alto Prelato di Curia, di cui per ovvii motivi non rivelerò il nome, mi confidò che Renatino De Pedis si era convertito al cattolicesimo in maniera sincera, aveva cambiato vita e donato un’ingente somma alla Chiesa da devolvere in opere di carità. In cambio, sapendo di dover morire a breve, chiese al Cardinale Poletti, che all’epoca era il Vicario del Papa per la Diocesi di Roma, di essere interrato nella Basilica di Santa Apollinare. Poletti avrebbe potuto rifiutarsi, ma con grande leggerezza acconsentì. Ecco come andarono davvero i fatti: il sequestro Orlandi non c’entrava nulla”.


3 - LA PISTA ORLANDI PORTA A 5 DELITTI IN FOTOCOPIA
Gian Marco Chiocci per “Il Giornale”



C’è un filo rosso che lega la scomparsa di Emanuela Orlandi al destino di altre donne uccise a Roma nello stesso periodo.

Un filo sottilissimo che ha ripreso corpo con le dichiarazioni dell’amante del boss Enrico De Pedis convergenti con le risultanze trovate dal giudice del processo alla Magliana, Otello Lupacchini, nel libro Dodici donne, un solo assassino redatto insieme allo scrittore Max Parisi. Le scoperte sono ora al vaglio degli inquirenti del caso Orlandi perché i riscontri cominciano a essere troppi. A cominciare da Mario Ilario Ponzi che rivendicò il sequestro di Emanuela chiedendo la liberazione di Ali Agca. Arrestato nel 1982 per una rapina che attirò l’attenzione del Papa, Ponzi venne rinchiuso nella cella proprio accanto a quella di Agca.

Scarcerato sei mesi prima della sparizione di Emanuela, venne riarrestato nel 1985 perché considerato l’autore dei messaggi depistanti siglati «Turkesh». Fu giudicato un mitomane, anche se quei comunicati contenevano riferimenti che solo gli autori del sequestro (compreso il misterioso telefonista Mario) potevano sapere. A cominciare dai capelli di Emanuela, tagliati corti, dettaglio ribadito dalla superteste Sabrina Minardi. E dal collegamento con un’altra ragazza scomparsa nel nulla, Mirella Gregori, adescata con lo stesso trucco usato per la Orlandi (profumi Avon, sfilata con le Sorelle Fontana) visto che anche lei si occupava dei medesimi prodotti cosmetici.

Questo personaggio risulta irreperibile ma vive a Londra, dove frequenta l’ambasciata italiana e un alto prelato cresciuto all’ombra di Marcinkus che lo avrebbe aiutato nella latitanza. Quando si trovava a Roma, Ponzi viveva in piazza Vescovio, dirimpetto il garage frequentato da illustri personaggi del processo alla Magliana e del delitto Calvi, garage nel quale il funzionario del Sisde, Giulio Gangi, rintracciò l’auto del sequestro descritta dal vigile urbano Sambuco, l’ultimo a vedere viva Emanuela.




Lo 007 trovò anche la donna che aveva portato l’auto in officina: albergava presso il residence «Mallia» dove troverà la morte (con un colpo di pistola alla testa) anche la segretaria del criminologo Aldo Semerari, perito di fiducia della Magliana. L’incontro non andò bene, Gangi fu messo bruscamente alla porta e quando tornò in ufficio venne esautorato dalle indagini. Lo 007 non esclude che quella signora bionda fosse proprio la superteste Sabrina Minardi, amante di De Pedis e moglie del calciatore Bruno Giordano, compagno di squadra dello stopper Arcadio Spinozzi citato a chissà quale titolo in uno criptico scritto del «Turkesh».

Secondo questa nuova pista, Emanuela non sarebbe stata uccisa da «Renatino» De Pedis bensì da uno o più serial killer collegati indirettamente alla Magliana che in quegli anni fecero fuori, con il medesimo modus operandi, almeno altre 11 ragazze.

La Bandaccia probabilmente subentrò in seconda battuta nel sequestro.
Sfruttò il clamore del caso accentuato dai ripetuti appelli del Papa per rientrare, attraverso lo Ior, dei 24 miliardi dati a Calvi (trovato impiccato a Londra): lo fece minacciando il Vaticano.
Entrò nel rapimento Orlandi attraverso un noto faccendiere, amico di Diotallevi, proprietario di un negozio vicino al luogo in cui Emanuela fu vista l’ultima volta e del garage dove finì la Bmw Touring utilizzata per il rapimento. La ragazza, dunque, sarebbe stata assassinata da un uomo (o più di uno) che prima di lei aveva ucciso già un’altra ragazza e dopo ne eliminò altre dieci.

La tredicesima vittima predestinata, oggi noto avvocato romano, sorella di un famosissimo attore, conferma d’esser stata attirata in una trappola uguale a quella tesa a Emanuela ed altre ragazze e scoperta dallo 007 del Sisde che ne ebbe conferma direttamente dalla casa di moda: «È vero - risposero negli uffici delle Sorelle Fontana - altre ragazze sono venute qui chiedendo spiegazioni su queste sfilate con profumi Avon.

Ma nessuna sfilata c’è mai stata». Di lì a poco capitò che il Sisde convinse una giovane, contattata con le solite modalità, a reggere il gioco nell’appuntamento all’Eur. Venne fermato un ragazzo ma fu subito rilasciato perché non combaciava con la descrizione del vigile Sambuco. Poi si è scoperto che quello stesso ragazzo era in società con un amico del boss De Pedis che abitava nello stesso, minuscolo paese, del depistatore «turco» Mario Ilario Ponzi.

Questo filo, con analoghe modalità, si dipana su dodici donne morte ammazzate a Roma tra il 7 aprile 1982 e il 7 agosto 1990 (l’ultima è Simonetta Cesaroni). Di queste, cinque avrebbero catturato l’attenzione degli inquirenti per determinate analogie sulla modalità di ricerca della preda e sull’esecuzione del delitto. La prima è Rosa Martucci, 20 anni, ritrovata sull’Appia Antica. A seguire Augusta Confaloni, poi Katy Skerl, Cinzia Travaglia, Marcella Giannitti. Tutte attirate in trappola e poi strangolate. Tutte rimaste senza colpevole.


30 Giugno 2008
Etrusco
00martedì 1 luglio 2008 01:40
I PM: SABRINA MINARDI È ATTENDIBILE
– DELLA PRESUNTA PRIGIONE DI EMANUELA RICORDA I COLORI, I MOBILI, I QUADRI
– QUESTO, PURTROPPO, È UN NON-PROCESSO NEL QUALE I VIVI SI AGGRAPPANO AI MORTI…



Daniele Mastrogiacomo per “La Repubblica”



Sabrina Minardi fatica a dimenticare.

Chiusa nella sua stanza in una clinica di disintossicazione, combatte le crisi d´astinenza da cocaina. Solo la tv riesce a distrarla da un´angoscia che la tormenta. E´ l´estate scorsa. In tv c´è una puntata di «Chi l´ha visto?». Si parla di Emanuela Orlandi e della banda della Magliana. Sabrina si appassiona. Adesso parlano del suo vecchio compagno. Chiama qualcuno. Un anonimo. Dice che per risolvere il giallo bisogna andare a vedere chi è sepolto nella Basilica romana di Sant´Apollinare. Sabrina ha un sussulto.

Sa bene che in una delle cripte è stato tumulato il suo vecchio amante, ucciso per strada nel 1990. Spegne la tv, riflette, si chiede se sia venuto il momento di lasciare il tunnel in cui si è cacciata negli anni 80. La cocaina l´ha distrutta, cerca di disintossicarsi. Chiama un suo vecchio amico d´infanzia, un ispettore di polizia. Chiede consigli, ne parlano insieme. Lei si apre e inizia a raccontare.

Il poliziotto ascolta, torna a Roma, riferisce le confidenze della sua amica al capo della Mobile Vittorio Rizzi. Il funzionario è scettico. Non si fida. Una cocainomane, ex donna di un boss della malavita. Può millantare, cercare pubblicità, soldi, ricattare. Ogni parola va presa con le pinze, bisogna verificare tutto. Spedisce di nuovo l´ispettore dalla signora Minardi e gli affianca un poliziotto di esperienza, la dottoressa Petrocca. E´ una donna e tra donne certe sfumature si colgono meglio e subito.

Si portano dietro un registratore. Sabrina Minardi non vuole lasciare nulla di scritto, ma accetta di far incidere le sue rivelazioni. Ad una condizione: il suo nome deve restare segreto. I due poliziotti torneranno dalla nuova supertestimone tre volte. Faranno ascoltare i nastri ai dirigenti della Questura, li trasmettono in Procura. In gran segreto e senza destare alcun sospetto, si dispongono gli accertamenti. Al catasto, alla motorizzazione, al Comune. Auto, case, appartamenti, ristoranti, locali. Ogni singolo luogo indicato dalla Minardi viene verificato. E puntualmente confermato.

Nel marzo scorso, la donna viene portata a Roma e davanti ai vertici della Questura e della Procura riuniti al completo ripercorre ancora una volta il suo racconto. Al pm Simona Maisto, titolare dello stralcio sul caso Orlandi, viene affiancato il sostituto Andrea De Gasperis. E´ una garanzia, perché rappresenta la memoria storica sulla banda della Magliana. Ed è proprio De Gasperis che scopre le prime incongruenze.



La Minardi ammette dei vuoti di memoria. La cocaina brucia il cervello e il tempo non aiuta quando si devono ricordare date e luoghi. Ma per il resto, i dettagli sono precisi. La donna elenca le scene, le case, i colori, i mobili, le piante, persino i quadri della casa in cui sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela. Gli investigatori, sorpresi, si arrendono davanti all´evidenza.

Giovedì mattina cercano e trovano l´appartamento-prigione di Emanuela Orlandi. Le indicazioni sono state fornite dalla Minardi. «La sua descrizione», ammette sbalordito un investigatore, «ci è servita come una mappa. Centimetro per centimetro. Siamo andati a colpo sicuro. E abbiamo trovato il locale dove De Pedis le aveva confidato aver chiuso la Orlandi». L´ambiente è rimasto isolato come un sarcofago.

Adesso si conosce il Dna, la scienza consente veri miracoli. Gli inquirenti sperano di trovare la prova regina: quella che potrebbe dimostrare la presenza di Emanuela. La proprietaria della casa, la signora Daniela Mobili, moglie di Danilo Abbruciati, nega con forza l´ipotesi che la figlia del messo del Vaticano possa essere stata tenuta prigioniera nella cantina.


Sabrina Minardi sostiene che la ragazza era stata accudita dalla domestica, la signora Teresina. La stessa che avrebbe accompagnato Emanuela all´appuntamento al Gianicolo prima di essere portata davanti a Porta Angelica e consegnata nelle mani di un prelato. «Impossibile», dice agli inquirenti la Mobili, «la domestica veniva ogni tanto». Si interroga la signora Teresina. Nega, sdegnata, il suo ruolo di carceriera e di accompagnatrice di Emanuela. Ma finisce per smentire la stessa Mobili. «Lavoravo in quella casa ogni giorno», replica, «dalle 9 alle 17».

Quella casa, improvvisamente, fa paura a tutti. «Ogni amico, conoscente, esponente della vecchia banda della Magliana», osservava ieri un investigatore, «nega di conoscerla o di esserci stato. E´ singolare. Non ci sarebbe nulla di male, se fosse un luogo, diciamo, pulito. Tanto distacco è sospetto. Ci conferma che siamo sulla pista giusta. Ci convince, ogni giorno di più, che Sabrina Minardi dice la verità. Anche se questo è un non - processo. Sono morti tutti. Presunti mandanti ed esecutori».


30 Giugno 2008

Etrusco
00martedì 1 luglio 2008 18:15
ORLANDI & ALI AGCA
- BUSH SR DISSE A PAPA WOJTYLA: "SMETTA DI INDAGARE, MICA POSSIAMO DICHIARARE GUERRA ALL’URSS"

- COSÌ 11 ANNI FA ‘IL FOGLIO’ SCRIVEV DI UN MISTER X CHE "PORTA LA TONACA"…




Bush Sr. e Papa Wojtyla

© Foto La Presse

1 – BUSH SR DISSE A PAPA WOJTYLA: SMETTA DI INDAGARE, MICA POSSIAMO DICHIARARE GUERRA ALL’URSS
Riceviamo e pubblichiamo:

Gent. Dagospia,
considerato che prosegui nella proporre all’attenzione il caso di questa sfortunata ragazza “beccati” anche questa variante del filone ‘Terrorismo internazionale’. Solo che non è ben chiaro chi siano i VERI terroristi!!!

Cordiali saluti.

Da EFFEDIEFFE.com:
www.effedieffe.com/content/view/3699/174/

“Il poco che posso dire su Emanuela Orlandi è che apparentemente fu rapita come «avvertimento» al Papa, che stava indagando in direzioni sgradite sull’attentato di cui era stato vittima, per mano di Ali Agca. Ali Agca, ogni tanto, negli anni, durante le udienze processuali, tirava fuori la storia: «La Orlandi è viva...». Lasciava capire che il destino della ragazza era legato alle sue fortune processuali? Sappiamo che fu Andropov, capo del KGB, a cercare qualcuno che «potesse avvicinarsi fisicamente al Papa». I servizi bulgari gli trovarono il killer, un Lupo Nero, di «destra».

Giovanni Paolo II - che dai decenni polacchi aveva imparato alcune cose sulla realtà - stava conducendo, per suoi canali, delle indagini discrete. A quel punto, l’allora vicepresidente USA - George Bush padre, che era stato direttore della CIA - chiese un’udienza urgente. Secondo alcuni, disse al Papa: smetta di indagare, mica possiamo dichiarare guerra all’URSS...


Ali Agca era stato addestrato in Libia, in un campo in cui estremisti neri come lui si esercitavano a fianco di elementi rossi, come la Rote Armee Fraktion e l’Armata Rossa Giapponese, e a terroristi palestinesi. Gli addestratori erano due ex agenti della CIA, Frank Terpil e Ed Wilson, che erano stati cacciati dalla CIA insieme al loro capo, Theodor Shackley, con l’accusa di aver allestito una «CIA parallela» che faceva la guerra a modo suo.

George Bush era il grande protettore di Shackley e dei suoi ragazzi, ma non potè nulla contro la volontà di Jimmy Carter (il presidente) di ripulire le stalle. Terpil & Wilson finirono nella Libia di Gheddafi, ad addestrare chiunque. Gli assassini, nel mondo dello spionaggio, vengono condivisi.”


2 - COSÌ UNDICI ANNI FA IL FOGLIO SCRIVEVA DI EMANUELA ORLANDI E DI UN MISTER X CHE "PORTA LA TONACA"
Dal Foglio del 9 ottobre 1997


Sul giallo della scomparsa di Emanuela Orlandi, la giovane figlia di un messo pontificio svanita nel nulla la sera del 22 giugno 1983 nel centro di Roma, il Vaticano non ha offerto tutta la collaborazione necessaria alle indagini. Ne sono convinti i magistrati che da quattordici anni cercano di far luce su un mistero complesso fatto di messaggi trasversali, depistaggi e inutili tentativi di mediazione.

Mentre la prima inchiesta si avvia verso l’archiviazione e una seconda, forse più scottante, sta per essere avviata, dalle carte dei giudici emergono particolari inquietanti. Uscita dalla scuola di musica in un caldo pomeriggio di giugno e scomparsa nel centralissimo corso Rinascimento, praticamente davanti al Senato, la figlia quindicenne del dipendente vaticano non ha mai fatto ritorno a casa.


La segreteria di Stato della Santa Sede aveva messo a disposizione una linea telefonica riservata grazie alla quale i rapitori potevano contattare direttamente il cardinale Agostino Casaroli. Lo stesso Giovanni Paolo II chiese per otto volte pubblicamente il rilascio di Emanuela. I messaggi e le telefonate si erano susseguiti: alcuni misteriosi interlocutori avevano chiesto la liberazione di Ali Agca in cambio della vita della giovane e avevano collegato la scomparsa di Emanuela con quella di un’altra ragazza romana, Mirella Gregori, svanita nel nulla il 7 maggio dell’83.

Sono gli anni dell’attentato al Papa, della nascita di Solidarnosc in Polonia, del crack del Banco Ambrosiano, della vicenda di monsignor Paul Marcinkus al vertice dello Ior, della guerra delle Falkland. Per gli inquirenti l’ipotesi più accreditata è che dietro le quinte vi sia stato qualcuno di molto potente, in grado di mandare precisi segnali oltretevere per cercare di condizionare in qualche modo la politica della Santa Sede: “Da parte degli interlocutori”, ha affermato in un’intervista il giudice istruttore Adele Rando, “l’importante era far arrivare dei segnali, facendo capire che essi erano a conoscenza di certi particolari sulla vita privata delle due ragazze”. Il padre di Emanuela, Ercole Orlandi, nel maggio 1992 si era detto addirittura convinto dell’esistenza di un basista in Vaticano.

Le perplessità del prefetto Parisi. “L’intera vicenda Orlandi fu caratterizzata da una costante riservatezza da parte della Santa Sede che, pur disponendo di contatti telefonici, e probabilmente diversi, non rese partecipi dei contenuti dei suoi rapporti la magistratura e le autorità di polizia”. Così si esprimeva il 9 febbraio 1994 il prefetto Vincenzo Parisi (l’ex capo della polizia deceduto tre anni fa) di fronte al giudice Rando.

La deposizione di Parisi, all’epoca della scomparsa di Emanuela vicedirettore del Sisde, è contenuta nella richiesta di proscioglimento, avanzata dal sostituto procuratore generale della Corte d’appello di Roma, Giovanni Malerba, di alcuni esponenti dei “Lupi grigi” indiziati nel corso di questi anni di concorso in sequestro di persona. “Ritengo che le ricerche conoscitive sulla vicenda”, disse ancora Parisi nel ’94, “siano state viziate proprio per il diaframma frapposto tra lo Stato italiano e la Santa Sede.

L’intero svolgimento del caso fu caratterizzafini di palese depistaggio, lasciando nel dubbio gli operatori. Intendo dire che non è ancora agevole stabilire se la scomparsa della ragazza e le vicende che ne sono seguite fossero collegate da un unico nesso, o se invece l’attività destabilizzante si fosse sovrapposta alla scomparsa della ragazza, avvenuta, eventualmente, in modo autonomo”.

Riportando ampi stralci della deposizione del prefetto, il pg Malerba sottolinea: “Le riferite valutazioni circa il riserbo che ha costantemente caratterizzato la condotta delle autorità vaticane, lungi dal costituire isolate e personali opinioni del teste (cioè di Parisi, ndr.), trovano concreto supporto negli atti della formale istruzione”. Al sostituto procuratore generale “non risulta agevole comprendere le ragioni” della condotta assunta dalla Santa Sede. E il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, due giorni fa ha affermato: “Il Vaticano non ha aiutato una sua cittadina”.


Tre rogatorie senza risposta. Il pg Malerba offre anche qualche esempio di questa scarsa collaborazione e descrive le tre rogatorie “richieste ed espletate presso la Santa Sede”, il 13 novembre 1986, il 2 marzo 1994 e, infine, il 7 marzo 1995. Nella prima il giudice istruttore chiedeva al Vaticano “la trasmissione di ogni utile notizia” e in particolare “se effettivamente siano pervenuti nello Stato della Città del Vaticano, o siano stati indirizzati alle autorità del medesimo, messaggi telefonici o scritti riferentisi alla scomparsa delle due giovani”.

La Santa Sede rispose per via epistolare precisando che tutte le notizie utili erano “state trasmesse a suo tempo al pm dottor Domenico Sica”. Malerba però osserva che “di tali notizie lo scrivente non rinviene traccia in atti”. Nella seconda rogatoria, il giudice istruttore Rando puntò molto in alto e chiese di poter ascoltare direttamente i cardinali Agostino Casaroli e Angelo Sodano (cioè l’ex segretario di Stato e l’attuale segretario di Stato), l’ex assessore alla segreteria di Stato e attuale sostituto Giovanni Battista Re, l’ex reggente e attuale prefetto della Casa pontificia Dino Monduzzi e infine l’ex sostituto (oggi cardinale) Eduardo Martinez Somalo, “che aveva seguito il tentativo di stabilire un contatto con i presunti rapitori della Orlandi”.

Il Vaticano
, al contrario di quanto dice il portavoce del Papa Joaquin Navarro Valls, secondo il quale la Santa Sede ha sempre fornito sul caso il massimo della collaborazione possibile, non accolse la richiesta e, appellandosi a una “normativa interna” impedì che gli alti prelati parlassero con il giudice istruttore.
Decisione formalmente ineccepibile, dato che la Città del Vaticano è uno Stato straniero, ma che ha suscitato qualche perplessità.

Per quanto riguarda i documenti, da oltretevere arrivarono soltanto carte che Malerba definisce prive di utilità. Anche alla terza e ultima rogatoria, quella del marzo ’95, la Santa Sede rispose negando la possibilità al giudice istruttore di ascoltare i testimoni. Perché questo muro di gomma? Perché questa scarsa collaborazione? E, soprattutto, perché il caso Orlandi, a distanza di quattordici anni, è ancora in grado di tenere sulle corde l’establishment vaticano? Il sostituto procuratore generale, prosciogliendo dalle accuse i Lupi grigi e Ali Agca, a proposito dell’atteggiamento tenuto dalle autorità della Santa Sede, osserva: “Se tale riserbo era doveroso nei confronti dei mass media, non altrettanto può apparire nei confronti degli inquirenti”.

Una pista che porta in Vaticano. “Ci sono elementi nell’istruttoria che fanno molto pensare… un solco misterioso che porta molto in alto… Una pista che passando attraverso le mura vaticane potrebbe condurre vicino alla soluzione del mistero”. Parola di Ilario Martella, il magistrato che ha condotto fino al 1990 le indagini sul caso Orlandi. Il caso Orlandi in questi anni è stato fatto riesplodere ciclicamente: se ne è parlato l’ultima volta diffusamente nel marzo 1995, quando sono finiti in prigione un sacerdote foggiano, don Tonino Intiso, e altri due loschi personaggi. Questi ultimi avevano chiesto, tramite l’ingenuo sacerdote, un riscatto miliardario in cambio di un contatto con i presunti rapitori di Emanuela, che sarebbe ancora viva. Tutto falso. Si è trattato soltanto di un tentativo di estorsione. Resta da spiegare perché, per circa un anno, alcune persone del Vaticano hanno tenuto in piedi una trattativa con i ricattatori senza avvertire la polizia italiana.


L’uomo che in questi tredici anni ha seguito passo dopo passo le indagini sul caso è Nicola Cavaliere, che all’epoca dei fatti lavorava alla squadra mobile di Roma. Il dirigente di polizia ha invitato a tener presente il contesto in cui il rapimento Orlandi è maturato, quello dei “primi anni Ottanta, un periodo in cui sono accaduti, o stavano per accadere, importanti avvenimenti sulla scena internazionale” e ha sempre smentito l’ipotesi che la scomparsa di Emanuela fosse dovuta a una fuga d’amore o a un allontanamento volontario da casa della ragazza.

“Non credo proprio che sia fuggita volontariamente”, ha detto, “e non esiste alcuna prova certa della sua esistenza in vita fin dal primo momento successivo alla scomparsa, così come, d’altra parte, non esiste alcuna prova certa della sua morte”. Cavaliere ritiene plausibile l’ipotesi del ricatto al Vaticano: “Se il caso si fosse risolto positivamente o tragicamente, saremmo arrivati comunque alla verità. Invece questa incertezza è stata voluta. Gli organizzatori hanno probabilmente ancora oggi interesse a tirare fuori la vicenda in determinati momenti per tenere sulle corde certi ambienti. Si vuole che qualcuno resti sempre allertato sul caso, nonostante sia passato così tanto tempo”.

Mister X porta la tonaca. Una traccia importante per comprendere il contesto in cui si è sviluppato il caso è rappresentata da un documento del Sisde, dal quale risulta che il personaggio che ha gestito il sequestro e ha inviato messaggi al Vaticano potrebbe essere un monsignore americano. Nel dossier, preparato da un’equipe di analisti che hanno avuto in mano gli originali delle lettere, vengono analizzati i messaggi che “furono indicati in un primo momento come redatti da un soggetto sgrammaticato e confuso. Al contrario essi appaiono a un attento esame non solo grammaticalmente corretti ma addirittura linguisticamente superiori alla norma.

Infatti sia gli assiomi desueti riportati, sia il particolare inizio di ogni frase - quasi sempre mister X esordisce con un verbo - sia il caratteristico uso del plurale appaiono come tendenza linguistica di non facile riscontro. Il tutto però ha una sua giustificazione: verosimilmente il soggetto in esame è un profondo conoscitore della lingua latina, anzi possiamo affermare che mister X conosceva meglio la lingua latina di quella italiana. E ciò è solamente possibile nel caso che il soggetto sia uno straniero che in un primo momento ha acquisito l’idioma latino e poi successivamente quello italiano.

Infatti un italiano con profonda conoscenza del latino manterrebbe inalterato il suo background stilistico e linguistico, che al limite ne sarebbe migliorato. Non si sognerebbe mai di utilizzare ‘translatare’ al posto di ‘trasferire’, ‘novello’ al posto di ‘nuovo’…”. Il dossier si conclude riassumendo le caratteristiche dell’uomo che ha gestito il caso Orlandi: “Un uomo straniero di età superiore ai 45/50 anni, di altissima cultura, abituato a convivere con le gerarchie ecclesiastiche, domiciliato a lungo a Roma, città che conosce bene”. L’identikit di un ecclesiastico.


01 Luglio 2008
Etrusco
00venerdì 4 luglio 2008 17:43
NON TOCCATE “RENATINO”
– UN EX BANDA DELLA MAGLIANA SMENTISCE LA MINARDI: NEL BUNKER CI SI NASCONDEVA DE PEDIS, CHE COL SEQUESTRO ORLANDI NON C’ENTRA
– SABRINA È INATTENDIBILE, SI STRAFACEVA DI COCA…

Marino Bisso per “la Repubblica –Roma”



«C´è chi dice che assomiglio all´identikit che avete pubblicato, quello del rapitore della Orlandi. Ma se anche fosse non significherebbe nulla. La verità è che non c´entro nulla così come non c´entra nulla Renatino. Quella casa sulla Gianicolense non era la prigione di Emanuela ma il rifugio segreto dove si nascondeva Renatino ricercato dalla polizia...». A parlare è un ex componente della banda della Magliana finito nelle nuove indagini sul rapimento della quindicenne figlia del commesso della prefettura Vaticana sparita il 22 giugno dell´83.

Gli inquirenti hanno riscontrato una somiglianza con uno degli identikit dei presunti sequestratori di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori. Allora aveva poco più di 20 anni e il suo nome non è mai apparso nelle grandi inchieste sui malaffari del gruppo criminale. Al fianco del ex uomo di De Pedis c´è una persona che ha conosciuto profondamente Renatino e assieme, con la garanzia nell´anonimato, hanno deciso di parlare della superteste Sabrina Minardi e del boss dei Testaccini.

«Sabrina dice tante bugie e solo qualche cosa vera. Mente quando dice che nell´appartamento con cantina del Gianicolense era stata tenuta sequestrata la Orlandi. Quel posto era un nascondiglio ma non per i sequestrati, per i ricercati. Era il rifugio di Renatino. La sotto lui si è nascosto molte volte soprattutto quando ebbe un incidente con la moto. Non poteva muoversi e aveva bisogno di stare in un posto sicuro. Quella cantina era ideale perché aveva una via di fuga e attraverso i sotterranei si poteva scappare verso il San Camillo».


Quale era il rapporto tra la Minardi e Renatino?
«La Minardi me la ricordo bene: era bellissima ma già allora si strafaceva di coca. Nessuno di noi le avrebbe mai detto qualcosa d´importante. Figuriamoci Renatino... Non le avrebbe mai detto quelle cose sulla Orlandi. E poi Sabrina non è mai stata la sua donna. Sì, hanno avuto una storia ma poi finì. Di lei se ne serviva, diciamo così, per raggiungere persone importanti e politici. Sabrina era l´esca per i "pesci grossi". Mi ricordo quando tentò di ricattare Mino Martinazzoli.

Allora era ministro della Giustizia e in parlamento si discuteva il progetto per rendere più dure alcune misure detentive.
Renatino aveva attrezzato la casa dell´Eur, l´aveva riempita di specchi dietro ai quali aveva sistemato delle macchine da presa. Aveva già ingaggiato degli operatori di Cinecittà per riprendere le scene di sesso. Per rendere Sabrina ancora più sexy le aveva pagato le spese per rifarsi il seno troppo piccolo e le caviglie troppo grosse. Poi, la trappola a Martinazzoli fallì perché non accettò di incontrarla».


Perché la Minardi si è decisa a parlare?
«Penso che abbia fatto tutto questo per aiutare la figlia che è nei guai e rischia di scontare molti anni di carcere. Ma potrebbe anche cercare denaro accreditandosi come collaboratrice di giustizia».

Cosa ne pensano gli amici di Renatino?
«Non abbiamo paura dell´inchiesta. Ma ci da´ fastidio vedere infangato Renatino con la storia Orlandi. Renato avrà fatto tante cose che neppure io so, ma non questa. Era uno capace di ammazzarti ma non avrebbe mai organizzato rapimenti. Era contrario ai sequestri. Odiava la prigione e diceva "non diventerò mai un carceriere".
Lo sa bene anche l´avvocato Rocco Condoleo che, anni fa, mi ha difeso in un processo per droga dove fui assolto. Lui era il suo difensore "storico" poi quando Renatino finì in cella con Enrico Nicoletti decise di prendere come avvocato Wilfredo Vitalone perché gli avevano detto che il fratello, Claudio, stava per diventare ministro della Giustizia».


Cosa c´entra la chiesa di Sant´Apollinare con il caso Orlandi?
«Non ne ho idea. So solo che Renato aveva un rapporto particolare con questa chiesa. Si era sposato lì e andava spesso a parlare con i preti. Era religioso. Aveva espresso il desiderio di essere sepolto lì ed è stato accontentato. Renatino non era solo un boss. In quegli anni aveva aiutato tanta povera gente che aveva bisogno di lavorare. E lui aveva amicizie ovunque anche nel campo della moda. Renatino era anche convinto che un giorno avrebbe cambiato vita.

Per questo sua moglie non c´entrava nulla con il suo ambiente e aveva sempre tenuto i familiari fuori dai suoi affari. In casa era il più grande e non voleva che i suoi fratelli facessero la sua fine. Era capace anche di menarli se non gli davano retta. Ma solo perché li adorava. Ora vogliono aprire la sua tomba a Sant´Apollinare per cercare chissà cosa. Ma li dentro troveranno solo Renatino. Ne sono sicuro...».

04 Luglio 2008

Etrusco
00domenica 6 luglio 2008 14:55
LysergicEmanations
00venerdì 25 luglio 2008 13:56
Molto bello e interessante questo topic. Diciamo che è più completo di tutti i libri usciti fino ad adesso sul caso. Mi sembra che non sia stata presa in considerazione l'ipotesi del serial killer (dal libro "Dodici donne un solo assassino" di Lupacchini e Parisi). Cerco da tempo le puntate di Chi l'ha visto? che hanno trattato il fatto in questione. Vedremo come si evolverà la faccenda
Nikki72
00lunedì 8 settembre 2008 21:58


Mettete su RaiTre adesso: pare ci siano novità sul caso Orlandi, se ne parlerà tra qualche minuto [SM=x44515]
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