LE ORIGINI, ovvero l’ estate del 1973. Il 23 agosto andò in scena il primo concerto. Musica nel teatro naturale di Villalago di Piediluco a due passi da Terni. Il programma prevedeva gli Aktuala, un gruppo scomparso da tempo (con il senno di poi, la loro si direbbe world music) e l’orchestra maistream di Thad Jones e Mel Lewis. Era una eccellente big band, anche se più dei tanti solisti di valore oggi si preferisce ricordare la cantante molto giovane e altrettanto graziosa che si chiama(va) Dee Dee Bridgewater. La prima edizione prevedeva altre tre serate, due a Perugia e una a Gubbio, che però saltò per la pioggia. A Perugia, nella maestosa piazza IV Novembre, fecero il loro esordio italiano i Weather Report, e molto fece discutere la performance free-esoterica della Solar Arkestra di Sun Ra. Fin da subito fu chiaro che si trattava di una buona idea, come testimoniava il grande successo di pubblico, a dispetto di una promozione approssimativa. In realtà la gestazione del progetto fu velocissima: dalla visione alla realizzazione concreta passarono pochissimi mesi. Umbria Jazz nacque in un caffè, oggi chiuso, del centro storico di Perugia. Da tempo, Carlo Pagnotta, commerciante perugino appassionato di jazz e frequentatore di lungo corso dei maggiori festival europei, sognava un festival a casa mia. Ne parlò con due esponenti di spicco della allora neonata Regione dell’ Umbria (entrambi poi sarebbero diventati presidenti) che dimostrarono di gradire l’ idea e coinvolsero il loro collega al turismo. Fu stilato un programma artistico di massa con l’ intervento di Alberto Alberti, allora il principale manager italiano dei musicisti di jazz, e la proposta andò in giunta. Fu approvatà’.
GRANDE SUCCESSO, ANZI TROPPO. Le città dell’Umbria, dal fragile equilibrio, scoppiano. In alcune situazioni la popolazione raddoppia. Si cerca da parte degli organizzatori (la Regione e l’Azienda di turismo sono in prima fila, impegnando anche propri funzionari) di fare il possibile, ma il possibile non è sufficiente. Prima dei concerti, anzi già dal primo pomeriggio, le piazze diventano una interminabile distesa di sacchi a pelo.
È difficile spostarsi, per i musicisti è addirittura difficile arrivare, e c’è chi, come Count Basie, non arriva affatto: la sua orchestra resta inesorabilmente ferma nel bus, vittima dello stesso ingorgo in cui sono intrappolati tanti aspiranti spettatori. Certo è che Umbria Jazz dimostra subito di non gradire i toni sfumati e le mezze vie. C’è chi vede con entusiasmo questo singolare esperimento di politica culturale e fa notare come l’immagine stessa della regione ne venga positivamente stravolta. Al contrario, non mancano gli scettici prima e i critici dopo, che vedono Umbria Jazz come una specie di violenza alla tradizionale quiete e al secolare silenzio dell’Umbria. C’è però un aspetto sul quale non ci sono possibili equivoci: la qualità artistica di quei cartelloni era incredibile. Alcuni nomi: Dizzy Gillespie, Sarah Vaughan, Art Blakey, Freddie Hubbard, Count Basie, Stan Getz, Charles Mingus, Gil Evans, Gerry Mulligan, Sonny Stitt, Lionel Hampton, Chet Baker, McCoy Tyner, Lee Konitz. Praticamente, la storia del jazz. Ma c’erano anche innovatori che vivevano allora una fase di grande creatività come Cecil Taylor, Archie Shepp, Sam Rivers, Anthony Braxton. Ci furono anche Carla Bley e Keith Jarrett. In quelle piazze si è ascoltata tanta buona musica.
I NODI VENGONO AL PETTINE nell’edizione ’76, quando i primi problemi, ancora piccoli nelle edizioni precedenti, diventano clamorosi. Il guaio è che in Umbria c’è troppa gente, e questo resta il principale motivo di crisi. Ma c’è anche da dire che parte del pubblico (una parte minoritaria ma vistosa) non è certamente facile da gestire. È un pubblico "estremo", che vive tutto come una dimensione politica. In Italia sono i cosiddetti anni di piombo. Umbria Jazz viene trascinata suo malgrado in questa spirale e spesso diventa teatro di irrequietezze e talvolta di disordini. Piccoli gruppi di contestatori si danno agli "espropri proletari", altri si accaniscono contro le sedi dei partiti politici di destra. A Todi disordini scoppiano al passare di una processione. Attorno alle piazze sono schierate lunghe file di poliziotti. Il clima da festoso diventa teso. Neanche la musica si salva. Il dibattito culturale è appassionato e per certi aspetti molto interessante ma ingenuo. Al centro dell’attenzione c’è il jazzman "politico", anche se spesso la politicizzazione si risolve in qualche titolo accattivante e in ostentati abiti africani. Vengono fischiati grandi artisti come Chet Baker e Stan Getz, bianchi e borghesi, dei quali, in quella dimensione, non si coglie né il lirismo né soprattutto quel malinconico e inquieto esistenzialismo che ne faceva degli autentici drop out, fuori da ogni logica borghese.
Altrettanto acceso è il confronto fra le forze politiche dell’Umbria e negli ambienti culturali. Sostenitori e detrattori si misurano con toni forti. E pensare che in fondo tutto era nato da un innocuo intento di promozione turistica.
E COSÌ LA PRIMA VITA DI UMBRIA JAZZ VOLGE ALLA FINE. L’edizione ’77 salta. In un clima molto difficile per il Paese si preferisce non rischiare. Si torna a organizzare Umbria Jazz nel 1978 con una formula che cerca di limitare l’afflusso di spettatori dividendoli: ogni sera vanno in scena due concerti in altrettante città. Ma la folla non si divide, anzi in certi casi aumenta, e con essa i problemi. Il festival, per come è diventato non è più gestibile, e nemmeno difendibile. Anche gli amministratori regionali, che fino ad allora nonostante tutto lo avevano difeso, non se la sentono più di correre il grande azzardo e sono costretti a cedere. L’edizione 1978 è l’ultima di Umbria Jazz. Serve una pausa di riflessione, ma non sono molti quelli che scommettono sul futuro del festival. La sorte del festival dunque era segnata, ma anche nell’ultima edizione ci furono concerti straordinari dal punto di vista artistico. Umbria Jazz insomma fu contraddittoria e non scontata anche in questo saper offrire scampoli di capolavori nel momento di crisi più nera.
…MA SI RIPARTE. Per tre anni, dal ’79 all’ ’81, di Umbria Jazz si continuò a parlare, ma forse in pochi ne immaginavano una resurrezione. Ed invece, autentica araba fenice della musica, la manifestazione rinasce dalle sue ceneri. Ancora una volta è la Regione a crederci. Ma già dall’edizione ’82 si vede che molte cose sono cambiate. Regione e Azienda di turismo non entrano piu’ nella gestione, che viene presa in carico da un gruppo di appassionati-volontari. Nei primi tempi si fa capo alla struttura dell’ Arci, una realtà associativa all’ epoca molto forte in Umbria. Poi, con il passare degli anni e delle edizioni, si seleziona sempre più una struttura ristretta che acquista competenze e professionalità. Da questa infine nasce l’ Associazione Umbria Jazz, senza fine di lucro, che ha in gestione il marchio Umbria Jazz di proprietà della Regione e gestisce il festival in ogni suo aspetto (la formula, le scelte artistiche, l’organizzazione, la logistica, le sponsorizzazioni) a partire dal 1985.
IL CAMBIAMENTO PIU’ RADICALE RIGUARDA LA FORMULA. L’Umbria Jazz gratuita ed itinerante degli anni ’70 è ormai mitologia. Il presente è una manifestazione che introduce per la prima volta il biglietto di ingresso. Non in tutti i concerti, perchè una parte del cartellone resta, e resterà sempre, gratuita ed in piazza - evidente reminiscenza-nostalgia del nomadismo un pò hippy della prima vita di Umbria Jazz - ma per i concerti più importanti si paga. Del resto è il pubblico che è cambiato, e nuove esigenze emergono: la musica si vuole ascoltarla bene e comodamente. Non basta soltanto "esserci". Dunque, non è uno scandalo pagare. La parola d’ ordine "la musica è nostra e ce la prendiamo" che agitava gli anni ‘70’ è praticamente sparita negli anni ’80, ed è soltanto uno dei grandi cambiamenti culturali che caratterizzano il passaggio da un decennio all’ altro. Umbria Jazz, forse inconsapevolmente, interpreta e in qualche modo anticipa i tempi ed i relativi modelli di approccio alla musica. La seconda caratteristica della nuova Umbria Jazz è una decisa stanzialità. Umbria Jazz non è più un festival itinerante ma prende stabile dimora a Perugia. In verità nei primi anni si prova l’esperienza del cosiddetto decentramento: il festival si svolge quasi tutto a Perugia, ma qualche concerto viene allestito in altre città, soprattutto a Terni ma anche a Narni, Orvieto, Foligno, Gubbio, Città di Castello, Assisi. Il decentramento però fallisce perchè il clima che si crea a Perugia non è esportabile: è la nuova formula che giustifica la scelta di un palcoscenico privilegiato. Umbria Jazz è diventata un festival ad immersione totale, ed il centro storico di Perugia appare sempre più come un villagio globale in cui si respira musica ad ogni ora del giorno e della notte con eventi che si susseguono e si sovrappongono. In un chilometro quadrato di straordinaria bellezza e suggestione si creano interazioni inedite fra la storia medievale che aleggia fra i palazzi e le piazze di Perugia e i suoni della contemporaneità. È in questo che resta saldissimo il legame fra la ‘’primà’ Umbria Jazz, quella degli anni ’70, e la "seconda", quella che, (ri)nata nel 1982, si è sviluppata ed è cresciuta fino ad oggi.