Esterno notte. Estate. Viaggiavo in taxi, diretta ad un appuntamento galante, che mi avrebbe regalato ore memorabili, epici ricordi e drammatiche illusioni. Il taxista in questione, dopo avermi scrutata con sguardo curioso dallo specchietto retrovisore, con tutta la convinzione del mondo dichiarò solennemente le seguenti, indimenticabili parole : “Dimmi come guidi, e ti diro’ chi sei… se lo ricordi signorina: Un uomo va giudicato dalla guida!”.
E una donna?
Pure.
Ormai, se ci pensiamo bene, possiamo ritrovarci nel nostro modo di guidare. Io sono isterica, nevrotica, aggressiva e intollerante. Come persona. Come guidatrice è già un miracolo che non mi abbiano sequestrato violentemente patente, macchina e scarpe. Le scarpe giusto per farmi un dispetto e manifestare il disprezzo che i rappresentanti dell’ordine pubblico nutrono per quelli come me: i nemici dei pedoni, beoti e vagheggini.
Nelle parole e negli sketch di Gioele Dix mi ci trovavo benissimo. Pedone, piedone… lento, mortalmente e insopportabilmente calmo. Incosciente e ignaro che la sua sopravvivenza stradale dipende solo ed esclusivamente da ME. Servo, senza sterzo, dotato di motore personale derivante dalle proprie inutili estremità inferiori. Io le gambe le uso per correre, per fare aerobica e per sedurre. Non riesco certo a considerarle “mezzi di trasporto”.
Follia pura.
Mia madre a furia di camminare ha, a quasi cinquanta anni, il fisico di una ragazzetta di venti. Ma ormai, dopo che il taxista di quella illuminante sera di agosto di tanto tempo fa, mi ha segnata con la sua sfaccettata filosofia di vita, ogni volta che cedo alle insistenze di un corteggiatore, la prima cosa alla quale presto attenzione è come guida.
Il Romantico: guida piano, insicuro, in cerca di coccole e comprensione.
Davanti a un uomo del genere sarei capace di buttarmi dalla macchina in corsa (che comunque non avrà superato i 25 all’ora), rotolare verso un tombino e, come manco Indiana Jones dei tempi d’oro, calarmi nelle fognature e scappare a bordo di una slitta trainata da venti pantegane in frac.
Il Guascone: troppo spavaldo, con le mani nervosamente avvinghiate al volante, è in realtà poco più che un bulletto di periferia da quattro soldi, residuato pallido e molliccio del “bello del liceo”, imitazione bidimensionale e in bianco e nero di un Vin Diesel in inesorabile decadimento.
Ma più di chiunque altro è universalmente noto che l’essere di sesso maschile (o presunto tale) più detestabile è sicuramente l’ultimo esemplare che prenderemo in analisi.
Lo Schumacher: Al volante si sente una punizione divina. Il piede sinistro di Maradona. Parla di motori come se li costruisse, si sente il mago del parcheggio e ritiene quindi d’avere come missione nella vita istruirti sulle gioie dei motori, del sesso e dei testa coda. I testa coda, per entrambe le pungenti tematiche, gli sono pratiche oscure e misteriose.
Tu, donna, abituata a guidare, nota tra amici e amiche per essere il “guidatore” della compagnia, tu, che hai fatto pure i corsi di guida sicura (oltre alle normali lezioni per prendere la patente) tu, che in inverno ti diverti a fare gli “otto” nei parcheggi con la tua bellissima “Panda bianca” non dotata di servo sterzo, tu devi tacere.
Ma non per te stessa: Per lui!
Per questo maledetto parassita, che basa tutta la considerazione che ha in se stesso sul fatto che tu, che agli annali risulti come “essere dotata di tette e utero”, non puoi fare altro che ascoltare con sguardo impassibile i suoi elevati insegnamenti.
Lascia perdere ragazza: ignora il fatto che lui fa urlare il motore ogni volta che accende la macchina. Non badare alle innumerevoli cicatrici, le “rigate” che come stelle filanti adornano le fiancate del suo potente mezzo di locomozione, non ascoltare lo stridente concerto di dischi senza pastiglie, o le gomme sgonfie e attempate.
A poco servirebbe fargli presente che ha collezionato più multe per divieto di sosta che per eccesso di velocità, il suo orecchio è sordo alla critica e il suo occhio cieco alla propria mediocrità.
Ma non badiamo solamente alle pagliuzze negli occhi degli altri.
Ogni tanto fingo, peraltro con maestria non indifferente, di guardarmi da fuori e giudicarmi senza essere eccessivamente crudele, o concessiva, nei miei stessi riguardi. Insomma, in qualche modo “super partes”. O almeno ci provo.
La Coniglia (al) volante: è Natale e siamo tutti più buoni, eppure tra un urlo dedicato al “Pedone Ignoto” e una bestemmia censurata da una timida (e intimidita) coscienza, il “super-io” è costretto a voltarsi dall’altra parte e alzare gli occhi al cielo, sospirando con disarmata rassegnazione.
Tutto sommato essere sistematicamente iracondi dà agli altri qualche piccola certezza.
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