Ed eccoci, come previsto, alla battuta finale...
Il presidente Al Sisi scagiona i servizi segreti da ogni responsabilità nel caso Regeni. Forte, nella sua chiusura, di nuovi accordi economici, militari e strategici con l'Arabia Saudita e la Francia di Hollande. Adesso i rapporti di forza tra Italia ed Egitto sono mutati. E la partita rischia di umiliarci.
DA OGGI, la strada che porta alla verità su Giulio Regeni, si fa ancora più stretta. E quel che è peggio, in undici settimane, tante ne sono trascorse dal 3 febbraio, il nostro governo sembra aver definitivamente perso la leva, gli argomenti e l’attimo utili a convincere il Cairo che l’occultamento della verità sarebbe costata al regime un prezzo infinitamente superiore al suo svelamento. Le acque, fino a ieri quantomeno agitate, si sono richiuse.
Nel giorno in cui la Procura di Roma firma la richiesta di rogatoria (dovrebbe partire oggi) con cui si torna a chiedere all’Egitto ciò che l’Egitto ha annunciato di non voler consegnare (tabulati telefonici, prove forensi, accertamenti tecnici), Al Sisi scagiona pubblicamente gli apparati di sicurezza del Paese da ogni responsabilità, quale che sia, nell’omicidio, ricomponendo, ammesso vi sia stato, il conflitto interno al regime. Nel merito, riporta le lancette dell’affaire al suo giorno uno, riproponendo la screditata pista della “criminalità organizzata” (cara al potente ministro dell’Interno Magdi Abdel Ghaffar e al generale Khaled Shalaby), per giunta tornando provocatoriamente ad associare la morte di Giulio alla scomparsa a Roma di un cittadino egiziano in circostanze affatto misteriose. E la mossa non è casuale, perché figlia di una ritrovata forza data dalla chiusura negli ultimi giorni di nuovi accordi economici e strategici con l’alleato Saudita e dall’imminente firma di nuove commesse, militari e non solo, con la Francia di Hollande....
Articolo
Il mago Oronzo mi fa un baffo