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Addio a Flavio Bucci, magistrale "Ligabue" sul piccolo schermo

Ultimo Aggiornamento: 19/02/2020 14:26
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19/02/2020 13:24

Morto Flavio Bucci, fu Ligabue nella fiction tv.
Al Corriere disse: «Ho speso tutto in alcol e droga,
ma ho vissuto e amato: non mi pento»


L’attore di cinema e teatro aveva 72 anni e viveva a Fiumicino.
L’annuncio della scomparsa su Facebook.
Aveva detto: «Ho speso tutto in alcol e droga.
La vita è una somma di errori, gioie, piaceri:
non mi pento di niente. Ho amato, riso, vissuto: vi pare poco?»


Emilia Costantini




È morto Flavio Bucci, attore noto per il personaggio di Antonio Ligabue in uno sceneggiato tv (qui un video con la sua interpretazione) e per aver recitato in decine di film (tra i quali il Marchese del Grillo). «La vita è una ed è tua, puoi farci quello che vuoi», aveva detto nel 2018 al Corriere. «Non mi sento colpevole verso nessuno, non ho rimpianti. La verità è che tutti ti pretendono a loro immagine e somiglianza, però io sono come sono. Non mi voglio assolvere da solo e non voglio nemmeno andare in Paradiso, che poi sai che noia lassù». Bucci ironizzava anche sulle troppe sigarette fumate — «Mi fanno male? Bah, c’è una sola cosa che ti uccide, però non lo sai mai prima, quale sarà». «Mi sparavo cinque grammi di coca al giorno, solo di polvere avrò bruciato 7 miliardi», aveva aggiunto nel corso della stessa intervista. «Lasci perdere discorsi di morale, che non ho. E poi cos’è che fa bene? Lavorare dalla mattina alla sera per arricchire qualcuno? Non sono stato un buon padre, lo so. Ma la vita è una somma di errori, di gioie e di piaceri, non mi pento di niente, ho amato, ho riso, ho vissuto, vi pare poco?». Questo è il ricordo firmato da Emilia Costantini.

E pensare che sabato prossimo sarebbe dovuto partire in tournée con il suo ultimo spettacolo, dove raccontava la sua storia personale, intitolato proprio: «E pensare che ero partito così bene» con la regia di Marco Mattolini. Flavio Bucci, un grande attore che ha spaziato tra palcoscenico, cinema e tv, ha definitivamente abbassato il sipario. Ricorda Mattolini: «Avevamo già pronte una serie di piazze dove portare lo spettacolo... a tutto pensava fuorché al fatto che si sarebbe dovuto confrontare con la morte. Era solito ripetere con disincanto: “Non mi dite che non devo fumare, non mi dite che non devo bere... di qualcosa bisogna morire, no?” Era fatalista. E nello spettacolo che abbiamo scritto insieme, raccontava la sua storia fuori dai denti: la sua vita, la sua carriera, i successi e le defaillances, aneddoti e riflessioni filosofiche. Una scorribanda — aggiunge il regista — che senza trionfalismi, senza vergogna di libere associazioni, vagava tra ricordi di teatro, di cinema, e di molto altro: era una confessione anche delle sue dipendenze e del suo estremo bisogno di libertà».

Era nato a Torino nel 1947 da una famiglia immigrati di Campobasso. Ma è morto a Roma, dove viveva in una casa famiglia. «Era ridotto piuttosto male — riprende Mattolini — tuttavia gli erano ancora vicini il fratello Riccardo e la sua ex moglie, l’olandese Loes Kamsteeg, produttrice tv, da cui aveva avuto il suo terzo figlio Ruben, mentre i primi due li aveva avuti dalla precedente compagna Micaela Pignatelli, Claudio e Lorenzo. Ma lui era ancora innamoratissimo di Loes, la definiva ancora sua moglie, pur essendo separati da molto tempo. Quello che mi ha sempre colpito — continua il regista — era la sua voglia di esserci, di continuare a lavorare, pur continuando a fumare tre o quattro di pacchetti di sigarette al giorno e bevendo molto. Nonostante tutti i problemi di salute, che trascurava allegramente, era capace non solo di stare in scena, ma anche di intrattenere i compagni di lavoro dopo lo spettacolo: quando si andava a cena insieme, il suo diventava un secondo spettacolo».

Il suo percorso teatrale lo aveva iniziato con il drammaturgo Mario Moretti, con una riscrittura di «Cuore di cane» di Bulgakov. Poi ebbe grande successo di pubblico con «Diario di un pazzo», testo ripreso da Gogol ma cucito su di lui. Si era talmente calato nella parte che, si racconta, durante una replica al San Ferdinando di Napoli, mentre recitava costretto dentro alla camicia di forza e urlava «Aiutatemi! Aiutatemi!», alcuni spettatori napoletani tentarono di salire sul palco per aiutarlo a liberarsi.

Tuttora ricordato per la sua straordinaria interpretazione del Ligabue televisivo, non è possibile dimenticare tanti altri personaggi da lui incarnati. Quando finalmente riuscì a portare in scena una sua interpretazione di Shylock, nel «Mercante di Venezia» di Shakespeare, disse: «È il più terribile degli eroi shakespeariani. dopo aver impersonato Riccardo III dello stesso autore, e poi il Tartufo di Molière, era quasi inevitabile incontrarmi con l’ebreo del Bardo». E a proposito del tema affrontato nell’opera in questione, cioè l’usura, sottolineava: «Purtroppo è ancora più presenta oggi e ne so qualcosa personalmente: sono stato vittima di usurai, l’ho vissuta sulla mia pelle... ho dovuto ricorrere agli strozzini».

Fonte: Corriere

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19/02/2020 14:26

[SM=x44471] un ottima interpretazione

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