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Ustica 40 anni dopo

Ultimo Aggiornamento: 24/08/2020 16:32
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02/07/2020 02:48

Questa per me è una tesi da prendere in considerazione

l'aereo non è scoppiato in cielo, anche perchè non sarebbe li quasi tutto ricostruito

se veniva c'entrato da un missile in cielo sarebbe scoppiato, che cmq sia bisogna sempre vedere il missile che parte prende dell'aereo

c'era in ballo qualche cosa nei cieli e c'è stata una battaglia aerea, il DC 9 è diventato scudo ed è stato toccato dentro probabilmente da un Panthom americano


Questa sezione dell'inchiesta sulla strage di Ustica è stata inserita negli atti giudiziari che compongono il processo d'appello. Per meglio spiegare cosa successe pochi minuti dopo la collisione del DC9 I-TIGI nelle acque del tirreno, ecco un ulteriore quadro della vicenda: sono passate poche ore dalll'incidente e dall'ammaraggio del DC9 ITAVIA. Sul posto giunge il Colonnello Sergio Bonifacio il quale vede riaffiorare 40 cadaveri uno dopo l'altro e questo significa che l'aereo stava affondando in quel momento.

Oggi il Colonnello in congedo dell'Aeronautica della Marina Militare, Sergio Bonifacio, nel 1980 era Tenente di Vascello e comandava un Bréguet Atlantic, un aereo sofisticatissimo usato dalla Marina Militare per la caccia ai sommergibili. La notte del 27 Giugno 1980 si alzò in volo alle 3 del mattino dalla base di Cagliari Elmas con il suo vice Alessandro Bigazzi e altri 12 uomini d'equipaggio. Sergio Bonifacio fu il primo a giungere sul luogo del disastro perchè tutti i velivoli di soccorso erano stati fatti confluire sulla rotta Ponza-Palermo. L'unico a dover perlustrare l'area dell'ultimo punto di riporto, un terzo sopra il "Punto Condor" e due terzi sotto; <>

Il DC9 I-TIGI in quel momento stava affondando. Non era oltre i 50-70 metri di profondita altrimenti quei corpi sarebbero finiti sul fondale marino e non sarebbero tornati a galla. Quindi l'aereo ITAVIA stava affondando lentamente ancora 12 ore dopo la caduta. Vuol dire che era rimasto a galla per tutta la notte. Al massimo poteva avere una falla. Se fosse stato colpito da un missile o fosse esploso a 7 mila metri di altezza tutto questo non sarebbe potuto succedere. Ed ecco che Cossiga, pochi anni prima della morte, ribadisce come il DC9 è stato abbattuto da un missile a risonanza e non ad impatto. Un missile che non ha fatto espoldere l'aereo ma che può aver provocato una grave avaria con danni irreparabili a tutti i circuiti elettrici, consentendo al pilota di governarlo e di farlo planare. Certo l'ammaraggio non è stato morbido. Se si impatta a 270 km. all'ora, l'acqua è come una lastra di cemento. Ecco perchè tutti i corpi recuperati avevano una profonda ferita al ventre provocata dalla cintura di sicurezza. Ecco perchè erano tutti senza scarpe: il Comandande li aveva avvertiti che stavano ammarando. Molti passeggeri, secondo me, sono morti dissanguati dopo ore di agonia. Non dimentichiamo il corpo di quel Carabiniere con un piede tranciato e la camicia stretta attorno alla caviglia per frenare l'emoraggia. O quella mamma stretta alla sua bambina. Se fosse morta all'istante avrebbe allentato la presa. Molti, se il DC9 fosse stato individuato subito, potevano esere salvati.

Il rapporto di volo numero 113/80 redatto e consegnato da Bonifacio lo stesso 28 Giungno al Comando del 30° Stormo di base a Elmas, è stato ignorato per nove anni. << Mi chiedevo: come mai colui che è giunto per primo sul luogo del disastro e che ha visto riaffiorare i cadaveri, non viene sentito? Forse del mio rapporto non sanno nulla, pensavo>> Ne parlai con l'ammiraglio Pizzarelli, membro della Commissione Pratis. Mi fece capire che il mio rapporto non era fra i documenti in loro possesso. L'Ammiraglio lo verificò parlandone con il mio co-pilota che gli confermò tutto. Fui interrogato per la prima volta il 25 Ottobre 1989 dal Procuratore militare di Cagliari. Due mesi dopo mi convocò il Giudice Bucarelli che mi congedò dicendomi: "tutto torna, Bonifacio"

Poi l'Ufficiale è stato interrogato anche dal Giudice Rosario Priore e dai membri di diverse commissioni d'inchiesta. E lui e gli altri 13 membri dell'equipaggio hanno sempre ripetuto le stesse cose. Non c'è una sbavatura nelle 14 dichiarazioni. 28 occhi hanno visto riaffiorare i primi cadaveri dell'aereo ITAVIA dopo le 9 del mattino. E prima dei corpi, aggiunge Bonifacio, avevamo notato una chiazza di cherosene che ci aveva segnalato un elicottero, poi le parti leggere del DC9 come i cuscini dei sedili, i salvagente sgonfi, le valige e altri oggetti.


dopo un pò di tempo



Ma su quel Phantom c' erano due grossi fori
GAETA - E se fosse l' aereo di Ustica? Se quel Phantom F4J, pescato casualmente a sud di Ponza, avesse a che fare con la strage del Dc9 dell' Itavia? Il caso del relitto, portato a galla nella notte tra il 20 e il 21 gennaio scorso, sta assumendo i contorni di un giallo internazionale. L' ambasciata degli Stati Uniti e gli alti vertici della Nato in Italia si sono affrettati a smentire qualsiasi coinvolgimento tra il loro caccia militare e la controversa vicenda del velivolo civile, esploso in volo il 27 giugno del 1980 con 81 persone a bordo. "Sapevamo di due nostri caccia", hanno dichiarato laconicamente i portavoce Usa, "che erano precipitati nel Tirreno al termine di una missione. Sulla zona eran calata una fitta nebbia e i velivoli avevano avuto difficoltà a ritrovare la Saratoga, la portaerei da cui erano decollati. Erano a corto di carburante e i piloti non hanno avuta altra scelta che lanciarsi e abbandonare i caccia". Tutto questo avveniva nel 1974. Secondo la versione ufficiale delle autorità militari Usa. L' anno è stato indicato confrontando il numero impresso sulla carlinga del caccia, 157303, con la data in cui è stato denunciato l' incidente. Lascia quantomeno perplessi il fatto che nessuno, autorità militari Nato o americane in testa, non si siano preoccupate di ripescare i relitti di due caccia, perfettamente operativi all' epoca, impiegati sulla Saratoga e utilizzati nella guerra del Vietnam. Ci sono voluti ben ventisei anni e una pura casualità per fare ciò che sarebbe stato logico facessero i responsabili militari statunitensi. Due caccia non si perdono come aghi in un pagliaio e non si lasciano corrodere dalla salsedine a un centinaio di metri di profondità. A meno che si tratti di relitti che possono nascondere scomode verità. "Io non so cosa nasconda quell' aereo", ci dice, brontolando, confuso e un po' infastidito Nicola Mitrano, 35 anni, sposato, comandante del peschereccio Bartolomeo I, il marinaio che è incappato in un reperto davvero scottante. "So soltanto che mi stava rovinando una rete. E i danni sarebbero stati per decine di milioni". Ma dove e quando ha raccolto il relitto? Interrogato più volte dalla Capitaneria di Porto di Gaeta, costretto dagli inquirenti a restare in banchina perché non ha denunciato subito il ritrovamento del caccia, Mitrano sbuffa insofferente. "A largo di Mondragone. Circa dieci miglia. Ma, credo, che inizialmente stesse molto più al largo". Dove? "Guardi, noi pescatori, quel relitto, lo chiamavamo yoyo. Sa, quel gioco che si fa da bambini. Lo chiavavamo così perché ognuno lo trascinava in lungo e in largo. Noi verso sud e i napoletani verso nord. Lo tiravano su con la rete. Ma poi, era così pesante che lo lasciavano di nuovo sul fondo. Io, ho avuto sfortuna. Il cavo della rete si è incastrato sull' attaccatura del timone di coda. Non c' è stato verso di disincagliarlo. Alla fine sono stato costretto a tirarlo a galla. Altrimenti, avrei distrutto o peggio perso la rete. Non so a quando risalga quel relitto. Ne ho sentito parlare da moltissimo tempo. Forse, da prima del 1980. Ma chi può dirlo? Ero partito giovedì notte e avevo messo la prua verso il largo. Andavo a caccia di pescespada. Lavoro tutta la notte e metà del giorno dopo. Lungo la rotta di ritorno, la rete a strascico si blocca. Saranno state le due del pomeriggio. Sento un forte strattone. Insisto e scruto sul fondo con il radar di bordo. Sapevo che nella zona c' erano alcuni relitti. Resti di aerei dell' ultimo conflitto. Ma anche navi e barche. Molti di noi, abituati a incrociare in zona, si sono segnati quei punti sulle carte. Ma non tutti ci facevano caso". Nicola Mitrano non si rende conto subito di cosa ha pescato. Crede a qualche residuo bellico. "Mi sembrava una specie di siluro", racconta sorridendo. "Lo trascino fino al porto. Poi, lo ancoro ad una bitta e lo lascio sotto la banchina". La voce sulla strana pescata fa presto il giro della città. Luciano Di Nucci, proprietario di una famosa pizzeria che si affaccia sul porto dei pescatori, è anche un appassionato videoamatore. Prende la sua cinepresa e filma il relitto, immerso in un metro d' acqua. Abbiamo visto le immagini. Si notano due grossi fori sulla carlinga del jet. Il primo all' altezza del timone di coda, quasi tranciato di netto. Il secondo subito dietro l' attaccatura dell' ala, anche questa staccata, dove si presume c' è lo scarico della turbina dei motori. Lesioni anomale, hanno dichiarato gli esperti ad un primo, sommario esame del relitto. Il caccia è sprovvisto del serbatorio supplementare. Non si sa ancora se quello recuperato sui fondali di Ustica, tra i rottami del Dc 9 Itavia, sia dello stesso tipo. Ma se dovesse appartenere ad un Phantom F4J, l' accostamento tra i due ritrovamenti non sarebbe più così casuale. Il relitto sparisce due giorni dopo, cioè il 25. Capitaneria, Carabinieri e Polizia lo cercano in lungo e in largo. Interrogano Mitrano, gli chiedono che fine abbia fatto. Lui prende tempo. Dice e non dice. Gli fanno capire che si tratta di una storia seria. Che quel relitto può anche avere a che fare con l' aero di Ustica. Il comandante si spaventa e ammette: "L' ha preso un mio amico. Compra e vende ferro". Il relitto viene rintracciato nel giro di poche ore. Era parcheggiato in un magazzino a pochi chilometri da Gaeta. Adesso è nascosto in un cantiere navale. Guardato a vista da militari armati. Fino a martedì prossimo, quando sarà trasferito probabilmente a Pratica di mare.


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