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Perché i naufragi nel Mediterraneo non fanno più notizia

Ultimo Aggiornamento: 06/10/2023 16:20
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Migranti
Perché i naufragi nel Mediterraneo non fanno più notizia
Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale
3 ottobre 2023

È successo alla fine di febbraio, poco dopo il naufragio di Cutro. Quello avvenuto a cinquanta metri dalla spiaggia calabrese in cui sono morte 94 persone. Un collega e un amico mi ha mandato un messaggio, dopo aver visto un articolo che avevo scritto sul naufragio. Il messaggio diceva così: “Non riesco più a leggere queste storie, lo faccio con una fatica enorme. Ma grazie naturalmente”. ...
...


Dallo shock al cliché


Il rischio tuttavia è che il registro emotivo prenda il sopravvento e confonda l’originalità di ogni esperienza individuale. E così voglio mettervi in guardia da un ultimo problema: quello dell’emotività di fronte al dolore degli altri.

Al male, infatti, non siamo pronti a credere, soprattutto a quello estremo. È come se il male fosse qualcosa da cui ci difendiamo con ogni mezzo: ignorandolo, sminuendolo, rimuovendolo. D’altro canto dalle immagini che mostrano il dolore degli altri, soprattutto il dolore che è provocato da una violenza intenzionale, siamo attratti. Le rappresentazioni di questo dolore ci allarmano, ci allertano, pretendiamo anche che ci spieghino quello che sta succedendo, o che almeno siano una prova contro il carnefice e che ci aiutino a consegnarlo alla giustizia.

Le immagini della violenza della frontiera, delle torture nei centri di detenzione libici, soprattutto per chi è distante, sono la frontiera stessa.

Ci sono decine di violenze nel mondo a cui non va un briciolo della nostra attenzione: in parte questo succede perché non ci sono immagini o racconti a trasmettercele, allo stesso tempo dipende dal fatto che pensiamo che non ci riguardino, che non ci coinvolgano. L’arrivo in Europa di un milione di profughi dalla rotta balcanica nel 2015 ha provocato un’attenzione e un’empatia senza precedenti. Refugees welcome (Benvenuti rifugiati), avevano scritto sui cartelli e sulle magliette le decine di cittadini europei che andavano alla frontiera ad accogliere i profughi siriani, afgani e iracheni che arrivavano a Lesbo, a Idomeni, a Belgrado.

Tuttavia, anche quella volta, com’è successo in altre crisi, il ciclo dell’empatia è stato abbastanza breve e, nel giro di pochi mesi, si è passati da una reazione incredula a una scioccata, poi sospettosa, infine indifferente. Con la foto del bambino curdo Alan Kurdi, morto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, l’opinione pubblica mondiale ha raggiunto il massimo dell’indignazione, a cui è seguito un calo dell’interesse.

Il momento in cui l’attenzione è stata massima è stato anche quello di maggiore diffusione delle teorie complottiste sui finti profughi, sul business dell’accoglienza, sul pull factor o fattore di attrazione, sulla sostituzione etnica.

C’è un ciclo dei sentimenti (stupore, apprensione, paura, empatia, indignazione, rabbia, frustrazione, sospetto, disinteresse) che chiunque si è occupato di raccontare l’attualità ha riscontrato, sia rispetto alla pandemia sia rispetto alla guerra, sia rispetto alla crisi migratoria, a mano a mano che il tempo passava e le crisi si prolungavano, cronicizzandosi. Probabilmente il passaggio dall’indignazione all’indifferenza ha in parte a che fare con il dolore degli altri e con la sua rappresentazione.

Già Susan Sontag nel suo impareggiabile saggio Davanti al dolore degli altri (Nottetempo 2021) rifletteva sulla natura ambigua delle immagini durante una crisi: “Si possono fare molti usi delle innumerevoli opportunità che la vita moderna fornisce per guardare, a distanza e attraverso il mezzo fotografico, il dolore degli altri. Le fotografie di un’atrocità possono suscitare reazioni opposte. Appelli per la pace. Proclami di vendetta”. Mostrare le immagini anche estreme della violenza e della distruzione non serve a fermare le atrocità e le ingiustizie, né a renderle insopportabili: questa è la consapevolezza da cui la saggista statunitense prende l’avvio nella sua riflessione, per invitarci poi a pensare al legame che c’è nel nostro mondo tra “l’immagine come shock” e “l’immagine come cliché”.

In un ambiente informativo dominato dalle immagini (e non dalle voci e non dalla parola) la fotografia (vera) delle atrocità rischia di trasformarsi velocemente in un già visto (magari nella finzione di un film o di una serie), in un cliché che può rapidamente essere archiviato nel cassetto di una memoria sempre più insensibile e anestetizzata.




Tra l’altro i social network come mezzo principale di fruizione di quelle foto hanno estremizzato la rapidità del passaggio dallo shock all’indifferenza, che pure c’era anche in altri mezzi come i giornali o la tv. Non avendo nessuna gerarchia delle notizie e dando spazio a pochissimo testo e contesto, i social network spesso confondono foto vere con fotomontaggi, foto decontestualizzate, immagini vecchie spacciate come nuove. In generale premiano quelle che colpiscono l’emotività.

Da sempre, avverte Susan Sontag, le immagini “che forniscono una prova in grado di contraddire le nostre più sacre certezze vengono invariabilmente liquidate come una messinscena a beneficio della macchina fotografica. La reazione tipica dinanzi alla conferma fotografica delle atrocità commesse dal proprio schieramento consiste nel sostenere che le immagini sono una montatura”.

È così credo che siamo arrivati a parlare di finti profughi o addirittura in questi ultimi giorni di “finti minorenni”.

Davanti al dolore degli altri è importante che il racconto non si nutra di speranze o di proiezioni, parta dai testimoni, dia loro voce, li faccia parlare, tenga insieme i fatti e le cause, sia aperto a un’altra idea del tempo e soprattutto rimanga vicino alla realtà, alle molteplici verità che la realtà restituisce. Per tutti noi, il tentativo deve essere quello di andare verso la realtà, farsi viaggiatori.

Lo scrittore Alessandro Leogrande, autore del più bel libro sul naufragio del 3 ottobre del 2013, lo diceva così nel capitolo finale de La frontiera (Feltrinelli 2017):

“Alla base di ogni viaggio c’è un fondo oscuro, una zona d’ombra che raramente viene rivelata, neanche a se stessi. Un groviglio di pulsioni e ferite segrete che spesso rimangono tali. Ma capita altre volte che ci siano dei viaggiatori che ne hanno passate così tante da esserne saturi. Sono talmente appesantiti dalla violenza e dai traumi che hanno dovuto subire, talmente nauseati dall’odore della morte che hanno avvicinato, da non voler fare altro che parlarne. Allora, in quei momenti, hanno bisogno di incontrare un altro viaggiatore. Perché solo un altro viaggiatore può capire il peso delle parole che pronunceranno, solo un altro viaggiatore può indicargli la strada della leggerezza. Tutti gli altri restano sempre a qualche metro di distanza, sulla terraferma, incapaci di afferrare il senso di ciò che viene detto. Ho impiegato molto tempo per capirlo. Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte. Sedersi per terra intorno a un fuoco e ascoltare le storie di chi ha voglia di raccontarle, come hanno fatto altri viaggiatori fin dalla notte dei tempi. Ascoltare dalla voce di chi ha oltrepassato i confini come essi sono fatti. Come sono fatte le città e i fiumi, le muraglie e i loro guardiani, le carceri e i loro custodi, gli eserciti e i loro generali, i predoni e i loro covi. Come sono fatti i compagni di viaggio, e perché – a un certo punto – li si chiama compagni”.



Questo è una parte del testo della lezione “Perché i naufraghi nel Mediterraneo non fanno più notizia?”, tenuta il 29 settembre 2023 durante Multi, il festival organizzato dal giornale online Lucy sulla cultura e da Slow food nell’ambito dell’Estate romana.

www.internazionale.it/opinione/annalisa-camilli/2023/10/03/migranti-naufragi-lampedusa-3...


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06/10/2023 13:22

Come tutti i filoni giornalistici, quando si protraggono per molto tempo, senza sviluppi o novità significative, l'attenzione dell'opinione pubblica va scemando, anche per le scelte editoriali delle testate giornalistiche che vanno alla ricerca di notizie più "commerciali" [SM=x44464]
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06/10/2023 13:40

è un pò come dire la Guerra in Ucraina

i primi missili con morti opinione pubblica tutti a seguire preoccupati , addirittura trasmissioni su trasmissioni

a me mi pare che mò è diventata normalità


Cutro è successo a riva quasi con i morti sulla spiaggia

se succedeva stò naufragio acque tra Grecia e Italia , non sò se veniva fuori una roba del genere
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06/10/2023 16:20

Re:
pliskiss, 06/10/2023 13:40:


Cutro è successo a riva quasi con i morti sulla spiaggia

se succedeva stò naufragio acque tra Grecia e Italia , non sò se veniva fuori una roba del genere




Infatti quell'imbarcazione poteva e doveva essere fermata e messa in salvo già quando attraverò le acque greche, ma venne sottovalutato il rischio e fu lasciata proseguire senza fare accertamenti... [SM=x44464]
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