Astronomia

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2015 12:23
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02/11/2005 17:25

Marte brilla nel cielo di ottobre e novembre

Brilla come un faro già alle prime ombre della sera, basso sull’orizzonte, a Est. E’ il pianeta Marte che tra la fine di ottobre e i primi di novembre 2005 si trova in opposizione (cioè lungo la congiungente Sole-Terra-Marte) e si avvicina alla Terra fino a 69 milioni di km. Sono tantissimi e tuttavia rappresentano un record di minima distanza, visto che il prossimo incontro altrettanto ravvicinato sarà fra 13 anni, nel 2018.
Il risultato dell’opposizione marziana, si verificherà esattamente il 7 novembre prossimo, ma la minima distanza Terra-Marte è stata toccata il 30 e il 31 ottobre. Per vederne i risultati è sufficiente un cielo appena sereno e osservare il pianeta a occhio nudo brillare più di qualunque altra stella fin dalle ore 20 a Oriente (dove sorge il Sole).

Rosso e lampeggiante secondo alcuni; giallo-arancione secondo altri: tutto dipende dalla sensibilità individuale ai colori e dalle condizioni dell’atmosfera. Poi, con l’avanzare della notte, il pianeta sale e, attorno alla mezzanotte, raggiunge un’altezza massima di circa 65 gradi. Due anni fa, nell’estate del 2003, quando Marte ci regalò un’altra spettacolare opposizione, l’incontro con la Terra fu più ravvicinato, ma l’osservazione alle nostre latitudini meno favorevole in quanto l’altezza massima del pianeta nella volta celeste non superava i 33-34 gradi.



Marte visto con un piccolo telescopio
L'OSSERVAZIONE COL TELESCOPIO - L’autentico spettacolo Marte lo riserva ai fortunati possessori di un telescopio, anche di modeste dimensioni, cioè con una lente obiettivo dai 15 cm in su e una lunghezza focale di circa 100 cm. Basta puntare il pianeta rosseggiante per distinguere le calotte polari e qualche macchia chiara o scura sul dischetto del pianeta, il cui diametro apparente raggiunge i 20 secondi di arco la notte di Halloween, il 31 ottobre 2005.

Chi può fare affidamento su strumenti ottici ancora più potenti si godrà uno spettacolo supplementare: proprio in questi giorni su Marte si è scatenata una tempesta di sabbia globale, che ha avvolto vaste regioni in una specie di foschia densa. Alcuni osservatori dell’Unione astrofili italiani (Uai) stanno documentando il fenomeno, notte dopo notte, con bellissime fotografie e organizzando serate osservative per il pubblico. I possessori di una semplice macchina digitale, si può accontentare di una foto artistica inquadrando il puntino scintillante di Marte sullo sfondo di qualche oggetto terrestre.

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08/11/2005 18:13

La sonda europea alla volta di Venere
Domani, alle 4.33 ora italiana, la sonda europea "Venus Express" parte dal cosmodromo di Baikonour, in Kazakistan, alla volta di Venere. La sonda dell'Esa, portata in orbita da un vettore russo Soyuz-Fregat, deve eseguire la mappatura della superficie di Venere e studiare il sistema meteorologico, le variazioni di temperatura, la formazione delle nuvole, la velocità dei venti e la composizione del gas che circonda il secondo pianeta del sistema solare
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09/11/2005 15:01

IN ORBITA VENUS EXPRESS, AL VIA MISSIONE ESA VERSO VENERE

Roma, 9 nov. - (Adnkronos) - In orbita la sonda europea Venus Express che inizia cosi' il suo viaggio nello spazio che la portera' ad esplorare il pianeta Venere. Il lancio e' avvenuto alle 03,33 Gmt, le 4,33 del mattino in Italia e a portare in orbita Venus Express e' stato un vettore Soyuz-Fg dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakhistan. Venus Express e' la prima sonda europea destinata allo studio di Venere ed avrebbe dovuto partire gia' il 26 ottobre scorso, ma il lancio era stato poi rinviato per motivi tecnici.

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09/11/2005 23:54

Venere mi affascina molto,anche più di Marte per certi versi.
Certo ci sono ben poche possibilità che l'uomo possa in futuro viverci data la temperatura impossibile,però il fatto che sia il pianeta più vicino a noi e se ne sappia così poco mi incuriosisce davvero.
[SM=x44458]
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15/11/2005 12:45

La Sonda giapponese e l'asteroide

IL TENTATIVO giapponese di far atterrare un piccolo robot, chiamato Minerva, su un asteroide che in questo momento si trova ad oltre 288 milioni di chilometri dalla Terra sembra fallito. Ne ha dato notizia l'Agenzia spaziale giapponese, la quale tuttavia, ha fatto presente che le speranze di contattare Minerva non sono ancora perse del tutto. "Siamo molto dispiaciuti del fatto che al momento non riceviamo dati dal piccolo robot. E' come se durante la fase di discesa non avesse riconosciuto le indicazioni che gli erano state fornite per l'atterraggio", ha spiegato Junichiro Kawaguchi, un responsabile della Jaxa, l'Agenzia Spaziale Giapponese.



Il robot è stato sganciato dalla sonda madre Hayabusa che si trova in orbita attorno all'asteroide Itokawa, dal nome del padre dell'astronautica giapponese, che ha il compito di studiarlo da vicino, ma soprattutto di atterrarvi due volte per raccogliere pochi grammi di polvere del suolo e portarli sulla Terra. Il primo dei due atterraggio è previsto per il prossimo 19 novembre, il secondo per il 25 dello stesso mese. Se tutto si realizzerà secondo i piani di volo, la sonda dovrebbe ritornare a Terra, nel deserto dell'Australia con il prezioso carico nel giugno del 2007.

Itokawa orbita tra la Terra e Marte e possiede una forma a patata. E' lungo infatti, 690 m ed è largo 300 m e la sua forza di gravità è solo di un centesimo di millesimo di quella terrestre. Questo rende particolarmente difficile l'atterraggio di una qualunque sonda, perché può facilmente rimbalzare e perdersi nello spazio. Hayabusa è arrivata attorno all'asteroide lo scorso 12 settembre dopo un viaggio durato 2 anni e 4 mesi, iniziato dalla base di lancio di Kagoshima, in Giappone. La sonda è spinta di un rivoluzionario motore ionico, finora utilizzato poche volte da altre sonde spaziali, ma che ha sempre funzionato correttamente durante le 25.000 ore nel corso delle quali è rimasto acceso. Durante il viaggio tuttavia, la sonda ha subito un grave danno all'impianto elettrico, in quanto è stata colpita da una tempesta solare avvenuta nel 2003. Ciò ha bloccato l'uso del motore per diverse settimane.

A bordo della sonda vi è un sistema intelligente di navigazione che ha controllato passo dopo passo l'inserzione in orbita attorno all'asteroide. Dopo tre settimane di "parcheggio", la sonda ha iniziato ad avvicinarsi alla superficie. Ora si trova a poche decine di metri dall'asteroide, tant'è che è possibile osservare l'ombra di Hayabusa, sulle fotografie che essa riprende. Purtroppo durante le manovre di avvicinamento ha perso tre dei quattro sistemi di posizionamento nello spazio e questo ha creato un ritardo notevole nelle operazioni di discesa sull'asteroide, che sarebbero dovute avvenire il 4 novembre. Nel frattempo tuttavia, le macchine fotografiche di bordo hanno scattato oltre 1.500 immagini della superficie di Itokawa, uno spettrometro all'infrarosso (uno strumento che raccoglie le informazioni alla lunghezza d'onda dell'infrarosso) ha eseguito 75.000 misure e un laser altimetro ha inviato a Terra circa un milione e mezzo di informazioni della superficie.

Queste informazioni, elaborate dagli scienziati a Terra, hanno notevolmente sorpreso la comunità scientifica. La superficie infatti, è molto eterogenea nelle sue caratteristiche esattamente il contrario di ciò che ci si aspettava. Aree coperte da grossi massi e crateri sono affiancate da altre relativamente lisce. "L'oggetto è notevolmente poroso, una proprietà che proprio non ci aspettavamo", ha fatto sapere l'Agenzia Spaziale Giapponese in un comunicato. Su una delle aree prive di grossi ostacoli, che i giapponesi hanno chiamato Muses Sea, dovrebbe atterrare la sonda il prossimo 19 novembre nel primo dei due tentativi di raccolta campioni.
Foto articolo

Lo studio degli asteroidi è particolarmente importante perché essi conservano ancora i mattoni primordiali del sistema solare e dunque le ricerche condotte sulle loro caratteristiche permettono di conoscere cosa avvenne nel sistema solare circa 5 miliardi di anni fa, quando iniziò a formarsi per poi trasformarsi in quello che è ai nostri giorni.

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18/11/2005 01:46

Acqua salata su Marte (in laboratorio)

Prove indirette della presenza di acqua liquida scorrevole in grande quantità su Marte in epoche remote le hanno fornite la sonda della Nasa Mars Global Surveyor e le due rover Spirit e Opportunity ancora al lavoro a quasi due anni dallo sbarco sul Pianeta Rosso. Queste ultime, in particolare, hanno trovato i minerali formatisi in presenza di acqua salmastra. Inoltre sia Mars Odissey della Nasa e Mars Express dell’Esa hanno rilevato la presenza di ghiaccio nel sottosuolo, oltre a quello visibile nelle calotte polari. Ma gli scienziati avevano anche concluso che le condizioni ambientali di oggi (bassissime pressione e temperature) impedivano la presenza di ogni liquido in superficie perché vaporizzerebbe istantaneamente.

Ora un esperimento condotto all’Università dell’Arkansas (Usa) suggerisce invece la possibilità che acqua salmastra potrebbe invece esistere al suolo anche oggi. Julie Chittenden dell’Arkansas Center for Space and Planetary Science ha ricreato in laboratorio un ambiente analogo a quello marziano sia con la stessa bassissima pressione sia con temperature oscillanti dai 21 ai 50 gradi sotto zero. In tale situazione un miscuglio di acqua con clururo di sodio e cloruro di calcio è riuscito a mantenersi allo stato liquido. Il risultato ha sorpreso ed ha naturalmente alimentato la speranza che qualche sonda spaziale riesca ora davvero a trovarla.

Proprio ora è in viaggio Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa che arriverà in orbita marziana nel marzo prossimo rimanendo al lavoro almeno sino al 2010. Il nuovo veicolo spaziale è dotato di strumenti di osservazione ancora più potenti dei predecessori e volerà su un’orbita pure più bassa. Tutto ciò potrebbe quindi consentire una visione più precisa del suolo e garantire un contributo prezioso alla conferma dei nuovi esperimenti di laboratorio.

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26/11/2005 13:34


La sonda giapponese Hayabusa, partita da Terra nel 2003 è riuscita nell'intento di atterrare su un asteroide lontano 290 milioni di chilometri dalla Terra e ripartire da esso, probabilmente con un piccolo campione di suolo. Ora inizia il lungo viaggio che la riporterà sulla Terra nel 2007.



Hayabusa, che in giapponese significa falcone, aveva già tentato lo scorso 19 novembre di atterrare sull'asteroide. Dopo ore di apprensione durante le quali sembrava non essere riuscita nell'intento, gli esperti della Jaxa, l'Agenzia Spaziale Giapponese, ottenevano la conferma che la sonda era effettivamente atterrata e vi era rimasta per circa 30 minuti. Tuttavia in quell'occasione non si ebbe conferma che essa fosse riuscita a prelevare un campione di roccia dell'asteroide Itokawa, questo il nome di quel grosso macigno, dato in onore del padre dell'astronautica giapponese. Per questo motivo si è deciso un secondo tentativo.

Dopo alcuni rinvii la sonda è scesa quando in Giappone erano le 7 del mattino di sabato e tutto ha funzionato alla perfezione. Anche in questo caso tuttavia, non si ha la certezza assoluta che Hayabusa abbia prelevato un campione di suolo, in quanto non vi è un sensore che confermi tale operazione. La certezza dunque, la si avrà quando la sonda tornerà a Terra, nel deserto australiano, nel 2007.

Lo scorso 13 novembre Hayabusa aveva rilasciato sull'asteroide un piccolo robot, chiamato Minerva, il quale però si è perso in fase di discesa. Durante il precedente atterraggio invece la sonda aveva depositato sull'asteroide un involucro con la firma di 880.000 persone che avevano dato il nome alla Jaxa, per fissare la propria memoria su qual lontano oggetto spaziale.

La sonda è un vero e proprio concentrato di altissima tecnologia a partire dal suo propulsore. Spiega Jun'ichiro Kawaguchi, responsabile della missione: "Si tratta di un motore ionico, dove la spinta viene ottenuta da un flusso di ioni (atomi senza alcuni elettroni) che vengono accelerati ad altissima velocità da un campo elettrico. La sonda poi, che pesa circa 500 kg, è equipaggiata con un cervello di bordo intelligente". Questo infatti, doveva decidere autonomamente le manovre di discesa, perché il tempo di invio di un segnale da Terra, che impiega più di 10 minuti, non avrebbe dato modo di guidarla durante la delicata manovra di atterraggio. Poiché la forza di gravità dell'asteroide è solo di un centesimo di millesimo di quella terrestre, le possibilità che la sonda avesse potuto subire un rimbalzo durante il contatto con l'asteroide erano molto elevate. Per farsi aiutare Hayabusa ha fatto cadere su Itokawa (lungo solo 690 m e largo 300m) uno strumento che rifletteva il raggio laser inviato dalla sonda.

Durante i giorni in cui Hayabusa è rimasta parcheggiata attorno all'asteroide le macchine fotografiche di bordo hanno scattato oltre 1.500 immagini della superficie di Itokawa, uno spettrometro all'infrarosso (uno strumento che raccoglie le informazioni alla lunghezza d'onda dell'infrarosso) ha eseguito 75.000 misure e un laser altimetro ha inviato a Terra circa un milione e mezzo di informazioni della superficie.

Lo studio degli asteroidi risulta di grande importanza per conoscere meglio il nostro sistema solare. Essi infatti, sono i mattoni dei pianeti e sono rimasti tali da oltre 4 miliardi e mezzo di anni. Se davvero la sonda Hayabusa riuscirà a riportarci un frammento di Itokawa, gli scienziati avranno tra le mani un prezioso reperto per gettare uno sguardo ai nostri primordi.


Veramente impressionante come realizzazione tecnica, speriamo arrivi in Australia senza problemi. [SM=x44462]

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29/11/2005 23:05

Zitti, zitti, quatti, quatti, i Giapponesi stanno facendo le scarpe alla NASA. [SM=x44455]

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"Chi ha parlato, chi ca..o ha parlato? Chi è quel lurido str...o comunista checca pompinaro, che ha firmato la sua condanna a morte? Ah, non è nessuno, eh? Sarà stata la fatina buona del ca..o..."

Il più acerrimo nemico del Bremaz è Rurro Rurrerini.
(ma anche Ramarro Rurale, con il suo fedele servitore lo gnomo Corri Rorra, non scherza....)




Legionis praefectus more cinaedi communis currum regit.

"Siccome c'ho una certa immagine da difendere....."

Dice il saggio: "Viajare descanta, ma se te parti mona te torni mona."




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30/11/2005 10:29


Beh, è sinceramente impressionante il gran numero di teconologie che sono riusciti a sperimentare con successo in quella sonda.

Veramente complimenti! [SM=x44461]

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01/12/2005 20:37

MARTE, UN GRANDE LAGO D'ACQUA DI GHIACCIO TROVATO NEL SOTTOSUOLO
le prime fotografie del sottosuolo marziano rivelano un mondo imprevisto e mostrano per la prima volta, la presenza di strati di ghiaccio d'acqua che un tempo lontano erano con molta probabilità laghi d'acqua liquida.
Il balzo nella conoscenza del pianeta rosso è frutto della sonda MArs Express dell'Esa europea che da due anni sorvola i panorami rossi con i suoi Canyon ele distese aride e vuote spazzate dal vento. A bordo il radar italiano Marsis (costruito in collaborazione con la Nasa) aveva la possibilità di scandagliare il sottosuolo fino ad una profondità di un paio di Km scoprendo l'esistenza di acqua liquida o ghiaccio d'acqua e disegnando le caratteristiche geologiche sotteranee.
Le promesse sono state mantenute scrutando nei passati mesi estivi l'emisfero settentrionale e in vicinanza del Polo Nord nella regione Chryse Planitia è stato scoperto un grande cratere dal diametro di circa 250 Km causato dall'impatto di una meteorite gigante. Ma nel suo fondo fra 2,5 e 1,5 Km Marsis ha indicato la presenza di un sottile strato di ghiaccio d'acqua che in origine doveva formare un lago sia pure non profondo. il tutto è ricoperto da uno spesso strato di materiali compatti che soltanto le onde radio sono state in grado di scavalcare. Ma le sorprese sono continuate scandagliando altre zone più vicine al polo dove si è visto sotto uno strato di regolite basaltica di circa 1 Km un successivo strato spesso alcune centinaia di metri (forse addirittura 700) costituito da Ghiaccio d'acqua quasi puro.
Tracce di un antico bacino, una volta liquido quando il pianeta era caldo e quando tutto ciò segnava la superficie? Oppure si tratta di acqua scesa nella profondità, come gli astronomi ipotizzano, e poi ghiacciata?
"Marsis- spiega il suo responsabile, Giovanni Picardi dell'Università La Sapienza- è l'unico strumento in grado di mostrarci le viscere del Pianeta Rosso, anche se bisogna attendere ulteriori indagini per capire, se questo ghiaccio non sia addirittura acqua. Per il momento però, non lo possiamo dire."
"Le scoperte del ghiaccio sotterraneo, precisa Marcello Corradini direttore dell'Esa di Parigi, ci rivelano un mondo inatteso che pone nuove domande. Enormi quantità di sedimenti sembrano nascondere il vero volto marziano."
MA il ghiaccio in profondità alimenta anche la speranza di un altro passo verso la vita. "Se la sua presenza è il frutto di condizioni rimaste stabili per molto tempo, milioni di anni, allora anche un ambiente tanto gelido ed estremo, ma schermato dalle radiazioni letali che piovono in superficie, potrebbe essere idoneo per qualche microorganismo."
In gennaio le indagini riprenderanno al Polo Sud marziano e forse allora le sorprese potrebbero essere anche più entusiasmanti.
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01/12/2005 20:43

Ulteriori dettagli:
La High Resolution Stereo Camera (HRSC, fotocamera stereoscopica ad alta risoluzione) a bordo di Mars Express, la sonda automatica europea in orbita attorno a Marte dal dicembre 2003, ha catturato ed inviato a Terra le prime immagini di un ghiacciaio situato sul fondo di un cratere senza nome nei pressi del polo nord marziano.




La posizione del ghiacciaio
Le fotografie sono state scattate dalla HRSC durante la 1343a orbita di Mars Express, con una risoluzione di circa 15 metri per pixel. Il cratere in questione, ancora senza nome, è situato a circa 70.5°N e 103°W, ovvero nella Vastitas Borealis, la pianura che occupa la maggior parte dei territori settentrionali di Marte.
Il cratere misura 35 km di diametro e raggiunge una profondità massima di circa 2 km rispetto alle pianure circostanti. La struttura circolare particolarmente luminosa situata al centro del cratere è ghiaccio d'acqua residuo.

Ipotesi sulla costituzione del ghiacciaio
Gli scienziati dell'ESA ritengono che nemmeno nei mesi estivi la temperatura e la pressione atmosferica raggiungano valori sufficienti per permettere la sublimazione del ghiaccio d'acqua. Viene inoltre escluso che si tratti di anidride carbonica ghiacciata, poiché nella stagione in cui è stata scattata la fotografia (la tarda estate dell'emisfero nord marziano) tale tipo di ghiaccio è già completamente sparito dalla calotta polare settentrionale del pianeta.
È stata rilevata una differenza di altitudine di circa 200 metri fra il fondo del cratere e la cima del ghiacciaio; si ritiene dunque che al di sotto dello strato di ghiaccio si trovi una vasta duna, che è possibile intravedere sull'orlo orientale del ghiacciaio.
Altre tracce di ghiaccio d'acqua si possono individuare sul bordo del cratere e sulle sue pareti. L'assenza di ghiaccio sulla parete situata a nord-ovest è giustificata della maggiore insolazione di queste aree.

10/12/2005 23:47

Re:

Scritto da: orckrist 29/11/2005 23.05
Zitti, zitti, quatti, quatti, i Giapponesi stanno facendo le scarpe alla NASA. [SM=x44455]

[SM=x44462] son pieni di risorse! [SM=x44452]
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10/03/2006 11:39

Acqua su Encelado
L'acqua allo stato liquido non è più una prerogativa della Terra. Giganteschi geyser infatti, sono stati osservati eruttare dalla superficie di Encelado, una delle innumerevoli lune che ruotano attorno a Saturno. La scoperta è stata realizzata grazie alle analisi eseguite sulle immagini scattate dalla sonda Cassini che ruota attorno al pianeta degli anelli.

"Anche se è difficile crederlo siamo certi che dalla crosta ghiacciata del pianeta escono violenti spruzzi d'acqua simili a quelli che si trovano nel Parco di Yellowstone (Stati Uniti)", ha spiegato Carolyn Porco, responsabile dello studio delle immagini della Cassini, la quale ha sottolineato: "Se avremo la conferma della scoperta è indubbio che ci troviamo di fronte ad un ambiente dove è possibile la presenza di semplici organismi viventi". Le fotografie mostrano getti di giganteschi volumi d'acqua che per la bassissima temperatura si trasforma immediatamente in ghiaccio.

L'acqua liquida sembra provenire da sotto la crosta composta da ghiaccio il quale, nel punto il cui l'acqua viene a giorno, è spesso solo una decina di metri. È probabile che l'acqua venga in superficie nel momento in cui agiscono contemporaneamente su Encelado le forze di gravità dei satelliti più vicini. Queste forze causano pressioni interne sulle rocce calde sufficienti a fondere il ghiaccio in acqua, la quale, trovandosi anch'essa sotto pressione, riesce a rompere la crosta superficiale e uscire allo scoperto.

Encelado è piccolo, cristallino, molto attivo e possiede una debolissima atmosfera. La sua superficie è costituita da aree coperte da crateri con diametri che arrivano anche a 35 km. Altre zone, invece, sono più lisce, quasi fossero state plasmate di recente. Altre aree ancora presentano fessure, corrugamenti e deformazioni crostali di vario tipo. Un insieme di elementi che fanno ipotizzare che la crosta del satellite non è più vecchia di 100 milioni di anni.

Durante l'ultimo sorvolo della Cassini, gli strumenti di bordo avevano messo in luce un misterioso fenomeno in prossimità del polo sud della luna. Qui infatti, la temperatura è superiore al resto della superficie del satellite, arrivando anche a - 160°C rispetto ai - 200° del resto della luna. "È come se l'Antartide fosse più caldo dell'equatore terrestre. C'è davvero qualcosa di anomalo sotto il Polo", ha detto Porco.

E proprio in quell'area le ultime immagini scattate dalla Cassini mostrano il ghiaccio segnato da gigantesche "unghiate". Tali "ferite", secondo gli scienziati, sono molto giovani, non hanno cioè, più di 1.000 anni. Dai graffi, che in realtà sono fratture lunghe circa 130 km e larghe 40 e che corrono parallele le une alle altre, fuoriescono proprio i giganteschi geyser che emettono acqua, la quale poi, ghiacciandosi, va ad alimentare uno degli anelli più sottili di Saturno.
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28/06/2006 16:40

Discovery: alto il rischio di morte

Nasa: "C'è una possibilità su cento"

La missione dello shuttle Discovery ha una possibilità su cento di concludersi con la morte degli astronauti. E' questa l'ultima stima shock della Nasa in vista del countdown del primo luglio dal Kennedy Space Center, in Florida. Secondo quanto riferito dagli esperti dell'agenzia Usa, la percentuale di rischio non sarebbe diversa da altre missioni del passato, ma questa volta il dato assume nuovi significati.


Il Discovery, infatti, si appresta al lancio nonostante il parere negativo di due alti dirigenti della Nasa. A preoccupare gli esperti, ancora una volta è la fragilità del rivestimento esterno dei serbatoi, già fatale nel 2003, quando il Columbia esplose al rientro nell'atmosfera, e ancora protagonista in negativo nel 2005, durante il primo test del nuvoo shuttle.

Il problema, stando ai due tecnici dell'agenzia addetti alla sicurezza che hanno espresso i loro dubbi durante il briefing finale per dare il via libera alla missione, non è stato ancora risolto del tutto, ma il capo della Nasa, Michael Griffin, si è assunto la responsabilità di avviare i preparativi per il lancio. "E' stata una decisione difficile, altamente tecnica, che ha tenuto conto di un gran numero di fattori per valutare i rischi", ha detto Griffin.

Della stessa opinione non sono invece altri esperti. Secondo Michael Stamatelatos, direttore della sicurezza alla Nasa, le possibilità della perdita della navetta sono ufficialmente di 1 a 100, ma in molti si chiedono se stavolta non possano essere anche superiori. Il tasso di rischio che la Nasa riconosce ufficialmente è comunque aumentato di molto: all'inizio del programma degli shuttle, prima che esplodesse il Challenger, veniva ottimisticamente calcolato in 1 su 7.000.

A gettare ulteriori ombre sui rischi del lancio c'è inoltre il repentino licenziamento di Charles Camarda, direttore degli ingegneri del Johnson Space Center della Nasa che è stato rimosso dalla squadra di lancio dello Shuttle Discovery dopo aver espresso il suo appoggio ai dubbi di Bryan O'Connor, il capo della sicurezza, e di Chris Scolese, l'ingegnere capo.

Gli unici a non avere dubbi sul successo della missione sembrano invece i sette membri dell'equipaggio, già arrivati a Cape Canaveral per i preparativi finali. "E' grande essere finalmente qui, dopo un così lungo addestramento, e dare un'occhiata alla rampa da cui partiremo", ha detto l'americano Mike Fossum. "Dopo anni e anni di preparazione, siamo finalmente vicini", ha aggiunto il tedesco Reiter, che resterà sulla Stazione Spaziale internazionale per sei mesi. Il fascino dello spazio fa dimenticare ogni pericolo.

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04/07/2006 11:49

DISCOVERY, NASA:NESSUN PERICOLO, PUO' PARTIRE

La Nasa ha deciso che procederà al lancio del Discovery nonostante una crepa nella schiuma che protegge il serbatoio esterno della navetta. "Il lancio avverrà in giornata" dice la portavoce della Nasa, Lisa Malone. "La schiuma è strutturalmente intatta e non c'è alcun timore per la sicurezza", aggiunge un amministratore dell'ente spaziale, Bill Gestenmaier. Dato che il piccolo lembo staccatosi non mette a rischio la protezione termica, non ci saranno riparazioni.
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17/07/2006 12:00

Il ritorno del Discovery
Gli astronauti a bordo dello shuttle Discovery hanno iniziato i preparativi finali per l'atterraggio in Florida oggi, mentre si avvicina la fine di una missione che, come spera la Nasa, provi che lo shuttle può riprendere a volare in sicurezza dopo il disastro del Columbia nel 2003.

L'equipaggio si è svegliato poco dopo mezzanotte per prepararsi all'atterraggio previsto per le 15.14 italiane al Kennedy Space Center, da cui era partito il 4 luglio.

"Sperando in una buona giornata qui con tempo buono, atterreremo in otto, dieci ore", ha detto il comandante del volo Steve Lindsey via radio al Controllo Missione del Johnson Space Center a Houston.

"Speriamo la stessa cosa", ha risposto da terra Steve Swanson.

Le condizioni atmosferiche sembrano favorevoli all'atterraggio, anche se la Nasa teme la pioggia che potrebbe ritardare le operazioni.

Se lo shuttle non potesse atterrare alle 9.14, avrà una seconda possibilità alle 10.50 - le 16.50 italiane . Poi dovrebbe aspettare fino a domani e forse portare il Discovery alla Base Aerea Edwards nel deserto della California.
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21/07/2006 12:58

da Repubblica.it 17 Luglio 2006 ore 15:51

Successo per la missione Nasa. Lo shuttle Discovery è atterrato regolarmente sulla pista di Cap Canaveral. A bordo l'equipaggio composto da due donne e sei uomini. Nella stazione orbitante è rimasto invece il tedesco Thomas Reiter che non tornerà sulla Terra prima di sei mesi.


...e questa volta l'hanno sfangata...

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21/07/2006 13:48

tiriamo un sospiro di sollievo [SM=x44450]
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16/08/2006 10:25


Il lanciatore VEGA
6 Marzo 2003

Mentre il lancio fallito della nuova versione dell’Ariane 5, in dicembre, e la tragedia dello Shuttle Columbia sembravano suggerire una battuta d’arresto nell’utilizzo dello spazio, il 25 febbraio è stato firmato il contratto per completare la fasi di sviluppo di un nuovo lanciatore europeo, il Vega.

Vega sarà un vettore di piccole dimensioni, se confrontato con quelle degli altri membri della famiglia degli Ariane: circa 27 metri di altezza contro gli oltre 50 metri dell’Ariane 5, una massa al lancio di 128 tonnellate contro le 710 dell’Ariane 5. Alle ridotte dimensioni si associa naturalmente una capacità di lancio diversa rispetto a quella degli Ariane 5. Le prestazioni di Vega sono stato progettate per rispondere a un requisito di base: il lancio di un carico utile, cioè di un satellite, destinato a un’orbita polare bassa, cioè un’orbita inclinata di 90° rispetto all’equatore, a una quota di 700 km.

Questo non significa che Vega potrà essere usato solo per missioni di quel genere: diminuendo l’inclinazione dell’orbita richiesta e mantenendo la medesima quota, Vega può lanciare carichi utili più pesanti. Se poi ci interessa una quota maggiore, naturalmente dovremo diminuire il carico utile, come è intuitivo. Vega avrà tre stati a propulsione solida a cui è affidato il compito di vincere la forza di gravità e uno stadio addizionale a propulsione liquida, tra il terzo stadio e il satellite da lanciare, che dovrà controllare l’assetto del lanciatore, la sua traiettoria, il rilascio del satellite e il rientro nell’atmosfera dell’ultimo stadio.

In questo contesto europeo, l’Italia è senz’altro uno dei protagonisti di questa nuova sfida. Quale è il ritorno per il nostro paese?

Vega è un progetto che nasce in Italia e che è stato fatto proprio dall’Agenzia Spaziale Europea, che lo ha ritenuto di interesse strategico. Oggi l’Italia sostiene il programma di sviluppo con il 65% dei finanziamenti, seguita dalla Francia con circa il 12,5%. Allo sviluppo di Vega partecipano con quote minori anche Spagna, Svezia, Svizzera e Paesi Bassi.

Dal punto di vista industriale i ruoli chiave sono giocati da società italiane: la ELV, una società per azioni a cui partecipa il gruppo Fiat e l’Agenzia Spaziale Italiana, è responsabile dello sviluppo del lanciatore nel suo complesso. La FiatAvio, del gruppo Fiat, è invece responsabile dello sviluppo del primo stadio, il P80, una versione rivista dei razzi booster degli Ariane 5, che utilizzano lo stesso tipo di propellente. Lo stadio P80 costituirà di fatto anche un banco di prova per lo sviluppo di nuovi booster per l’Ariane5, chiudendo il cerchio. Inoltre il team responsabile del progetto risiederà in Italia, presso ESRIN, la sede di Frascati dell’Agenzia spaziale Europea.

Il primo volo di Vega è previsto per la metà del 2006. Ma che genere di satelliti lancerà?

C’è oggi la possibilità di sviluppare satelliti scientifici per l’astronomia e per l’osservazione della Terra di dimensioni piuttosto ridotte. Mettere in orbita satelliti sui 1500 kg con un lanciatore come Ariane 5 è talmente dispendioso da precludere il lancio alle piccole-medie imprese o alle Università e agli enti di ricerca. Vega cerca di cogliere queste nuove possibilità e, al tempo stesso, di stimolarne la crescita. Mentre oggi per mettere in orbita un piccolo satellite si è costretti ad acquistare un lancio con un vettore americano o con un vettore russo, Vega garantisce all’Europa, cioè alle imprese e agli enti europei, un accesso allo spazio indipendente e a basso costo. Il costo del lancio, infatti, dovrebbe essere circa il 15-20% in meno di un lancio con un vettore americano.

Finora sono stati individuati già 13 potenziali lanci di satelliti che hanno le caratteristiche giuste per Vega. In generale si suppone di utilizzare Vega per almeno 3-4 lanci all’anno, indipendentemente dal mercato. In più si aggiungono i lanci commerciali, la cui frequenza oggi è più difficilmente prevedibile, perché dipende dall’andamento del mercato stesso.

Ragioni strategiche a parte, in un periodo di scarsi investimenti nella ricerca, perché l’Italia si è impegnata nello sviluppo di un lanciatore?

Il lanciatore, nonostante l’impegno italiano, non è un lanciatore nazionale. Il programma è svolto in ambito europeo, all’interno dell’Agenzia Spaziale Europea. Ma per l’Italia, in definitiva, era un’occasione unica: per lo sviluppo di questo lanciatore vengono usati massicciamente sia le competenze che le strutture sviluppate in precedenza. Si tenga conto che si riutilizzano tutti gli investimenti europei per l’Ariane: per la fabbricazione degli elementi, per le competenze, per la base di lancio, per le infrastrutture. Per fare un esempio, il modulo a propellente liquido utilizza un sistema di guida e controllo del volo con una piattaforma inerziale identica a quella utilizzata per gli Ariane5. Ho già citato il primo stadio P80, che non solo deriva direttamente dall’Ariane5, ma che utilizza lo stesso propellente: dunque permette di utilizzare gli stessi gli impianti di produzione. Infine, Vega sarà lanciato dalla base di Kourou, ormai una base con un funzionamento e un’efficienza collaudati. In particolare sarà riutilizzata la rampa di lancio ELA1, che era stata usata per il primo lancio di un Ariane, nel 1986, rivista e corretta in base alle nuove necessità. L’intero sviluppo costa circa 1 decimo rispetto a una situazione in cui si parte da zero.

Fonte: Agenzia Spaziale Europea








[Modificato da orckrist 16/08/2006 10.26]

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17/08/2006 15:21



Il 24 agosto a Praga la votazione dell'International Astronomical Union

Spazio, un 'conclave' per la nuova definizione di Pianeta

Lo schema preparato dall'IAU propone categorie differenti per classificare corpi spaziali diversi




Nel sistema solare ci sono dodici pianeti, ma ce ne potrebbero essere di piu', se la prossima settimana verra' adottata una nuova definizione per il termine "pianeta". Il 24 agosto, infatti, l'International Astronomical Union (IAU) votera' a Praga, su una traccia di definizioni, cio' che distingue un pianeta da un corpo roccioso di dimensione piu' piccole.

Lo schema preparato dall'IAU propone categorie diverse per classificare corpi spaziali diversi e abbiamo:

Pianeta: corpo rotondo che orbita intorno a una stella. Importante, reso tondo dalla sua forza di gravita'.

Plutone: un pianeta che orbita oltre Nettuno, che impiega piu' di 200 anni terrestri per compiere un orbita intorno al Sole. Rappresenta quasi una categoria che potrebbe includere Plutone, Charon, luna di Pluto e Xena.

Satellite: qualsiasi cosa orbiti intorno ad un pianeta, sempreche' il centro di gravita' comune non cada al di fuori del pianeta centrale. Comprende diversi corpi che sono anche piu' grandi di molti pianeti, come la luna di Giove, Ganimede (5262 chilometri di diametro).

Piccoli corpi del Sistema Solare (Small solar system body: SSSBs): qualsiasi corpo orbiti intorno al Sole, che non sia un pianeta o un satellite. La maggior parte degli asteroidi e comete potrebbero essere SSSbs. Ora vengono definiti pianeti minori.

Pianeti nani: un pianeta piu' piccolo di Mercurio (4879 chilometri) che e' il piu' piccolo e incontestato pianeta. In questa categoria potrebbero rientrare Ceres, Pluto, Charon e Xena (2003 UB313).

Pianeti Giganti: Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Pianeti classici: I quattro pianeti giganti piu' i quattro pianeti rocciosi di tipo terrestre: Mercurio, Venere, Terra e Marte. Rivedere la definizione di pianeta era ormai necessario, viste le scoperte fatte negli ultimi anni di nuovi corpi celesti. Ad esempio, la discussione sulla possibile "pianetudine" di Plutone e' cominciata, proprio, quando sono stati scoperti nuovi corpi ghiacciati esterni al Sistema Solare, molti dei quali non piu' piccoli di Plutone.

Anche la scoperta di Xena, 2400 chilometri di diametro, nel 2005, leggermente piu' grande di Plutone, fece nascere il dubbio su come definirlo. Si propose, decimo pianeta, ma in questo caso ci sarebbero molti altri candidati alla stessa definizione.

Il 24, finalmente, si arrivera' a un accordo, almeno cosi' sperano i sette membri del Comitato per la definizione di pianeta, di cui fanno parte oltre ad astronomi, storici e letterati. Tutti sono arrivati alla conclusione, pero', che il termine che definira' un corpo come pianeta o satellite deve rifarsi a parametri scientifici i piu' rigorosi possibili.

"Il termine pianeta - ha detto uno dei mebri del comitato, Richard Binzel dell'MIT in un'intervista rilasciata oggi a New Scientist - e' stato inventato millenni fa, ma ora la scienza puo' dirci qualcosa di piu'. Nel caso del termine pianeta lo si vuole attribuire a corpi che la gravita' ha reso tondi. Ma non e' tutto, devono orbitare intorno ad una stella e non essere essi stessi stella o satelliti di altri pianeti. Ma il requisito piu' importante e' la rotondita'".

Tra i corpi piccoli e rotondi, ora classificati come asteroidi, Ceres insieme a Vesta, Pallas, Hygiea (400 chilometri) potrebbero diventare pianeti nani. Mentre la coppia Pluto e Charon, che secondo le nuove definizione non e' un satellite di Plutone, potrebbero diventare un sistema planetario doppio il cui centro di gravita' si trova nello spazio tra i due corpi. Per Plutone, Charon e Xena e corpi celesti simili sarebbe stato coniato il termine che li classifica come "plutons", ci sarebbero gia' dozzine di candidati a questo nuovo termine e sicuramente se ne aggiungeranno molti altri in futuro, soprattutto per corpi esterni al Sistema Solare.

Ma come distinguere, si chiedono gli scienziati, i grandi pianeti dalle Nane Brune, un tipo particolare di stella con una massa insufficiente a sostenere il processo di fusione nucleare, proprio delle stelle come il nostro Sole. E' un discorso da affrontare, dicono gli scienziati. Naturalmente i nuovi termini che usciranno da questo "conclave" scientifico, seppur coniati su basi rigorosamente scientifiche, non saranno imposti a nessuno e chiunque potra' continuare a chiamare pianeta qualsiasi corpo costituito da materiale collassato su se stesso a forma di sfera.


"L'IAU - ha detto Neil deGrasse Tyson, direttore dell'Hyde Planetarium di New York, non e' un collegio di cardinali, e la gente puo' tranquillamente continuare a chiamare pianeti i nove oggetti familiari del nostro sistema, senza preoccuparsi di quello che dicono gli esperti".


- RAI.it News -(Pubblicato il 17 agosto 2006)


Quanto si deve ancora osservare, scoprire, comprendere! [SM=x44461] [SM=x44462]

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