FINALE DI PARTITA PER BIG LUCIANO
“COSTRETTO ALLA BANCAROTTA DAL BURATTINAIO CESARE GERONZI”
E TIRA IN BALLO FRANCO CARRARO E LA GEA DI CHIARA GERONZI E MOGGI JR
LA QUERELA DI CAPITALIA: “SONO SOLO INSINUAZIONI CALUNNIOSE E FARNETICAZIONI”
CAPITALIA QUERELA GAUCCI
(ANSA) - "Quelle di Gaucci sono solo insinuazioni calunniose - replicano da Capitalia - insinuazioni che respingiamo da mesi. Si tratta di farneticazioni e contro chi le ha pronunciate abbiamo presentato querela per calunnia e diffamazione".
Il boss di Capitalia, Cesare Geronzi
COSÌ BIG LUCKY È FINITO IN FUORIGIOCO…
Mattia Feltri per “La Stampa”
Per dimenticare le amarezze della vita, dice Luciano Gaucci, una volta si andava all’osteria a gonfiarsi di vino, e adesso si va allo stadio a gonfiarsi di botte.
Lui, nei dolci anni, era proprietario del
Perugia in serie A, del Catania in serie B, della Sambenedettese e della Viterbese in serie C.
Quanto a ristoranti, si dedicava alla zuppa inglese e al Moët&Chandon di Fortunato al Pantheon, oppure alla fiorentina e al Veuve Clicquot di Tullio, zona via Veneto.
Stavolta le amarezze della vita lo hanno raggiunto dall’altra parte del mondo, sulle spiagge di Santo Domingo, dove cercava di vincerle col dolce tedio caraibico e con le morbidezze della fidanzata Iris, giovane dominicana di bellezza svettante.
Una macchina da soldi Il dolore per l’arresto dei due amati figli maschi, Alessandro e Riccardo, non è placabile con eventi agonistici né enologici. C’è già chi dice, infatti, che i due giovanotti sono rimasti impelagati nelle bolge creative del padre, il quale, per rendere l’idea, cominciò a fare quattrini con un’azienda di pulizie.
La aprì a Roma e la chiamò «La Milanese», perché «io curo tutti i dettagli». Con Milano non c’entrava nulla, ma il nome lasciava intendere che lì dentro sgobbassero tutti come ossessi. «Dopo due anni gestivo nove aziende, ma il novanta per cento del lavoro lo commissionavano alla “Milanese”. Mica male, no?», raccontò in un’intervista.
(Luciano Gaucci e Claudia Del Duca)
Essere svegli e un po’ paraculi, com’è sveglio e paraculo Gaucci, non vuol dire essere manigoldi. Ma, ecco, qualche sospettuccio veniva davanti agli esuberanti magheggi di questo sessantasettenne, capace di fare soldi coi cavalli, coi calciatori di Tokyo e persino col Superenalotto: due miliardi e mezzo intascati con un cinque più uno. Il puledro
Tony Bin, costato venti milioni di lire, fece suo l’Arc de Triomphe del 1988, e Gaucci lo vendette a un allevatore giapponese per sette miliardi. Il centrocampista Hidetoshi Nakata, costato tre miliardi e mezzo, riempì di connazionali la città di Perugia per un campionato, eppoi fu ceduto alla Roma a quarantadue miliardi. Gaucci ci riprovò con cinesi e coreani, ma non sempre i prodigi riescono. Anche perché, raccontò, «questi stavano digiuni, continuavano a dimagrire, erano abituati a mangiare cani e insetti».
Gattuso, il primo rimpianto Sembrava sempre una questione di piedi (per calciar palloni) e palati (per attovagliarsi). Il dolore massimo, finora, gli era stato procurato da
Gennaro Gattuso, centrocampista adesso al Milan, che da ragazzino arrivò a Perugia in sandali e calzoncini. Gaucci per prima cosa gli domandò se volesse fare colazione, «e ‘sto ragazzino s’è magnato otto cornetti...». L’ingrato, anni dopo, fuggì in un club inglese. In realtà non era soltanto questione di piedi e palati, ma anche di puro genio. Gaucci ingaggiò un centravanti tedesco,
Brigitte Prinz, che, come dice il nome, aveva la particolarità di essere donna.
Il regolamento, sguarnito sul punto, non gli impediva di metterla in campo, e la Lega dovette ricorrere alle cavillose interpretazioni. Ed era questione di puro genio perché nelle pari opportunità il presidente non ebbe più fortuna di una Prestigiacomo, ma nel contenimento dell’Islam aggressivo ha fatto più del migliore neocon. Quando Al Saadi, figlio di Muhammar Gheddafi, ebbe la maglia numero 19 del Perugia, la storia del football non sterzò. Ma quella dell’umanità sì, almeno nelle interpretazioni di Gaucci. «Silvio Berlusconi mi ha telefonato per farmi i complimenti. Dice che io ho migliorato i rapporti dell’Italia col resto del Mediterraneo, e che il nostro paese ne sta traendo grandi benefici economici e politici». Il rientro di Gheddafi senior nel consorzio degli statisti non canaglia cominciò lì, pare.
E del resto Gaucci ha sempre avuto il bernoccolo della politica. Quando era il vice di Dino Viola alla presidenza della Roma, strinse cordiali relazioni con Giulio Andreotti. Insufficienti però a spingerlo sino alle vette gestionali del club giallorosso: alla morte di Viola, spiega, le pressioni di Bettino Craxi e Paolo Cirino Pomicino a vantaggio di Giuseppe Ciarrapico furono superiori e decisive.
Cavalli di razza Se non sono a quattro zampe, Gaucci i suoi cavalli li sbaglia sempre.
Venticinque anni fa Andreotti. Adesso Berlusconi e Gianni Letta, ai quali ha sempre dichiarato vicinanza e affetto. Ma non sono certo sostegni simili a proteggere dalle disavventure giudiziarie. Né sostegni altissimi, come quelli alla Casa Bianca sventolati ripetutamente da un Gaucci al colmo della spacconeria. «Sono amico di George Bush», disse testuale a un esterrefatto Alessandro Dell’Orto, che lo intervistava per Libero. Seguì un racconto la cui trama sembrava inventata per umiliare le intelligenze meno esplosive.
Insomma, secondo Gaucci, una sua ex fidanzata, amica di Frank Stella, presidente dell’Associazione italiani d’America, prese a fare campagna elettorale per Bush durante le partite della Viterbese. A quale scopo, non si sa.
L’amico americano
Ma, insomma, a un certo punto sui campi della C2 comparve lo striscione «Bush for president». Saputolo - come e da chi è un altro mistero - il neoeletto volle conoscere il sostenitore italiano. Nacque un’intesa spirituale da cui si evince che, se Gaucci compila i bilanci come le memorie, la situazione è grave.
Dagospia 02 Febbraio 2006
Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.