Questo post lo inserisco qui, perché mi sembra che possa starci, ma se i mod ritenessero di spostarlo avrebbero comunque tutta la mia comprensione.
Ayrton
Basta il nome, che è già unico di per se, non necessita il cognome.
Per me il più grande, la differenza di età e la prematura e tragica fine non gli hanno permesso di confrontarsi adeguatamente con il miglior Schumacher. Chissà quali spettacoli ci avrebbero relegato ...
Emanuela Audisio è una giornalista che stimo molto, scrive per "La Repubblica" e sa fare ritratti dei campioni sportivi con una penna che forse nessun altro giornalista comtemporaneo ne è capace.
Qualche anno fa ne avevo trovato uno suo su Ayrton che mi fece venire i brividi, ma oggi l'ho ricercato ovunque senza trovarlo.
Ho trovato comunque un suo articolo, scritto pochi giorni dopo la tragica Imola 1994, sempre per
"La Repubblica" , dove a risaltare sono più le parole che lei ha raccolto da Toquinho che le proprie. E sono comunque parole che entrano nel profondo.
Le ripropongo qui di seguito, assieme ad un filmato in memoria di Ayrton corredato da due belle canzoni come colonna sonora (non ho potuto incorporarlo nel post, ho messo però il link).
Saudade di Senna felice e vincente
di EMANUELA AUDISIO
SAN PAOLO - Dice: "Non siamo mai stati quello che voi credevate: felici e perdenti. Per questo senza Senna siamo più vuoti, più soli. Lui voleva sempre vincere, vincere e basta. Non gli interessava altro. Dava una sensazione di sicurezza, d'invincibilità, basta ricordare come gli piaceva correre sotto la pioggia, mentre Prost invece ne faceva a meno. Ah lo so, per voi non aveva nulla di brasiliano, invece lo era dalla testa ai piedi. E in un paese come il nostro dove non capitano mai le cose giuste, ma solo quelle sbagliate, e dove la frustrazione è grandissima perché i problemi non si risolvono, ma caso mai si rimandano, si frazionano, si nascondono, lui era l'opposto. Era freddo prima e emozionante durante. Era tutto quello che l'insoddisfazione e la frustrazione non sono".
Dall'attico di Toquinho che con Chico Buarque de Hollanda e con Caetano Veloso è l'anima della canzone brasiliana la morte di Ayrton Senna sembra ancora di più qualcosa di sbagliato, di poco sportivo, uno schiaffo dato ad un paese che non lo meritava. "Io ci provo a spiegare cos'era Senna per noi, era il figlio, il fratello, il padre, ma voi dovete starmi a sentire, cancellare l'immagine che avete del Brasile come di un popolo che ama e rispetta chi perde, che celebra gli sfigati. Non è così. Prendiamo Pelè: ha vinto più di tutti, ha fatto i soldi, ha saputo gestirsi, non è finito né nella droga, né nella polvere, è un bel signore ricco e soddisfatto. Per questo la gente lo ama, anche i poveri, non provano invidia, pensano che si è meritato tutto quello che ha. Pelè è stato il Senna del calcio: era geniale, dotato, il migliore di tutti, ma non beveva, non fumava, non saltava un allenamento, non si buttava via. Voi sbagliate quando ci attribuite troppo folklore, quando credete che essere veri brasiliani significhi essere folli, con la testa sulle nuvole, pazzi inconcludenti, gente dai dribbling facili". Senna non era tutto questo. "No, era figlio di borghesi, era ricco, pignolo, diffidente, molto attento ai particolari, controllava sempre tutto, lo chiamavano la piccola massaia no? E proprio per questo piaceva, non era lo straccione illuminato dal genio. Ci dava l'idea di uno che non poteva, anzi che non sapeva sbagliare. E noi brasiliani questa convinzione nello sport l'abbiamo sempre avuta. Per questo ci avete battuti nell'82, fossimo stati più umili, il mondiale in Spagna sarebbe stato nostro. Ma noi no, siamo fissati, abbiamo il complesso di superiorità. Me ne sono accorto quando durante una trasmissione televisiva Junior ha detto 'rigiocassimo quella partita altre dieci volte l'Italia perderebbe nove volte'. Ma come si fa ad essere così presuntuosi, mi dico? Tutto quello che il calcio ci aveva tolto, che non ci dava più, come realtà ed illusione, ce lo ha dato Ayrton. Lui non era come Fittipaldi che si accontentava del piazzamento, di esserci, lui voleva essere primo, solo così si placava. E solo così ci placavamo noi, sempre pronti a metterci nel suo abitacolo, sempre costretti nel nostro paese a non finire primi da nessuna parte". Senna torna a San Paolo con gli onori dovuti ad un capo di Stato. "E lo è stato, più di tutti i nostri presidenti che all'estero nessuno conosce, se non per qualche foto piccante o per qualche broglio. Senna ha portato il Brasile fuori, correva con il casco giallo e verde, sul cappellino non accettava scritte estere, agitava la bandiera come nessun altro ha mai fatto. La sua immagine piaceva a tutti, aveva una faccia pulita che faceva dimenticare le tante sporche del nostro paese e che ci metteva in un posto in alto nel mondo. Lo so cosa penseranno da voi quando vedranno che oggi tutta San Paolo si fermerà per onorarlo: ma come, con tutti i problemi che ha il Brasile, la gente perde tempo con un ragazzo ricco e borghese che guadagnava 40 miliardi l'anno e che non spendeva una parola sul suo popolo? Ma io mi sono messo nei panni di sua madre, di suo padre. Ah sì, in questo noi brasiliani siamo diversi e siamo felici di esserlo: proviamo ancora emozioni, siamo ingordi di infelicità altrui che diventano subito nostre, sentiamo vero dolore per una vita che se n'è andata nel suo momento migliore. (...)
Forse noi viviamo male, ma almeno viviano. No, oggi non andrò a vegliare la salma di Ayrton, non ce l'ho fatta nemmeno quando morì il mio amico Vinicius de Moraes. Starò qui a casa, con un buco dentro l'anima a pensare che c'è qualcosa di triste nella vita. E che non c'è nulla di male a sognare di avere un altro Senna che torni a farci arrivare primi".
(4 maggio 1994)
www.youtube.com/watch?v=LVWEvs67NLA
Emanuela Audisio, giornalista, in un articolo su "la Repubblica", il 5 maggio 1994:
"Beato il popolo che non ha bisogno di eroi, diceva Brecht. Ma beato anche il popolo che sa riconoscerli, accettarli, prestar loro i suoi sogni, e tenerli per mano quando tornano a Itaca, senza vita, indifesi, rimpiccioliti in una bara, ma non soli... Inutile chiedersi per chi suona la campana oggi, mentre la gente sviene dal caldo, dalla fatica, dalla puzza di gas di scarico, dalla tristezza di non aver più un posto nel mondo. Suona per Ayrton Senna, morto o ammazzato a Imola, suona per questo Brasile rotto e malandato, ma sempre pronto a tirare fuori il cuore, a farlo andare su di giri, fino a farselo scoppiare"
[Modificato da radcla 19/10/2007 00:51]