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CRISTIANESIMO E CHIESA CATTOLICA

Ultimo Aggiornamento: 15/02/2016 17:26
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25/07/2008 20:54


Giordano Bruno Guerri "Io ti assolvo. Etica, politica, sesso: i confessori di fronte a vecchi e nuovi peccati" - Baldini&Castoldi 1993



Dalla penitenza al "rito della penitenza": storia della confessione


La pratica della "confessione" esisteva già in civiltà anteriori al cristianesimo o estranee al suo influsso: era in uso nei culti di Iside, Orfeo e Cerere, e avveniva davanti allo ierofante e agli iniziati; monaci buddisti o jainisti dicono le proprie colpe al loro maestro, come il sikh si confessa al suo guru: è una forma di purificazione della coscienza per liberarla dalle forze maligne. Il rito della penitenza ha origini antichissime anche nella cultura ebraica precristiana: ogni sciagura - dalla sconfitta militare al cattivo raccolto - veniva considerata un segno dell'ira divina, da placare con suppliche collettive: digiuni, pianti, gesti di umiliazione come cospargersi la testa di cenere. L'intero popolo, attraverso le parole dei sacerdoti, si riconosceva colpevole e chiedeva perdono. Il perdono veniva concesso, ma non senza un'espiazione: benché Davide confessi la sua colpa, Dio lo punisce ugualmente con la morte del figlio. Alla severa giustizia divina si aggiungeva la severità degli uomini, perché il "popolo di Dio" non voleva rendersi complice della rottura dell'Alleanza, e puniva con la morte il colpevole: per i peccati più gravi, come l'idolatria e la bestemmia, c'era la lapidazione. In tempi più vicini alla nascita di Gesù, a questa severità si affianca - per peccati meno gravi - una più lieve penitenza individuale, ovvero l'espulsione dalla Sinagoga, che poteva essere definitiva o temporanea. Gesù partecipa alla cultura penitenziale e più volte annuncia la necessità della "conversione" e della "penitenza"; la parabola del figliol prodigo, l'incontro con la "peccatrice" e molti altri episodi del Vangelo testimoniano che il Padre sarà benevolo anche con il peccatore pentito. Cristo non "confessò" mai nessuno, ma "nessun'altra Chiesa cristiana e nessun'altra religione ha dato tanta importanza quanto il cattolicesimo alla confessione dettagliata e ripetuta dei peccati". Secondo l'interpretazione cattolica, il sacramento fu istituito da Gesù: nei Vangeli ci sono tre versetti che sembrano offrire alla Chiesa la possibilità di assolvere i peccatori: in Matteo 16,19 Gesù dice a Pietro: "A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli"; in Matteo 18,18 Gesù ripete ai discepoli: "Tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo". Le più moderne interpretazioni filologiche (anche cattoliche) dell'espressione "legare e sciogliere" sottolineano che la lettura corretta è "dichiarare una cosa proibita e permessa", e solo secondariamente "scomunicare, togliere la scomunica"; oppure l'espressione si riferirebbe solo all'esclusione o alla riammissione nella comunità della Chiesa, per cui non si tratta di "assolvere o non assolvere", ma di un unico processo penitenziale. Secondo l'interpretazione più recente, infine, l'espressione rabbinica "legare e sciogliere" ha il significato di "vincolare con un sortilegio e rompere il sortilegio", cioè abbandonare il peccatore a Satana o liberarlo. In definitiva, legare e sciogliere indicherebbe solo l'esclusione dalla Chiesa e la riconciliazione, non la remissione dei peccati. Il recente Catechismo della Chiesa Cattolica, però, ha ribadito e precisato: "Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio". Il testo sul quale il concilio di Trento si appoggiò maggiormente per sancire l'origine divina della confessione è in Giovanni, 20,23: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". La frase in Giovanni è meno equivocabile, ma anche secondo alcuni Padri della Chiesa - e scismatici come Calvino - indica solo il potere di rimettere i peccati attraverso il battesimo. Il dibattito verte intorno ai verbi afiemi e krateo, di difficile interpretazione in questo contesto, perché si tratta dell'unico versetto nel Nuovo Testamento in cui vengono riferiti al peccato. In definitiva, la lettura del versetto come istituzione divina della confessione è tutt'altro che pacifica, e anzi contestatissima dalla maggior parte degli autori protestanti. Ad ogni modo il perdono dei peccati venne interpretato in maniera estremamente restrittiva nei primi secoli del cristianesimo, fino al VI. San Paolo esclude dalla comunità cristiana, consegnandoli a Satana, tutti i peccatori notori, che danno scandalo alla comunità, ovvero gli "impudici", gli avari, gli idolatri, i maldicenti, gli ubriaconi, i ladri. A parte il rigore di Paolo, sembra accertato che in gran parte della cristianità non venissero perdonati i colpevoli di idolatria, omicidio, adulterio e fornicazione: solo verso il 220 papa Callisto ammise alla riconciliazione anche gli adulteri; tre decenni dopo fu la volta dei lapsi, ovvero di coloro che durante le persecuzioni tornavano al paganesimo, e soltanto con il concilio di Andra (314) furono ammessi al perdono anche gli omicidi. A quell'epoca i peccati gravi dovevano essere sottoposti alla penitenza pubblica, mentre quelli leggeri venivano estinti privatamente con la preghiera, la carità, il digiuno. Quasi tutto però veniva considerato peccato mortale, compresi i balli, l'invidia, la collera, l'orgoglio, l'ubriachezza (mentre - a differenza di oggi - veniva considerato peccato leggero avere rapporti sessuali con il coniuge evitando di procreare). Però "è lecito dubitare che, nella pratica, la penitenza ecclesiastica si sia estesa molto al di là dei casi notori di peccati capitali", soprattutto perché la penitenza era davvero penosa. Il peccatore poteva sia essere convocato dal vescovo, se notorio, sia presentarsi spontaneamente a dire le proprie colpe. Il vescovo stabiliva la penitenza, e se il colpevole non la accettava veniva escluso dalla Chiesa; se la accettava iniziava una diversa odissea: anche se non sempre doveva dichiarare in pubblico i propri peccati, la sua umiliazione veniva esibita a tutti i fedeli. Spesso lo stesso vescovo gli faceva indossare il cilicio, e da quel momento il peccatore entrava a far parte dell'"ordine dei penitenti". Ma, a differenza degli ordini religiosi, quello dei penitenti aveva caratteristiche infamanti ed esibite: a seconda dei luoghi bisognava radersi i capelli, oppure barba e capelli dovevano essere lunghi e incolti. Oltre ciò il peccatore pentito doveva iniziare la lunga catena delle opere penitenziali, private e pubbliche. Le prime consistevano in digiuni, dormire su un giaciglio cosparso di cenere, non lavarsi, piangere e pregare; pubblicamente doveva vestire il cilicio. I penitenti vennero distinti in quattro categorie: i flentes, che dovevano stare fuori dalla chiesa a implorare che i fedeli pregassero per loro, ma spesso venivano insultati e derisi; gli audientes potevano assistere alla messa, ma dovevano uscire al momento dell'eucaristia; i substrati potevano assistere, prostrati, alla celebrazione eucaristica; infine i consistentes dovevano assistere in piedi. I passaggi da una categoria all'altra erano molto lenti, fra i due e i sette anni. San Basilio il Grande (IV secolo) stabilì che si dovesse rimanere quattro anni tra i flentes e i consistentes, cinque tra gli audientes e sette tra i substrati. Fra il IV e il VI secolo le penitenze vennero sempre più codificate e rese severe: comprendevano fra l'altro l'astinenza dalle carni, l'obbligo di trasportare in chiesa i defunti e seppellirli, e vere e proprie espulsioni dalla vita civile, che duravano anche dopo la "riconciliazione": era proibito ricoprire cariche pubbliche, svolgere attività commerciali, fare il servizio militare; infine, "per tutta la durata del tempo di espiazione, è vietato al coniuge sposato di vivere maritalmente con l'altro coniuge. La continenza totale è obbligatoria anche dopo la riconciliazione". Chiunque non accettasse tutte queste penitenze o le interrompesse, veniva scomunicato per sempre. Alla fine della laboriosa e angosciante penitenza il fedele veniva reintegrato nella comunità, ma non poteva più peccare: la confessione era possibile una sola volta nella vita, essendo considerata alla stregua di un nuovo battesimo. Una seconda assoluzione non veniva concessa, neanche in punto di morte, a coloro che "ritornano, come cani e maiali, ai loro primi vomiti": così si espresse, nel 385, papa San Siricio. Dati questi presupposti, pochi confessavano volentieri i loro peccati. La stessa Chiesa - in concili, testi di papi e santi dottori - finì per consigliare una scappatoia di astuzia e opportunismo destinata a incidere nel carattere dei cattolici, e degli italiani in particolare. Sant'Ambrogio, per esempio, raccomanda di confessarsi quando "defervescat luxuria", sbollisca la lussuria. Fu così che si finì per confessarsi quasi solo da vecchi e in punto di morte, tanto che "alla fine del VI secolo si era giunti ad una situazione quanto mai insostenibile: la penitenza, di fatto e di diritto, era inaccessibile proprio a coloro che ne avevano più bisogno, cioè alle persone adulte e piene di vita. L'Ordo paenitentiarum si era ridotto praticamente ad essere una specie di terz'ordine religioso riservato a vecchi invalidi e a vedovi o celibatari senza speranza". Molti, piuttosto che affrontare la penitenza, preferivano prendere i voti, perché la vita monastica "malgrado il suo rigore, era più confortevole della penitenza pubblica e non infamante. Per questa ragione finì col soppiantarla. Aumentò il numero dei "conversi", non sempre a vantaggio della qualità della vita religiosa". Era ormai indispensabile un ripensamento della penitenza. Già da secoli era invalso l'uso di confessarsi anche ai presbiteri, per esserne confortati e sapere se quei peccati dovessero essere espiati nell'Ordo paenitentiarum o con la semplice preghiera. A partire dal IV secolo questa prassi prese sempre più piede, e i presbiteri divennero sempre più tolleranti, a mano a mano che si ampliava la schiera dei cristiani battezzati da piccoli e che quindi avevano ereditato, non scelto, il cristianesimo. Oltretutto la severità delle penitenze impediva a quasi tutti di ricevere l'eucaristia: proprio per combattere questo fenomeno il concilio di Agdes (506) impose ai cristiani di comunicarsi almeno a Natale, Pasqua e Pentecoste. I fedeli, stretti tra i due fuochi del rigidissimo Ordo paenitentiarum e dell'obbligo della comunione, presero - specialmente in Spagna - un'abitudine stigmatizzata dal concilio di Toledo (589): "Ogni volta che peccano, chiedono al sacerdote di essere riconciliati". Nonostante la condanna del concilio, i sacerdoti divennero di anno in anno più inclini al compromesso, sull'esempio dei monaci irlandesi che alla fine del VI secolo cominciarono a sciamare in Europa: nelle selvagge isole di Gran Bretagna e Irlanda non era mai esistita la penitenza pubblica, ma solo quella privata. In breve l'uso della confessione auricolare, ripetibile quante volte si vuole nel corso della vita, prevalse a tal punto che il concilio di Chalon-sur-Saone (647-653) definì "della massima utilità" la nuova pratica. Questa confessione venne chiamata tariffata, o tassata, perché il sacerdote aveva un elenco di peccati, cui corrispondeva una penitenza precisa. Al termine di un lungo interrogatorio-confessione, il fedele riceveva le penitenze, e solo quando le aveva adempiute poteva tornare a ricevere l'assoluzione, parola che da ora in poi sostituisce progressivamente la primitiva riconciliazione. A ricevere il nuovo tipo di sacramento sono anche i chierici (che prima non potevano pentirsi, e in caso di peccato grave venivano espulsi), e a esercitarlo ufficialmente non sono più soltanto i vescovi. L'elencazione schematica dei peccati contribuì in modo determinante a svuotare di reale contenuto il senso della confessione, e a renderla un fatto privato tra sacerdote e fedele, togliendo alla penitenza il suo originario significato anche sociale. Quanto alle tariffe, vennero il più possibile codificate, in modo che le penitenze fossero uguali per tutti. Consistevano specialmente in digiuni (di vino, carne, grassi eccetera) che potevano durare anche decenni. Ecco alcuni esempi dal Penitenziale di San Colombano, uno dei più diffusi: "Per il peccato di masturbazione, un anno di digiuno, se il colpevole è ancora giovane", altrimenti di più. "L'omicida digiunerà per tre anni a pane e acqua, senza portare armi, e vivrà in esilio. Dopo questi tre anni, ritornerà in patria e si metterà al servizio dei parenti della vittima, sostituendo colui che ha ucciso". "Se un laico avrà avuto un figlio dalla moglie di un altro, cioè avrà commesso adulterio, faccia penitenza per tre anni, astenendosi dai cibi grassi e dall'uso del matrimonio, rendendo inoltre il prezzo del disonore al marito della moglie violata". "Se un laico avrà fornicato in modo sodomitico, faccia penitenza per sette anni: i primi tre nutrendosi di solo pane, acqua e sale, e legumi secchi; gli altri quattro si astenga dal vino e dalle carni". Le tariffe per i chierici erano tanto più salate quanto più si saliva di grado. Poiché le tariffe dei singoli peccati si sommavano, finivano per diventare insopportabili od oltrepassare la durata della vita. Fu quindi necessario istituire una complessa serie di tabelle di commutazione, in modo da sostituire pene lunghe con altre più brevi ma più rigide. Esempi dai Canones Hibernenses: "Commutazione per un digiuno di tre giorni: stare in piedi un giorno e una notte senza dormire (o molto poco), oppure la recita di 50 salmi con i cantici corrispondenti". "Commutazione per un digiuno di un anno: passare tre giorni nella tomba di un santo senza bere e senza mangiare, senza dormire e senza togliersi gli abiti; durante questo tempo canterà salmi". Oppure: "Passare tre giorni in una chiesa, senza bere né mangiare, né dormire, completamente nudo, senza sedersi. Durante questo tempo il peccatore canterà salmi con i cantici e reciterà l'officio corale. Durante questa preghiera farà dodici genuflessioni". Piano piano cominciò a prendere piede anche la pratica di riscattare le pene con il denaro. Per evitare che i ricchi venissero favoriti, si studiarono pene differenti: a un povero basta "il prezzo di uno schiavo" per riscattare un anno di digiuno, mentre con la stessa cifra il ricco riscatta soltanto un mese. Ma la distinzione durerà poco. La confessione si trasforma in un grosso affare, soprattutto quando si comincia a stabilire che le penitenze possono essere commutate in messe, da pagare ai sacerdoti. Così, secondo il Penitenziale dello Pseudo-Teodoro, "una messa riscatta tre giorni di digiuno, tre messe riscattano una settimana di digiuno". Le messe si vendono anche a pacchetti: 100 soldi d'oro danno diritto a 120 messe. Per far fronte all'esorbitante numero di messe, nel IX secolo molti monaci vennero fatti sacerdoti; qualche codice cercò invano di arginare l'arricchimento del clero ponendo un limite di sette messe al giorno per sacerdote: ma - dietro richiesta del penitente - il sacerdote poteva celebrare anche più di venti messe al giorno. Finalmente si arrivò all'abuso più scandaloso, riservato ai ricchi, ovvero pagare qualcuno perché compisse al proprio posto la penitenza, come sancisce il Penitenziale dello Pseudo-Teodoro: "Chi non conosce i salmi e, a causa della sua debolezza, non può digiunare né vegliare né fare genuflessioni né tenere le braccia alzate né prostrarsi per terra, costui scelga qualcuno che compia la penitenza al suo posto e lo paghi per questo, poiché sta scritto: "Portate gli uni i pesi degli altri"". Per il povero invece sta scritto: "Ognuno porti il proprio fardello". Ecco come, secondo un altro canone, "l'uomo potente che ha molti amici" può riscattare sette anni di penitenza in tre giorni: "Prenderà 12 uomini che faranno digiuno al suo posto durante 3 giorni, mangiando solo pane, acqua e legumi secchi. Cercherà subito per 7 volte altri 120 uomini che facciano digiuno al suo posto durante 3 giorni. I giorni di digiuno così sommati sono uguali al numero di giorni contenuti in 7 anni". In genere erano i monaci a fare le penitenze a pagamento, e fu una delle cause dell'arricchimento dei monasteri, tanto più da quando - come "composizione" - prevalse l'uso di chiedere ai più ricchi il dono di terre o la costruzione di chiese e conventi. I tentativi della Chiesa di combattere questa prassi furono pochi e più che altro formali. Ci provarono con maggiore energia, ma invano, i re carolingi fra l'VIII e il X secolo. L'uso della penitenza tariffata si esaurì da solo, nel XII-XIII secolo. A partire dal IX secolo, infatti, l'assoluzione viene data sempre più spesso non dopo, ma prima della penitenza, perché consiste quasi sempre in un'offerta alla chiesa o allo stesso confessore, più qualche preghiera. Diventa quotidiano e comune, fino al Seicento, lo scandalo dei confessori estremamente sbrigativi nell'ascoltare e assolvere, per fare quante più confessioni possibile. Verso la fine del X secolo viene introdotta anche una nuova forma di "penitenza pubblica non solenne", ovvero il pellegrinaggio. I pellegrinaggi, che si tenevano in gran numero, erano riservati ai peccati pubblici "meno scandalosi" dei laici, ovvero quelli che non implicassero la sfera sessuale o teologica (furti, omicidi eccetera), oppure ai peccati scandalosi commessi da diaconi, presbiteri, vescovi. "I pellegrini penitenti erano dei peccatori forse pentiti, certamente dei criminali e, in gran parte, dei chierici criminali. Per questa ragione i pellegrinaggi penitenziali sono stati lo scandalo permanente della cristianità medievale: le bande di pellegrini, che in teoria passavano da un santuario all'altro per espiare i loro peccati, commettevano in realtà ogni tipo di abuso immaginabile". A lungo poi continuò - fino al Seicento e oltre - lo scandalo dei sacerdoti che approfittavano del confessionale per procacciarsi avventure galanti, e le novelle di Boccaccio sono buona testimonianza della interminabile lotta tra penitenti e confessori per ingannarsi a vicenda: particolarmente significativa la vicenda di ser Cepparello, peccatore impenitente, che con una magistrale e falsissima confessione senile riesce a farsi proclamare santo. Nel 1215 Innocenzo III, durante il concilio Laterano IV, rese obbligatoria la confessione almeno una volta l'anno, e contemporaneamente cominciò ad affermarsi, con le crociate, l'uso delle "assoluzioni generali", che poi furono alla base dello scandalo ancora più grave delle indulgenze, a sua volta determinante nel provocare lo scisma luterano. Anche riguardo alla confessione, in definitiva, "i riformatori resero pubblica una contestazione tenuta sino ad allora nascosta", per opportunismo, nel mondo cristiano. Per Lutero la confessione è un sacramento di importanza minore, perché non è stato esplicitamente istituito e regolato da Gesù, come il battesimo e l'eucaristia. Ancora più radicali sono calvinisti e anglicani, per i quali non è un sacramento. Lutero ritiene che la contrizione perfetta - ovvero l'odio per il peccato commesso e il serio proposito di non commetterlo più - sia impossibile all'uomo, mentre quella imperfetta (attrizione), dovuta soprattutto alla paura dell'inferno, è un'ipocrisia, un nuovo peccato che si aggiunge agli altri. Del resto, per Lutero, l'uomo non può essere del tutto cosciente del male, né il sacerdote ha il diritto di intromettersi nella sua coscienza. Inoltre la giustizia divina non può essere soddisfatta con opere umane, sia pure vantaggiose per il clero. Di conseguenza Lutero nega al sacerdote l'autorità di assegnare penitenze e concedere il perdono, che viene direttamente da Dio; è quindi attraverso la fede, non attraverso la confessione rituale, che il peccatore riceve il perdono divino; la Chiesa non può obbligare i fedeli a confessarsi, neppure prima di fare la comunione, perché non risulta dai Vangeli che Gesù abbia legato i due sacramenti. Tuttavia, secondo Lutero, il buon cristiano si confesserà spesso e volentieri per ascoltare il perdono divino, ma il confessore può essere anche un laico. Alla fine - presso i luterani come presso i calvinisti - si affermò prevalentemente l'uso della confessione generale, durante la messa. La Chiesa cattolica non poteva tollerare una così drastica riduzione del suo potere, e al concilio di Trento furono spese molte energie per riaffermare il valore della confessione tradizionale. Soprattutto nelle sessioni fra il 15 ottobre e il 25 novembre 1551 fu stabilito che la confessione è vere et proprie sacramentum istituito da Gesù come vitae remedium. Venne inoltre confermato il valore della contrizione e dell'attrizione. A una a una furono ribattute tutte le affermazioni dei protestanti, particolarmente quella che i laici possano confessare. Una delle conseguenze più importanti del concilio, legata al problema della confessione, fu che per combattere i riformisti si affermò una concezione del peccato come fatto personale, che offende Dio e se stessi, mentre scomparve il concetto - basilare nella Chiesa antica - del peccato come responsabilità sociale. Fu un fatto culturale determinante nella formazione dei diversi "caratteri nazionali": fra i cattolici è meno forte il senso di responsabilità sociale. Subito dopo il concilio, la Chiesa lanciò una grande campagna per la confessione, generalmente affidata a missionari popolari per le masse, e ai gesuiti per le élite. La preparazione dei confessori venne uniformata e resa più rigorosa nei seminari, e i numerosissimi manuali scritti per loro diventarono best seller dell'epoca: ma, se contribuirono a migliorare la preparazione dei confessori, provocarono un ulteriore appiattimento burocratico e fiscale. Il concilio volle anche l'installazione dei confessionali chiusi, che fino ad allora non esistevano, per rafforzare il concetto di individualità e il rapporto stretto con il sacerdote. Il confessionale serviva inoltre a combattere le frequenti tentazioni carnali tra i confessori e le penitenti (o i penitenti). Nel 1561 Pio IV emanò una bolla contro i sacerdoti che sollecitavano ad turpia durante la confessione. Nel 1622 Gregorio XV doveva di nuovo intervenire su questo delitto. Ma, per dare un parametro, nel Seicento, nel solo Stato di Venezia, si tennero 78 processi per "sollecitazione" in confessionale. Ancora nel 1745 Benedetto XIV emanò un decreto di lotta a quei confessori che "feriscono i penitenti e danno loro in luogo del pane, una pietra, invece del pesce un serpente". Oggi, la maggior parte degli abusi sessuali su bambini compiuti da sacerdoti - scoperti negli Stati Uniti - parte dai confessionali. Dopo il concilio di Trento, quella "penitenza" che nella Chiesa delle origini era stata un atto unico e irripetibile, diventa una via alla santità: Prospero Lambertini (1675-1758), il futuro papa Benedetto XIV, in un suo trattato sulla beatificazione sostiene che uno dei criteri della santità è l'assiduità, anche quotidiana, alla confessione. Data la nuova, straordinaria importanza che questo sacramento assume per la Chiesa, si fa vivacissimo il dibattito fra teologi, sostanzialmente divisi tra "rigoristi" e "lassisti". Ci furono interminabii polemiche sulla contrizione, l'attrizione, il "probabilismo" (la possibilità di scegliere liberamente il da farsi, quando la legge appaia incerta o dubbia), la "casuistica" (la classificazione dei problemi di coscienza, con diverse soluzioni di caso in caso). I problemi legati alla confessione ebbero

nelle preoccupazioni di allora - mutatis mutandis - un posto paragonabile a quello che oggi occupano, nei media e nell'opinione pubblica, la contraccezione, l'aborto, i diversi tipi di fecondazione artificiale e l'eutanasia. [...] Per il cattolico di un tempo non era irrilevante avere di fronte a sé, nella penombra del confessionale un prete intransigente o uno indulgente. Il suo conforto mentale, la sua vita di relazione, il suo comportamento quotidiano potevano essere modificati dalle pretese di colui che la Chiesa gli destinava come "padre", "medico" e "giudice" contemporaneamente.

Anche se gli effetti non si fecero sentire subito, la fiducia nella confessione venne minata alla base dalla constatazione che il giudizio dei sacerdoti - che rappresenta quello divino - è tanto variabile, e le proibizioni così numerose: un opuscolo del Seicento enumera diversi modi di peccare. Fino al termine del Settecento prevalsero i rigoristi. Dopo - anche in seguito agli sconvolgimenti e alla perdita di fedeli provocati dalla rivoluzione francese - si impose la tolleranza, predicata dal vescovo napoletano Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787) nella Theologia moralis e nei suoi manuali per confessori, moderati e concilianti: finirono per soppiantare e ispirare tutti gli altri da quando l'autore fu fatto santo (1839) e dottore della Chiesa (1871). Sant'Alfonso si sforzò, in sostanza, di rendere accettabile l'obbligo della confessione, che non diventasse una tortura temibile da parte di confessori inflessibii. Soprattutto quindi affermò una tendenza gravida di conseguenze per i popoli cattolici: anche se un peccatore ricade frequentemente nello stesso peccato - e quindi sia lecito sospettare della sincerità del suo pentimento - va comunque assolto ogni volta. Nacque, nell'Ottocento, la moda dei confessori celebri, come il curato d'Ars, tanto era sentito il bisogno di confessori più sensibili e capaci di instaurare un dialogo personale. Ma rimase ossessiva, anche nei manuali e nei confessori più miti, l'attenzione ai pericoli della carne. Uno dei più diffusi manuali dell'Ottocento precisa: "È lussuria: i pensieri voluttuosi, i baci, i contatti e gli sguardi impudichi, gli abbigliamenti femminili, le pitture e le sculture che sono indecenti; le danze, i balli e gli spettacoli". Non fu l'ultimo dei motivi che - dopo l'illuminismo e la rivoluzione - provocarono, prima in Francia e poi negli altri paesi, una irreversibile crisi della confessione:

Si videro delle persone che volevano realmente riprendere l'abitudine della messa domenicale e fare di nuovo la Pasqua. Ma erano riluttanti a ritornare al confessionale e, alla fine, si allontanarono dalla Chiesa. Nel XIX secolo prenderà pubblicamente piede una violenta ostilità, soprattutto maschile, nei confronti della confessione. Le si rimprovererà di insinuarsi nell'intimità delle famiglie, di mettere la donna contro l'uomo, la religione contro la politica, la scuola confessionale contro quella laica, la nostalgia per l'Ancien Régime contro il progresso repubblicano. Sarà denunciata come un abuso di potere.

NeI 1905 papa San Pio X decreta che la confessione deve essere frequente, di preferenza una volta alla settimana. Pio XII lo ribadisce nell'encidica Mystici Corporis del 1943, anche per i peccati veniali, e lo stesso fece il Concilio Vaticano II. L'uso della confessione frequente, anche secondo autori cattolici, se "è servito per formare le coscienze e anche per mantenere un alto livello morale in buona parte delle popolazioni cristiane [...] ha portato con sé anche il marchio di un certo individualismo e schematismo che può rendere la confessione un qualcosa di formalistico e di meccanico". In realtà la maggior parte degli stessi cattolici oggi respingono quell'idea di "alto livello morale" applicato quasi soltanto a controllare la sessualità, e rifuggono dalla confessione come strumento di controllo personale e sociale. La confessione oggi è sottoposta, all'interno della Chiesa, a un dibattito intenso quanto la gravità della sua crisi. Per il momento il Vaticano sta prudentemente saggiando la confessione comunitaria che ha origine spontanea e popolare. In Belgio, nel 1947-48, in una comune parrocchia di operai, durante la messa i fedeli - su invito de sacerdote - riflettevano sui propri peccati, se ne pentivano e venivano collettivamente assolti. La pratica si diffuse rapidamente a tutta l'area linguistica francese e poi a tutta la cristianità. Il Concilio Vaticano II ribadì che la confessione auricolare resta l'unica via di remissione dei peccati gravi; contemporaneamente però dava un'indicazione precisa: "Si rivedano il rito e le formule della Penitenza, in modo che esprimano più chiaramente la natura e l'effetto del Sacramento". L'indicazione più importante del concilio fu la riscoperta dell'incidenza sociale del peccato, tanto da invitare i confessori a inculcare nell'animo dei fedeli "le conseguenze del peccato" nella società. Dopo anni di studio, e dopo avere esaminato le sollecitazioni "moderniste" delle varie Chiese nazionali non latine, la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede il 19 giugno 1972 promulgò le Norme pastorali circa l'assoluzione sacramentale generale, sulle quali si basa l'attuale confessione. Il primo punto stabilisce che "dev'essere fermamente ritenuta e fedelmente applicata nella prassi la dottrina del Concilio di Trento. [...] La confessione individuale e completa con l'assoluzione resta l'unico mezzo ordinario, grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con la Chiesa". Inoltre "coloro ai quali sono rimessi i peccati gravi mediante l'assoluzione in forma collettiva, devono accostarsi alla confessione auricolare prima di ricevere di nuovo una tale assoluzione". Veniva anche confermato l'obbligo di confessarsi "privatamente a un sacerdote, perlomeno una volta l'anno", e veniva ribadito che la confessione auricolare deve essere frequente e incoraggiata anche per i peccati veniali ("i sacerdoti non si permettano di dissuadere i fedeli"...) Il 2 dicembre 1973 veniva promulgato in latino il testo sui nuovo Ordo paenitentiae, che diveniva operativo in Italia il 21 aprile 1974, con la pubblicazione del testo in italiano (Rito della penitenza). Non si parla più di confessione, ma di riconciliazione, per sottolineare che "confessare i peccati" è solo una parte del rito, il cui senso profondo dovrebbe essere pentirsi, quindi "riconciliarsi" con Dio e con la Chiesa; ma, vent'anni dopo, il vecchio nome - e vecchio concetto - prevalgono nel linguaggio della quasi totalità dei fedeli e anche dei sacerdoti. Né è stato recepito lo sforzo di dare alla pratica della confessione una maggiore dignità rituale e di richiamo alla parola di Dio; né le vecchie penitenze in forma di preghiera sono state sostituite, come suggerito, con azioni che riparino il male compiuto. Il nuovo testo conferma che il confessore "impersona l'immagine di Cristo buon pastore" e ammette tre tipi di confessione: a) Quella tradizionale auricolare, che resta l'unica veramente valida a tutti gli effetti. b) Il "Rito per la riconciliazione di più penitenti, con la confessione e l'assoluzione generale", subito adottato da fedeli e sacerdoti con un entusiasmo che alla Conferenza Episcopale Italiana parve eccessivo: tanto che il 30 aprile 1975 si affrettò a pubblicare una nota per ribadire che questa versione è accettabile solo in casi rarissimi, come il pericolo di morte. c) Il "Rito per la riconciliazione di più penitenti, con la confessione e l'assoluzione individuale". In questa "terza via", compromesso tra l'antico e il nuovo, c'è un esame di coscienza generale, poi i singoli fedeli dovrebbero andare dai confessori per l'elencazione dei peccati; ma quasi mai si dispone di sacerdoti in numero adeguato, e inoltre questa pratica esaspera l'impressione della confessione come "assoluzionificio" privo di contenuto. Una soluzione logica, liberatoria e piena di dignità per tutti sarebbe stata quella di lasciare al credente la possibilità di scegliere se confessarsi privatamente o con la confessione comunitaria. Ma le opzioni di coscienza e di libertà non sono una prerogativa della Chiesa. Nel dibattito c'è chi propone di tornare all'antico, cioè di concedere l'assoluzione solo dopo che il fedele ha dimostrato un concreto sforzo di conversione con una vera penitenza. C'è chi sostiene che il sacramento dovrebbe essere soltanto comunitario, e chi vorrebbe una catechesi più approfondita del peccato. C'è chi vorrebbe abolire l'obbligo della confessione prima della comunione, o renderla obbligatoria solo per peccati veramente "mortali", distinti da quelli soltanto "gravi", ma la distinzione è quanto mai complessa. I teologi più avanzati discutono persino la possibilità - remota - di concedere anche ai laici, in certe occasioni e in certi modi, la possibilità di confessare. E, molto opportunamente, c'è chi pensa di spostare la prima confessione dopo la prima comunione, perché si comincia a recepire, dagli studi della moderna psicologia, che un bambino di sette-otto anni non può afferrare il senso cristiano del peccato. È comunque iniziato un percorso che, in tempi prevedibilmente lunghi, porterà forse a una trasformazione della confessione in uso da otto secoli.
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