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USA: fallimento ideologia Liberista

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2013 13:49
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14/10/2008 18:51

ECONOMIA
La rivincita di Keynes
di VITTORIO ZUCCONI


All'inferno le ideologie e il culto irrazionale del sacro mercato
,
l'America ritrova la virtù che l'ha resa l'America: il pragmatismo.
"Misure senza precedenti per affrontare una sfida senza precedenti" annuncia Bush l'ex neocon trasformato in neokeyn, per spiegare che anni di anatemi antistatalisti sono stati buttati nel vento della crisi in favore dell'interventismo pubblico di sapore keynesiano.

Per salvare, se ancora si può, il salvabile.
Sarà proprio la esecrata "mano pubblica", con soldi pubblici, a intervenire per stabilizzare i mercati isterici, facendo piovere senza limiti prefissati dollari stampati dalla zecca sui buoni e sui cattivi, su chi lo merita e su chi non lo merita.

George W. Bush è diventato Franklyn Delano Roosevelt
,
pronto a inondare Wall Street con almeno un trilione di dollari, mille miliardi di dollari, secondo i calcoli degli economisti, per evitare che la grande siccità del credito uccida i giusti e gli ingiusti nel deserto del credito.
È una gigantesca "operazione Alitalia" fondata sullo stesso balordo, ma ormai inevitabile principio del "privatizzare i profitti" e "statalizzare i debiti". Con, alle spalle, lo stesso ricatto del fallimento epocale.

Non è finito, in queste ore sconvolgenti, il capitalismo americano.
È finito un modo di concepire il capitalismo che aveva dominato il discorso nazionale americano dagli anni '80 di Reagan.
Bush, che per mesi aveva ripetuto il mantra sempre più grottesco della "economia fondamentalmente sana", come aveva fatto McCain
, ha fatto l'inversione a "U" che sarebbe stata necessaria nel 2007 e che la sua zavorra ideologica, e la fissazione sciagurata con la sempre sfuggente e costosissima "vittoria in Iraq", (700 miliardi finora) gli avevano impedito di fare.

Questa vacanza del potere politico centrale,
che nessun tecnico per quanto competente, come sono i vecchi ragazzi della Goldman Sachs che oggi governano a fianco del Presidente, può surrogare in una democrazia, era il cuore infartato di questa crisi.
Aggravata dalla confusione di una campagna elettorale che da 14 mesi rimbomba nella testa di una popolazione con messaggi contraddittori, confusi, propagandistici.

Dunque accentua quello stato di incertezza e di irrazionalità che è, sempre, la benzina sul fuoco di ogni incendio finanziario.

Quello che Bush ha annunciato, affiancato dalla trimurti della governance economica americana per dargli autorevolezza, è keynesismo puro.
È "deficit spending" classico, senza preoccuparsi di bilanci federali che sprofonderanno nell'inchiostro rosso
e sono destinati a raggiungere il 7% del Pil.
Ma lo schiaffo della realtà, che arriva sempre a svegliare i presidenti americani dall'ipnosi delle loro ideologie, nel mondo come in casa, ha svegliato anche un Bush
che se avesse, quattro anni or sono, annunciato in campagna elettorale l'intenzione di gettare mille miliardi di dollari per salvare i mercati mobiliari e immobiliari sarebbe stato, più che sconfitto, arso vivo.

Ma qui siamo di fronte "a sfide senza precedenti", ha ammesso tardivamente e rischi senza precedenti richiedono "azioni senza precedenti", un eufemismo per dire: si cambia rotta. Lasciare che la nave di Wall Street s'inabissasse trascinando con sé le borse del mondo che rimangono tutte "wallstreet dipendenti", da Shanghai a Mosca, avrebbe devastato l'economia americana dove fa male e garantito la vittoria di Barack Obama, i cui sondaggi avevano ripreso a salire in relazione inversa ai listini di Borsa.

Avrebbe colto non soltanto nei "bonus" delle migliaia di brokers lasciati con lo scatolone dei loro ricordi in braccio, in fondo poche persone in un oceano di 150 milioni di famiglie, ma anche nell'esistenza quotidiana della gente di "Main Street", della via principale dei paesi, dove polizze vita, fondi comuni, gruzzoli di obbligazioni a reddito fisso, crediti al consumo e mutui sono il presente e il futuro dell'esistenza reale.
Sulla latitanza della guida politica del Paese e sulla confusione generata da candidati che dicono alla mattina il contrario di quello che dicono alla sera (McCain era fino a ieri il campione della "deregulation" e oggi invoca un controllore sotto ogni letto a Wall Street, mentre l'inesperienza di Barack Obama non rassicura) la famigerata speculazione aveva puntato.

Era sicura che questa amministrazione non avrebbe mai potuto rinnegare il proprio fondamentalismo liberista
e la cultura delle cose che si aggiustano da sole.

I ribassisti, coloro che puntano sulla caduta dei titoli e che sparecchiano quei miliardi che impropriamente i media definiscono "bruciati" ma invece arricchiscono tanto quanto i rialzi, avevano avuto il controllo del campo, alimentando una difficoltà di credito reale, ingigantita dalle loro azioni piratesche.
L'ideologo del Texas è stato persuaso a fare ciò che è necessario, non ciò che è ideologicamente corretto.
Il Bush che sembrava il tragico Herbert Hoover ottimista del 1929 ("La prosperità è dietro l'angolo") è diventato il Roosevelt del 1932, che inventò quegli strumenti di protezione che da allora, come ha detto giustamente, "non hanno mai fatto perdere un centesimo a chi ha conti correnti", ma non certo per merito della destra.

Estenderà la protezione federale esistente sui CC, sui risparmi e sui certificati di deposito, anche ai fondi di "money market", quelli che fino a ieri non erano assicurati da Washington e flottavano pericolosamente sul mercato seguendo l'andamento degli interessi, costituendo una grossa parte, almeno il 30%, dei fondi pensione.

Prosciugherà, sempre con danaro pubblico, la palude dei mutui immobiliari inesigibili, i "subprime" definiti "tossici" perché avvelenano i bilanci delle banche. Dunque lo stato federale, cioè noi contribuenti, diventerà proprietario involontario di milioni di abitazioni in protesto e di passività che saranno smaltite in anni. Il gioco al ribasso contro le 799 finanziarie ancora in piedi sarà bloccato per dieci giorni e rinnovabile ancora, violando il loro sacro diritto alla speculazione, per salvare il salvabile.

E il Tesoro potrà stampare tutti i miliardi di dollari che desidera senza temere di accendere il falò dell'inflazione, come accadrebbe in tempi normali perché il nemico del giorno è la "deflazione", la paralisi del credito.
Naturalmente pagheremo in futuro questo tsunami di dollari, in termini di inflazione,
quando la bufera sarà passata, ma questo è un commento per la crisi di domani.

Bush, il cowboy NeoCon divenuto NeoKeyn,

ha creato un'euforia irrazionale nei mercati eguale e contraria al panico di ieri nella solita altalena di ingordigia e paura.
In attesa di un nuovo governo stabile, si può sperare che questa non sia la fine del mondo, ma soltanto la fine di un mondo, dal quale un altro nascerà.
La ciclicità di "boom" e "bust", di fortune e di rovesci, di regole e di sregolatezza, è la sola certezza del capitalismo americano che sa, contrariamente a quello che sognava Karl Marx, sopravvivere anche al proprio peggior nemico, cioè se stesso.

(20 settembre 2008)
www.repubblica.it/2008/09/sezioni/economia/borse-7/rivincita-keynes/rivincita-key...
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28/10/2008 15:34

il 29 e 30 ottobre a milano la quinta edizione del World Business Forum
Crisi dei mercati, la parola ai manager
«Serve più controllo da parte dello Stato»
Secondo uno studio, il 41% della classe dirigente chiede alle istituzioni di intervenire per tutelare cittadini e imprese


NOTIZIE CORRELATE
World Business Forum


MILANO - La crisi economica è globale, coinvolge paesi occidentali e paesi emergenti, governi e cittadini, senza risparmiare proprio nessuno.
E i manager provano, come tutti, a correre ai ripari: la metà del campione di quelli selezionati tra i 2.000 partecipanti alla quinta edizione del World Business Forum, (il maggiore evento rivolto alla business community del nostro Paese che si svolge a Milano il 29 e 30 ottobre) è convinta che il miglior modo per recuperare terreno sia quello di continuare a investire su innovazione e ricerca.
Quattro manager su dieci chiamano in causa lo Stato, ritenendo che un maggiore controllo da parte delle istituzioni sia il miglior modo per tutelare cittadini e imprese (tardivi per la stessa percentuale di intervistati gli interventi delle ultime settimane, soprattutto negli Stati Uniti, dove lo Stato sarebbe dovuto intervenire già da tempo, quando la crisi dei mutui subprime ha mostrato la debolezza del sistema).

MIOPIA -
«Progettare il futuro» è la parole d'ordine della classe dirigente italiana (solo il 12% degli intervistati ritiene opportuno un atteggiamento attendista).
Siamo in recessione già da tempo, sostiene la maggior parte dei manager, e la causa principale della crisi è la miopia con cui negli ultimi anni si è guardato all'evoluzione dei mercati finanziari e del sistema economico.

Dall’indagine emerge una preoccupazione che va oltre il ruolo aziendale ed economico dei manager interpellati: il 46% di loro, infatti, si dice coinvolto sia come manager sia come cittadino
e solo il 15% ritiene di trovarsi in una fase passeggera.
E sulle possibili conseguenze della crisi, il 62% della classe dirigente ritiene che assisteremo a un ulteriore calo dei consumi,
mentre sul mercato del lavoro interno per il 40% degli interpellati si assisterà al blocco delle assunzioni da parte delle aziende.
Bassissime le percentuali di chi crede che non ci saranno conseguenze durature sul fronte dei consumi e della società (7%)
e di quanti non prevedeno variazioni sul mercato del lavoro (9%) .

MADE IN ITALY - Per la maggior parte degli intervistati (61%) l'unica soluzione di fronte alla crisi resta la valorizzazione del Made in Italy, insieme a investimenti a lungo termine capaci di sostenere lo sviluppo, la crescita e la competitività delle PMI in modo strutturale e in un contesto di mercato globale.



27 ottobre 2008 Corriere della Sera

_________________


Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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18/11/2008 19:29



L’FBI AVEVA CAPITO TUTTO
E LO MISE NERO SU BIANCO IN UN REPORT DEL 2006:
“LE FRODI SUI MUTUI DILAGANO NEGLI USA”.
MA NESSUNO PRESE PROVVEDIMENTI

– E LA MALAVITA ORGANIZZATA NE APPROFITTÒ PER RICICLARE DENARO SPORCO…

Roberto Sommella per "Milano Finanza"


La sera del 18 giugno 2008 un po' tutto il mondo ha tirato un sospiro di sollievo.
Negli Stati Uniti, già nel pieno della bufera per il crack di centinaia di migliaia di famiglie mutuatarie,
era scesa finalmente in campo l'Fbi, il Federal Bureau Investigation
ed erano scattate le manette:
406 incriminazioni, sessanta persone arrestate, compresi due ex manager della Bear Stearns.




Dick Fuld capo Lehman Brothers


Il tutto per la bellezza di 144 casi di frode legati ai mutui subprime
per un totale di 1,6 miliardi dollari di perdite.
Il tintinnar di manette ha solo per un momento rassicurato risparmiatori e autorità.
Dopo sarebbero arrivati i fallimenti a catena,
il crack Lehman Brothers, le nazionalizzazioni, il piano Paulson da 700 miliardi di dollari
e quello del Presidente eletto, Barack Obama, che di cifre per la verità ne ha fornite ben poche.

Ma quello che si scova nelle pieghe dell'immenso sito internet della mitica agenzia federale di investigazioni è qualcosa che non ti aspetti e per certi versi clamoroso.
Già, perché fin dal 2003 e soprattutto con un report dai toni preoccupati del 2006,
gli agenti della speciale sezione «Crimini finanziari» avevano messo in guardia le autorità americane.

Attenzione, avvertivano, le frodi sui mutui sub-prime stanno dilagando in tutto il paese.


Leggere per credere.
In una sezione specifica degli analisti dell'Fbi, intitolata «Rapporto 2006 sulle frodi legate ai mutui», si lanciava un allarme rosso, rimasto inascoltato o preso sotto gamba:
«recenti statistiche evidenziano che l'escalation dei pignoramenti immobiliari fornisce alla criminalità, con opportune risorse finanziarie, la possibilità di sfruttare e truffare
i proprietari di casa più vulnerabili alla ricerca di una guida per uscire dalle difficoltà.
Così la malavita organizzata, attraverso le frodi sui mutui e sugli assegni, operò con facilità nel riciclaggio di denaro sporco».

Qualche cifra può aiutare.

Fornita da uno studio, riportato nel report Fbi, della Prieston Goup, società attiva ne, risk management.
«L'attività illegale legata alla falsificazioni dei documenti per ottenere un prestito o alle frodi sulle rivendite dei mutui ipotecari
ha provocato nel 2006 perdite per 4,2 miliardi di dollari
a cui vanno aggiunti altri 1,2 miliardi di dollari spesi solo per prevenire tale attività criminali».

Ma era la mappa geografica del crimine, che è arrivato a vendere a prezzi decuplicati semplici case di cartapesta [SM=x44466]
(anche qui vedere il sito per credere, tra i reperti dei crimini vi sono magnifiche villette degne dei fondali di Cinecittà)
a preoccupare Robert Mueller, direttore del Federal Bureau of Investigation e i suoi uomini.


La top ten del crimine del mattone mostra che già due anni fa le frodi immobiliari erano uno dei principali introiti della malavita organizzata:
California, Florida, Georgia, Illinois, Indiana, Michigan, New York, Ohio, Texas, and Utah erano le aree cerchiate di rosso ma anche Arizona, Colorado, Maryland, Minnesota, Missouri, Nevada, North Carolina, Tennessee e Virginia cominciavano ad essere terreno di cultura.
Un'epidemia in pratica, con un'annotazione degli investigatori,
«esiste una forte correlazione tra le frodi sui mutui subprime e i prestiti che poi sfociano in default e pignoramenti».

Siamo di fronte ad una clamorosa sottovalutazione di un fenomeno criminogeno
degno della Chicago di Al Capone?
Difficile dirlo, ma un altro studio dell'Fbi, questa volta del 2008, dunque in tempi più avanzati, dimostra l'impressionante crescita esponenziale di tali frodi, proprio negli anni in cui, forse, le autorità americane centrali avrebbero potuto fare qualcosa per frenare la slavina.

«Attualmente», vi si legge infatti, «l'Ufficio crimini finanziari ha oltre 1.200 casi aperti, il 40% in più rispetto al 2007,
e l'epicentro è situato in California, Texas, Arizona, Florida, Ohio, Michigan e Utah.
Le attività sospette che possono essere collegate a frodi finanziarie nel settore dei mutui immobiliari sono passate da 3.000 nel 2003 a 48.000 nel 2007
e solo a gennaio del 2008 siamo già a 60.000 report..».

Chissà cosa sarebbe successo se nel 2006 si fossero presi i dovuti provvedimenti.
Il problema è che all'epoca stava per scoppiare un altro bubbone, quello delle banche d'affari.
«Negli Stati Uniti», chiosa un autorevole investigatore, «abbiamo scoperto che quattro quinti delle attività finanziarie non erano soggette a controlli,

parlo di banche d'investimento, hedge fund, credit default swaps e sulle restanti attività vigilavano oltre duecento autorità».
Fine del mito americano?

Roberto Sommella per "Milano Finanza" [18-11-2008]
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21/11/2008 14:19

paperino73, 20/11/2008 8.28:

...cut... negli 8 anni di amministrazione Bush c'è stato l'aumento della spesa pubblica
e l'intervento dello Stato nella vita sociale ed economica più grandi dai tempi di Lindon Johnson.
Peggio anche di Clinton.
E tutto ciò, ben prima della crisi dell'ultimo anno.



Bisognerebbe andare ad analizzare nel dettaglio come e dove sono state aumentate le spese.
In ogni caso è inutile incrementare la spesa pubblica se di pari passo non si predispongono efficaci strumenti di controllo.
Gli effetti catastrofici della scellerata politica economica e finanziaria dell'amministrazione repubblicana dall'inizio del secolo sono sotto gli occhi di tutti.
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05/12/2008 11:32

AGGIUSTAMENTO, MUTAZIONE O CROLLO DELL'IMPERO?
Lunedi 24 Novembre 2008


DI THIERRY MEYSSAN
Voltairenet


Dall'estate 2006, Thierry Meyssan pronosticava il crollo degli Stati Uniti a medio termine seguito dalla loro disgregazione.
Questo punto di vista - che ha fatto molto sorridere - trova oggi un inizio di conferma:
nulla sembra fermare la crisi finanziaria USA che si trasforma in crisi economica.
Secondo questo analista, che è un politologo, i vertici economici che si susseguono in questi giorni non hanno come scopo la risoluzione della crisi, ma rappresentano una rivolta degli Stati vassalli per riorganizzare un sistema che, benché agonizzante, continua a portare vantaggio agli Stati Uniti.


Nella foto, il presidente Bush riceve i ministri delle Finanze del G7, in riga dietro di lui.
La messa in scena tende a mostrare che gli alleati si astengono dal contestare la sovranità degli Stati Uniti sul sistema finanziario globale.
Per quanto tempo?


Da quasi due anni, il sistema economico mondiale è destabilizzato da un crac finanziario rimbalzante.
In maniera consensuale, tutti gli analisti si accordano al modello imperiale anglo-americano che provoca convulsioni in tutte le economie sulle quali esercita una leadership, se non addirittura una dominazione.
In queste condizioni, le risposte pubbliche sono di due tipi.
Per la maggior parte degli Stati, si tratta di preservare l'economia nazionale limitando il contagio,
ma per Washington, Londra, Parigi e Mosca la posta è differente. Si tratta di sapere se il dollaro resterà la chiave di volta del sistema oppure se sarà riformato, o persino abbandonato, in quanto la questione di un possibile crollo degli Stati Uniti comincia ormai ad essere dibattuta.




Per comprendere gli attuali rapporti di forza, andremo tracciando le tappe di questa crisi.
Cominciamo dall'inizio visibile della catastrofe.

La prima crisi dei subprimes (primi tre trimestri del 2007)


Nel corso di tutto l'ultimo decennio, le banche USA hanno moltiplicato le offerte allettanti di credito ipotecario speculativo (subprime). Contando su una crescita permanente dei prezzi immobiliari, esse hanno valutato le ipoteche non secondo il prezzo che il bene immobile aveva al momento della concessione del prestito, ma secondo il prezzo sperato qualora fosse stato venduto prima della fine del credito. I prestatori proponevano così ai consumatori di indebitarsi per acquistare allo stesso tempo la casa, i mobili, l'automobile e le spese scolastiche dei figli impegnando a garanzia del debito la casa. In questo modo poterono trovare un sacco di nuovi clienti che in condizioni normali non avrebbero sottoscritto mutui. I consumatori, quanto a loro, godevano di un evidente miglioramento delle loro condizioni di vita. Anche se non vi era creazione di ricchezza supplementare, ma unicamente creazione di denaro sotto forma di debito, potevano tutti vivere una vita felice nel paese incantato del capitalismo trionfante.

Tuttavia, nel 2006, dopo che le banche avevano fatto il giro dei loro clienti potenziali e la Federal Reserve aveva alzato i tassi d'interesse, la domanda di costruzione degli alloggi cominciò a diminuire. I prezzi si abbassarono. Di colpo, le ipoteche non furono più sufficienti a garantire i crediti impegnati.

In questo periodo, le autorità USA si accanirono a mascherare la situazione economica autorizzando le multinazionali a truccare la loro contabilità e truccando esse stesse i conti della nazione. Le grandi società camuffarono le operazioni su alcuni prodotti finanziari spostandole nelle loro filiali off-shore dando così l'impressione di realizzare profitti a partire da una reale produzione quando invece provenivano dalla speculazione. Al contrario, mentre la produzione nazionale lorda era in forte recessione, il Tesoro statunitense aggiungeva alle sue statistiche i crediti, le obbigazioni e i titoli derivati. Sommando prodotti reali e "prodotti" finanziari l'Amministrazione poteva vantarsi di una crescita continua. Comunque sia, la recessione dell'economia reale impoveriva le famiglie che accedevano alla proprietà. Non potendo pagare le rate dei mutui e non essendo sufficiente il valore dell'ipoteca per saldare il prestito, si comincia ad assistere alle prime espulsioni dei debitori.

Il terremoto arriva nel gennaio 2007. Ownit Mortgage Solutions e Mortgage Lenders Network USA Inc. cessano l'attività, lasciando dietro di loro un buco di 3,4 miliardi di dollari. Il settore nel suo insieme viene destabilizzato, 25 società di prestiti ipotecari falliscono a catena tra cui il leader del mercato, New Century Financial Corporation. Se la classe dirigente e i media non avevano reagito alla perdita della casa di migliaia di famiglie, il fallimento di qualche società finanziaria li risveglia dal sonno.
Il problema si estende presto ai fondi d'investimento. Bear Stearns ne ferma due nel giugno 2007. Il problema si estende anche all'estero. BNP-Paribas sospende la quotazione di tre dei suoi fondi d'investimento.

Questi fallimenti collettivi lasciano a secco le banche. I governi occidentali considerano che non si riuscirà a fermare la crisi dei subprimes. Secondo loro è inevitabile una purga generale e bisogna quindi attendersi altri fallimenti ed espulsioni in massa di nuovi proprietari. Tuttavia, i governi occidentali mettono in atto un piano coordinato per limitare la crisi al settore dei prestiti ipotecari e salvare dal contagio il settore bancario classico. Il 10 agosto la Federal Reserve USA inietta 43 miliardi di dollari per fluidificare il mercato, la Banca centrale europea l'equivalente di 214 miliardi di dollari e la Banca del Giappone l'equivalente di 8 miliardi. L'Australia e il Canada intervengono su scala minore.

Eppure, qualche giorno più tardi, la banca britannica Northern Rock si trova a corto di liquidità. Verrà rimessa in piedi dalla Banca d'Inghilterra prima di essere definitivamente nazionalizzata per garantire i depositi dei piccoli risparmiatori.

In ottobre, Merrill Lynch annuncia perdite colossali, presto valutate intorno a 8,4 miliardi di dollari, e si cerca chi la possa rilevare.

Washington constata che il piano di salvataggio è insufficiente perché il susseguirsi della crisi dei subprime prosciuga nuovamente le banche e obbliga a nuove iniezioni di liquidità da parte della Federal Reserve. Non si può più, quindi, considerare la crisi dei subprimes come una "dolorosa correzione del mercato dei prestiti ipotecari" e non ci si può accontentare di accompagnarla con qualche misura di protezione sociale per chi ha perso la casa. Poiché la dottrina economica del "laissez-faire" impedisce allo Stato di nazionalizzare le abitazioni non pagate, la Casa Bianca fa appello alle grandi banche e chiede loro di creare un "super fondo" di 100 miliardi per assorbire i crediti spazzatura. Ciò sembrerebbe fattibile, nella misura in cui la Federal Reserve ha già inondato il mercato con tale liquidità. In pratica, le banche comprendono presto che non saranno mai rimborsate e si ritirano dal super fondo prima possibile. Contemporaneamente, il Congresso vota una legge che congela provvisoriamente i debiti di molte società di prestito ipotecario per evitare il loro fallimento.

Durante questa prima burrasca, le banche hanno registrato un deprezzamento degli attivi (in altre parole perdite dovute all'insolvibilità di base) di circa 500 miliardi di dollari. Per farci fronte, debbono aprire il loro capitale per 300 miliardi di dollari e diminuire la loro attività di 200 miliardi. Su amabile consiglio dell'Amministrazione Bush, i Fondi sovrani del Golfo arrivano alla riscossa ed entrano a loro rischio e pericolo nelle grandi banche occidentali.

In definitiva, l'effimero super fondo e il congelamento dei debiti interrompono la crisi dei subprimes. Tuttavia, nulla è stato regolato. La crisi riprenderà sei mesi più tardi.

I tumulti per fame (ultimo trimestre del 2007, primo trimestre del 2008)


In conseguenza di questo momento di tregua, i grandi gruppi finanziari si ritrovano con un surplus di liquidità. Decidono di rimettersi al più presto in salute speculando sui mercati a termine: l'oro, il petrolio, i beni alimentari di base. [1]

Ora, il mercato del petrolio è anch'esso in piena ristrutturazione.
Allo smisurato appetito delle economie occidentali si aggiunge il recente sviluppo industriale dell'India e della Cina. Sfortunatamente, questo aumento della domanda coincide con un aumento dei costi di produzione. Numerosi giacimenti si esauriscono mentre nuovi pozzi sono sempre più difficili da sfruttare. In quanto mercato speculativo, la quotazione di base non si riferisce al prezzo del giorno ma sulla stima del livello che avrà raggiunto al momento di rinnovare gli stocks. Ne consegue un picco del prezzo del petrolio.

Il mercato dei generi alimentari di base è anch'esso già in piena crisi [2]. Sotto l'effetto delle misure di solvibilità delle economie imposte dal FMI e dalla Banca mondiale, numerosi paesi del terzo mondo hanno ridotto le superfici coltivate e hanno preferito colture speculative a colture di sussistenza. Simbolo di questo cambiamento: la produzione di biocarburanti per far circolare i SUV negli Stati Uniti a detrimento delle colture per alimentazione destinate a nutrire la popolazione locale [3]. A questa crisi strutturale si aggiungono i cattivi raccolti in molti paesi e soprattutto l'aumento dei costi di produzione. In effetti, l'agricoltura contemporanea è una grande consumatrice di fertilizzanti e di pesticidi derivati dal petrolio. Ne segue una crisi alimentare e sommosse per fame in 37 paesi alla fine del 2007 e nel primo semestre del 2008.

Considerato che questi moti minacciano l'equilibrio politico mondiale, la Casa Bianca e il Congresso decidono di stabilizzare i prezzi attraverso interventi dell'USAID [United States Agency for International Development] sui mercati agricoli e con un discreto richiamo all'ordine degli istituti finanziari implicati nella speculazione.

Se la domanda alimentare è stabile qualunque sia il prezzo di vendita, perché non si può vivere senza mangiare, al contrario la domanda di energia è volatile. Si abbassa quando i prezzi sono troppo elevati. E la diminuzione della domanda fa scendere i prezzi, rilanciando così la domanda, ecc. Questo effetto yo-yo dovrebbe aumentare in futuro di pari passo con la rarefazione dei pozzi petroliferi di facile sfruttamento e con l'aumento dei costi di produzione.

Seconda crisi dei subprimes (secondo semestre 2008)

La crisi dei subprimes riprende con l'esaurirsi delle misure provvisorie, nell'estate 2008.

Questa volta è attesa e l'Amministrazione Bush si è preparata. La sua strategia consiste da una parte nel lasciare il più possibile i debiti nelle mani degli investitori stranieri
e, d'altra parte, nell'informare le società amiche perché approfittino della crisi per assorbire i concorrenti.


Le obbligazioni in titoli USA di tutti i generi, ritenute insolvibili,
detenute da investitori stranieri si ripartiscono quindi come segue:

- Giappone: 593 miliardi di dollari
- Cina (inclusa Hong Kong): 580 miliardi di dollari
- Paradisi fiscali: 208 miliardi di dollari
- Regno Unito: 291 miliardi di dollari
- Paesi del Golfo: 174 miliardi di dollari
- Brasile: 148 miliardi di dollari
- Russia: 74 miliardi di dollari
- Svizzera: 45 miliardi di dollari

Tutto questo denaro virtuale è destinato prioritariamente a scomparire, ma in definitiva ci sono 25.000 miliardi di dollari virtuali che rischiano di andare in fumo rimettendo in causa la leadership degli Stati Uniti.

Le perdite delle piccole società che sono state congelate si ripercuotono sulle due principali società di prestiti ipotecari USA garantite dallo Stato federale, Fannie Mae e Freddie Mac.
Il tempo di fare i conti e il 7 settembre queste annunciano perdite record che sfiorano i 15 miliardi di dollari.
Obbligata ad esercitare la propria garanzia, l'Agenzia federale per gli Alloggi mette le due società sotto amministrazione pubblica controllata.
E' una nazionalizzazione de facto. I creditori di Fannie Mae e Freddie Mac si rassicurano ma i detentori di obbligazioni emesse da questi due giganti si ritrovano in mano carta straccia. Sfortunata, la Banca centrale cinese ne aveva acquistate per 397 milioni di dollari ... su suggerimento di Henry Paulson quando era a capo della Goldman Sachs.

Nuovo giro del "gioco della sedia". La regola del gioco è nota: ognuno cerca di vendere i titoli che sa essere insolvibili e di comprarne altri che si sperano vantaggiosi. Ma è molto difficile valutarne il valore. Gli istituti finanziari dunque si scambiano titoli moltiplicando le plusvalenze ma quando gli inquilini non possono pagare i loro mutui, la società che detiene il credito va in fallimento. Ancora peggio: i giocatori che hanno una migliore tesoreria o che hanno avuto un po' di fortuna possono speculare al ribasso sulle azioni degli istituti traballanti e realizzare profitti accelerando il loro fallimento.

In base a questi principi, Merrill Lynch è acquisita da Bank of America, mentre Lehman Brothers si vede rifiutare l'aiuto di Stato e crolla. Con l'aiuto del direttore degli investimenti della società, George Herbert Walker IV, fratello del presidente Bush [svista incomprensibile di Meyssan: in realtà si tratta di un secondo cugino, ndt], i suoi attivi saranno principalmente recuperati dalla britannica Barclays. Questa volta la crisi non si limita alle società di prestito ipotecario. Fa un passo avanti e contagia il settore delle assicurazioni. Prendendo per la prima volta una misura personale, la Federal Reserve accorda prestiti ponte per un totale di 123 miliardi di dollari ad AIG in cambio di una partecipazione maggioritaria, misura che era stata rifiutata a Lehman Brothers. Non si tratta più della nazionalizzazione di una società in economia mista, ma di quella di una società privata. Si capisce subito che questa misura, contraria all'ortodossia del "laissez-faire" tende anche a salvare i dirigenti dell'AIG che festeggiano la loro nazionalizzazione spendendo mezzo milione di dollari per riposarsi una settimana in un residence californiano. Champagne e ragazze: è il contribuente USA che paga!

L'infelicità degli uni fa la felicità degli altri.
JPMorgan compra gli attivi di Washington Mutual, mentre CityGroup acquista Wachovia.


Mentre infuria la tempesta e le voci evocano una Grande depressione come nel 1929, l'amministrazione repubblicana elabora infine una soluzione: il Piano Paulson, dal nome del segretario al Tesoro. Piuttosto che organizzare il fallimento delle società che detengono titoli spazzatura, l'idea è di salvare la bolla finanziaria e i privilegiati che ci stanno in mezzo facendo pagare allo Stato federale i crediti insolvibili. Tecnicamente, si riprende il principio di un "super fondo" per dare un colpo di spugna sui debiti degli organismi finanziari, ma questa volta invece di essere elargito dalle banche lo sarà da parte dello Stato, ossia dei contribuenti. Continua la fuga in avanti. Si tratta di guadagnare qualche settimana e respingere le cattive notizie a dopo le elezioni presidenziali USA. Un fondo di 700 miliardi di dollari verrà così creato. Questo denaro potrà alla fine essere recuperato perché, dopo aver rinegoziato i debiti dei privati, lo Stato negli anni a venire percepirà mensilmente le rate dei mutui. Alla fine ... se i consumatori conserveranno l'impiego e avranno di che pagare, il che è poco probabile.

L'annuncio del piano fa immediatamente cadere il dollaro. In effetti, questi 700 miliardi rappresentano un aumento di un quarto del budget federale senza la minima entrata per equilibrarlo. L'Amministrazione sarà obbligata a far lavorare la zecca, quindi a svalutare insidiosamente il valore del dollaro, il che viene anticipato dagli speculatori.

La crisi si sviluppa ormai anche in Europa.
Il 29 settembre, il Regno Unito nazionalizza Bradford & Bingley. Il Belgio e i Paesi Bassi smantellano Fortis cedendone gli attivi a BNP-Paribas e nazionalizzando il resto.
La Germania va in soccorso di Hypo Real Estate.
La Francia, il Belgio e il Lussemburgo vanno in aiuto di Dexia. L'Irlanda
annuncia che garantirà i depositi dei piccoli risparmiatori nelle sei principali banche di deposito del paese fino a un ammontare di 400 miliardi di dollari.
L'Islanda nazionalizza Glitnir e sospende delle quotazioni ma non riesce a stabilizzare la sua moneta che si svaluta del 30%.

Sottoposto il 29 settembre a una Camera dei rappresentanti dominata dai democratici favorevoli a questa soluzione, il Piano Paulson ha la sorpresa di essere rigettato ... dai repubblicani del sig. Paulson. E' una sorpresa? No, qualche grande speculatore prossimo a Henry Paulson, tra cui Goldman Sachs, CityGroup e JPMorgan Chase, erano informati di queste peripezie. Quel giorno realizzeranno profitti favolosi.

Il piano è ridiscusso e corretto, poi alla fine approvato. Nella versione finale, l'ammontare dei beni liquidi dei piccoli risparmiatori garantiti dallo Stato viene aumentato, il che cambia poco ma dà l'impressione di aver preso in considerazione le classi lavoratrici. Le due novità importanti sono che le succursali statunitensi di banche straniere potranno beneficiare della manna e che la distribuzione dei 700 miliardi non sarà a discrezione del segretario al Tesoro, ma sottoposta a un vago controllo parlamentare a posteriori. In altri termini, quando l'Amministrazione salverà un istituto finanziario, dovrà provare di non averne approfittato per arricchire gli amici. Ma non dovrà affatto rendere conto quando lascerà fallire un altro istituto come ha fatto con Lehman Brothers. In definitiva, il contribuente USA rinsanguerà a sue spese gli amici del potere che hanno fatto cattivi investimenti mentre continueranno le espulsioni per insolvenza. Prima di lasciare la Casa Bianca, la squadra Bush realizza così la rapina del secolo.

Dopo una giornata di euforia a Wall Street, l'indice Dow Jones perde il 22% in una settimana.
Il problema è che la bolla finanziaria non si limita ai subprimes.
Le banche hanno emesso delle obbligazioni su questi crediti, poi hanno ancora sminuzzato le obbligazioni.
In breve, la speculazione si è sviluppata su tre livelli e il piano di salvataggio del primo livello non impedirà la caduta degli altri.
Inoltre, se in teoria è possibile arrestare la crisi dei subprimes facendo pagare i contribuenti, ciò non è proponibile per i livelli superiori.
In un decennio, la bolla finanziaria ha raggiunto l'equivalente di due anni interi di prodotto interno lordo statunitense.

Estensione della crisi

La crisi finanziaria globale era stata analizzata e prevista in anticipo da alcuni economisti,
tra cui in prima fila lo statunitense Lyndon La Rouche e il francese Jacques Cheminade [4],
ma erano stati demonizzati,
di volta in volta trattati da fascisti e da estremisti di sinistra per squalificarli.

Secondo loro, il sistema non può essere salvato nella sua forma attuale.
Benché doloroso, bisogna mettere in fallimento gli istituti finanziari non solvibili, accompagnandone la caduta con misure sociali, piuttosto che cercare di riempire la botte delle Danaidi e prolungare la crisi.
Essi propongono di rilanciare l'economia attraverso investimenti produttivi statali e di cambiare il sistema finanziario mondiale in maniera da impedire il riformarsi di una bolla finanziaria.
Nonostante la giustezza della loro analisi della crisi, ciò non significa necessariamente che le loro soluzioni siano quelle buone.
Viene loro obiettato che misure di questo tipo non furono sufficienti a Roosevelt per uscire dalla Grande depressione.

Analogamente, il francese Maurice Allais (premio Nobel per l'economia 1988) aveva pubblicato due opere fondamentali:
"La crise mondiale d’aujour’hui: pour de profondes réformes des institutions financières et monétaires" [5]
e "La Mondialisation, la destruction des emplois et de la croissance: l’évidence empirique"[6]
nelle quali analizzava l'evoluzione del sistema finanziario e prevedeva la crisi attuale [7].

Seguendo l'esempio irlandese, la Danimarca, l'Austria, la Germania, l'Islanda e la Grecia annunciano che garantiranno i depositi dei piccoli risparmiatori. Ben presto, tutti gli Stati membri dell'Unione europea fanno altrettanto.

L'8 ottobre, il Primo ministro britannico Gordon Brown, annuncia la nazionalizzazione parziale delle principali banche della City:
Abbey, Barclays, HBOS, HSBC Bank plc, Lloyds TSB, Nationwide Building Society, Royal Bank of Scotland, e Standard Chartered. Inoltre, la Banca d'Inghilterra inietta liquidità per fluidificare il mercato inter-bancario.
Più sorprendentemente, nel varare la legge anti-terrorismo, il cancelliere dello scacchiere annuncia il congelamento dei beni islandesi nel Regno Unito.
Per evitare che la crisi monetaria islandese contamini l'economia britannica, viene dichiarato che le decisioni del governo islandese minacciano la sicurezza nazionale.
Così fustigata, la moneta islandese prosegue la sua discesa all'inferno.
Il Regno Unito non si è accontentato di prendere delle misure per salvare le sue banche a costo di uno spettacolare voltafaccia ideologico.
Ha fatto un passo avanti mettendo le problematiche finanziarie nel campo della sicurezza nazionale.
Il fatto è che non intende unicamente risolvere le conseguenze della crisi, ma utilizzare questa ultima per ricentrare il sistema mondiale su Londra, appoggiandosi alle banche anglo-americane. Lo stesso giorno, le banche centrali degli USA, del Regno Unito, del Canada, dell'Eurozona, della Svezia e della Svizzera annunciano simultaneamente un abbassamento dei loro tassi di interesse.

L'economia russa è contagiata indirettamente.
Gli investitori anglo-sassoni hanno ritirato i loro averi nel mese di agosto, come ritorsione dopo la guerra d'Ossezia del Sud, provocando una forte caduta della borsa di Mosca. Mentre il governo fatica a rimettere le cose in ordine, Washington e Londra esigono che le loro banche si concentrino sul mercato interno e cessino ogni prestito a società russe. Numerosi oligarchi, che hanno piazzato i loro beni all'estero, rifiutano di rimpatriarli come invece vorrebbe il Cremlino da almeno due anni e insistono nello speculare sui mercati mondiali. Il governo e la Duma sono obbligati a sbloccare 36 miliardi di dollari per compensare la crisi e l'allontanamento delle banche anglo-sassoni.

A Monaco, i dirigenti di Dexia festeggiano il salvataggio da parte del Belgio e della Francia con una cena da 200.000 euro. Il giorno dopo a pranzo è la volta dei dirigenti di Fortis, sopravvissuti alla parziale nazionalizzazione da parte dei Paesi Bassi, di ritrovare l'appetito. Si offrono un pranzo nello stesso locale a 3.000 euro a coperto.

L'Impero, co-gestito da Londra e da Washington

Il 10 e 11 ottobre
, vengono organizzate a Washington una serie di riunioni. L'amministrazione Bush convoca una riunione del G8 senza la Russia, con la quale la guerra finanziaria è stata dichiarata a partire da agosto e dal conflitto osseto. Tagliandogli l'erba sotto i piedi, il primo ministro britannico Gordon Brown invia preventivamente una lettera a tutti i partecipanti. Vi presenta le proposte della sua consigliera speciale, la baronessa Shriti Vadera. Secondo Londra, piuttosto che cercare di cancellare i debiti astronomici degli enti bancari, bisogna ristrutturare il settore e in parte nazionalizzarlo. L'obiettivo può essere realizzato ricorrendo a tre misure contemporanee: la "ricapitalizzazione" delle banche in fallimento, la fluidificazione dei prestiti interbancari e la garanzia pubblica dei depositi dei piccoli risparmiatori. Problema: il Piano Vandera, come il Piano Paulson, deve essere finanziato con una larga emissione di moneta col rischio di accrescere una crisi che ha origine nella bolla finanziaria. Iniziano i negoziati.

Il segretario USA al Tesoro, Henry Paulson, vuole mantenere la guida del processo ma ha già dimostrato di non padroneggiare la situazione a casa sua.
Ricorda di passaggio, in maniera meccanica, come se la sua autorità fosse ancora intatta, che il disordine bancario non deve permettere agli Iraniani di aggirare l'embargo di cui sono oggetto.
Il ministro tedesco Peer Steinbrück non vuole che si approfitti del crac per imporre un governo finanziario sovranazionale, al contrario del suo omologo francese, Christine Lagarde, che pensa di fare la brava scolaretta invocando la creazione di un Fondo speciale europeo analogo al Fondo Paulson.

Ciò non ha più importanza in quanto in capo della Federal Reserve, Ben Bernanke, si è già messo d'accordo con i suoi colleghi della City. Il fatto è che la Federal Reserve non è un ente del governo federale USA ma un organismo misto controllato da grandi banche private, alcune delle quali sono anglo-americane. In conclusione, il piano britannico viene adottato, ma in termini piuttosto vaghi per non umiliare Paulson. Per salvare il sistema, i grandi tesorieri si sono piegati davanti alle proposte della signora Vadera. La pagina del "laissez-faire" reaganiano-thatcheriano è stata girata. L'interventismo di Stato ritorna ma al modo della Corona, per socializzare le perdite, non le ricchezze.

Ecco la lista delle decisioni del G7:

"Il G7 ha convenuto oggi che la situazione attuale richiede un'azione urgente e straordinaria. Ci siamo impegnati a continuare a lavorare insieme per stabilizzare i mercati finanziari e restaurare il flusso del credito per sostenere la crescita economica mondiale.
Abbiamo convenuto di:
1. prendere misure decisive e utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per sostenere le istituzioni finanziarie d'importanza sistemica ed impedire che falliscano;
2. prendere tutte le misure necessarie per sbloccare il credito e i mercati monetari e per assicurare che le banche e le istituzioni finanziarie abbiano ampio accesso alla liquidità e ai capitali;
3. fare in modo che le nostre banche e i nostri altri principali intermediari finanziari possano, quando necessario, accedere a capitali di fonte sia pubblica che privata, con importi sufficienti a restaurare la fiducia e permettere loro di continuare a prestare alle famiglie e alle imprese;
4. fare in modo che i nostri rispettivi programmi nazionali di garanzia dei depositi bancari siano robusti e coerenti, di modo che i nostri piccoli risparmiatori possano continuare ad avere fiducia nella sicurezza dei loro depositi;
5. prendere decisioni, al momento opportuno, per rilanciare il mercato secondario dei debiti ipotecari e di altri attivi cartolarizzati. Sono necessarie valutazioni precise e informazioni trasparenti su questi attivi e la messa in atto coerente di norme contabili di alta qualità;
Queste azioni devono essere intraprese in modo da proteggere il contribuente ed impedire effetti potenzialmente dannosi su altri paesi. Utilizzeremo gli strumenti di politica macroeconomica quando ciò sarà necessario e adeguato. Sosteniamo fortemente il ruolo determinante giocato dal FMI per aiutare i paesi affetti da queste turbolenze. Accelereremo la messa in opera completa delle raccomandazioni del Forum per la stabilità finanziaria ed abbiamo piena consapevolezza del pressante bisogno di una riforma del sistema finanziario. Continueremo a rafforzare la nostra cooperazione e a lavorare con gli altri per realizzare questo piano".

La mattina dopo, i ministri delle Finanze del G7 (ma non i banchieri centrali) sono ricevuti alla Casa Bianca. Questo secondo incontro non è decisionista, ma ha come unico oggetto di riaffermare la sovranità statunitense anche se il piano adottato è quello britannico. Alla fine il presidente degli Stati Uniti si indirizza alla stampa. Simbolicamente, tutti i suoi ospiti sono in riga dietro di lui come un battaglione sull'attenti. George W. Bush si accontenta di indicare che le decisioni prese alla vigilia dovranno essere ribadite a breve in occasione del G20. In realtà è il G24 a riunirsi senza indugio attorno al segretario al Tesoro, Henry Paulson, questa volta con la Russia, per prendere atto delle decisioni del G7. Il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e il Forum per la stabilizzazione finanziaria sono stati associati a questi tre incontri.

E' d'obbligo constatare che la messa in opera di questo programma da parte degli Stati membri della Zona euro è giuridicamente impossibile. I criteri di convergenza dell'Unione economica e monetaria, detti "criteri di Maastricht", dal nome del trattato che li ha stabiliti, sono formali: gli Stati devono contenere il proprio debito pubblico e il loro deficit di bilancio. Non è permesso alcun aiuto finanziario massiccio da parte degli Stati, salvo modificare il trattato secondo una procedura che richiede diversi anni.

Poco importa! La Francia, in quanto presidente pro tempore del Consiglio d'Europa, convoca una riunione dell'Eurogruppo al quale si unisce il Regno Unito. Gordon Brown espone il Piano Vadera che non può più essere modificato in quanto già adottato dal G7 e di cui il G24 ha preso atto. Angela Merkel ripete che è fuori discussione che la Germania ceda anche un pollice della propria sovranità finanziaria e chiude la porta a una governance sovranazionale. Silvio Berlusconi, unico dirigente presente ad avere esperienza personale del mondo degli affari, spiega ai suoi colleghi, politici di professione, le difficoltà del finanziamento alle imprese. Nicolas Sarkozy abbandona l'idea di un Fondo speciale europeo visto che gli Stati Uniti si sono allineati al piano britannico. Va bene tutto pur di poter condividere con Gordon Brown questo momento di gloria. Come previsto, il Piano Vadera è adottato, sarebbe a dire che le disposizioni relative all'Eurozona nel Trattato di Maastricht sono abbandonate per consenso intergovernativo, senza riguardo per i Parlamenti e i Popoli che l'hanno ratificato. A dire il vero, nessuno se ne dispiace perché nessuno vuole più queste regole soffocanti e obsolete.

Il comunicato finale dell'Eurogruppo allargato è una prolissa parafrasi della lista di decisioni del G7. Oltre alle decisioni relative alla crisi, il Piano Vadera comprende un impegno di normalizzare le regole contabili internazionali su quelle della City. Le società saranno autorizzate a scegliere se valutare i propri attivi al prezzo al quale li hanno acquistati o al prezzo al quale potrebbero venderli. Questa misura è tanto più sorprendente in quanto l'opacità della contabilità anglosassone è una delle cause della crisi. E' lei ad impedire di valutare con precisione la solvibilità delle imprese. Non importa, mentre i capi di Stato dei governi europei evocano in pubblico la necessità di trasparenza, concedono agli Anglosassoni una misura essenziale alla diffusione mondiale del loro modello.

L'Impero può essere co-gestito da Washington e Bruxelles?

Consigliato dai suoi amici della Banca Rothschild - il fratello Olivier Sarkozy del Carlyle Group così come il mezzo patrigno l'ambasciatore Frank Wisner II (vice-presidente del gruppo AIG) - Nicolas Sarkozy non si accontenta di seguire il gruppo [8].

Dal 23 settembre (cioè durante il lancio del Piano Paulson) si appella all'Assemblea generale dell'ONU per "rifondare il capitalismo". Sostenuto dalla Banca d'Inghilterra e dalla Federal Reserve USA, torna alla carica ad ogni occasione, malgrado l'irritazione dell'amministrazione Bush uscente.

In numerose occasioni, Nicolas Sarkozy e i suoi alleati anglosassoni invocano "una nuova Bretton Woods", in riferimento alla conferenza internazionale che creò l'attuale sistema finanziario alla fine della Seconda Guerra mondiale.
Da parte di personalità che si sono sempre opposte alla ridiscussione delle regole della finanza mondiale, l'espressione è significativa:
il sistema di Bretton Woods fu concepito sulla scia della Carta Atlantica per installare la dominazione finanziaria anglosassone sul "mondo libero",
a danno degli altri alleati
e contro l'Unione sovietica.

Alla fine, George W. Bush concede la convocazione di un vertice dei capi di Stato del G20 a Washington il 15 novembre, ossia dopo l'elezione del suo successore.
In verità una buffa riunione dove gli Stati Uniti saranno rappresentati da due presidenti: uno uscente, incaricato degli affari correnti, e uno entrante, non ancora investito dei poteri della sua funzione.

Nicolas Sarkozy davanti al Parlamento europeo ribatte il chiodo e invoca la creazione di un governo economico europeo, sotto forma di una presidenza permanente dell'Eurogruppo che si propone di assumere lui stesso.
L'idea provoca l'ira dei tedeschi e la gioia dei britannici che ci vedono la possibile realizzazione del progetto di Winston Churchill: un sistema economico mondiale fondato su due pilastri, uno nord-americano e uno europeo occidentale, con il Regno Unito come cerniera se non come centro del mondo.
Il tutto passando per l'"anglosassonizzazione" degli Stati-nazione europei.

Contrariamente alle apparenze, l'eventuale creazione di un governo economico europeo non ambisce ad un rafforzamento dell'euro, ma tende a mettere fine alla rivalità euro-dollaro integrando l'euro in un nuovo sistema imperiale [9].
Mosca non si è sbagliata ad alleggerirsi progressivamente delle sue riserve in euro come aveva già fatto con le riserve in dollari.
Il presidente Dmitry Medvedev ha anche proposto ai capi di Stato dell'Organizzazione di cooperazione di Shangai di abbandonare il dollaro nei propri scambi a favore delle monete nazionali.

Verso il crollo degli Stati Uniti?

Tuttavia questa riorganizzazione del sistema finanziario arriva troppo tardi [10]. La recessione dell'economia statunitense è troppo profonda. La decisione, presa nel 1995 da un Congresso all'epoca dominato dai repubblicani, di rilanciare la macchina da guerra USA per dominare il mondo si è conclusa in un disastro. Dal 2004, il Fondo monetario internazionale osserva che la produzione di beni di consumo crolla negli Stati Uniti e che essi sono entrati in una "economia di guerra" [11]. Questa tendenza accelera sotto la doppia pressione delle misure di sicurezza che soffocano il commercio e delle spese astronomiche della guerra globale al terrorismo. Trasformati in un mostro predatore, gli Stati Uniti hanno provato a nutrirsi assoggettando le loro prede, ma non hanno trovato un sufficiente ritorno immediato dagli investimenti in Iraq. Si ritrovano invece nell'identica posizione dell'Unione sovietica alla fine degli anni '80: il settore militare ha vampirizzato tutte le loro energie.

Così come ho sistematicamente fatto notare nelle numerose trasmissioni a cui ho partecipato dall'estate 2006, lo scacco nel rimodellamento del Medio Oriente, sanzionato dalla disfatta militare israeliana in Libano, ha sancito la fine dell'Impero. Come l'Unione sovietica è crollata e si è smembrata, ugualmente gli Stati Uniti sono ormai minacciati dal crollo e dalla frammentazione.

Aldilà degli indici di borsa che non danno indicazioni affidabili sullo stato dell'economia reale, si moltiplicano i segni di fallimento del sistema. L'industria automobilistica, principale industria civile negli Stati Uniti annuncia la chiusura di stabilimenti e non potrà evitare la catastrofe senza essere acquisita dallo Stato. Queste chiusure ne annunciano altre di modo che sembra difficile riuscire ad impedire un raddoppio della disoccupazione negli Stati Uniti nel 2009. Le fabbriche cinesi che approvvigionano i supermercati dall'altra parte del Pacifico chiudono a catena, il che significa che gli scaffali dei supermercati non tarderanno molto ad essere vuoti. Come abbiamo annunciato un anno fa, numerosi Stati federali potrebbero ben presto trovarsi nell'impossibilità di pagare gli stipendi ai propri impiegati e di conseguenza essere costretti a chiudere scuole e ospedali [12]. Già la California è ufficialmente minacciata di fallimento e si tratta di uno degli Stati federali più ricchi.

Più di un quarto degli statunitensi sono pensionati che dipendono dagli investimenti finanziari. La maggior parte di loro rischia di trovarsi rapidamente senza risorse.

Non si pensi che l'espulsione per morosità di centinaia di famiglie e il loro alloggiamento nei campeggi municipali non provochi tumulti in un paese dove le armi sono in libera vendita.
Temendo le conseguenze sociali di questa situazione, il governo federale si è preparato a proclamare lo stato di emergenza.

Questa eventualità è stata richiamata al Congresso in occasione del voto del Piano Paulson.
Truppe d'élite, specializzate in Iraq nel mantenimento dell'ordine, sono state rimpatriate e si tengono pronte [13].

Alcuni commentatori prevedono che Washington ceda alla tentazione degli anni '30, quando per uscire dalla crisi del 1929, si incoraggiò la guerra in Europa. Ma tale opzione sarebbe oggi inadeguata: la guerra non può più essere la soluzione in quanto essa è proprio alla base del problema.

E' per questo che si è fatto di tutto per mascherare l'ampiezza della crisi, perlomeno fino all'elezione del 4 novembre.
In caso di bisogno, altra liquidità verrà iniettata e le borse europee sospenderanno le quotazioni. Passata questa scadenza, è compito del nuovo inquilino della Casa Bianca procedere alla liquidazione degli attivi e tentare di farlo preservando la pace civile.


Thierry Meyssan
Analista politico, fondatore del Réseau Voltaire

NOTE

[1] « Interconnexion des crises », di Éric Toussaint, Réseau Voltaire, 26 ottobre 2008.

[2] « Retour sur les causes de la crise alimentaire mondiale », di Damien Millet e Éric Toussaint, Réseau Voltaire, 7 settembre 2008.

[3] « Convertir les aliments en carburant, c’est créer la famine », di Fidel Castro Ruiz, Réseau Voltaire, 31 marzo 2007.

[4] Sito ufficiale di Jacques Cheminade.

[5] Ed. Clément Juglar, febbraio 1999.

[6] Ed. Clément Juglar, febbraio 1999.

[7] Benché abbia partecipato alla creazione della Società del Mont-Pélerin, Maurice Allais fin dal 1974 prende le distanze dai discepoli di Friederich Hayek e denuncia le conseguenze della religione del libero scambio.

[8] « ОПЕРАЦИЯ САРКОЗИ », Профиль, 16 giugno 2008. Versione francese : «Opération Sarkozy: comment la CIA a placé un de ses agents à la présidence de la République française », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 19 luglio 2008. [Versione italiana: "Operazione Sarkozy: come la CIA ha piazzato uno dei suoi agenti alla presidenza della Repubblica francese", Comedonchisciotte.org, 20 ottobre 2008]

[9] « Le dollar, talon d’Achille des USA », di L.C. Trudeau, Réseau Voltaire, 4 aprile 2003.

[10] Questa era richiesta da molto tempo dai banchieri non anglosassoni che diagnosticavano perfettamente la malattia. Si veda « Incertitudes sur l’économie mondiale », della Banca dei regolamenti internazionali (BIR), Réseau Voltaire, 29 giugno 2007.

[11] « La guerre, seule alternative à la crise économique », Réseau Voltaire, 8 gennaio 2004.

[12] « Récession aux USA: 13 États fédérés menacés de faillite » e « USA: la crise des subprimes menace la moitié des États fédérés de faillite », Réseau Voltaire, 20 dicembre 2007 et 30 gennaio 2008.

[13] « Les États-Unis se préparent à des troubles intérieurs majeurs », Réseau Voltaire, 29 ottobre 2008.



Thierry Meyssan

Titolo originale: “ Ajustement, mutation ou effondrement de l'Empire?”
Fonte : Voltairenet.org
Link: www.voltairenet.org/article1584241.html
02.11.2008

Scelto e tradotto per Comedonchisciotte.org da MATTEO BOVIS


Thierry Meyssan

Titolo originale: “ Ajustement, mutation ou effondrement de l'Empire?”
Fonte : Voltairenet.org
Link: www.voltairenet.org/article1584241.html
02.11.2008

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Usa, crolla l'occupazione
In un mese 500 mila a casa



15:44 ECONOMIA A novembre si è registrato il calo più grande dal dicembre 1974:
533 mila posti in meno.
Auto, costruzioni e finanza i settori più colpiti.
Borse giù dopo la diffusione dei dati


L'indice di disoccupazione sale al 6,7%
NEW YORK (USA) - La crisi comincia a mordere l'economia reale. Iniziando dagli Stati Uniti, dove nel mese di novembre si sono persi ben 533.000 posti di lavoro, il calo più importante dal dicembre del 1974.

Impiegate licenziate (Afp)

I posti persi sono molti di più di quanti erano attesi dagli analisti, che ne prevedevano 350.000. L'indice di disoccupazione sale così al 6,7% dal 6,5% di ottobre. Si tratta del massimo livello dall’ottobre del 1993. Livello che sarebbe stato ancora più alto se molti aspiranti lavoratori non si fossero cancellati dalle liste di collocamento, perchè hanno smesso di cercare un'occupazione.

PERSI 1.256MILA POSTI IN TRE MESI - A ottobre il calo è stato di 320.000 unità (dato rivisto dagli iniziali -240.000 posti) e a settembre di 403.000 unità (dato rivisto dagli iniziali -284.000 posti). Ciò significa che negli ultimi tre mesi l'economia americana ha perso ben 1,256 milioni di addetti e oltre 2 milioni di lavoratori dall'inizio dell'anno.

COLPITA L'INDUSTRIA - Più in dettaglio, nell'industria sono state cancellate 85.000 posizioni
(-104.000 a ottobre) di cui 13.100 solo nel settore auto. Pesante il bilancio anche nel settore dei servizi dove sono state eliminate 370.000 posizioni più del doppio rispetto alle 153.000 cancellate a ottobre. Nel comparto delle costruzioni si sono registrati 82.000 occupati in meno e in quello finanziario sono stati cancellati 32.000 posti.

BORSE - Le principali Borse europee accusano tutte pesanti cali dopo il dato sulla disoccupazione Usa a novembre. Male Piazza Affari con il Mibtel che registra un -3,53%. In flessione anche Parigi che fa segnare -4,03%, Francoforte -3,67% e Londra -1,99%. A Wall Street il Dow Jones arretra dello 0,99% a 8.293,49 punti e il Nasdaq perde l'1,29% a 1.426,93 punti.


Fonte: Corriere della Sera
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19/12/2008 00:27

SCANDALO MADOFF, ORA INDAGA IL CONGRESSO:
DOV’ERA LA VIGILANZA?

- un fiume di azioni legali si profila non solo contro IL RE DELLA FINANZA EBRAICA, ma anche contro gli hedge fund (e i loro revisori) che facevano da collettori di capitali…


Antonella Olivieri per "Il Sole 24 Ore"


Bernard Madoff


Troppi gli allarmi sottovalutati, se non ignorati del tutto.
Alla fine il presidente della Sec, Christopher Cox, pressato dallo sdegno internazionale creato dal caso Madoff, un crack da 50 miliardi di dollari, ha aperto formalmente un'inchiesta interna per capire come mai la frode non fosse stata scoperta prima dall'Autorità chiamata a vigilare sul mercato.

Ma il tardivo mea culpa non gli salverà la poltrona se, come scrive il Wall Street Journal, il presidente eletto, Barack Obama, ha già scelto chi gli succederà al vertice dell'Authority: si tratta di Mary Schapiro, ex commissario Sec e attuale ceo di Finra, l'organo di autoregolamentazione degli operatori.


Lo scandalo ha proporzioni talmente vaste da aver spinto anche il Congresso a intervenire:
a breve sarà avviata un'indagine della Camera su questa truffa miliardaria e soprattutto sulle eventuali responsabilità della Sec nella vicenda.
Un aspetto non secondario, quest'ultimo, soprattutto per chi si prepara a fare a causa nel tentativo di recuperare qualcosa:
un fiume di azioni legali si sta infatti profilando non solo contro Madoff, ma anche contro gli hedge fund (e i loro revisori) che facevano da collettori di capitali per il finanziere newyorchese.

Un certo clamore ha destato infatti la notizia di un'azione legale che il fondo Fairfield - i cui clienti hanno perso 7,5 miliardi nella truffa - starebbe per lanciare contro la PwC, il suo stesso revisore, per gravi negligenze nell'audit: in pratica, la Price sarebbe accusata di non aver rilevato gli elementi sospetti che avrebbero permesso di bloccare in tempo lo schema Ponzi di Madoff.
Una causa analoga è stata lanciata dalla New York Law School contro la Bdo Seidman.


La casa di Madoff nell'upper East Side

Finora le prime indagini, ordinate dopo la drammatica confessione dell'ex presidente Nasdaq, hanno portato ad accertare «guadagni illeciti derivanti da condotta fraudolenta che sono stati depositati nei conti della Bernard Madoff Investment Securities e nei conti personali dello stesso Madoff», come evidenzia l'atto depositato dalla Sec in Tribunale per chiedere il congelamento dei beni del broker. Conti che risultavano accesi presso la JP Morgan e la Bank of New York Mellon.

«La Commissione ha appurato che erano state ripetutamente inoltrate agli uffici della Sec
denunce circostanziate e credibili sull'operato di Madoff

- ha spiegato Cox nel fare mea culpa -,
ma queste accuse non sono mai state portate all'attenzione della Commissione per sollecitarne l'intervento ».

Toccherà ora all'ispettore generale della Sec, David Kotz, verificare perchè le segnalazioni non fossero state ritenute credibili.
Se ci fossero cioè relazioni o se ci siano stati contatti tra i funzionari della Sec e i membri della famiglia Madoff o dipendenti della sua società che abbiano in qualche modo interferito.

L'indagine avrà anche lo scopo di verificare se le procedure interne siano adeguate e se siano state seguite scrupolosamente.
Cox, ha comunque messo le mani avanti precisando che «non c'è prova al momento di alcun comportamento irregolare da parte di funzionari della Sec».


La sede della Bernard Madoff Investment Securities

L'Authority di vigilanza aveva avviato un'indagine su Madoff già nel '92 in presenza di una raccolta di fondi clandestina per 440 milioni di dollari in Florida.
Appurato che le somme non erano state distratte, i capitali erano stati restituiti agli investitori e la vicenda si era chiusa senza conseguenze.
Successivamente, a partire dal '99, Harry Markopolos, che ai tempi lavorava per un concorrente, analizzando le strategie d'investimento di Madoff aveva concluso che le performance dichiarate non erano credibili, informando dei suoi sospetti gli uffici della Sec di Boston e quindi anche quelli di New York.

Sebbene sia ormai chiaro che l'attività di gestione clandestina, alimentata dalla catena di Sant'Antonio che richiedeva sempre nuovi afflussi di sottoscrittori per remunerare i vecchi clienti, fosse in piedi da anni, solo nel settembre 2006 Madoff inoltrò un filing alla Sec per segnalare la sua attività di asset management.


Nonostante la Sec abbia un anno di tempo dalla registrazione per effettuare la prima ispezione di routine, non risulta che questo sia mai stato fatto.
Anche se nel 2007, non si sa per quale motivo, la Sec aveva aperto e chiuso senza rilievi un dossier sulla società di Madoff.
Ora in pochi giorni sono stati trovati decine di registri di contabilità fasulla che provano come, sottolinea la Sec, Madoff avesse fornito agli investitori e all'Authority «false dichiarazioni sulla sua attività (ufficialmente, ndr) di consulenza».

Madoff, agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico nel suo lussuoso appartamento sulla Park Avenue, dovrà comparire domani in Tribunale, davanti al giudice Louis Stanton, per la prima udienza della causa promossa dalla Sec.


[18-12-2008]
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22/01/2009 00:33

WALL STREET IN AGONIA
– ERANO LE BANCHE PIU’ FORTI DEL MONDO, ORA CADONO COME BIRILLI
- NON c’è NESSUNA STRATEGIA, solo tamponamento falle
– SPEZZATINI E FUSIONI PER SOPRAVVIVERE
- IL TARP (Ex PAULSON) ERA UN’INTUIZIONE GIUSTa…


Glauco Magi per "La Stampa"


Può un'agonia protrarsi per anni?
Quella del sistema bancario americano è iniziata nel 2007
, siamo nel 2009 ed ancora non si vede il punto e a capo.
La crisi che ha sconquassato il sistema finanziario globale dovrà trovare pace dove è nata, negli Stati Uniti:
su questo non si discute
, anche se l'individuazione della scintilla è materia di dibattito (Fed? Mutui subprime? Deregulation?).

La ricerca delle responsabilità non dovrebbe frenare la cura:
le banche sono l'epicentro del terremoto, e il sistema non si risolleverà se non tornano all'equilibrio gestionale e al profitto. La prima intuizione operativa del governo, il Tarp, era quella giusta: il troubled assets relief programm, (programma di sollievo dei beni problematici), da compiersi acquistando e togliendo dal mercato i bond tossici legati a prestiti in difficoltà. Non fu seguita perchè si preferì dare i soldi alle banche, di fatto mettendo la testa sotto la sabbia.


Finora non c'è stata strategia, ma solo il tamponamento delle falle.
Il governo ha cominciato con il salvare Bear Stearns, "incoraggiando" JP Morgan Chase ad assorbirla: una banca commerciale che se ne inglobava una di investimento, quando ancora c'era distinzione di regolamenti e tutele tra le banche con sportelli e le banche d'affari, specializzate in fusioni, acquisizioni, trading, innovazioni, cioè nell'esplorazione dei rischi più redditizi protetti dai modelli matematici computerizzati.


Henry Paulson

Peccato che poi hanno mostrato totale inaffidabilità e travolto tutti, a cominciare dalle boutique: Lehman Brothers fallita, Merrill Lynch "comprata" da Bank of America, Goldman Sachs e Morgan Stanley trasformate dal governo in banche commerciali, così da poter rientrare nella famiglia delle istituzioni da salvare e insieme da controllare più da vicino.

È ancora presto per vedere un trend nel risiko degli accorpamenti che ha ridisegnato l'intera mappa bancaria americana. Finora tutte le operazioni sono state all'impronta dell'emergenza, qua e là mascherata da strategie aziendali. L'unica molla vera è stata quella delle autorità, terrorizzate dal crollo di uno dei grandi marchi del capitalismo finanziario Usa.

Si è visto con i due mostri dei mutui popolari Fannie Mae e Freddy Mac, e con Aig, l'assicurazione globale troppo grande per fallire, nazionalizzate e messe sotto la tutela dello zio Sam. E con Wells Fargo che si annette Wachovia o JP Morgan che assorbe WaMu.

Le ultime cifre sui buchi di Bank of America (Bofa) e di Citigroup sono il testimone di passaggio dalla gestione della crisi del vecchio Tesoro di Henry Paulson e Bush alla nuova del Tesoro di Obama e Geithner. La Bofa si è ritrovata a digerire 15,3 miliardi di dollari di perdite nei bilanci della Merrill Lynch, di recente acquistata su "consiglio" del governo. Così ha ribussato al Tesoro per una seconda tranche da 20 miliardi dopo i 25 avuti con il primo giro di finanziamenti a tutte le banche.

All'opposto Citigroup, che era il simbolo della superbanca tuttofare dai mutui allegri alle carte di credito, dai conti correnti ai prestiti nel Terzo Mondo, si deve dividere in due società dopo aver venduto la sua boutique del brokeraggio Smith Barney a Morgan Stanley, e intanto registra il quinto bilancio in rosso di fila (quasi 9 miliardi nel quarto trimestre 2008, 18,7 nell'intero anno): oggi paga più i dipendenti di quanto non valga in Borsa. Citi si fa spezzatino, le altre diventano più grandi. Tutte per necessità di vita o morte: non è strategia.


Glauco Magi per "La Stampa" 20-01-2009

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28/01/2009 13:56

BLACK LIST - Le 17 persone che con i loro errori hanno PORTATO IL MONDO VERSO LA RECESSIONE
– DA GREENSPAN, CLINTON E BUSH ALLE GRANDI BANCHE D’AFFARI
– IL SEN. GRAMM: “GUARDANDO I SUBPRIME VEDO IL SOGNO AMERICANO IN ATTO”…


Da "La Stampa"




La grande crisi, la peggiore dalla «Great depression» del 1929, è un disastro in cui la mano dell'uomo ha avuto la sua parte. Già, ma quali mani? Ecco, allora, 17 uomini. Diciassette volti che hanno contribuito a far scatenare, con le loro azioni ed omissioni, la tempesta.

A cominciare da Alain Greenspan, il presidente della Federal Reserve.

Sì, proprio lui. L'uomo che era riuscito a far superare agli Stati Uniti la crisi finanziaria del 1987 e a traghettare il Paese attraverso lo choc dell'attacco terroristico alle Twin Towers dell'11 settembre 2001. Lui che, sull'onda di questi successi, era diventato una star. Allora, lo chiamavano «l'oracolo», «il maestro».

Oggi, invece, è visto come un «appestato». Come il principale colpevole della grande crisi in atto.
È biasimato per aver lasciato decollare la bolla immobiliare, alimentata dalle basse rate dei mutui e della mancata regolamentazione sui prestiti, lacuna che ha impedito di arginare lo scandalo dei subprime.



GEIR HAARDE

Greenspan, anzi, ha incoraggiato lo sviluppo vertiginoso e pericoloso dei mutui-spazzatura e ha convinto i proprietari delle case ad abbandonare il tasso fisso per quello variabile, esponendo così migliaia di famiglie alla «tagliola» dell'impennata dell'assegno mensile, sino al punto di non ritorno, quando la rata è diventata, sotto i colpi della tempesta, troppo alta per consentire loro di onorarla.

ABI COHEN (EX GOLDMAN SACHS)

Il presidente della Fed, inoltre, ha difeso e sostenuto per anni il boom dei derivati, strumenti che già esistevano quando lui è arrivato alla banca centrale Usa e ne ha preso il controllo, ma strumenti che sotto la sua amministrazione sono letteralmente lievitati, passando da un valore di 100 trilioni (100 mila miliardi) di dollari nel 2002 a 500 trilioni cinque anni dopo. Di recente, Greenspan, ha ammesso che diverse sue convinzioni nel lungo termine si sono dimostrate sbagliate.

BILL CLINTON (Ex Presidente Usa) - Da Presidente Usa abolì nel 1999 il Glass Steagall Act, legge che stabiliva la perfetta separazione tra le banche commerciali e quelle d'investimento. Questa mossa ha avviato l'era delle superbanche e ha innescato la «bomba» dei mutui subprime, esplosa dopo molti anni.


ANDY HORNBY

GEORGE W. BUSH (Ex presidente degli Stati Uniti)
- L'amministrazione del presidente uscente degli Usa non ha certamente messo il freno all'erogazione della montagna di denaro finita in prestito a migliaia di sottoscrittori che non presentavano garanzie di rimborso.
Non ha trattenuto la corsa di Wall Street, con regole che impedissero il successivo bagno di sangue.

GORDON BROWN (Premier britannico)
- Si è lasciato completamente abbagliare dai protagonisti della City e dai loro vagiti. Ha anteposto gli interessi dello «Square Mile» a quelli di altre realtà economiche, coma l'industria manifatturiera. Ha reintrodotto la bassa tassazione per migliaia di banchieri stranieri che lavorano a Londra e società di private equity.

PHIL GRAMM (Ex senatore del Texas) - Ha combattuto a lungo e duramente per imporre la deregulation finanziaria.
Il suo lavoro ha facilitato la crescita esplosiva dei derivati e dei «credit swaps».
Nel 2001 disse in una discussione del Senato: «Guardando ai mutui subprime vedo il sogno americano in atto». [SM=x44472]


GEIR HAARDE (Primo ministro islandese)
- Ha annunciato venerdì scorso che vorrebbe dimettersi e indire nuove elezioni a maggio, sull'onda delle proteste popolari per il crac finanziario del Paese.
A ottobre le tre più grandi banche islandesi erano collassate sotto
i debiti.
Il governo si è fatto prestare 2,1 miliardi di dollari dal Fondo monetario internazionale e si è esposto con diversi Paesi europei.


GREENSPAN

MERVYN KING (Governatore della Bank of England)
- Amava dire di avere un'ambizione: che il processo decisionale della politica monetaria diventasse «noioso», tanto le cose andavano bene. [SM=x44459]
Nelle prime settimane della crisi si è rifiutato di finanziare le banche in difficoltà. Non ha saputo prevenire la bolla immobiliare.
Non ha tagliato i tassi abbastanza in fretta.

DICK FULD (Ex «ceo» di Lehman) - Soprannominato «il Gorilla», è stato in Lehman per decenni.
Al Congresso si è detto meravigliato che il governo non abbia salvato la banca.
Nell'audizione parlamentare gli hanno chiesto se riteneva giusto aver guadagnato 500 milioni di dollari in 8 anni.
Ha risposto che erano solo 300.
Subito prima che Lehman andasse in bancarotta ha mancato l'occasione di un grosso affare in Corea. E ha continuato a investire nell'immobiliare quando il mercato era al massimo.


JIMMY CAYNE (EX GUIDA DI BEAR STEARNS)


HANK GREENBERG (Ex numero uno di Aig)
- Ha fatto diventare Aig il più grande gruppo assicurativo del mondo. Ma con le sue mosse imprudenti ha anche reso la società estremamente vulnerabile alla crisi dei mutui. Per salvare Aig sono stati necessari fondi pubblici per 85 miliardi di dollari.

ABI COHEN (Ex capo strategie di Goldman Sachs) - Era definita la donna più potente degli Stati Uniti. Ma ha avuto torto troppo spesso. Non ha visto arrivare il crollo delle quotazioni azionarie. Prevedeva sempre mercati in rialzo. È stata sostituita nel marzo scorso.

ANDY HORNBY (Ex top manager di Hbos) - Reputatissimo, ammiratissimo e abilissimo, piazzatosi al primo posto nel suo corso di 800 studenti a Harvard. Però è stata la sua strategia, in occasione della fusione di Bank of Scotland e Halifax, che ha trascinato la Hbos al disastro. Chi avrebbe mai immaginato Halifax nazionalizzata?

FRED GOODWIN (Ex boss di R.B. of Scotland) - Era uno degli uomini d'affari preferiti da Gordon Brown. Adesso il premier è furioso con lui per la maniera in cui ha guidato la Royal Bank of Scotland. Ha portato la Banca a perdere 28 miliardi di sterline e a cedere il 70 per cento delle azioni al governo. Le perdite dipendono da prestiti inesigibili e da svalutazioni di investimenti fatti da lui.


HANK GREENBERG (EX AIG)

ADAM APPLEGARTH (L'ex Mr. Northern Rock) - L'ambizioso dirigente ha lasciato la banca prima che il governo inglese decidesse di nazionalizzarla portandosi a casa una gratifica milionaria. Ha voluto gestire la banca seguendo un modello di business fallimentare che ha portato Northern Rock a subire una fortissima crisi di liquidità.

STEVE CRAWSHAW (Per 4 anni al timone di B&B) - Il manager è salito ai vertici di Bradford & Bingley (B&B) nel 2004 e ha trasformato la società di costruzioni in una finanziaria specializzata in prestiti immobiliari. Ha fatto fare al gruppo investimenti legati ai mutui subprime portandolo al tracollo. Si è ritirato con bonus di 1,8 milioni di sterline.

STAN O' NEAL (Ai vertici di Merrill Lynch) - È diventato una delle principali vittime sacrificali del credit crunch quando verso la fine del 2007 perse la fiducia del board della banca. Prima delle dimissioni Stan O'Neal annunciò che Merrill Lynch aveva un'esposizione di circa 8 miliardi verso asset tossici.

KATHLEN CORBET (Ex ad di Standard & Poor's) - Ha guidato la più grande agenzia di rating fino all'agosto del 2007, quando è stata costretta a dimettersi, travolta dalle polemiche. L'hanno accusata di aver sottovalutato i rischi sui prodotti finanziari legati ai mutui subprime americani. Durante la sua gestione Standard & Poor's ha assegnato rating di alto livello (tripla A) a obbligazioni, Abs e Mbs, che poi si sono trasformate in asset tossici.

JIMMY CAYNE (Ex guida di Bear Stearns) - È stato il top manager di quella che è poi risultata la prima banca d'affari a essere colpita dalla crisi finanziaria. Durante il suo mandato, sono falliti due hedge fund di Bear Stearns che hanno portato la banca sull'orlo del fallimento.

Fonte: "La Stampa" [28-01-2009]

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28/01/2009 16:13

MADE IN USA A PICCO:
IN UN SOLO GIORNO 50MILA LICENZIAMENTI

- OBAMA IN PRESSING SUL SENATO PER L’APPROVAZIONE DEL PIANO DI RILANCIO DA 825 MLD $
- i repubblicani irritati da alcune spese sociali: come gli stanziamenti per il controllo delle nascite…

Arturo Zampaglione



Per il mondo del lavoro è stato il lunedì più nero di una intera generazione.
Iniziata in Europa con i 6mila tagli alla Philips, un´ondata di licenziamenti si è abbattuta sulla struttura industriale americana, spazzando in via in un giorno quasi 50mila posti di lavoro.
Per via della recessione, del crollo della domanda e di previsioni tanto pessimistiche che il Fondo monetario ha rivisto al ribasso le sue stime della crescita 2009 e 2010, la Caterpillar ha mandato a casa 20mila dipendenti, il 18% del totale.

Sempre ieri il gigante farmaceutico Pfizer ha ridotto l´occupazione di 8300 posti, la Corus di 3500, la Sprint Nextel di 8mila, la General Motors di 2mila concentrati nel Michigan e nel Ohio, e Home Depot, il colosso del fai-da-te, di altri 7500.
[SM=x44497]
«Non sono solo numeri astratti»
, ha ricordato ieri mattina Barack Obama. «Come per gli altri milioni di americani che hanno perso il posto nel 2008, dietro a queste cifre ci sono lavoratori che vedono turbata la serenità familiare e congelati i loro sogni.
Abbiamo il dovere di agire senza distrazione né ritardi».
Le parole del neopresidente erano dirette soprattutto ai repubblicani, che stanno ostacolando
il maxi-piano da 825 miliardi di dollari per il rilancio dell´economia.

In teoria domani la Camera dovrebbe mettere ai voti il piano, poi sarebbe il turno del Senato in vista di una approvazione definitiva entro il 16 febbraio. «Non vedo l´ora di firmare la legge», ha detto ieri Obama. Ma la destra fa resistenza. «Siamo molto preoccupati per il contenuto del provvedimento», ha tuonato il grande sconfitto della campagna elettorale, John McCain, ora tornato nei banchi del Senato. «Prevede infatti spese che non hanno nulla a che fare con uno stimolo all´occupazione e al tempo stesso non riduce alcune tasse che potrebbero incoraggiarla».

Al di là dell´importo complessivo della manovra, che aggraverà per anni i conti pubblici americani, i repubblicani sono irritati da alcune spese sociali introdotte dai democratici nel maxi-piano: come gli stanziamenti per il controllo delle nascite. E secondo alcuni calcoli solo la metà dei fondi complessivi potrebbe essere investito in tempi rapidi in infrastrutture e altri progetti capaci di creare occupazione. D´altra parte, ben sapendo che Obama gode in questa fase di grande popolarità, la destra non vuole attaccarlo frontalmente. Di qui la tattica del temporeggiamento, alla quale il presidente reagisce moltiplicando i suoi appelli.

Intanto la situazione peggiora di giorno in giorno.
«La massa dei licenziamenti di lunedì conferma l´accelerazione della crisi», commenta Harry Holzer, della università Georgetown.
Dall´inizio della recessione nel dicembre 2007 sono stati persi negli Stati Uniti 2,59 milioni di posti di lavoro e il tasso di disoccupazione è schizzato il mese scorso al 7,2%. E gli esperti sono convinti che ormai il ritmo di distruzione degli impieghi sia di 600mila al mese.


Anche il Fmi (Fondo monetario internazionale) lancia l´allarme sull´aggravamento delle prospettive.
Secondo il "World economic outlook", la consueta analisi semestrale, di cui è emersa ieri una bozza in anteprima, il Fmi prevede che la crescita mondiale sarà nel 2009 di appena lo 0,5%, e non più del 2,2 come pensava lo scorso ottobre. In ribasso anche le stime del Pil per i paesi industrializzati.


Da un articolo di Arturo Zampaglione [27-01-2009]





L' inchiesta. La Corte di New York rende noto l' elenco.
Tra i clienti la famiglia Kissinger
Crac Madoff, ecco i nomi italiani
Da Domenico De Sole ai Redentoristi a Dini (Paul&Shark)
Tra gli italiani anche Arrigo Mayer di Segrate Truffati Price Waterhouse McKinsey e l' ex sceriffo di Wall Street, Eliot Spitzer



MILANO - Il falò acceso sotto al castello di carta messo in piedi da Bernard Madoff ha bruciato anche parte dei risparmi di Domenico De Sole. L' ex presidente della Gucci e la moglie Eleanore sono rimasti impigliati nel gigantesco «Ponzi Scheme» da 50 miliardi di dollari ideato dell' ex banker di Wall Street, e ridotto in polvere dalla crisi finanziaria. Quanto ci ha rimesso il manager non è noto. Ma il suo nome compare nella lunga lista, 162 pagine, dei clienti di Madoff depositata mercoledì alla Cancelleria del tribunale di New York. I residenti in Italia sono appena quattro: Paolo e Andrea Dini, proprietari della Paul & Shark, un «anonimo» Arrigo Mayer di Segrate e il responsabile dell' economato della congregazione dei Redentoristi, Stan Vrobel. A sentire le voci che da tempo circolano nei salotti milanesi, tuttavia, gli italiani sarebbero molti di più. Ma il filtro offerto da fiduciarie, banche private e società offshore, per ora ne ha protetto l' identità. Nell' elenco depositato a New York, tra i big del credito come Deutsche Bank, Commerzbank, Bank Austria (Unicredit), Santander e Bnp Paribas, spuntano diverse società schermo e banche svizzere: da Banque Syz a Pictet & Cie alle filiali del Credit Suisse di Basilea e Ginevra fino alla Banque Jacob Safra, una delle casseforti dei risparmi della comunità ebraica prevalentemente newyorkese. Che è poi il bacino in cui Madoff ha pescato di più in questi anni. E che quindi occupa gran parte della della lista dei «truffati» in cui compaiono tra gli altri la Kissinger Family Foundation, dell' ex segretario di Stato Henry Kissinger, e la famiglia del premio Nobel, Eli Weisel. Ma tra le vittime dell' ex presidente del Nasdaq, autore di una delle truffe più grandi di tutti i tempi (il buco lasciato da Madoff è tre volte più grande di quello della Parmalat), i nomi noti, non solo della finanza e della politica, sono molti. Gli attori John Malcovich e Kevin Bacon, l' ex Bond-girl, nonché moglie dell' ex Beatle Ringo Starr, Barbara Bach, l' anchorman Larry King. Perfino Zsa Zsa Gabor compare nell' elenco. Qualcuno di questi ha perso tutto. Altri, come Malkovich, avevano puntato su Madoff per garantirsi la pensione. D' altra parte era difficile dire di no alle promesse di performance mirabolanti, impossibili in tempi di crisi, dell' ex banchiere. Il quale a suon di cedole del 10-12% è riuscito a ingannare fior di professionisti, incluso uno dei «controllori» per definizione della trasparenza delle società: Price Waterhouse Coopers, la stessa a cui è stata affidata la gestione del crac Lehman. Ma Price è in buona compagnia, visto che tra i truffati c' è anche l' ex «sceriffo» di Wall Street, diventato poi governatore dello Stato di New York, Eliot Spitzer, e una delle maggiori società di consulenza al mondo, McKinsey & Company. E ancora, la Columbia University e la squadra di baseball dei New York Mets. Per non parlare dei fondi pensione che dall' oggi al domani hanno visto bruciare tutti i risparmi dei loro sottoscrittori. Come d' altra parte è accaduto ai nipoti di Madoff, vittime inconsapevoli del buco nero che, insieme a tutto il resto, ha inghiottito anche i fondi custoditi dal «trust» creato dal nonno per il loro futuro. Federico De Rosa 50 La lista Il manager L' attrice L' anchorman L' attore Il principe e la truffa Banche Utili in calo per Santander Il Santander, una delle banche più colpite dal crac Madoff, ha chiuso il quarto trimestre con una calo dell' utile netto del 22% a 1,94 miliardi di euro Truffata anche Paribas Nel lungo elenco delle banche europee vittime della truffa di Madoff, c' è anche la francese Bnp Paribas che in Italia controlla Bnl

De Rosa Federico - Pagina 29
(6 febbraio 2009) - Corriere della Sera



[Modificato da Etrusco 07/02/2009 12:59]
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28/01/2009 17:00

...quello che mi preoccupa è il contesto in cui si realizzano questi disastri: i posti in cui gli ammortizzatori sociali sono modesti od inadeguati pagheranno in maniera terrificante questa crisi.
Valutazione tecnica: tutti gli "espertoni" di crisi finanziarie sostengono che la crisi sarà lunga ma che finirà. Tengo a precisare che tale valutazione è surrettizia e basata (di fondo) solo sulla proiezione di fenomeni statistici passati (andamento sinusoidale dei mercati su asse a coefficiente angolare positivo). NON esistono garanzie che i fenomeni del passato possano reiterarsi in futuro. Poi io sono uno di quelli che ritiene che la crisi in effetti finirà nel giro di un anno, ma questo non significa che abbia ragione...solo me lo auguro, come gli "espertoni"...

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...la firma non la metto...
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18/02/2009 14:54

Re:
mementino, 28/01/2009 17.00:

...quello che mi preoccupa è il contesto in cui si realizzano questi disastri: ...
Valutazione tecnica: tutti gli "espertoni" di crisi finanziarie sostengono che la crisi sarà lunga ma che finirà. ... NON esistono garanzie che i fenomeni del passato possano reiterarsi in futuro. ... me lo auguro, come gli "espertoni"...




Speriamo,
comunque, per la cronaca:


Secondo solo al crack Madoff di 50 miliardi
Usa, nuova frode da 8 miliardi di dollari Obama firma legge di stimolo economico
Sospese le attività del magnate texano Robert Stanford.

WASHINGTON - Nuova frode finanziaria negli Stati Uniti

resa noto nello stesso giorno in cui il presidente Barack Obama firma la legge di 787 miliardi di dollari (625 miliardi di euro) di stimolo economico.
L'autorità di controllo della Borsa americana ha infatti accusato di frode il magnate texano, Robert Allen Stanford, e tre delle sue società:
la Stanford International Bank
con base nell'isola caraibica di Antigua,
lo Stanford Group di Houston, e lo Stanford Capital Management.
La frode riguarderebbe uno schema di investimento sui certificati di deposito di oltre 8 miliardi di dollari (6,35 miliardi di euro), che è da tempo al centro di forti polemiche, per gli eccessivi ritorni che garantirebbe agli investitori.
È stato chiesto il temporaneo congelamento delle attività di Stanford, che si trova al 205° posto nella classifica di Forbes dei più ricchi del mondo, con un patrimonio netto personale di 2,2 miliardi di dollari.
Stanford è conosciuto anche per le sue attività di sponsor nel golf, nel tennis, nel cricket e nella vela. Subito dopo le accuse nei suoi confronti, le associazioni del cricket di Inghilterra, Galles e dell'India occidentale hanno fatto sapere di aver sospeso i negoziati di sponsorizzane con Stanford.
Continua...


17 febbraio 2009
www.corriere.it/economia/09_febbraio_17/usa_frode_economica_b82ca666-fd31-11dd-b299-00144f02aa...




REGGETEVI FORTE: 18 MILA MILIARDI €
- È LA CIFRA BOMBA SULLA QUALE È SEDUTA L’EUROPA
– “MF” LEGGE UN DOCUMENTO SEGRETO DELL’UE CHE STIMA L’ENTITÀ DEGLI ASSET TOSSICI
- IL PESO SUI BILANCI PUBBLICI POTREBBE ESSERE ENORME IN PERCENTUALE SUL PIL…

Stefania Peveraro e Roberto Sommella per MF


La cifra è praticamente impronunciabile, letteralmente quasi inscrivibile in qualsiasi formula: 18 mila miliardi di euro o, per dirla all'americana, 18 trilioni
, qualcosa di più dello stesso Pil statunitense. È la stima shock sull'entità degli asset a rischio di tossicità delle banche europee inserita in un documento segreto preparato dalla Commissione europea e discusso la scorsa settimana dai ministri delle finanze della Ue riuniti in sede Ecofin. Il documento della Commissione, che è una prima bozza delle linee guida che i governi dovranno tenere in tema di quantificazione degli asset tossici nei bilanci delle banche europee, è datato 6 febbraio ed è stato finora tenuto riservato.

Ma è proprio alla luce di questo documento che si comprendono sia i toni dell'ultima riunione dei ministri finanziari al G7 di Roma, dove pure il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi ha lanciato un appello drammatico, sia l'uscita particolarmente preoccupata di ieri del commissario alla concorrenza Ue Neelie Kroes, che incita a una risposta immediata e coordinata dei governi al problema degli asset tossici delle banche. Il tutto con i titoli dei principali istituti di credito europei in picchiata.

Ma cosa contengono le 17 pagine del documento di cui MF-Milano Finanza è venuto in possesso? Una cosa semplice. E terribile. Gli Stati membri della Ue devono allacciare le cinture e usare tutti gli sforzi possibili per indurre le banche a tirare fuori gli asset tossici dai loro cassetti, stimare il reale fair value ed effettuare adeguate svalutazioni (praticamente una rivoluzione) perché occorre fare il check -up di una quantità mostre di prodotti ad alto rischio tossicità.

In particolare, come si legge nell'Allegato 2 al paper di Bruxelles a pagina 16, gli asset tossici nei bilanci delle banche europee si possono trovare tra gli strumenti finanziari computati nel trading book o tra quelli che devono essere valutati al fair value («circa 13.700 miliardi equivalenti al 33% del valore di bilancio di tutte le banche europee») e tra gli strumenti finanziari computati come disponibili per la vendita («approssimativamente 4.500 miliardi di euro equivalenti all'11% del totale dei bilanci delle banche Ue»).

Insomma, fatti i conti, il 44% degli asset delle banche europee dovrà sostenere il cosiddetto impairment test per un totale appunto di 18.200 miliardi. Chi supererà il test e quanti asset invece diventeranno impaired, cioè verranno svalutati? Difficile fare un pronostico, ma l'Europa è comunque seduta su una bomba ad alto potenziale distruttivo.

Non a caso ieri il commissario Ue Neelie Kroes, in un discorso all'Ocse ha detto chiaro e tondo: «I numeri dell'esposizione delle banche sono sbalorditivi» e per questo «bisogna affrontare il tema degli asset svalutati con specifiche nuove misure che possano riportare la fiducia del mercato nella solvibilità presente e futura delle banche».

Kroes non ha fatto preciso riferimento allo stock di asset passibili di svalutazioni così come riportato dal documento della Commissione, anche se si capisce che ha parlato avendo quei numeri ben presenti.

Il commissario Ue, infatti, si è limitata a segnalare che «le stime circa l'esposizione delle istituzioni finanziarie agli asset valutati continua a crescere» e che «secondo l'Fmi il potenziale deterioramento degli asset creditizi originati negli Usa detenuti dalle istituzioni finanziarie è cresciuto da 1.400 miliardi di dollari a fine ottobre a 2.200 miliardi».

In ogni caso, recita ancora il documento a pagina 5 a proposito di un intervento dei governi che dovrebbero farsi carico degli asset tossici in pancia alle banche, «le stime sul totale delle svalutazioni di asset suggeriscono che i costi di bilancio (pubblico, ndr), attuali e contingenti, di un rilievo di attività potrebbe essere molto ampio in termini assoluti e relativi rispetto al Pil degli Stati membri».

Già perché la Commissione con il suo documento ha sdoganato il concetto di «asset tossico allargato».

Alle pagine 9 e 10 del documento, infatti, si precisa che con il termine di asset tossici ci si riferisce in genere solo a quegli strumenti che hanno innescato la crisi finanziaria, come i titoli delle cartolarizzazioni di mutui residenziali e commerciali Usa e i loro successivi rimpacchettamenti, tutti strumenti che sono diventati ampiamente illiquidi o comunque che hanno subito severi aggiustamenti di prezzo.

Certo, continua il report top secret, restringere il campo degli asset eleggibili a essere rilevati dai governi soltanto agli asset tossici secondo la comune accezione limiterebbe l'esposizione dei governi a possibili perdite e contribuirebbe a prevenire distorsioni della concorrenza.

Tuttavia, una misura che prevedesse «un rilievo di asset troppo limitato implicherebbe il rischio di riportare la fiducia nel sistema bancario solo per poco», date le differenze tra i problemi specifici incontrati nei differenti Stati membri e nelle diverse banche e considerato che il problema delle valutazioni si è ormai allargato ad altri tipi di asset. Quindi? Ci vorrà un «approccio pragmatico», che estenda l'eventuale soccorso governativo anche agli asset non strettamente tossici, ma comunque illiquidi e contagiati dalla crisi.


[18-02-2009]

[Modificato da Etrusco 19/02/2009 01:04]
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La vignetta delle polemiche sul New York Post



La vignetta di Sean Delonas.

Il fumettista della rubrica Page Six, ha disegnato due poliziotti che hanno appena sparato a una scimmia (una caricatura del presidente afroamericano Barack Obama) e che commentano:
«Adesso dovranno trovare qualcun altro
per scrivere il piano di stimolo»


dal Corriere

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ERA IL DIRETTORE FINANZIARIO
DELLA COMPAGNIA FINITA NELLO SCANDALO DEI MUTUI "FACILI"

Morto top manager di Freddie Mac
I media Usa: «Si è impiccato»

Il cadavere di David Kellermann trovato all'alba dalla moglie nella loro abitazione in Virginia

David Kellerman
(Afp)

WASHINGTON - È stato trovato impiccato, nella sua abitazione in Virginia, David Kellermann, il direttore finanziario della compagnia Freddie Mac.
Secondo i media americani, che citano fonti della polizia,
l'uomo si sarebbe suicidato, impiccandosi nella cantina della sua casa.
Circostanza, quella del suicidio, sulla quale la polizia, pur confermando il decesso, non si è ancora espressa ufficialmente, sottolineando che sono in corso indagini sul caso.

IL CORPO TROVATO DALLA MOGLIE - È stata la moglie di Kellermann a chiamare la polizia, attorno alle 5 del mattino, riferendo di avere trovato il corpo senza vita del marito.

LO SCANDALO MUTUI - La Freddie Mac,
finita insieme all'altro colosso dei mutui Fannie Mae al centro dello scandalo per i mutui "facili"

concessi a chi voleva comprare case, a settembre era stata salvata dal fallimento dal governo americano.
Il 41enne Kellermann lavorava per la compagnia da 16 anni e ne era al vertice,
dopo le dimissioni, nel settembre scorso, del presidente Anthony Piszel
e quelle, il mese scorso, dell'amministratore delegato David Moffet.


Fonte: Corriere della Sera - 22 aprile 2009

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