I PRIMI INCONTRI DELLA GELMINI:
HO INCONTRATO IL MIO FIDANZATO NEL MIO STUDIO, UN ANNO FA:
ERA UN CLIENTE. IO ERO SINGLE, LUI SEPARATO
– IL PRIMO FACCIA A FACCIA COL CAV. CHE LA CATAPULTò AI VERTICI DEL PARTITO…
Sara Faillaci per "Vanity Fair"
Arcore, 2005. Mariastella Gelmini varca per la prima volta il cancello di Villa Berlusconi.
La accompagnano Sandro Bondi, coordinatore nazionale di Forza Italia, e Giacomo Tiraboschi, il giardiniere. Il Presidente la attende seduto all'aperto. Lui le dà del tu, la Gelmini risponde con il lei. Parlano tre quarti d'ora.
«È dopo questo incontro, presumibilmente, che Berlusconi catapulta ai vertici del partito la trentaduenne bresciana, figlia di un agricoltore e di una maestra elementare, risultata a sorpresa prima degli eletti di Forza Italia a Brescia nelle elezioni regionali. Qualche mese dopo, le telefona per annunciarle l'incarico di coordinatore per la Lombardia. In barba alle perplessità della prescelta che, racconterà lei stessa, non si sente pronta. Ma quando nel 2008 arriva la seconda telefonata - è giunto il momento di fare il ministro, dicastero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca - la Gelmini non si fa trovare impreparata, e dice subito sì.
Ci incontriamo a Milano un venerdì di dicembre, a sette mesi dalla sua nomina, e quasi due dalle durissime contestazioni di piazza che ha suscitato la sua riforma della scuola, diventata legge (la 169 del 2008) a fine ottobre. Di persona è più bella di come appare in Tv, ma il look - occhiali, scarpe basse, lupetto e pantaloni neri - è quello che ti aspetti.
Si ricorda com'era vestita quel primo giorno ad Arcore?
«No. Come al solito, penso».
Emozionata?
«Non particolarmente. In dieci anni di politica mi era già capitato di vedere di persona il Presidente. Anche se, certo, quella era un'occasione speciale. Aveva chiesto lui di incontrarmi, voleva congratularsi per i risultati alle regionali».
E lei non era emozionata.
«Immaginavo un incontro formale, invece Berlusconi ti stupisce sempre: fa domande che non ti aspetti».
Per esempio?
«Ha voluto sapere come avessi ottenuto tanti voti senza avere soldi per la campagna elettorale. Gli ho spiegato che ero andata in giro sul territorio. Ma ha chiesto anche cose personali: è un uomo molto curioso, vuole sapere chi sei, non ti tratta come un numero».
Berlusconi è il suo capo: avrà cercato di far colpo su di lui.
«Penso di esserci riuscita proprio perché non mi sono sforzata di fare colpo.
Sono molto diretta, dico quello che penso. Ancora oggi il nostro rapporto è franco, senza fronzoli. Una volta mi ha dato della "rompiscatole" perché, se sono convinta di avere qualcosa di importante da dirgli, chiamo e richiamo finché non mi parla».
Come finì quel primo incontro?
«Mi chiese di aiutare Sandro Bondi. Ma pochi mesi dopo chiamò per dirmi che aveva pensato a me come coordinatore regionale. Ero sotto shock: nominare una persona di 32 anni per un ruolo così importante è stata una delle decisioni più controcorrente che Berlusconi abbia mai preso».
Pensava di non essere pronta?
«Non sapevo se avrei avuto l'esperienza, e glielo dissi. Ma lui rispose che in politica avevo già fatto abbastanza, e che Bondi mi avrebbe aiutato. All'interno del partito, certo, la scelta non piacque a tutti. Mi vedevano come il fumo negli occhi, anche perché dovevo coordinare persone con il doppio dei miei anni».
Risultato?
«Mi sono fatta le ossa: la vita di partito non è tenera. Ma mio padre mi ha insegnato a non curarmi delle critiche, ad andare avanti per la mia strada, a lasciar parlare i risultati».
Che tipo era
suo padre?
«Un uomo dal carattere forte. Ci assomigliamo, anche fisicamente. Aveva un'azienda agricola, sono cresciuta in una cascina di campagna, a Milzano. Essendo la figlia più piccola, per di più femmina, mi viziava parecchio, ma abbiamo avuto anche noi i classici contrasti. Quando nel 2001, a 77 anni, si è ammalato di un tumore al pancreas che se l'è portato via in due mesi, ormai avevamo imparato a capirci quasi senza parlare».
In famiglia quanti eravate?
«Mio padre ha avuto 4 figli: tre da un primo matrimonio, me dal secondo.
Il suo divorzio fece scalpore,
ma con la prima moglie avevano caratteri troppo diversi.
E con mia madre, più giovane di 15 anni, era nato un grande amore».
Suo padre, a Milzano, è stato sindaco per la Democrazia Cristiana.
Come pensa abbia vissuto, da cattolico,
il divorzio?
«Io all'epoca non ero ancora nata, e di questa cosa non abbiamo mai parlato. Però mi è sempre sembrato sereno».
Come è stato crescere in una famiglia allargata?
«Siamo sempre stati uniti, anche se, essendo i miei fratelli molto più grandi di me, giocavamo poco insieme. I due maschi vivevano a casa con noi, mentre mia sorella Cinzia (maestra a Pontevico, rappresentante della Cgil, ndr) studiava a Brescia. Nel '90, purtroppo, il più giovane dei miei fratelli è morto a 32 anni in un incidente stradale. Per mia madre è stato come perdere un figlio».
Lei quanti anni aveva?
«Diciassette. Trovarsi con un fratello che non c'è più è un'esperienza molto dolorosa. Ma la mia famiglia ha saputo reagire e questa cosa ci ha reso ancora più uniti. Ci siamo come riscoperti».
Ha frequentato scuole pubbliche o private?
«Pubbliche fino al ginnasio.
Il liceo classico l'ho fatto al Cesare Arici di Brescia, un istituto privato, cattolico».
Come andava a scuola?
«Non ero la prima della classe, ma non ho mai avuto problemi».
Usciva la sera?
«Mai fino all'Università: mia madre era severa, rigida sugli orari.
Poi ci siamo trasferiti a Desenzano, e lì capitava di andare al bar, al cinema, qualche volta in discoteca:
mi è sempre piaciuto ballare».
Primo bacio?
«A 14 o 15 anni, con un mio compagno di classe, si chiamava Stefano.
Il primo fidanzatino l'ho avuto verso i 17 anni,
quello serio solo a 21».
Sta parlando di Giuseppe Romele, parlamentare e oggi coordinatore provinciale di Forza Italia a Brescia. L'ha introdotta lui alla politica?
«In politica ero entrata prima ancora di conoscerlo. Nel '94 avevo aderito al primo club di Forza Italia a Desenzano, dopo aver visto uno spot televisivo dove Berlusconi faceva appello ai giovani e alle donne. Io ero l'unica a studiare: avevo più tempo libero, mi chiesero di fare la presidente. Abbiamo portato avanti varie battaglie amministrative e sulla sicurezza. E quando, nel '98, ci siamo candidati per le comunali, sono risultata la più votata».
Lei sembra molto timida: dove ha trovato tutto questo spirito di iniziativa?
«Sono timida, è vero, e riservata. Ma se mi metto in testa una cosa, non mollo».
Suo padre la incoraggiava?
«Non particolarmente. Piuttosto mi diceva di continuare gli studi per avere una mia indipendenza: vedeva la politica come esperienza transitoria. E io ho sempre pensato che avrei fatto l'avvocato».
A proposito:
è stata molto criticata per la scelta di sostenere l'esame di abilitazione a Reggio Calabria, dove all'epoca passava circa il 90% dei candidati contro il 20% di Brescia e di molte sedi del Nord Italia.
«A 25 anni è umano voler entrare nel mondo del lavoro il prima possibile. E l'esame, così com'era concepito prima della riforma Castelli, non premiava certo i migliori».
Molti esami pubblici sono avvertiti dai cittadini come iniqui e poco trasparenti ma, se tutti cercassero
una scorciatoia, non vivremmo più in uno Stato di diritto.
«Magari oggi ragionerei in maniera diversa, forse non andrei a Reggio Calabria. Sottolineo però che non era un concorso pubblico, ma solo un esame di abilitazione».
Senza il quale però in Italia non è possibile esercitare la professione. Forse, se avesse parlato pubblicamente della cosa all'indomani della nomina a ministro, avrebbe prevenuto gli attacchi.
«Se non l'ho fatto, è perché non ho mai dato molto peso a questa cosa. Non mi sembra un fatto talmente grave, e non me ne vergogno. C'è stata una enorme strumentalizzazione dell'episodio, ma io credo ci sia di peggio nella vita».
Si aspettava di diventare ministro?
«Un po' sì. Berlusconi aveva detto che il suo sarebbe stato un governo di giovani, di persone capaci di credere al cambiamento e di intraprendere la strada delle riforme. Certo non pensavo all'Istruzione, un ministero molto pesante, di grande responsabilità».
Data la sua formazione, perché non la Giustizia?
«Il rischio c'è stato. Ma il Presidente teneva molto che all'Istruzione ci fosse una donna. Avendo frequentato la scuola e l'università fino a tempi relativamente recenti, conosco i problemi. E poi non appartengo a corporazioni o lobby che mi portino a difendere lo status quo. I giovani non hanno privilegi da tutelare, se mai preoccupazione per il futuro, che è meno roseo di quello dei nostri genitori».
Basta essere andati a scuola per conoscere i problemi dell'istruzione?
«Sono abbastanza umile da riconoscere che non so tutto, e chiedo il contributo di chiunque possa dare una mano. Ma tecnici ce ne sono moltissimi, mentre il ministro ha un ruolo politico: a me spettano la visione, il confronto e la sintesi. È il metodo che ho usato nella mia riforma».
Riforma che è accusata di prevedere, in sostanza, solo tagli.
«Non sono d'accordo: il maestro prevalente alle elementari, il ritorno dei voti e di quello in condotta sono i primi passi per mettere in discussione un sistema-scuola inteso solo come stipendificio, e che non mette al centro di tutto lo studente. Per quanto riguarda i tagli, garantisco che non incideranno sulla qualità dei servizi ma solo sugli sprechi.
Era necessario fermare un meccanismo perverso di gestione delle risorse, frutto di logiche di partito e sindacali, per cui il 97% dei fondi alla scuola e all'università era destinato alle spese e solo il 3% agli investimenti. Il risultato è che abbiamo edifici fatiscenti, insegnanti in soprannumero e mal pagati, e una scuola che per qualità in Europa è agli ultimi posti».
A me veramente risulta che la nostra scuola elementare, per programmi didattici, sia considerata da molte parti una delle migliori d'Europa.
«Quando c'era il maestro unico eravamo al terzo posto. Ora siamo scesi all'ottavo in lettura e, nelle scienze, al quindicesimo, su ventidue Paesi. Riaffermare il modello del maestro prevalente, e del tempo pieno, rappresenta una scelta di qualità».
Eppure il governo, nell'ultimo incontro con i sindacati, rilanciando il «parere Aprea» - dal nome della responsabile Scuola di Forza Italia, Valentina Aprea, che l'ha elaborato -, sembra aver fatto marcia indietro: il maestro unico non è più obbligatorio, ma facoltativo. E nelle classi con l'orario più lungo i maestri saranno due.
«Nessuna marcia indietro. La responsabilità del percorso formativo e didattico resta in capo a un unico docente. È il concetto di modulo - tre maestri a rotazione - che è definitivamente archiviato, consentendo però alle famiglie di scegliere tra 24 o 27 ore di lezioni settimanali, oppure il tempo pieno di 40 ore».
L'impressione è che sia la scuola a pagare il prezzo più alto nei tagli previsti dalla Finanziaria di Tremonti.
«Solo perché la sinistra l'ha scelta come campo di battaglia, e ha concentrato qui la sua campagna contro il governo. Ma una gestione più parsimoniosa delle risorse è stata prevista dalla Finanziaria in ogni settore e in uguale misura, un taglio del 10% in media. Risparmi che alla Difesa, agli Esteri, alla Sanità sono già stati applicati senza levate di scudi. Invece, quando si parla di scuola, la sinistra semina allarmismo nelle famiglie».
Si aspettava di essere contestata così duramente?
«Francamente, no. Ho passato anche momenti difficili, non lo nascondo, ma mi sento la coscienza a posto perché condivido gli obiettivi di questa manovra, e non potrei mai rimanere inerte solo per paura delle proteste. Non sopporto i politici che non si assumono le responsabilità e tirano a campare».
Quando ha capito che la politica sarebbe stata il suo lavoro?
«In realtà ho continuato a fare l'avvocato fino alla nomina all'Istruzione. Ho uno studio a Brescia, e ne avevo aperto uno anche a Milano. Poi ho scoperto che la carica è incompatibile con la professione e mi sono dovuta sospendere. Del resto è giusto così: quello di ministro è un lavoro che ti riempie la vita».
Per quella privata, però, qualche ritaglio rimane. So che
ha un fidanzato imprenditore, cinquantenne e belloccio. Come vi siete conosciuti?
«Un anno fa è venuto in studio. Doveva essere un normale cliente, è diventato qualcos'altro».
Colpo di fulmine?
«Una cosa piuttosto immediata. Ero single da un anno».
Era single anche lui?
«Separato».
Come ha reagito alla nomina a ministro?
«Serenamente: è un tipo sicuro di sé, molto tosto. Quando l'ho conosciuto, del resto, sapeva che facevo politica. E pensa che una persona debba essere realizzata anche professionalmente per stare bene nel privato».
Magari è contento di essere fidanzato con un ministro.
«Spesso ci ride sopra, e nei giorni pesanti delle contestazioni la sua ironia mi ha aiutato a sdrammatizzare. Mi prendeva in giro per gli slogan e le imitazioni».
A lei piacciono le sue imitazioni?
«Quella di Caterina Guzzanti è un po' cattiva, quella della Cortellesi già più divertente. Ma se mi avessero dato modo di esprimermi per quella che sono, credo avrebbero colto di me aspetti più simpatici».
Pare che il suo fidanzato le abbia chiesto di sposarlo.
«L'ho appreso da Panorama, ma a me non risulta: il nostro è un rapporto ancora fresco».
Non è una di quelle che da ragazze
sognano l'abito bianco?
«Non particolarmente. Mi piacerebbe sposarmi e avere una famiglia, ma non sono cose che uno può decidere a tavolino. Se accadrà, ne sarò felice».
Qual è la sua posizione su Pacs, fecondazione assistita e Legge 194?
«Ho molto pudore su questi temi, e preferisco non pronunciarmi.
Le mie risposte sarebbero subito strumentalizzate».
Ma lei è un politico, la gente vuole conoscere le sue posizioni.
«Ho un'impostazione cattolica e le mie posizioni non possono che essere consequenziali. Però rispetto chi non la pensa come me».
Si piace fisicamente?
«Non mi ritengo una bellezza, ma nel complesso gradevole».
Gli occhiali sono un vezzo o una necessità?
«Sono un po' miope e un po' astigmatica. Ho già fatto un intervento correttivo ma mi è rimasto un po' di difetto, quindi, per comodità, continuo a portare gli occhiali».
Ha mai messo una minigonna?
«Mai. Preferisco la longuette, mi sta meglio».
C'è chi trova sexy il suo aspetto da maestrina un po' seriosa.
«I sex symbol, secondo me, sono un'altra cosa».
[18-12-2008]
Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.