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16/11/2008 22:59 | |
ELEMENTI GIUDAICI ED ELEMENTI GRECI NEL CRISTIANESIMO PRIMITIVO
1. IL PROBLEMA
Nato dal giudaismo, il cristianesimo si è impiantato e sviluppato in ambiente greco-romano. Fenomeno originale, esso ha ugualmente sentito l'influenza dell'ambiente nel quale si è sviluppato. Uno dei problemi maggiori della storia delle origini cristiane è appunto quello di precisare il peso degli elementi giudaici e degli elementi ellenistici nella sua genesi ed evoluzione. La ricerca ha conosciuto e conosce ancora, in questo settore, esitazioni e incertezze. Gli studi sono stati a lungo dominati dagli a priori confessionali e da una certa concezione dell'ortodossia che faceva dell'originalità assoluta il criterio di verità. Non c'era posto, nella storia cristiana, per influenze e apporti esterni. Nella lotta tra verità ed errore il cristianesimo si presentava come completamente diverso da tutto ciò che lo circondava e non paragonabile nemmeno con ciò che poteva somigliargli. Stabilire un paragone che potesse chiarire certe affinità dovute all'influenza dell'ambiente, significava misconoscere l'essenza della rivelazione; lo storico cristiano si sentiva quindi spesso tenuto a "sottrarre il Vangelo ad accostamenti compromettenti" (M.J. Lagrange). Senza contestare l'esistenza e la legittimità dello sforzo di sintesi tentato da alcuni Padri della Chiesa, tra la rivelazione biblica e il pensiero greco, diversi studiosi cattolici hanno cercato almeno di negare qualsiasi influenza della religiosità pagana sugli scritti neo-testamentari. Alcuni protestanti liberali invece, credendo di trovare in un cristianesimo senza dogmi la purezza e la semplicità del messaggio evangelico primitivo, consideravano come una deviazione tutto il sistema dottrinale della Chiesa antica e tutto ciò che, anche nel Nuovo Testamento, sembrava portare il segno della speculazione filosofica greca. Si contrapponeva allora al "Discorso della montagna", con il suo contenuto etico, il credo di Nicea, così carico di metafisica: "Il primo appartiene al mondo dei contadini siriaci, il secondo al mondo dei filosofi greci". I primi tentativi di illuminare il cristianesimo nascente attraverso il suo contesto pagano sono nati sia da questa tendenza, sia dall'iniziativa di studiosi non confessionali, inclini talvolta a vedere nel cristianesimo un semplice sottoprodotto della religiosità ellenistica. Essi, a torto o a ragione, sono sembrati nel primo caso dei nemici del cattolicesimo, nel secondo, dei nemici del cristianesimo in generale. Per arrivare a una visione più serena e nello stesso tempo più realistica, è necessario che la storia si liberi sia dalla tutela della teologia e dell'apologetica sia da quella delle diverse ideologie antireligiose. Si pensi, a questo proposito, al tentativo degli storici marxisti per spiegare il cristianesimo. Per questi studiosi ogni religione è rigorosamente determinata dalle condizioni sociali ed economiche del gruppo nel quale essa si sviluppa. In particolare il cristianesimo sarebbe, all'inizio, l'espressione del proletariato. Il fermento rivoluzionario implicito nel cristianesimo sarebbe stato soffocato dal fatto che esso predicava la rassegnazione e non la lotta violenta, e prometteva ai diseredati la ricompensa della loro miseria presente in un Regno futuro. Il cristianesimo avrebbe dunque avuto anche un aspetto reazionario. Quest'ultima caratteristica si sarebbe andata sempre più accentuando con l'assimilazione di elementi intellettuali modellati sulla cultura delle classi dirigenti e soprattutto con l'alleanza con l'autorità imperiale al tempo di Costantino.
2. CRISTIANESIMO ED ELLENISMO
Gli storici del cristianesimo sono oggi generalmente d'accordo, siano essi credenti o no, nell'affermare da una parte la specificità del fatto religioso che, malgrado interferenze spesso importanti, non si lascia ridurre all'infrastruttura economica, sociale o politica di un ambiente determinato, dall'altra la necessaria autonomia della loro disciplina da ogni costruzione teologica o filosofica. Anche quegli studiosi che sono più legati a posizioni confessionali riconoscono che il cristianesimo, in quanto fenomeno storico, non si è sviluppato in una campana di vetro. La possibilità di influenze provenienti dall'ambiente non possono essere dunque scartate a priori. È necessario anzi cercare di valutarle nella loro giusta misura e di precisare i punti di contatto. Posto di fronte alla cultura greco-romana, il cristianesimo si è sforzato di assimilarne certi valori, adattandoli e ripensandoli. Già gli Apologisti del II secolo e, con maggiore ampiezza e in modo più sistematico, i grandi alessandrini, Clemente e Origene, e poi i Padri della fine del IV secolo, Agostino in Occidente e i Cappadoci in Oriente, Basilio, Gregorio di Nissa, Gregorio il Nazianzo, hanno tentato di realizzare una sintesi tra il cristianesimo e la cultura classica. Le controversie dottrinali del III e del IV secolo e le conseguenti formulazioni dell'ortodossia ecclesiastica fanno largo uso del vocabolario e dei concetti della filosofia greca. È questo un fatto universalmente riconosciuto. Il problema è quello di determinare quando ebbe inizio questo processo.
3. IL PAOLINISMO
Le ricerche al riguardo sono concentrate soprattutto sul pensiero di san Paolo. La scuola comparatista, detta religionsgeschichtliche Schule, che si è sviluppata in Germania all'inizio del secolo (Reitzenstein, Bousset, ecc.), le cui posizioni erano rappresentate in Francia da Loisy e Guignebert, si è applicata a mettere in luce le analogie esistenti tra il paolinismo e alcuni aspetti della religiosità pagana dell'epoca. Secondo questi studiosi tali analogie erano troppo precise per essere fortuite: dovevano quindi essere spiegate con l'influenza dell'ambiente ellenistico sul cristianesimo nascente. I punti di paragone e le possibili fonti di influenza non dovevano essere ricercate nella filosofia greca classica, in quell'epoca ormai in declino, e con la quale i cristiani della prima generazione non avevano avuto, a quanto pare, alcun contatto, se non sotto una forma volgarizzata in cui la morale occupava un posto maggiore della metafisica (diatriba cinico-stoica), quanto nel pensiero specificamente religioso: culti misterici, ermetismo, gnosi pagane.
A) LA CRONOLOGIA
Alla scuola comparatista si rivolge innanzi tutto una obiezione preliminare. La grande diffusione dei culti misterici nell'Impero (II-III secolo) e la redazione degli scritti ermetici così come ci sono giunti, sono posteriori all'entrata in scena del cristianesimo, e la stessa esistenza di sistemi gnostici anteriori alla gnosi cristiana o cristianizzante del II secolo, resta ipotetica. Influenze sul cristianesimo nascente sarebbero dunque così escluse dalla cronologia. Alcuni hanno quindi pensato di individuarle in senso inverso. In realtà l'impronta del cristianesimo sugli scritti ermetici appare certa, ma ciò non esclude che le dottrine ermetiche abbiano delle radici precristiane. I culti misterici inoltre hanno origini ben più antiche del cristianesimo. Essi avevano già cominciato a diffondersi nel bacino del Mediterraneo, in particolare nella parte orientale, quando la missione cristiana era ancora agli inizi. Anche per ciò che riguarda l'Occidente, la prima diffusione del culto di Mitra, per esempio, è immediatamente successiva alle campagne romane contro Mitridate e contro i pirati di Cilicia (verso il 67 a.C.). Si discute ancora se la setta dei Mandei, ancor oggi rappresentata in Mesopotamia, della quale possediamo gli scritti, e alla quale alcuni studiosi hanno attribuito un ruolo importante nelle origini cristiane, sia anteriore al cristianesimo o no. Ma l'esistenza di varie forme di pre- o proto-gnosticismo, contemporanee almeno agli inizi del cristianesimo, è sempre più generalmente ammessa. Quando inoltre si ritrova in san Paolo una concezione di cui né la predicazione di Gesù né gli insegnamenti della Sinagoga presentano l'equivalente o forniscono la possibile fonte, è metodologicamente legittimo cercarne le radici nell'ambiente ellenistico pagano.
B) L'AMBIENTE DI TARSO
La città natale dell'Apostolo, Tarso in Cilicia, in cui egli trascorse almeno una parte della sua giovinezza, era un importante centro religioso e intellettuale. Vi si celebrava in particolare il culto dell'imperatore, venerato come Signore (Kyrios) e Salvatore (Soter), e quello di una divinità agreste, Sandan, assimilata dai greci a Eracle, che aveva alcune caratteristiche tipiche delle divinità misteriche. Certamente Paolo non praticò né l'uno né l'altro di questi culti. Non è però assurdo supporre che egli assistette alle cerimonie pubbliche di questi culti apprendendone la terminologia e i concetti fondamentali. Si deve anche immaginare che per attrarre i pagani al Vangelo - e ciò vale anche per gli altri missionari - egli utilizzasse termini che fossero loro familiari. Si spiegano così certe analogie precise di vocabolario tra il paganesimo dell'epoca e le epistole di Paolo, in cui termini come gnosis, mysterion, sophia, Kyrios, Soter, svolgono un ruolo importante. Ma questa comunanza terminologica tradisce dei punti di contatto più profondi.
C) PAOLO E LA GNOSI
Paolo polemizza talvolta con le eresie di tipo gnostico che hanno contaminato alcuni membri delle sue comunità (I Corinzi 15, sulla negazione della resurrezione e l'affermazione di una sopravvivenza puramente spirituale; Colossesi 2, sul culto giudaizzante degli angeli e degli "elementi" del Cosmo, cioè degli astri). Ma il suo stesso pensiero presenta tratti chiaramente derivati dallo gnosticismo. L'universo, asservito alle potenze demoniache (I Corinzi 2,8), che sono precisamente gli "elementi" (Galati 4,3 e 9), appare come un recinto in cui si affrontano i padroni del momento e Dio, che deve ricondurlo all'ordine iniziale, interrotto da una caduta che coinvolge l'intero creato. Questa prospettiva è dualistica, e si esprime nell'opposizione, estranea al giudaismo tradizionale, di spirito e carne (I Corinzi 2,14 sgg.; 15,44). Il fine del cristiano è quello di sottrarsi al dominio del male, di spogliarsi dell'uomo carnale per essere puramente spirituale (pneumatikos). È necessario a questo scopo che egli acquisisca la conoscenza o gnosi di salvezza, rivelata dal Cristo (II Corinzi 4,6). Ma mentre gli gnostici distinguono in generale il Dio supremo e redentore dal Creatore o Demiurgo, ridotto al rango di Dio subalterno, di potenza malefica, Paolo non pensa nemmeno lontanamente a mettere in dubbio l'identità del Dio supremo, unico, e del Creatore. Il suo Dio è quello della Bibbia. L'influenza del male sul mondo è la conseguenza della caduta dell'uomo, non è implicita nell'atto della creazione né è nata dalla caduta nella materia dell'elemento divino. Il dualismo di Paolo è così soltanto contingente: le sue conseguenze, già virtualmente cancellate dalla morte e resurrezione del Cristo, saranno totalmente eliminate alla fine dei tempi. Non si tratta dunque, in questa prospettiva, di strappare l'uomo a un mondo che per sua stessa natura è cattivo, ma di condurre il mondo stesso, opera di un Creatore buono, alla totale sottomissione a Dio e contemporaneamente alla sua originaria perfezione, per mezzo di una sorta di seconda creazione, che è anche redenzione (I Corinzi 5,17). Il rigore del monoteismo giudaico e l'ottimismo fondamentale della Bibbia assegnano limiti precisi al dualismo di Paolo.
D) LA GNOSI E IL QUARTO VANGELO
Ciò che abbiamo detto di Paolo è valido anche per il quarto Vangelo, in cui il Cristo è presentato con dei tratti che per molti aspetti richiamano lo gnosticismo: basti pensare a quella così caratteristica opposizione tra vita e morte, tra luce e tenebre. Sebbene "il mondo" non abbia riconosciuto "la luce", che è il Cristo Logos, è dalla luce che il mondo è stato creato (Giovanni 1,10). Non si tratta dunque di eliminare un mondo che è per il momento avvolto nelle tenebre e assoggettato alla morte, ma di ricuperarlo totalmente: è per questo che "il Verbo si è fatto carne" (Giovanni 1,14). Mentre nei sistemi gnostici l'incarnazione di un essere celeste e spirituale, attratto dal mondo materiale, segna in generale l'origine della degradazione universale e costituisce propriamente la caduta, nel quarto Vangelo essa è l'origine del riscatto. Così l'opposizione gnostica tra spirito e carne viene superata, perché la carne stessa, ricettacolo e simbolo del male, è come spiritualizzata dall'incarnazione del Verbo.
E) MISTERI PAGANI E MISTERO CRISTIANO
Strumento della liberazione sarà per i cristiani, secondo Paolo, l'unione mistica con il Cristo più che una conoscenza salvifica. Per questo aspetto il pensiero di Paolo è più vicino alle religioni misteriche che a una qualsiasi forma di gnosi. Il fedele, morto e risuscitato con il Cristo nel battesimo, partecipa per mezzo di questa unione sacramentale al destino del Salvatore. Gli effetti del battesimo sono rafforzati dalla partecipazione all'eucaristia. Il fedele, integrato al corpo del Cristo, che è la Chiesa, è virtualmente sottratto alle potenze del male e conquista, se saprà evitare una ricaduta, la certezza della resurrezione e di un'immortalità felice. Così pure divenendo misticamente partecipe, per mezzo di alcuni riti di cui purtroppo ignoriamo i particolari, del destino del suo dio, il fedele di Osiris o di Attis si assicura la salvezza per l'eternità. E' difficile, nel trattare la concezione paolina della salvezza mediante l'assimilazione del fedele al Cristo, non tener conto delle influenze dei culti misterici, più o meno consapevolmente subite da Paolo. Ma anche in questo caso le differenze sono molto chiare. I misteri pagani, con la sola eccezione del mithraismo - che non possiede l'idea di un dio che muore e risuscita, come Attis o Osiris, anche se possiede quella di un dio salvatore - non attribuiscono all'opera di salvezza del loro dio una dimensione cosmica, né un valore propriamente di redenzione: non è per riscattare l'umanità e il mondo che le divinità di queste religioni subiscono la morte. Esse muoiono vittime della fatalità o delle potenze malefiche, e non nel quadro di un piano divino che fa della loro morte la condizione e lo strumento del riscatto universale. La loro morte e la loro resurrezione non fanno altro che ripetere il ciclo immutabile della vegetazione, che muore in autunno per rinascere in primavera. E' a titolo individuale che il fedele è associato al loro destino: l'idea paolina della Chiesa corpo del Cristo non sembra avere equivalenti nel mondo pagano. Infine la figura centrale del mistero cristiano non è, come nei misteri pagani, una figura mitica, la cui esistenza terrena, come l'immaginano i fedeli, si collochi alle lontane origini dell'umanità. E' un personaggio storico, di una storia recentissima, che "ha sofferto sotto Ponzio Pilato".
F) IMPORTANZA E LIMITI DELLE INFLUENZE ELLENISTICHE IN PAOLO
Se l'originalità del cristianesimo di Paolo in rapporto a quello di Gerusalemme e allo stesso messaggio di Gesù, si spiega in larga misura con l'influenza dell'ambiente ellenistico, questa influenza è tuttavia limitata dall'esistenza storica di Gesù, dalla tradizione biblica a cui Paolo è strettamente legato, e anche dal fatto che l'Apostolo, sia prima che dopo la conversione, vedeva nel paganesimo un'opera del demonio e rifiutava ogni compromesso con esso. Si ha talvolta la sensazione che Paolo, segnato dal suo atavismo giudaico, si sforzi più o meno consapevolmente di conciliare ciò che è difficilmente conciliabile. Le esitazioni del suo pensiero riguardo, per esempio, alla vita futura potrebbero spiegarsi bene così. Come ex-fariseo egli professava la resurrezione dei corpi, che un greco difficilmente avrebbe ammesso, alla fine dei tempi. La resurrezione del Cristo, elemento essenziale della sua predicazione, rinforzò in lui questa concezione tradizionale: la resurrezione di Cristo garantisce quella dei fedeli (I Corinzi 15,12 sgg.). Ma egli tende anche talvolta verso l'idea di una immortalità, immediatamente successiva alla morte del corpo, come la concepiva la filosofia spiritualistica greca (II Corinzi 5,8; Filippesi 1,23). È tuttavia difficile per lui immaginare una sopravvivenza del tutto spirituale: da ciò deriva la sua concezione del "corpo spirituale" (I Corinzi 15,44 sgg.) e la sua tacita assimilazione di resurrezione corporea e immortalità, perché negare l'una avrebbe significato per lui negare anche l'altra.
4. CRISTIANESIMO E GIUDAISMO
Nel campo delle origini cristiane non bisogna mai porre in maniera troppo netta il dilemma: giudaico o greco? Non è infatti possibile contrapporre i due termini. Lo stesso giudaismo, malgrado il suo rifiuto di ogni sincretismo, non poté restare completamente chiuso alle influenze esterne. E' proprio in gran parte attraverso il giudaismo ellenizzato della Diaspora che queste influenze raggiunsero san Paolo e, più in generale, il cristianesimo nascente.
A) IL GIUDAISMO ELLENISTICO
Paolo conosceva probabilmente l'ebraico e l'aramaico. Ma fu il greco, anche se ci appare così pieno di semitismi, la sua lingua materna; ed è nella traduzione dei Settanta che egli legge e cita - talvolta a memoria - la Bibbia. Certamente egli non conobbe Filone. Esistono tuttavia tra i due affinità di pensiero dovute al fatto che essi vivevano in ambienti intellettuali simili e attingevano alle stesse fonti. E' difficile credere che Filone presentasse sistematicamente il giudaismo in termini di mistero ellenistico. Si trovano per altro nelle sue opere elementi attinti, secondo ogni apparenza, alle religioni misteriche. Per Paolo come per Filone, la letteratura giudaica sapienziale, canonica o non (Sapienza di Salomone, Proverbi, Ecclesiaste, Siracide), rappresenta uno dei più importanti anelli di congiunzione con il pensiero greco. Il cristianesimo per altro, nel momento in cui cominciò a rivolgersi ai Gentili, si collocò in qualche modo nel solco del giudaismo alessandrino. Attinse a questo il metodo dell'esegesi allegorica, anch'esso di origine pagana, che viene applicato all'Antico Testamento, e che la Lettera di Aristea e, con maggiore ampiezza, Filone avevano già praticato.
B) L'ESEGESI ALLEGORICA
L'allegoria serviva ai giudei alessandrini per rinforzare l'autorità della Legge. Al contrario, per i cristiani essa serviva a dimostrare che la Legge, dopo la venuta del Cristo, non poteva avere altro che un valore simbolico. Se essi, come l'Epistola di Barnaba e i giudei ellenizzati, vedono volentieri nei riti o negli episodi biblici l'espressione di verità metafisiche o morali, vi cercano anche e soprattutto l'annuncio delle realtà cristiane: il sacrificio di Isacco, per esempio, prefigura quello di Cristo. Alla dimensione verticale dell'allegoria giudaica si aggiunge e spesso si sostituisce una dimensione orizzontale e storica; all'allegoria si unisce una tipologia: la Legge rituale è sia "l'immagine e l'ombra delle cose celesti" sia "l'ombra dei beni futuri" (Ebrei 8,5 e 10,1).
C) FILONE E IL NUOVO TESTAMENTO
Il pensiero di Filone presenta affinità troppo precise, con certi scritti del Nuovo Testamento, per essere fortuite: basti pensare al prologo del quarto Vangelo e alla sua dottrina del Logos, o in maniera ancora più evidente, all'Epistola agli Ebrei, che potrebbe essere certo opera di un "filoniano convertito al cristianesimo". Anche il Logos di Giovanni presenta tratti e caratteristiche simili a quello di Filone, con la differenza fondamentale che per Giovanni il Logos si è fatto carne; l'incarnazione del Verbo è infatti impensabile nella teologia di Filone. L'originalità essenziale del cristianesimo di fronte a tutte le sfumature del giudaismo consiste proprio nell'identificazione, nella persona di Gesù, del Logos e del Messia. Resta sempre comunque il fatto che il cristianesimo non avrebbe mai potuto spiegare Gesù come Logos se questa parola e questo concetto non fossero stati divulgati da Filone nel giudaismo alessandrino. Il pensiero di Filone poté influenzare però soltanto un cristianesimo che stava già ellenizzandosi. Le influenze giudeo-alessandrine rappresentano quindi un fenomeno non immediato. Pur avendo contribuito in modo notevole a modellare la teologia della Chiesa nascente, esse non si ritrovano nella genesi del cristianesimo né nelle forme più arcaiche della cristologia. Prima di riconoscere in lui il Logos fatto uomo, i primi cristiani hanno interpretato la figura di Gesù in termini prettamente biblici: Profeta, Messia, Servo Sofferente, Figlio dell'Uomo. È dalla Palestina che sono venuti i primi apporti e le prime influenze.
D) IL GIUDAISMO PALESTINESE
L'opposizione tra il giudaismo della Diaspora e quello palestinese è stata spesso esagerata. Non esiste un solco profondo tra queste due metà del mondo giudaico. Il problema deve essere molto più sfumato di quanto talvolta si è creduto. La tradizione di pensiero alessandrina non è rappresentativa della Diaspora nel suo complesso, nella quale la Terra Santa mantiene un grande prestigio ed esercita una notevole influenza. Studi recenti hanno messo in luce precise affinità tra san Paolo e il giudaismo rabbinico, quello delle scuole palestinesi. Così pure, se quest'ultimo è certamente molto meno ellenizzato di quello d'Alessandria, non è tuttavia completamente chiuso alle suggestioni della cultura greco-romana. Il greco era utilizzato in Palestina anche dai rabbini: l'uso di questa lingua portava spesso, come conseguenza, influenze più profonde. Esse non furono però così importanti come ad Alessandria: è il giudaismo palestinese in definitiva, considerato nei suoi tratti specifici, che ci fornisce il maggior numero di elementi utili a illuminare le origini del cristianesimo. E' necessario dunque inquadrarlo in tutta la sua complessità.
E) SADDUCEI E FARISEI
Sebbene gli Atti (6,7) ricordino la conversione di numerosi sacerdoti, non sembra che la Chiesa nascente debba molto ai Sadducei, avversari principali di Gesù, e il cui spirito e le cui tendenze appaiono diametralmente opposte a quelle dei primi discepoli. Il problema dei Farisei è più delicato. Sempre secondo gli Atti (15,5), la Chiesa primitiva trovò tra i Farisei dei seguaci intransigenti, che pretendevano dai pagani convertiti un'osservanza integrale della Legge, al contrario di quanto predicava san Paolo. Il loro ruolo fu forse considerevole nello sviluppo del giudeo-cristianesimo classico, rappresentato alla prima generazione da Giacomo, fratello del Signore. Fu tuttavia con un giudaismo identificato, dopo il 70, con il fariseismo, che la Chiesa nascente ruppe i ponti, e fu intorno al fariseismo che si organizzò la resistenza giudaica al cristianesimo. L'intervento di san Paolo e l'interpretazione particolare che egli propose del messaggio cristiano, ebbero un'importanza decisiva nell'irrigidimento giudaico. Ma il conflitto era già in germe all'inizio stesso dello sviluppo della Chiesa, e nella predicazione di Gesù. Se tra quest'ultima e l'insegnamento rabbinico si possono notare affinità precise su diversi punti, è anche vero che i Vangeli rivelano dei contrasti di fondo: troviamo in essi molto più che una semplice trasposizione, anticipata nella vita del Maestro, delle polemiche della seconda generazione cristiana con la Sinagoga. Gesù rivendicava un'autorità eccezionale che lo portò a negare l'insegnamento tradizionale degli "antichi" e addirittura a correggere la stessa Legge di Mosè. In effetti, se si considerano le credenze fondamentali e le aspirazioni della Chiesa nascente, è dalla parte degli ambienti apocalittici, che ispirano tra l'altro alcuni Apocrifi e Pseudoepigrafi dell'Antico Testamento, che notiamo le affinità più nette.
F) GESU' E GLI ZELOTI
Alcuni studiosi hanno creduto di poter individuare un legame tra il cristianesimo nascente e il nazionalismo zelota. Gesù e i suoi discepoli avrebbero predicato un messianismo politico ostile a Roma e tendente a instaurare, in una Palestina liberata dagli idolatri, la regalità del Cristo. Proprio per aver partecipato attivamente alla rivolta giudaica la Chiesa di Gerusalemme avrebbe perduto, dopo il 70, ogni influenza sulla giovane cristianità. Questi studiosi sono costretti a respingere la testimonianza di Egesippo, secondo il quale i primi discepoli avrebbero lasciato Gerusalemme per trasferirsi nella città transgiordana di Pella, già all'inizio delle ostilità, separando così la propria responsabilità da quella degli insorti. Essi danno invece stranamente credito ad alcuni passi, estremamente sospetti, di una versione slava di Flavio Giuseppe, che fanno di Gesù un agitatore politico. L'eclissi della Chiesa madre dopo il 70 trova una spiegazione sufficiente nel suo isolamento geografico e nel fatto che essa restò legata al ritualismo giudaico, ripudiato in seguito da Paolo a causa dei fedeli di origine pagana. Se Gesù fu effettivamente giustiziato, come uno zelota, per messianismo politico, ciò avvenne a causa di un'interpretazione errata, voluta o non, del significato del suo messaggio, le cui implicazioni rivoluzionarie nei confronti dell'ordine romano erano di tutt'altra natura dell'appello degli Zeloti alla violenza. Gesù visse per altro in un ambiente profondamente permeato dalle idee degli Zeloti e dovette prendere posizione di fronte a esse, sconfessandole.
5. QUMRAN E IL CRISTIANESIMO
In definitiva è soprattutto in rapporto a tendenze e raggruppamenti marginali che si pone il problema delle influenze subite dal cristianesimo nascente. Questo problema è stato completamente rinnovato dalla scoperta dei manoscritti del Mar Morto. Le appassionate polemiche suscitate da questi testi si sono gradualmente placate e, in un'atmosfera divenuta sempre più serena, le iniziali divergenze si sono progressivamente ridotte. Un accordo quasi unanime esiste oggi sui punti essenziali.
A) STATO DELLA QUESTIONE
I documenti del Mar Morto - sia che si tratti della redazione stessa degli scritti o dei manoscritti che ce li hanno tramandati - non possono essere posteriori alla guerra giudaica, nel corso della quale il monastero di Qumran fu distrutto e definitivamente abbandonato: è questo un tipico esempio di quanto l'archeologia possa aiutare lo storico. La comunità da cui essi provengono è quella degli Esseni. Nessuna delle altre identificazioni proposte è pienamente soddisfacente. Tutte sollevano infatti obiezioni non facilmente eliminabili. In particolare non resiste all'esame la tesi zelota che ha conosciuto una certa eco grazie a studiosi di notevole valore. Essa però, insistendo sul bellicoso spirito di rivincita antiromana che anima alcuni scritti, ha contribuito a sottolineare le contraddizioni esistenti con quel quadro idillico di un essenismo pacifista disegnato da Filone e Giuseppe. Si possono prospettare varie ipotesi: che questi autori abbiano sbagliato oppure che ci abbiano ingannato, o che l'essenismo fosse diviso su questo punto fondamentale, o ancora - il che è certamente più probabile - che esso si sia evoluto, allineandosi, nella sua totalità o in parte, all'inizio della insurrezione del 66, a quel messianismo aggressivo di cui gli Zeloti, animatori della rivolta, erano i rappresentanti tipici. La difficoltà non è dunque irriducibile. Su tutti gli altri punti infatti le convergenze tra i manoscritti del Mar Morto e le altre notizie di autori antichi sugli Esseni, sono talmente precise che non lasciano adito a dubbi. Tutt'al più si potrà vedere nella comunità di Qumran, come fanno alcuni studiosi, una delle varie ramificazioni dell'essenismo o - cosa di gran lunga meno probabile - un ambiente molto vicino all'essenismo. Essendo la cronologia dei documenti e della storia della setta fissata con sufficiente precisione, almeno per quanto riguarda il terminus ante quem (66-70), si pone necessariamente il problema dei rapporti con la Chiesa primitiva. Qumran esiste ancora al momento in cui il cristianesimo entra in scena. L'essenismo è forse in questo momento al suo apogeo. E' dunque legittimo porsi il problema di possibili interferenze. Già Renan, sospettando alcune precise affinità sulla base dei documenti di cui allora si disponeva, poteva affermare: "Il cristianesimo è un essenismo che ha avuto grande successo". Dopo la scoperta dei manoscritti c'è stato almeno uno studioso che nella comunità di Qumran ha visto una comunità cristiana. Una tesi del genere non è sostenibile. Ma essa rappresenta l'interpretazione errata di somiglianze notevoli, su diversi punti, tra quel tipo di giudaismo che ci hanno rivelato i manoscritti del Mar Morto e il cristianesimo primitivo.
B) IL MAESTRO DI GIUSTIZIA E IL CRISTO
Somiglianze esistono, prima di tutto, tra il misterioso Maestro di Giustizia e il Cristo, tanto che i sostenitori della tesi cristiana pensano che si trattasse di un'unica persona. Esse sono evidenti nella coscienza che i due personaggi hanno della loro vocazione, fondata sugli stessi testi della Scrittura, e in particolare sui passi di Isaia relativi al Servo Sofferente; nel parallelismo dei loro drammatici destini, segnati dall'ostilità del sacerdozio ufficiale e suggellati dal martirio (come sembra probabile anche per il Maestro di Giustizia); nella venerazione da cui sono circondati, anche dopo la morte, da parte dei rispettivi discepoli. In alcuni inni (hodayoth) che furono probabilmente scritti da lui stesso, il Maestro ci appare come un capo di Chiesa, esattamente come Gesù. Ma a queste somiglianze si accompagnano differenze altrettanto nette, più volte sottolineate: il Maestro di Qumran proviene dal sacerdozio di Gerusalemme, è un asceta esigente, che impartisce al piccolo gruppo dei suoi eletti, gelosamente ripiegato su se stesso, un insegnamento esoterico; Gesù è il profeta popolare di Galilea, che predica alle folle, ricerca la compagnia dei peccatori e dei reietti per poterli attrarre a sé, interpreta e ammorbidisce i precetti mosaici. Non è possibile identificare le due figure, né presentare Gesù come un semplice calco, senza realtà storica, del Maestro di Giustizia. Su vari punti inoltre la predicazione di Gesù si distacca volutamente e con chiarezza dalla dottrina essenica. Si deve tuttavia notare che molte delle critiche rivolte da Gesù alla setta di Qumran colpiscono nello stesso tempo il giudaismo ufficiale. In senso inverso alcuni dei tratti comuni all'essenismo e alla Chiesa primitiva si ritrovano in altri settori del giudaismo dell'epoca: basti pensare alle credenze escatologiche e all'attesa della fine dei tempi. E' necessario a questo proposito formulare un principio metodologico: non si potrà individuare una diretta influenza dell'essenismo sul cristianesimo nascente se essa non riguarderà elementi originali e specifici, caratteristici unicamente dei due gruppi. Elementi di questo tipo sono per altro così numerosi e precisi da non lasciare adito a dubbi. Sembra che la Chiesa abbia attinto all'essenismo un certo numero di termini e di concetti, di strutture comunitarie e di schemi teologici. Le affinità sono più o meno nette in rapporto ai vari ambienti che compongono la Chiesa e ai vari scritti del cristianesimo primitivo.
C) LA SETTA DI QUMRAN E IL CRISTIANESIMO NASCENTE
Ci si deve domandare in quali condizioni, per quali canali queste influenze hanno potuto esercitarsi. Nulla autorizza a pensare che tutte le personalità di rilievo del cristianesimo primitivo abbiano soggiornato a Qumran o siano state in contatto diretto con il monastero degli Esseni. Ciò è possibile soltanto per alcuni dei protagonisti della più antica storia cristiana. Ma questa stessa ipotesi non spiega nulla perché proprio tutti i settori della Chiesa nascente presentano, in grado diverso, affinità con l'essenismo. Si può pensare al ruolo decisivo di Giovanni Battista, la cui importanza alla base della predicazione di Gesù è così solidamente attestata. Il messaggio di Giovanni, predicato sul Giordano a pochi chilometri a nord di Qumran, non è privo di analogie con quello degli Esseni: la vicinanza geografica potrebbe in questo caso aver favorito precisi contatti. Non è nemmeno escluso che Giovanni Battista, proveniente da ambienti sacerdotali, proprio come la dissidenza essenica, abbia frequentato la comunità di Qumran prima di fondare una setta autonoma. Egli sarebbe in questo modo uno degli anelli che legano essenismo e cristianesimo. Se ammettiamo che durante la vita di Gesù e nell'epoca apostolica si verificarono contatti individuali tra i rappresentanti dei due gruppi, si può ugualmente pensare che transfughi dall'essenismo, soprattutto dopo il 70, siano venuti a rafforzare i ranghi della Chiesa nascente portandovi l'apporto ideologico e spirituale del loro ambiente d'origine. Ma si deve anche tenere largamente conto di quella letteratura paracanonica, intertestamentaria che, accanto a scritti specificamente qumraniti come il Manuale di Disciplina o le hodayoth, era in onore nella setta essenica, e la cui influenza è altrettanto profonda nel cristianesimo primitivo. Le somiglianze tra i due movimenti deriverebbero allora da una fonte comune. Ma dal momento che è estremamente probabile che una parte almeno di questa letteratura degli apocrifi e pseudoepigrafi sia stata elaborata nell'essenismo stesso, è senz'altro giusto vedere in essa un altro dei canali, e uno dei più importanti, attraverso i quali la setta influenzò il cristianesimo nascente. Né va dimenticato, infine, che l'essenismo non si riduce alla sola comunità di Qumran. C'erano filiali in Palestina, e forse anche nelle regioni della periferia; anche queste hanno potuto giocare un ruolo nello stabilire contatti col cristianesimo nascente.
D) LE AFFINITA': RITI E ISTITUZIONI
Nei testi di Qumran si parla spesso di una particolare Alleanza tra Dio e il gruppo; questa Alleanza, anche se non sostituisce quella del Sinai, è pur sempre una novità, legata alla persona e all'opera del Maestro di Giustizia. A buon diritto quest'ultimo può parlare di "mia alleanza" (Inni 5,23); e nel Documento di Damasco la setta viene definita "Nuova Alleanza al paese di Damasco". Nello stesso modo Paolo proclama l'avvento di una nuova alleanza, suggellata dal sangue di Cristo (I Corinzi 11, 25); il termine Nuova Alleanza rende più fedelmente il greco kainè diathéke che il nostro "Nuovo Testamento". Il regime di comunità dei beni in vigore nella più antica cristianità di Gerusalemme (Atti 4,32-37) assomiglia molto a quello di Qumran. E forse non è nemmeno una coincidenza il fatto che gli Esseni e, sulla scorta di Gesù stesso, i primi cristiani, praticassero la guarigione dei malati e l'esorcismo per mezzo dell'imposizione delle mani: un'usanza per la quale non abbiamo paralleli in altri ambienti giudaici dell'epoca. Alcuni studiosi pensano che Gesù abbia celebrato l'ultima Cena in conformità col calendario essenico, differente dal calendario ufficiale di Gerusalemme. Questa ipotesi affascinante - che non è riuscita a imporsi - spiegherebbe la contraddizione tra i sinottici, che vedono in essa un pasto pasquale, e il quarto Vangelo che nega ad essa questo carattere. Così pure è difficile trovare nell'ambito dell'essenismo un antecedente del battesimo cristiano. Quest'ultimo è conferito una sola volta. Le abluzioni rituali degli Esseni si ripetono invece quotidianamente. Esse facevano senza dubbio parte di un rituale di ammissione alla setta, ma non avevano necessariamente per questo un carattere specifico: la prima abluzione si inserirebbe nel rituale essenico come la prima comunione in quello cristiano. Tuttavia, unico da una parte, reiterato dall'altra, il rito battesimale è in tutti e due i casi un rito di pentimento, legato a una "conversione". Tra la Cena cristiana e i pasti sacri degli Esseni le affinità sono a prima vista più nette. Gli elementi, pane e vino, sono identici. Essi sono per altro gli stessi sui quali è pronunciata la benedizione nel culto domestico giudaico. Non è dunque il rito stesso che sottolinea la parentela tra essenismo e cristianesimo, quanto piuttosto il significato particolare che esso assume nell'una e nell'altra parte. A Qumran non si tratta di un semplice pasto comunitario, di una trasposizione del pasto familiare giudaico. Il carattere strettamente cultuale, sacramentale, del rito, è sottolineato dal fatto che il refettorio appare come un recinto sacro, dalla presenza indispensabile di un sacerdote, il celebrante, e dal fatto che vi sono ammessi soltanto gli iniziati, membri della setta. Se si paragona il Manuale di Disciplina (6,3-5) che codifica il pasto essenico, con un passo della Regola annessa (2,11-22), che descrive il banchetto messianico, che unisce gli eletti intorno al grande sacerdote escatologico - designato in alcuni testi come il Messia di Aaron - e al Messia d'Israele, capo politico, risulta evidente che il primo dei due riti è quasi un'anticipazione del secondo, così come l'organizzazione essenica prefigura quella del Regno avvenire. Si pensa allora al significato che, già nei testi del Nuovo Testamento, riveste l'eucaristia: i Vangeli mettono in rapporto l'ultima Cena con quella che Gesù celebrerà con i suoi discepoli dopo l'instaurazione del Regno (Matteo 26,29; Marco 14,25; Luca 22,16-18); Paolo inoltre vede nell'eucaristia sia il ricordo della morte di Gesù che l'annuncio del suo ritorno (I Corinzi 11,26).
E) LE AFFINITA': CREDENZE
E' ora il momento di parlare delle credenze dell'essenismo e della Chiesa nascente. I due gruppi vivono nell'attesa dei tempi ultimi. E' possibile che gli Esseni abbiano atteso, come i cristiani, il ritorno glorioso del loro Maestro, identificato con il grande sacerdote messianico; è possibile ugualmente che il Maestro di Giustizia sia morto di morte violenta, ma le condizioni dei manoscritti e il loro modo di esprimersi, spesso velato, non permettono di raggiungere, su questi punti, una certezza assoluta. Per altro, se non è escluso che gli Esseni abbiano in qualche modo conferito valore sacrificale alla loro cena, nulla però autorizza a credere che essi mettessero il pane e il vino in rapporto con la carne e il sangue del loro maestro. Accanto a somiglianze notevoli, vediamo così l'elemento specifico introdotto dal cristianesimo. Su molti punti l'insegnamento della Chiesa nascente si incontra con quello degli Esseni. Queste convergenze sono più o meno evidenti in rapporto ai testi che si prendono in esame o ai settori cui si guarda. Le epistole di Paolo presentano diversi paralleli, verbali o di pensiero, con i documenti di Qumran. I "vasi di argilla" della II Corinzi 4,7 corrispondono esattamente alle "creature d'argilla" spesso menzionate nelle hodayoth (1,21; 3,24; ecc.). L'Epistola agli Efesini presenta affinità particolarmente precise, nella fraseologia e nell'ideologia, con la letteratura essenica. E non senza sorpresa si è visto, su un frammento di Qumran, Melchisedec, investito degli attributi del Figlio dell'Uomo escatologico, essere l'oggetto di speculazioni che evocano e chiariscono quelle dell'Epistola agli Ebrei, la cui cristologia sacerdotale si inserisce nel solco del messianismo essenico. Ma sono soprattutto gli scritti giovannei, e in particolare il quarto Vangelo, che offrono le più sorprendenti somiglianze con i testi essenici. Essi presentano lo stesso dualismo cosmico, che oppone le potenze del bene e quelle del male, la verità e l'errore, la luce e le tenebre; in Giovanni come nei testi essenici il dono dello Spirito Santo, o Spirito di Verità, è un fatto escatologico.
6. GIUDAICO E GRECO
Di queste somiglianze potrebbero addursi molti esempi. Sembra che nessun settore della Chiesa nascente sia stato completamente immune dalle influenze dell'essenismo; non è tuttavia giusto considerare il cristianesimo come il sottoprodotto dell'essenismo: ciò significherebbe misconoscere l'apporto positivo, originale, determinante, sia da parte di Paolo che, all'inizio, di Gesù stesso. Ma se l'essenismo non risolve tutti i problemi posti dalla storia delle origini cristiane, li illumina però di una luce nuova ed estremamente preziosa. Esso dispensa inoltre dal ricercare nell'ellenismo, per molti punti, elementi di spiegazione che si ritrovano in definitiva nel giudaismo stesso. Si deve tuttavia notare, a questo proposito, che quelle influenze esseniche che hanno così profondamente segnato il cristianesimo nascente, presuppongono esse stesse, in partenza, degli apporti esterni accolti nel giudaismo: basti pensare al dualismo, comune agli scritti di Qumran e al quarto Vangelo, che, estraneo nel suo principio alla tradizione di pensiero giudaica, testimonia chiaramente una influenza del mazdeismo. D'altra parte, anche prendendo in esame soltanto il cristianesimo, sarebbe senz'altro arbitrario porre troppo rigorosamente il problema: giudaico o greco? In effetti gli apporti di queste due culture si fondono. Le scoperte recenti hanno rivelato tutta l'importanza della prima, ridimensionando nello stesso tempo gli apporti della seconda a proporzioni più modeste di quanto aveva creduto la scuola comparatista; questi apporti non vanno però giudicati nulli. Né Giovanni né Paolo, debitori di due culture per altro strettamente legate, si lasciano ridurre completamente all'una o all'altra. La mistica cristocentrica di Paolo, per esempio, non ha alcun parallelo nel giudaismo. Se non si vuol vedere in essa una creazione del tutto originale dell'Apostolo, bisognerà cercare precedenti o analogie nella religione ellenistica. E se l'apporto giudaico, e più precisamente essenico, si manifesta vigorosamente nelle origini palestinesi della Chiesa e nello stadio iniziale - decisivo - dello sviluppo del cristianesimo, esso è però ovviamente molto meno percettibile fuori della Palestina e nella successiva evoluzione della Chiesa antica, per lo meno nel mondo greco-romano (nell'Oriente semitico le condizioni sono infatti notevolmente diverse). Il problema è dunque quello di valutare nella loro giusta misura e reciprocamente, le varie influenze convergenti, sia nel giudaismo prima di Cristo - in Filone, per esempio, o a Qumran -, sia nella Chiesa nascente, che hanno contribuito a dare un volto al cristianesimo antico. Soltanto in questo modo si può sperare, in particolare, di gettare un po' di luce sulla questione, così controversa, del ruolo esatto svolto da Paolo nella genesi e nello sviluppo del cristianesimo, e dei rapporti tra il suo pensiero e il messaggio di Gesù.
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