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Il muro di Como sarà abbattuto

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2009 15:58
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29/09/2009 11:47

Il sindaco cede: via la barriera che oscura il panorama

MICHELE BRAMBILLA
COMO
L’orripilante muraglia costruita chissà perché sul lungolago di Como, che aveva l’unica funzione di privare la città di uno dei panorami più famosi del mondo, verrà abbattuta. Alla fine il sindaco Stefano Bruni ha ceduto. La scorsa settimana, dopo gli attacchi del quotidiano locale «La Provincia» e le proteste dei cittadini, aveva annunciato che l’avrebbe soltanto abbassata un po’: «Mi ha convinto mia moglie Raffaella», aveva detto in consiglio comunale.

Ieri, dopo che il caso è diventato nazionale - anzi, internazionale: invece dei turisti, ormai dall’estero arrivavano le tv per riprendere lo scempio - è giunto a più miti consigli e ha annunciato la tabula rasa: giù tutto. Siccome la moglie non bastava, per dargli una mossa sono intervenuti alcuni leader politici nazionali della sua stessa coalizione di centrodestra. Umberto Bossi ha chiesto di tappezzare Como di cartelli con scritto «No al muro. Como non è Berlino». E Roberto Formigoni ha fatto al sindaco una telefonata di quelle che non si dimenticano. Como riavrà la sua vistalago, dunque. Resta un’inchiesta della magistratura, perché il muro oltre che brutto inutile e dannoso sarebbe anche abusivo; e restano soprattutto alcuni particolari che fanno di questa storia una tipica storia italiana.

La costruzione del muro era stata ipotizzata più di vent’anni fa per evitare le esondazioni del lago in piazza Cavour; ma ormai era diventata inutile perché grazie alle dighe di Olginate queste sia pur sporadiche esondazioni non ci sono e non ci saranno più. Il Comune di Como aveva tuttavia deciso di procedere ugualmente per non perdere il finanziamento (17 milioni di euro), approfittandone per rifare l’intero lungolago. Già questo era bizzarro. Ma a peggiorare il tutto era arrivato il cambio di progetto: da paratie mobili - e quindi invisibili - a una muraglia fissa, tale da privare la città della vista lago. Sarebbe come se alle Cinque Terre eliminassero la vista del mare, a Courmayeur quella del Monte Bianco, alla finale di miss Italia quella delle concorrenti.

Il secondo aspetto tipicamente italiano è l’assoluta mancanza di assunzione di responsabilità. Il muro di Como ormai era difeso solo da due persone: il sindaco Stefano Bruni e il suo vice Fulvio Caradonna, assessore alle grandi opere. Ebbene. Ieri il primo ha detto che per soddisfare la volontà popolare dovrà essere sostenuto «un certo costo». Per soddisfare la volontà popolare, o per rimediare a un suo errore? Quanto a Caradonna, le sue parole di ieri sono le seguenti: «In questa storia quello che mi ha fatto davvero male sono gli insulti della gente nell’incontrarmi per strada». Nient’altro? I costi per rimediare al danno, che saranno a carico della collettività, non fanno male?

La città invoca che, dopo il muro, vengano abbattuti (politicamente, s’intende) anche coloro che l’hanno fatto costruire, oltre tutto senza informare del cambio di progetto. Su uno striscione si legge: «Buttiamo giù il muro e questa giunta di incapaci». Ma Caradonna non ha crisi di coscienza: «Dimettermi? Non ci penso nemmeno». Quanto al sindaco, non ha neppure ritenuto di parlare di una simile possibilità.

L’impressione è che chi ha dato il la a quest’opera diventata una barzelletta mondiale abbia dovuto far marcia indietro obtorto collo; ma in realtà continua a dar la colpa di tutto alla «disinformazione dei giornali», come aveva detto il sindaco. E che sui giornali a volte si scrivano cose inesatte, è vero; il problema è quando oltre agli scritti ci sono pure le fotografie. Il muro non era un’invenzione di una stampa faziosa, bensì una realtà. Domenica ha richiamato in piazza destra e sinistra. C’è stata una manifestazione organizzata dal Pd: ma con presenti anche consiglieri di Pdl e Lega. E almeno questo merito, a chi ha voluto quest’opera, va riconosciuto. Il muro di Berlino divideva; quello di Como ha unito destra e sinistra. Un miracolo, di questi tempi.

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26/11/2009 15:58

Allungato, non demolito La beffa del muro di Como
Due mesi fa, dopo le proteste, il sindaco aveva annunciato l'abbattimento
MICHELE BRAMBILLA
INVIATO A COMO

Sono passati sessanta giorni da quando il sindaco di Como Stefano Bruni ha annunciato, in consiglio comunale, che la muraglia sciaguratamente fatta erigere sul lungolago sarebbe stata abbattuta.

Ma il muro è ancora lì, più brutto che mai. Sessanta giorni vuol dire due mesi: magari non sufficienti a eliminare del tutto l’obbrobrio, ma almeno a cominciare la demolizione, sì. E invece niente. Neanche un colpo di piccone. Anzi: il muro è stato perfino allungato, con una nuova bella mattonata visibile da chi arriva in barca. Così come fu incredibile la costruzione di questo muro del tutto inutile e del tutto incomprensibile (togliere a Como la vista del lago è come togliere ad Amalfi quella della costiera), incredibile è anche lo sviluppo della vicenda. O meglio è credibile se lo si inserisce nell’abitudine molto italiana di fare politica con l’effetto-annuncio, contando sui titoli dei giornali.

E contando sul fatto che poi i giornali, spesso, si dimenticano di andare a verificare com’è andata a finire. Ora, siccome noi avevamo annunciato con una certa soddisfazione la retromarcia del sindaco - anzi, la consideravamo pure una nostra piccola vittoria - abbiamo pensato di andare a vedere se alle parole era seguito almeno qualche mezzo intervento. E invece ci siamo imbattuti in un’ennesima manifestazione di, per essere benevoli, inerzia; o, per usare un termine caro a Brunetta, fannullonismo. Un malcostume politico che qualche anno fa abbiamo visto denunciato sul muro di un Municipio con una scritta dall’ironia longanesiana: «Basta con i fatti, vogliamo promesse».

Di promesse, in questi due mesi, il sindaco ne ha dispensate a piene mani. Sono i fatti che inquietano. Innanzitutto, appunto, il mancato abbattimento. E poi, come dicevamo, il prolungamento del muro stesso. Sul primo fatto, il sindaco si è difeso sostenendo che, essendo ancora aperta un’inchiesta della Procura per reato ambientale, il muro non può essere toccato. Gli oppositori - cioè tutta la città, tutta la stampa locale, la Regione Lombardia, l’amministrazione provinciale, perfino il suo stesso consiglio comunale miracolosamente unito da destra a sinistra: insomma, tutto il mondo - gli replicano facendogli notare che il Procuratore di Como, Alessandro Lodolini, ha sempre detto che il cantiere non è bloccato, e che si può riprendere a lavorare, sia per continuare a costruire il muro sia per tirarlo giù.

Ma il sindaco evidentemente ha preso per buona la prima ipotesi: l’azienda incaricata dei lavori infatti non resta con le mani in mano, anche se invece che abbattere allunga. Una beffa per i comaschi, così giustificata dal sindaco: «Se fermassimo il cantiere, dovremmo pagare una penale». Ma la rabbia dei cittadini cresce anche perché le novità, da quel rassicurante annuncio di sessanta giorni fa, sono state due: una è appunto l’allungamento del muro; l’altra è la chiusura degli oblò ricavati nelle palizzate di legno che cingono il cantiere. Così nessuno può più controllare quel che succede. Qualcuno si è attrezzato con artigianali periscopi. E il disappunto cresce pure perché non si scorgono segnali di mea culpa.

Il muro (lo ricordiamo: costruito ufficialmente per evitare esondazioni che non ci sono più, in realtà per non perdere i finanziamenti di una legge di ventidue anni fa) era stato voluto da due persone: dal sindaco e dall’assessore alle grandi opere Fulvio Caradonna, entrambi del Pdl. Tutti, Pdl compreso, hanno chiesto le dimissioni di Caradonna. Questi ha resistito un po’, e alla fine si è dimesso per poter circolare tranquillo in città. Ma la delega alle grandi opere se l’è presa il sindaco. Il capocronista del quotidiano locale La Provincia, Giorgio Bardaglio, ha scritto un commento intitolato: «Hanno la faccia come il muro». Che succederà? L’altro ieri c’è stata una riunione in Regione e s’è deciso che il muro sarà sostituito con paratie a scomparsa. Ma quando?

Un nuovo progetto non c’è ancora. Si parla di almeno tre mesi. I pessimisti dicono che queste sono altre promesse, destinate a tenere buona la popolazione in vista delle prossime elezioni regionali. Gli ottimisti - che però oltre a essere ottimisti sono anche maliziosi - dicono che Formigoni farà abbattere il muro due settimane prima del voto, per goderne i benefici nell’urna. Una cosa sembra tuttavia certa: sarà la Regione a sobbarcarsi i costi dell’abbattimento e delle nuove paratie mobili: 2,1 milioni di euro.

Il che, tradotto in soldoni, vuol dire che la geniale idea della giunta comasca sarà pagata dai cittadini di Milano, di Brescia, di Bergamo, di Varese, di Monza, di Pavia, di Mantova, di Sondrio, di Lecco, di Lodi. I quali potrebbero riunirsi in una nuova Lega lombarda e marciare su Como come fece il Barbarossa, anche se con intenti diversi da quelli dell’Imperatore.

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