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BUONE NOTIZIE

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13/04/2010 10:08

Giusto per ricordarci che il mondo non è solo brutto..

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I videogiochi non influenzano i bambini. Voglio dire, se Pac Man avesse influenzato la nostra generazione ora staremmo tutti saltando in sale scure, masticando pillole magiche e ascoltando musica elettronica ripetitiva."
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13/04/2010 10:09

La musica del cuore

MASSIMO GRAMELLINI

L’agenzia di notizie Tiramisù, che attinge abitualmente alle lettere di «Specchio dei tempi», segnala la storia di un’anziana signora torinese, entrata nel salone de La Stampa per dettare il necrologio di una persona cara. Triste per l’incombenza affrontata, si avvia verso la porta, costeggiando gli scaffali dell’adiacente libreria. Vede due adolescenti, un maschio e una femmina, che sfogliano un libro da cui esce una musica lieve. Pensa che sarebbe un regalo perfetto per la nipotina e si avvicina allo scaffale dove i ragazzi hanno appena riposto il volume, ma non riesce a individuarlo fra tutte quelle copertine colorate.

Chiede aiuto alla coppia di adolescenti, che subito lo rintracciano e glielo porgono. Il libro suona davvero, però costa 12 euro e 90. Troppo per le tasche di una pensionata. La signora si allontana a passi lenti, ed è già quasi davanti all’uscita quando si sente toccare una spalla. Sono i ragazzi di prima e hanno un pacchetto in mano. «Tenga, per la sua nipotina». Mi dispiace non conoscere i nomi dei protagonisti. Altrimenti li avrei scritti in stampatello, per una elementare forma di par condicio: se invece di regalare il libro alla vecchietta, l’avessero rapinata, sarebbero stati sbattuti in prima pagina come simboli di una gioventù depravata. So bene che due ragazzini in libreria non rappresentano compiutamente una generazione. Ma nemmeno gli altri. Quelli che picchiano, rubano e stuprano. Dei quali però si parla sempre, al punto da indurre noi adulti a credere che esistano soltanto loro.

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14/04/2010 14:43

Progetto frutta nelle scuole

E’ in pieno svolgimento il progetto “Frutta nelle scuole – Nutrirsi bene, un insegnamento che frutta”. Coinvolti 325 mila ragazzi delle 1700 scuole elementari italiane.accompagnata da materiali ed eventi che educano divertendo, una iniziativa promossa dall’Unione Europea in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole e con quello della Pubblica Istruzione, nell’ambito del grande progetto: Frutta nelle scuole – Nutrirsi bene, un insegnamento che frutta.

In questi giorni anche nelle scuole dell’obbligo della nostra Regione sono stati distribuite buste contenenti frutta da degustare nella loro mattinata scolastica.

Sostenuto da fondi comunitari e nazionali (in percentuale del 58% e del 42%), coinvolge quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea e rappresenta la più ampia ed organica iniziativa indirizzata ad una corretta educazione alimentare per i bambini tra i sei e gli undici anni, notoriamente più attratti dagli ipercalorici cibi snack che dall’ottima e salutare frutta.

E’ prevista anche una serie di eventi di animazione teatrale incentrati sul percorso del cibo dal campo alla tavola per valorizzare la matrice culturale ed emozionale che caratterizza l’agricoltura. Una forma di comunicazione alternativa, piacevole, coinvolgente ed incisiva per raggiungere bambini e adulti ed avvicinarli in modo divertente alla cultura del cibo.Le consegne ai ragazzi avverranno lontano dai pasti poiché la “merenda” a base di frutta non è considerata sostitutiva del pranzo e deve coincidere con un momento educativo specifico.

Per ogni ragazzo sono previste venti somministrazioni di almeno 150 grammi di frutta a produzione biologica e integrata già pronta al consumo. Oltreché frutta fresca intera verrà distribuita frutta già sbucciata, tagliata e pronta al consumo in confezioni monodose: in tutto quasi 7 milioni di unità per un totale di circa 1 milione di chilogrammi. Verranno distribuite mele, kiwi e arance intere, mele tagliate in vaschetta, fragole e pere.

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16/04/2010 16:14

Incastrato in auto, salvo dopo 2 giorni
Insolito incidente vicino Porto Rotondo, in Sardegna. La vittima era finita fuori strada, in un dirupo
16 aprile, 13:14


OLBIA - Un automobilista di 37 anni è rimasto incastrato per due giorni nella sua autovettura, finita fuori strada nei pressi di Porto Rotondo e precipitata in un dirupo, prima di essere soccorso questa mattina dal personale del 118 che lo ha trasportato nell'ospedale di Olbia. Nel frattempo la sua compagna, ieri mattina, non vedendolo tornare, aveva presentato una denuncia di scomparsa ai carabinieri.

L'autovettura dell'uomo, Daniele Monteleone, parrucchiere, era nascosta alla vista in una zona impervia e solo questa mattina è stata notata da alcuni automobilisti che hanno dato l'allarme. L'uomo stava tornando a casa mercoledì sera sulla strada che collega con Porto Rotondo quando la Volkswagen Lupo alla quale era alla guida, nella zona di Rudalza, è finita fuori strada. Secondo quanto accertato dai soccorritori l'uomo, ferito, è rimasto incastrato e nell'impossibilità di uscire dall'auto è vissuto due giorni nell'abitacolo. Inoltre nella zona non vi era campo per il segnale del telefonino.

Non vedendolo rientrare mercoledì notte, la mattina dopo la compagna ha deciso di presentare ai carabinieri di Porto Rotondo una denuncia per la sua scomparsa. Questa mattina il suo ritrovamento ed il ricovero nell'ospedale di Olbia.


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29/04/2010 11:47

Cluster bomb, dal primo agosto entra in vigore il Trattato per la messa la bando

Con Moldova e Burkina Faso sono arrivati a 30 i Paesi che lo hanno ratificato

La Convenzione che bandisce l'uso delle bombe a grappolo entrerà in vigore il primo agosto. Con Burkina Faso e Moldova il Trattato ha infatti raggiunto le 30 ratifiche necessarie. "Si tratta di un passo fondamentale nell'agenda del disarmo mondiale - ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon -. La ratifica dimostra la repulsione nei confronti di queste armi, inaffidabili e inaccurate". Ban ha poi invitato le nazioni che non hanno ancora aderito alla convenzione a farlo "senza ritardi". La Convenzione, siglata a Dublino a dicembre 2008, vieta la produzione, l'uso e il possesso di bombe a grappolo, ordigni letali per la popolazione civile che spesso vengono lasciati nelle ex zone di guerra per anni. Le 'cluster bomb' sono state usate nella guerra in Vietnam e nei più recenti conflitti in Iraq, Libano e Georgia. Tra i Paesi firmatari figurano Francia, Germania e Spagna che, a differenza di Inghilterra e Italia, lo hanno anche ratificato. Restano fuori dall'accordo potenze come Russia, Cina, Stati Uniti e Israele, paese quest'ultimo accusato dall'Onu di aver disseminato durante la guerra in Libano del 2006 più di quattro milioni di munizioni.

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IPERUTENTE 2009
03/05/2010 09:34

Reparti maternità: sono in Italia i migliori (epidurale a parte)

Sarah Fraser, inglese che vive in Toscana con marito e figli, in un articolo sul Times Online, "Mamma mia! Perché l'Italia è meglio per le nascite", racconta come a Pistoia abbia partorito con più cure e attenzioni che in Inghilterra

L'Italia è sempre bistrattata dall'opinione pubblica, soprattutto da quella degli altri paesi, spesso denigrata e descritta a rotazione come retrograda, ridanciana, scandalosa, trash e amenità simili.. spesso non a torto lo sappiamo.
Possiamo però riprenderci la nostra rivincita in fatto di parto e reparti maternità, che a detta di una giornalista inglse e di una ricerca autorevole sono i migliori d'Europa.
Sarah Fraser, inglese che vive in Toscana con marito e figli, in un articolo sul Times Online, "Mamma mia! Perché l'Italia è meglio per le nascite", racconta come a Pistoia abbia partorito con più cure e attenzioni che in Inghilterra.

lo conferma anche una fonte autorevole: la rivista medica The Lancet rivela che in Gran Bretagna il tasso di mortalità durante gravidanza e parto è altissima: 8,2 morti ogni mille neonati, il doppio rispetto all'Italia che ne registra 3,9 e per questo è prima in classifica.
"Ho partorito in Gran Bretagna e ho partorito in Italia e non c'era nessun dubbio in cuor mio su cosa preferivo, anche prima di vedere le statistiche", racconta la Fraser, che in Gran Bretagna ha avuto la brutta esperienza di 15 ore di travaglio, quattro ostetriche diverse a occuparsi di lei, e ciliegina finale, una corsa in sala operatoria per un cesareo.

A Pescia, invece, in provincia di Pistoia, magari l'ospedale non aveva l'aspetto moderno però l'assistenza che ha ricevuto, racconta, è stata "eccellente, non sono stata lasciata sola un momento", tanto che è tornata nello stesso istituto per i suoi altri due bambini.
Gli esperti in materia provano a spiegare la minore mortalità in Italia, rispetto agli altri Paesi, considerando anche la maggiore durata del congedo di maternità: un massimo di 24 mesi (ricordiamoci però che non molte possono permettersi questo lusso), contro i 12 concessi in Gran Bretagna. A nostro favore c'è anche da dire che dalla nostra gioca l'importantissimo fattore dello stile di vita, sia alimentare sia di consumo di alcol e fumo: noi beviamo meno alcool e mangiamo meno e meglio delle inglesi.

La mamma inglese racconta come è stata ben seguita e fa un solo appunto: la mancanza di farmaci contro il dolore. "Non sono la sola espatriata scioccata per il limitato uso di antidolorifici negli ospedali italiani".
In Gran Bretagna la gente si aspetta che il parto sia indolore. L'argomento è tuttora controverso. L'articolo riporta il parere di un'ostetrica italiana, Eleonora Bruni, che ha esercitato anche in Gran Bretagna e difende lo scarso ricorso ad antidolorifici: "Il dolore aiuta a capire cosa succede al nostro corpo. Aiuta il corpo a reagire nel modo necessario per portare avanti naturalmente un travaglio sano. In Italia, non diamo nemmeno paracetamolo e l'epidurale è solo per casi estremi" perché – afferma - "con l'intervento dell'epidurale aumenta il rischio di mortalità. A Londra gli ospedali sono spesso a corto di personale e spesso l'assistenza personalizzata non è disponibile".

Fonte: Times online

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Ho capito che se una persona si ritiene superiore, bisogna lasciarla vivere nella sua inferiorità
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04/05/2010 18:18

Lufthansa, mai più voli per la vivisezione

di Elena Romanello

L'associazione animalista Peta aveva diffuso su Internet la foto di un gruppo di cinquanta cani trasportati su un aereo della compagnia Lufthansa dagli States ad un laboratorio di vivisezione in Scozia: in poco tempo c'è stata una sollevazione generale di animalisti in tutto il mondo e la compagnia aerea di bandiera tedesca ha deciso di vietare d'ora in poi il trasporto di animali vivi sui suoi voli se hanno come destinazione finale gli esperimenti.

Già da tempo la Lufthansa aveva attuato una politica di grande attenzione verso gli animali, controllando accuratamente di non trasportare specie a rischio di estinzione e in generale animali selvatici catturati: evidentemente questo problema le era invece sfuggito e c'è voluta una mobilitazione perché venissero fatti i controlli del caso e si arrivasse ad una proibizione definitiva.

La vivisezione non viene abolita, ma il fatto che una compagnia aerea di primo piano non voglia più rendersene responsabile è indubbiamente un duro colpo, senza contare che si crea un precedente in materia per altre compagnie aeree che volessero poi seguirne l'esempio.

"La decisione di non trasportare cani e gatti destinati alla sperimentazione fornisce un ulteriore segnale che noi siamo concentrati sul benessere degli animali", è stato il commento di Axel Heitmann, Director Competence Center Animals, della Lufthansa Cargo.

Le associazioni animaliste, tra cui l'italiana Oipa, ringraziano.

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07/05/2010 11:26

Vola il bike sharing: la bici condivisa piace agli italiani

La rivoluzione a due ruote ha contagiato 132 città del Paese
CARLO LAVALLE
TORINO
Negli ultimi due anni in Italia il bike sharing, o servizio di bicicletta condivisa, ha preso il volo. La rivoluzione a due ruote ha contagiato 132 città del Paese facendo aumentare in modo improvviso e inaspettato il numero di utenti. Nei centri urbani che utilizzano il sistema elettronico a tessera magnetica dal 2008 la clientela è cresciuta del 206,5%.

Secondo un'indagine di Euromobility i fruitori del bike sharing, in 13 comuni monitorati, sono passati in un anno dalle circa 9.000 unità iniziali alle quasi 29.000 del 2009. Un vero e proprio boom c'è stato a Milano che ha quadruplicato i suoi clienti raggiungendo quota 12.346. Al capoluogo lombardo spetta anche il record delle bici messe a disposizione : 1400, distribuite su 100 postazioni, contro le 230 di Brescia e le 150 di Roma.

La diffusione del bike sharing si è avuta soprattutto nell'area centro-settentrionale. Le regioni dove si è realizzato il maggiore sviluppo sono Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna, cui spetta il primato. A Ravenna, peraltro, nel 2000 è entrato in funzione il primo sistema di bike sharing a chiave codificata, fornito dal circuito C'entro in bici, mentre la prima esperienza di installazione con prelievo elettronico è stata realizzata a Cuneo nel 2004. Da allora la soluzione a card elettronica, che permette la riconsegna in un qualsiasi altro posteggio ad elettroserratura diverso da quello di ritiro, si è andata sempre più affermando attraverso il successo ottenuto da Bicincittà. Questa piattaforma vanta ormai 44 comuni aderenti con 5.100 colonne installate e più di 35.000 utenti attivi.

Nel 2011 in base alle previsioni di Obis (Optimising Bike Sharing in European Cities) il bike sharing italiano continuerà ad espandersi coinvolgendo 195.000 persone che potranno avvalersi di un più consistente parco di biciclette. Torino, Mantova, Sondrio, Catania, Arezzo Savona, Treviso sono le prossime importanti piazze in procinto di attivare il loro servizio, stando alle informazioni rilasciate in anteprima dal Club delle città per il bike sharing. Totem, rastrelliere, cicloposteggi sono dunque termini destinati a diventare ancora più familiari nel vocabolario della mobilità sostenibile nostrana.

Gli italiani dimostrano di conoscere e apprezzare il bike sharing perché rappresenta una modalità di spostamento pulito e un'alternativa all'uso dell'auto privata, fonte di inquinamento e traffico insopportabili. La bicicletta appare un veicolo economico, di limitato ingombro, e valido da usare nei brevi tragitti, massimo un chilometro, che fa risparmiare tempo nel coprire la distanza ed evitare lo stress per trovare parcheggio.

In un'ottica di intermodalità, ossia di integrazione con altre tipologie di trasporto, può essere abbinata al mezzo pubblico, treno o autobus, consentendo alle amministrazioni di razionalizzare gli interventi per migliorare l'ambiente urbano. In questo senso, un esempio particolarmente avanzato è Parma che ha cercato di potenziare il suo schema di bike sharing, dotato di una centrale operativa di telecontrollo in funzione 24 ore su 24, inserendolo in un quadro di sviluppo delle infrastrutture di ciclabilità, di creazione di piattaforme intermodali nei parcheggi di scambio e di promozione ed incentivo all'uso della bicicletta, normale o a pedalata assistita.

Proprio la mancanza di una strategia integrativa programmata in alcune realtà, nonostante i buoni propositi iniziali, è stata causa di progressive difficoltà di funzionamento.

A Genova la carenza di percorsi protetti ha condizionato negativamente il servizio mentre a Roma la mancata implementazione delle stazioni e la loro quasi esclusiva dislocazione nelle zone centrali, per giunta senza logica di interscambio con fermate metro e bus, ha ostacolato il decollo del bike sharing che adesso versa in un stato di abbandono e di degrado. Anche a Bari sono emerse forti criticità nella gestione e nella stessa Milano, malgrado il piano di investimenti per il rafforzamento delle rete di piste ciclabili annunciato dal Comune, rimangono i problemi di accessibilità ciclabile con una circolazione urbana subordinata all'interesse prevalente degli automobilisti.

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20/05/2010 22:14

Guaisce due giorni sull'Arno per chiamare i soccorsi e salva il suo cucciolo

FIRENZE (20 maggio) - Cuore di mamma. Anzi, cuore di bassotta. Ha abbaiato e guaito per due giorni, fino a che un passante non si è accorto che mamma bassotta stava chiedendo aiuto perchè il suo cucciolo era rimasto intrappolato nell'Arno e ha chiamto i soccorsi. Alla fine, la costanza di una femmina di bassotto tedesco è stata premiata: i sommozzatori dei vigili del fuoco sono riusciti a liberare il cagnolino, al termine di un laborioso intervento durato più di un'ora. È successo stamani, nei pressi della pescaia dell'Isolotto, a Firenze.

Il cucciolo di bassotto era rimasto impriogionato in un buco tra alcuni massi e un groviglio di filo di ferro e, nonostante l'acqua bassa, era in serio pericolo di vita a causa della prolungata permanenza nel fiume.

I vigili del fuoco, intervenuti con una squadra di sommozzatori, hanno lavorato per circa un'ora con un martello e un piede di porco: per tutta la durata dell' intervento la cagnetta è rimasta sul greto del fiume, in attesa. Al termine dell'intervento, mamma e cucciolo, che erano entrambi privi della medaglietta di riconoscimento, sono stati affidati al personale della Asl, in attesa che venga identificato il proprietario.


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Megayacht sequestrato, Briatore indagato
Contrabbando ed evasione delle imposte sul carburante sono le accuse ipotizzate. A bordo c'erano Elisabetta Gregoraci e il figlio Falco Nathan
21 maggio, 19:55

Contrabbando ed evasione delle imposte sul carburante sono le accuse ipotizzate dal pm Walter Cotugno a carico dell'amministratore delegato della società proprietaria del megayacht "Forcé Blue", con sede nelle Isole Vergini Britanniche, e di Flavio Briatore, che risulterebbe essere il principale utilizzatore della nave in territorio Ue.

Il megayacht, battente bandiera delle isole Cayman, è stato sottoposto ad un sequestro preventivo ieri pomeriggio, al largo della Spezia, in acque nazionali, dai militari della guardia di finanza del Gruppo Genova in collaborazione con i militari del Gruppo aeronavale ed i tacnici delle Dogane del capoluogo ligure, al termine di oltre un anno di accertamenti, nel corso dell'operazione "No boat, no crime" ed ora si trova in porto alla Spezia. Il provvedimento é stato emesso dal gip di Genova Ferdinando Baldini, su richiesta del pm Cotugno.

Secondo quanto spiegato stamani in una conferenza stampa, il reato di contrabbando viene contestato perché un cittadino comunitario, come Briatore, non può utilizzare un'imbarcazione immatricolata all'estero in territorio Ue se prima non ha provveduto a pagare l'Iva. Dato che il valore approssimativo del "Force Blue" è di almeno 20 milioni di euro (ma la cifra è destinata a crescere), l'Iva evasa si aggirerebbe sui 4 milioni. Sarebbero inoltre state evase le imposte sui rifornimenti di carburante (700mila litri di gasolio da quando la situazione è monitorata), per un ammontare di circa 550mila euro di accise e 250mila euro di Iva. La legge comunitaria prevede infatti che gli yacht immatricolati all'estero possano fare carburante senza pagare l'accisa a condizione che entro le otto ore dal rifornimento siano fuori dalle acque territoriali comunitarie. provvedimento che il "Force Blue" non avrebbe rispettato.

BRIATORE: AFFITTO BARCA REGOLARE - Poteva essere evitato il sequestro del 'Force Blue', il megayacht di Flavio Briatore. Ad affermarlo è lo stesso Briatore, che ha in uso il natante fermato dalla Guardia di Finanza per una vicenda di evasione fiscale e contrabbando. Secondo Briatore l'imbarcazione "è stata regolarmente presa in affitto da me, come d'altra parte in passato hanno fatto tante altre persone". "Si tratta di una vicenda paradossale, che sono convinto si risolverà molto presto", aggiunge Briatore. Resta però il rammarico, e l'amarezza, per come è stata trattata la questione: "Il sequestro si poteva evitare - sostiene il businessman - senza forzare una madre e un bambino di due mesi a lasciare bruscamente l'imbarcazione". "Mi rammarico molto - sottolinea ancora Briatore - del fatto che la questione si sarebbe potuta chiarire senza tanta pubblicità e con un tale spiegamento di forze".


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27/05/2010 14:19

Nel mondo cala la mortalità infantile

Dal 1990 a oggi la mortalità infantile cala del 2% ogni anno. Merito di vaccini, farmaci contro l'Aids ed educazione sanitaria
MIMMO CÁNDITO
Ismail era un fagottino che quasi non dava spessore al telo bianco che lo copriva. Oggi avrebbe compiuto otto anni, ma quella notte in cui è morto, d’una diarrea che lo aveva asciugato d’ogni carne, lui aveva cominciato appena a correre su gambette magre come stecchi. Due uomini se lo portarono via dalla tenda lercia dove campava la sua famiglia, nella lontana periferia pietrosa di Makallè. Non pesava più d’un soffio d’aria, e quella sorta di barella fatta da due legni intrecciati con un paio di corde lise la portavano leggera come se fosse vuota. C’era un gelo boia, nell’alba grigia dell’altopiano, il freddo ghiacciava perfino il malodore delle montagnole di cacca che coprivano il terreno attorno alle tende di quei poveri cristi, immobili come statue. E nessuno piangeva. Le lacrime hanno bisogno di speranza, e a quel tempo in Etiopia di speranza non se ne trovava molta.

Finanziati da Bill Gates
Forse non ce n’è molta di più nemmeno oggi. Ma oggi i numeri sui bambini che muoiono prima di arrivare ad almeno 5 anni di vita sono cambiati in meglio, «un netto incremento positivo», dice un rapporto pubblicato in questi giorni dalla rivista «Lancet», la più autorevole pubblicazione scientifica. E come l'Etiopia, anche il Malawi, il Ruanda, la Tanzania, lo Zambia, il Botswana, e molti altri paesi ancora. La ricerca, finanziata dalla Fondazione di Bill e Melinda Gates, ha indagato sulle statistiche della mortalità infantile in ogni angolo del nostro pianeta, dall’Africa più povera all’Asia tormentata di monsoni e inondazioni, alle baraccopoli dell’America Latina, e fino alle ricche nazioni dell’Europa e dell’Occidente industriale; ha letto, fatto verifiche, incrociato numeri e dati, ha interrogato istituzioni ed esperti di 187 Paesi, poi i risultati si sono imposti con la loro evidenza: dal 1990 a oggi, la mortalità infantile ha registrato una diminuzione media del 2 per cento l’anno. Nelle stanze dell’Organizzazione mondiale della Sanità, a Ginevra, tira un’aria di moderato ottimismo: «Possiamo dire che gli sforzi compiuti dagli organismi ufficiali, e dalle associazioni umanitarie, stiano avendo una confortevole incidenza, perfino più veloce di quanto fosse possibile immaginare».

Non sono ancora numeri che possano lasciar tranquilla la coscienza del mondo. Quest’anno, i fratellini di Ismail che non arriveranno ai 5 anni d’età, e gli Ahmed nei deserti del Ciad e del Niger, e i Satyaga nelle giungle del Borneo o gli slums di Calcutta, e i Boycet tra le rovine di Port-au-Prince, quest’anno a morire di fame, di stenti, di diarrea, di polmonite o malaria, saranno comunque 7,7 milioni di bambini. Un infinito esercito di piccoli fantasmi che voleranno lievi nel cielo degli innocenti, puntando il loro ditino fragile contro la nostra indifferenza, spesso sorda, distratta sempre. Ma «Lancet» dice che, però, e comunque, bisogna crederci: nel 1990, quel volo lieve si portava via 11,9 milioni di piccoli angeli, cioè quattro milioni in più di oggi. Quattro milioni che invece ora potranno vivere, crescere, sperare, diventare uomini e donne del loro tempo, e lottare perché ci sia un mondo più solidale.

La lotta alla malaria
«Però, guai a fermarsi nella nota lieta di questi risultati - dice Mickey Chopra, responsabile della sezione Sanità dell’Unicef -. Se soltanto riduciamo il nostro impegno, e l’apporto finanziario che trasferiamo a quanti lavorano in questo campo, la povertà, la miseria estrema, il degrado che travolge speranze e cure, torneranno a prevalere». Le cause che hanno consentito il «netto miglioramento» delle statistiche sono elencate nelle pagine di «Lancet» da uno degli autori della ricerca, il dottor Christopher J.L. Murray, direttore dell’Istituto per lo studio delle statistiche mediche nell’Università di Washington, a Seattle; sono: la possibilità di estendere l’applicazione di vaccini, i farmaci contro l’Aids, una distribuzione allargata di vitamina A, una più efficace terapia contro la polmonite e la diarrea, l’intensificazione dell’educazione sanitaria tra le donne, e l’uso di insetticidi per prevenire le infezioni da malaria. Anche la fertilità in riduzione ha avuto una qualche incidenza, oggi che la maternità ha indici più bassi e sono comunque sempre più le donne che distanziano una gravidanza dall’altra di almeno due anni.

La metà dei bimbi che muoiono prima di arrivare a 5 anni di età vivevano in un qualche posto dell’Africa subsahariana, un terzo nell’Asia meridionale; e di tutti questi piccoli morti innocenti, il 41 per cento erano neonati. La Guinea Equatoriale ha il più drammatico record, con 180 bimbi morti ogni 1000 nati, e vicino le sta il Ciad, con 169 vittime. La situazione migliore è registrata a Singapore (2,5 morti per 1000 nascite) e in Islanda (2,6). Ma a incidere su queste statistiche non sono soltanto i dati del Pil nazionale, se poi negli Stati Uniti muoiono 6,7 bimbi, e 5,3 in Inghilterra, mentre Cuba mette ben in evidenza i suoi indici ancora molto inferiori nonostante un’economia in costante stagnazione.

L'Onu ha posto come obiettivo per il pianeta una riduzione di due terzi della mortalità infantile, prima del 2015. Non sarà facile. Dice il dott. Murray: «E sarebbe una tragedia se, visto che in alcune aree finora disastrate la situazione va migliorando, noi staccassimo la spina. L’equilibrio è fragilissimo, bisogna insistere». Alcune linee aeree, tra le quali l'Alitalia, distribuiscono tra i loro passeggeri dei voli internazionali una busta nella quale inserire qualche euro di donazione volontaria per l’Unicef, l’organismo dell’Onu che cura la condizione dell’infanzia nel mondo. «E’ molto raro, molto, che ci vengano restituite più di 7 o 8 buste, al momento dell’atterraggio», confessa amaramente una delle capocabina di un volo per New York. «E ancor meno nella classe business». Il biglietto della business costa più del doppio del volo in classe economy.

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IPERUTENTE 2009
27/08/2010 12:02

COCCOLA NEONATO MORTO: LUI TORNA ALLA VITA

Aveva avuto un parto prematuro, al quale il piccolo Jamie Ogg non era riuscito a sopravvivere, a differenza della sorellina gemella Emily. Ma Kate, madre dei due bambini, non poteva rassegnarsi all'idea che uno dei suoi gemelli fosse morto. Così ha tenuto Jamie in braccio per due ore, baciandolo e coccolandolo, finché il neonato, miracolosamente, è tornato alla vita. E' accaduto in Australia, a Sydney, e i genitori del piccolo Jamie sono diventati delle vere e proprie celebrità, intervistati da tutti i giornali e le televisioni locali. Kate e suo marito David hanno raccontato la loro esperienza, che ha a dir poco del miracoloso. "Il medico mi chiese, dopo il parto, se avevamo già dato un nome a nostro figlio. Io gli dissi che si chiamava Jamie, e lui tornò da me con il bimbo in braccio dicendomi: 'Abbiamo perso Jamie, non ce l'ha fatta. Mi dispiace'. E' stata la peggior sensazione che abbia mai provato - ha raccontato la donna alla trasmissione tv Today Tonight, citata dal Daily Mail - presi Jamie in braccio, lo strinsi a me. Le sue braccia e le sue gambe penzolavano dal suo corpo, non si muoveva. Io e David abbiamo iniziato a parlargli, gli abbiamo detto il suo nome e che aveva una sorella, gli abbiamo deto ciò che avremmo voluto che facesse nella sua vita. Dopo un po', ha iniziato a muoversi, a respirare ancora. Ho pensato 'Mio Dio, cosa succede?', e dopo pochi secondi ha riaperto gli occhi. E' stato un miracolo. Siamo i genitori più fortunati del mondo". 



fonte: www.leggonline.it/

fonte: www.dailymail.co.uk/health/article-1306283/Miracle-premature-baby-declared-dead-doctors-revived-mothers-to...
[Modificato da strega@rossa 27/08/2010 12:03]

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Ho capito che se una persona si ritiene superiore, bisogna lasciarla vivere nella sua inferiorità
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03/09/2010 14:30

Annuncia il suicidio su un blog, 30enne salvato dalla polizia postale

Paura per un giovane residente in Trentino Alto Adige
Annuncia l’intenzione di uccidersi attraverso un blog, ma viene salvato in tempo. La segnalazione era pervenuta agli agenti del Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni Sicilia Orientale di Catania attraverso il gestore del blog, un ragazzo catanese. Il messaggio scritto dall’utente riportava il proposito di suicidarsi per vicende personali.

Così, i poliziotti, dopo avere costatato il contenuto del messaggio, poichè i dati informatici utili per l’identificazione dell’utente erano detenuti dalla statunitense Google, hanno attivato i collegamenti urgenti con l’estero e sono riusciti in poche ore a risalire al giovane che aveva scritto il post sul blog: un trentenne residente in Trentino Alto Adige.

Immediatamente, con l’ausilio delle forze di polizia del posto, è stato raggiunto e sono stati avvertiti i genitori e i servizi sociali del Comune.

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08/09/2010 15:08

L'intrusa

Ma chi è? Che cosa vuole? Da alcune ore una donna si aggira per le strade di un paese che la prima domenica di settembre ha spinto quasi tutto nei boschi per la raccolta delle nocciole. A presidiare il territorio sono rimasti i sofferenti di schiena e qualche pensionato. Guardano la tv più vecchia del mondo, quella che si osserva dalle finestre di casa. Ma chi può andare e venire fra le case di questo paese, a un’ora in cui anche la chiesa è già chiusa? La signora misteriosa. Scende da un’utilitaria guidata da un accompagnatore, forse il marito, più probabilmente un complice. Si guarda intorno, estrae un blocco di appunti, prende nota, poi cambia isolato. Artritici e pensionati non hanno più dubbi: trattasi di ladra professionista che prepara un colpo notturno.

Un ragazzino scuote la testa: ma quale ladra, è un’addetta di Google Maps che raccoglie informazioni per mettere in rete lo stradario del paese. Sarà, borbotta un anziano, però questi Gulp Mappet sono ridotti proprio male: guarda che macchina le hanno dato. La signora scompare, ma due ore dopo rispunta davanti alla casa del vicesindaco, il quale ha un ruolo e un prestigio da difendere. Esce in strada e la affronta, pronto a tutto. «Desidera?». «Buongiorno! Sono la nuova postina, prendo servizio domani. Sto facendo pratica delle strade per non ritardare la consegna della corrispondenza». Sta facendo pratica delle strade. Per non ritardare la consegna della corrispondenza. Durante il giorno di ferie. Pare che in paese - Lequio Berria, nell’Alta Langa - abbiano già iniziato le pratiche per la canonizzazione.

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14/09/2010 15:47

L'uomo che fa evadere il "made in carcere"

Un imprenditore crea la prima rete per le cooperative di detenuti. «Metto in commercio prodotti ottimi che finora non si era mai pensato di vendere»
FEDERICO TADDIA

ROMA
Un tour per le carceri a bordo di un camper Anni 80, acquistato a giugno per 6500 euro alla faccia dei 99 milioni di lire di listino nel 1983. Guai a dubitare sull'affidabilità del mezzo: Paolo Massenzi è orgoglioso della sua casa a quattro ruote. E i numeri gli danno ragione: 15 mila km percorsi in un paio di mesi, da quando ha dato via al «Jail Tour 2010». Un viaggio lungo lo Stivale per raccogliere, censire e mettere in mostra biscotti, abiti, collane, pasta, formaggi, mobili e tanti altri prodotti realizzati esclusivamente da detenuti.

«Il 22 ottobre 2009 ero in macchina e la radio mi ha dato la notizia della morte assurda di Stefano Cucchi - spiega -. Lì è cambiata la mia vita: ho immaginato che Cucchi potevo essere io, o poteva essere un mio figlio tra qualche anno. Mi è nata l'esigenza di scoprire se nel carcere c'era qualcosa di buono. Ho visitato alcuni istituti e, probabilmente sollecitato dalla mia professione di project manager, ho scelto di dedicarmi alla valorizzazione di ciò che viene creato con arte e professionalità nelle prigioni italiane». Massenzi abbandona così il lavoro e apre il portale recuperiamoci, che diventa un punto di riferimento per fare rete tra le cooperative di detenuti ed ex detenuti. L'obiettivo è stilare una mappatura delle realtà che operano nelle carceri per tentare di aprire entro Natale un emporio a Roma, dove mettere in vendita prodotti «made in carcere».

«I dati parlano di 12.376 detenuti lavoranti alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria su 68.345 - dichiara Massenzi -. Ma i veri numeri sono ben più piccoli. Chi partecipa a progetti gestiti da cooperative e quelli che sono ammessi a un lavoro esterno sono poco più di 800. Troppo pochi, se si pensa che la recidiva di chi lavora è solo del 10% contro il 70% di chi non ha lavoro: avere un impiego e imparare un mestiere offre una possibilità di riscatto. E trovare nuovi mercati in cui vendere i prodotti realizzati è essenziale per recuperare risorse per aumentare l'occupazione».

La prima tappa del «Jail Tour» è stata Alba, dove sul camper sono state caricate alcune bottiglie del vino realizzato nella Casa Circondariale: un dolcetto battezzato «Vale la pena». A Verbania, invece, con il marchio «Banda biscotti» nel laboratorio del carcere vengono infornati biscotti per tutti i gusti, mentre la Casa di Reclusione di Fossano propone «Ferro&Fuoco Jail Design», oggetti di arredamento in metallo. A San Vittore, poi, c'è una sartoria dove nasce la linea di abbigliamento casual «Gatti galeotti» e dove le detenute hanno tagliato e cucito le toghe per alcuni giudici milanesi.

A Mantova invece la coop «Parti inverse» è specializzata in gioielli realizzati con materiali di recupero. A «Le Vallette» di Torino spazio alle culle realizzate con cabine telefoniche dismesse e a «Pausa Cafè», laboratorio di torrefazione del caffè. «Ho recuperato 435 prodotti e ho recensito 73 cooperative e associazioni attive nelle carceri - aggiunge Massenzi -. Ma il viaggio non è ancora concluso. Mettere in circolo questi prodotti non è facile, anche perché l'amministrazione penitenziaria non può fare vendita diretta. Quello che nasce nelle 115 aziende biologiche, per esempio, viene consumato nelle prigioni, mentre le cooperative fanno sforzi enormi per realizzare ottimi manufatti ma poi non sanno come muoversi nella distribuzione».

Un mercato che è davvero vario e smisurato: basti pensare all'attività di smaltimento delle lavatrici nel carcere «Dozza» di Bologna, agli abiti del '700 tessuti e disegnati dalle detenute della Giudecca a Venezia, grazie alla cooperativa «Il Cerchio», alla bambola-cuscino «Ninetta» creata al femminile di Sollicciano, ai taralli «Campo dei miracoli» di Trani, alle ricercatissime paste di mandorle de «L'arcolaio» sfornate dal carcere di Siracusa o alle magliette «Made in Jail» che da oltre 20 anni sono il brand di Rebibbia a Roma. A Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), invece, esiste un mobilificio nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario: un'ala è adibita a laboratorio d'eccellenza, dove vengono realizzati arredamenti per banche, hotel e abitazioni, anche se il fiore all'occhiello è un divertente porta flebo per bambini. «Dal carcere può ripartire la speranza, è quello che vedo ogni giorno nel mio tour - conclude Massenzi -. Basti pensare a quello che succede a Locri, dove la cooperativa “Valle del Bonamico” occupa ex detenuti in un progetto di recupero di un maiale nero in via d'estinzione, mentre la carne verrà lavorata dalle donne vedove di ‘ndrangheta. E uno degli ex detenuti mi ha confessato che ora ha finalmente qualcosa in cui credere».

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20/09/2010 16:50

La rivoluzione della spesa "Basta con gli involucri"

I grandi magazzini Sainsbury's di Londra vendono i cereali in buste di plastica. E' la tendenza a risparmiare sul packaging: i prezzi scendono, si riduce l'inquinamento globale e la quantità di rifiuti da smaltire
MATTIA BAGNOLI

LONDRA
Care vecchie scatole di cereali addio. A prendere un bel respiro e consegnare alla storia uno dei simboli della tavola anglosassone è il gigante dei supermercati Sainsbury's. Che dopo un anno di test pilota, conti col pallottoliere, studi di mercato per capire se si rischiasse la rivolta dei clienti (ai britannici impressiona più sostituire il tradizionale doppio rubinetto del lavabo con il miscelatore, che il matrimonio gay) ha deciso di dare il via libera alla rivoluzione.

A partire da dicembre i cereali modello «classico» di Sainsbury's si troveranno solo in busta: l'ecologia lo chiede. E i clienti sono d'accordo. Senza contare che i costi della distribuzione scenderanno. Quindi tutti contenti. Tanto che, col tempo, l'intera gamma di cereali prodotti dal gigante dei supermercati, fatta eccezione per quelli a biscotto, che altrimenti si romperebbero, perderanno il contenitore rettangolare.

«Così si perde un'icona della prima colazione britannica - spiega Stuart Lendrum, capo del packaging di Sainsbury's - ma in questo modo risparmieremo cartone, spazi e ridurremo il nostro consumo di anidride carbonica». Nella grande distribuzione ogni piccolo dettaglio ha una grande ricaduta: i clienti useranno un minor numero di sacchetti di plastica perché il volume occupato dai cereali sarà ridotto. E anche il consumo di carburante dei camion scenderà visto che si potrà caricare più prodotto a ogni viaggio. Senza contare che per ciò che riguarda la sola linea «classic», i risparmi ammonteranno a più di 165 tonnellate all'anno. Vantaggi che hanno spinto Sainsbury's a rischiare. «La risposta dei nostri clienti alla novità introdotta nella linea Rice Pops, venduta per oltre un anno nella sola busta di plastica, è stata ottima - ha sottolineato Lendrum - perciò abbiamo deciso di procedere con gli altri prodotti».

Sainsbury's sta cercando di convincere altri grandi marchi produttori di cereali - uno su tutti, la Kellogg's - a seguire l'esempio. Ma è un tentativo andato a vuoto. Il colosso americano non ha intenzione, quantomeno nell'immediato futuro, di abbandonare la celebre scatola col gallo. «I nostri studi - ha detto al Times un portavoce dell'azienda - mostrano che i fiocchi si rovinano se non c'è la protezione di cartone. Inoltre le nostre scatole e le buste contenitive sono interamente riciclabili. Se si usa solo il sacchetto per impacchettare i cereali bisogna usare una plastica più spessa, più difficile da smaltire». E visto che ogni giorno i britannici consumano 2,8 milioni di scodelle di Kellogg's Corn Flakes non si tratta di numeri da poco.

Non è la prima volta che Sainsbury's decide di compiere una scelta «unilaterale»: anche il latte è stato sfrattato dalle confezioni di plastica per finire in buste sottili. «Eliminare le scatole dei cereali - conclude Lendrum - ci aiuterà a tagliare il packaging di un terzo entro il 2015».

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29/09/2010 17:13

Buste di plastica addio
I supermercati anticipano il divieto del Comune


Sacchetti «bio» già in uso anche se manca la delibera
ANDREA ROSSI
TORINO

Alle casse di Auchan da un pezzo distribuiscono soltanto buste biodegradabili. Stesso discorso al Pam, Carrefour, Bennet e Conad. Al Crai, invece, usano materiali riciclati. Eataly ci ha già pensato a marzo: via le buste, resta solo la vecchia sporta in tela. Non fa molta differenza. La sostanza è che nei supermercati e nelle grandi catene di Torino, ma sempre più spesso anche nei negozi, il sacchetto di plastica - quello che impiega quattro secoli a distruggersi - sta scomparendo, sostituito da buste prodotte con materiali meno inquinanti. E la metamorfosi sta avvenendo prima ancora che il Consiglio comunale abbia approvato la delibera predisposta dagli assessori comunali Tricarico, Altamura e Mangone che dovrebbe mettere definitivamente al bando gli shopper.

Torino è la prima città in Italia ad aver deciso di disfarsene. Lo prevede una direttiva europea, che dal primo gennaio 2010 vieta produzione e commercializzazione. L’Italia - tanto per cambiare - non si è ancora attivata per recepirla. Anzi, latita, prende tempo, invoca rinvii. Torino no: gli ingranaggi della macchina amministrativa hanno cominciato a muoversi la scorsa estate, elaborando un piano per eliminare gradualmente gli shopper. Quando il Consiglio approverà la delibera le buste in polietilene saranno vietate, non prima che supermercati e negozi esauriscano le scorte. Nei piani di Palazzo Civico ci sarebbe voluta qualche settimana. Invece no: le scorte - almeno nella metà degli ipermercati e dei supermercati torinesi - sono già esaurite. E, ovviamente, non sono state rinnovate. Le catene hanno già provveduto a mettere in circolo le borse “verdi”: biodegradabili, compostabili o in tela. Insomma, il mondo produttivo ha giocato d’anticipo. L’eliminazione degli shopper è già realtà.

L’assessorato all’Ambiente, insieme con quello alle Attività produttive, nei giorni scorsi ha effettuato un monitoraggio a campione in diversi punti della città. Su una quindicina di catene “ispezionate” soltanto sette avevano ancora sacchetti in plastica, e tutte si erano comunque già dotate anche dei nuovi materiali ecologici. «È il segno dello sforzo che il mondo del commercio si è accollato per venire incontro all’esigenza di ridurre l’inquinamento», dice l’assessore alle Attività produttive Alessandro Altamura. «I tavoli con le associazioni di categoria, la concertazione e la campagna di sensibilizzazione, anche dei clienti, hanno funzionato. E gli effetti cominciano a vedersi anche in negozi e mercati».

Ecco la vera sfida: la piccola distribuzione, più difficile da convincere, più parcellizzata. Il Comune ha lavorato con tutte le organizzazioni - dagli artigiani ai commercianti, dagli agricoltori alle piccole imprese - e lavorerà ancora nei prossimi mesi. «L’importante è che tutti partecipino», ricorda l’assessore all’Ambiente Roberto Tricarico. «a cominciare dai mercati rionali, che sono una risorsa. Sarebbe un peccato se i consumatori attenti all’ambiente dovessero virare solo sulla grande distribuzione perché la piccola continua a utilizzare gli shopper».

Di fronte ai riottosi a Palazzo Civico continuano a sfornare le cifre di un vero disastro ecologico: 400 sacchetti a testa consumati in un anno. Per smaltirne uno servono secoli. Le borse in «mater-bi», invece, sono biodegradabili in sei mesi dalla produzione. Per non parlare di quelle in cotone.

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06/10/2010 10:37

Una donna ed il figlio di tre anni, travolti dall’impeto delle acque del torrente Lerone, a Cogoleto, nel ponente di Genova, sono stati salvati da varie persone del posto che hanno fatto squadra e li hanno raggiunti e portati a riva. Non sono chiare le dinamiche che hanno portato madre e figlio ad essere travolti dal torrente in piena. Sarebbero sotto choc e fuori pericolo. Sono stati soccorsi anche da personale medico.

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Maltempo: Genova, madre e figlio salvati da polizia in appartamento allagatoGenova, 5 ott. - (Adnkronos) - Rischiavano di annegare, ieri pomeriggio, a Genova, una nigeriana e il figlio di un anno rimasti bloccati in un appartamento di via Campasso, invaso dall'acqua durante il nubifragio. Li hanno tratti in salvo i poliziotti, ieri impegnati nelle operazioni di soccorso soprattutto a Sestri, Sampierdarena e Cornigliano.

Subito dopo il salvataggio di madre e figlio, i poliziotti sono intervenuti in via Ariosto chiedendo l'intervento dei sommozzatori per tirare fuori una decina di auto rimaste sommerse dall'acqua e scongiurare il pericolo che all'interno degli abitacoli qualcuno rimanesse intrappolato.

Sempre nel pieno del nubifragio, un equipaggio della questura ha soccorso un dodicenne uscito da scuola che non riusciva a raggiungere la propria abitazione per l'allagamento delle strade. In serata, intervento della polizia in salita Lagorio, zona dove nel frattempo parte della perturbazione si era spostata, per una frana. A causa delle forti precipitazioni un muro di contenimento ha ceduto ed e' franato nel giardino di una casa, senza conseguenze per le persone.

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[Modificato da caf1one 06/10/2010 10:40]
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21/10/2010 13:54

E gli alpini aprono la via dello zafferano

Bulbi al posto dell’oppio: così i contadini non vanno con gli insorti
SERGIO MIRAVALLE
TORINO

Silvia Guberti è l’unico tenente donna del primo reggimento di artiglieria da montagna della brigata alpina Taurinense, di base a Fossano. E’ tornata in Italia dopo i sei mesi di missione in Afghanistan. Ha riabbracciato la figlioletta Ginevra e per festeggiare ha cucinato un risotto alla milanese. Molto speciale. Il profumo di spezia e il giallo oro dei chicchi di riso è merito dello zafferano afgano. Non è un semplice souvenir dalla missione. Anzi.

Quello zafferano rappresenta una scommessa di pace per dare un futuro meno incerto alle popolazioni agricole della regione di Heràt. E’ il territorio ad ovest di Kabul, ai confini con l’Iran, dove opera il contingente militare italiano. Su quelle montagne assolate i signori della guerra, impongono ai contadini la redditizia coltivazione del papavero da oppio, che poi viene raffinato e venduto all’estero ed è una fonte illegale di finanziamento di tutto il fronte degli «insorgenti», nome assegnato nel gergo militare al tutte le bande non solo quelle dei talebani.

Per opporsi a questa schiavitù dell’oppio è stato sviluppato il progetto zafferano, finanziato nell’ambito di un Prt (Provincial reconstruction team) che ha visto impegnati la cooperazione italiana allo sviluppo e gli alpini della brigata Taurinense. L’idea è questa: al posto dei papaveri da oppio sono state distribuite 60 tonnellate di preziosissimi bulbi di zafferano che quando fioriscono colorano di viola i campi. Dai pistilli di quei fiori inebrianti si ricava la polvere usata non solo in cucina, ma anche in cosmesi e medicina naturale. E’ un prodotto tipico afgano che finora non aveva mai trovato le vie dell’export internazionale.

Ora potrebbe non essere più così. Al Lingotto di Torino, che ospita da oggi a lunedì il Salone del Gusto ci sarà uno stand particolare. «E’ un segnale di attenzione e solidarietà verso quelle popolazioni» commenta Piero Sardo, il responsabile di Slow Food per i presidi internazionali.

Il tenente Guberti, con i caporali Venusia Fusco e Laura Fortunato e altri commilitoni del primo reggimento della Taurinense offriranno ai visitatori piccoli contenitori da un grammo di puro zafferano afgano, frutto del primo raccolto libero. Costerà otto euro a grammo e le prime confezioni sono stare già acquistate da una fondazione d’arte di Vigevano, grazie all’intervento del giornalista Rai Sandro Vannucci che ha curato un Dvd sull’intera operazione. «Sono arrivato in Afghanistan, pieno di dubbi, ho visto una realtà straordinaria, con i nostri alpini impegnati in operazioni di pace e solidarietà di grande respiro umanitario ».

I numeri aiutano a capire. Le coltivazioni di oppio nella provincia di Heràt erano stimate in oltre duemila ettari nel 2005 sono scese a meno di 500. Il prezzo che i talebani pagano ai contadini per avere l’oppio è di 3000 dollari ad ettaro, un piccola fortuna. Lo zafferano però vale ancora di più, almeno il triplo, ma per coltivarlo ci vuole sicurezza e condivisione della scelta.

Due camion di bulbi destinati ad una della province più lontane da Herat nelle settimane scorse sono stati attaccati, uccisi gli autisti e bruciato il carico. Gli alpini non sono dati per vinti. Nei villaggi più lontani, dopo gli incontri con i consigli degli anziani, i bulbi sono arrivati con gli elicotteri. A Gorian c’è una cooperativa di 480 donne che lo estrae dai pistilli. Gli ettari bonificati a zafferano sono saliti dai 16 del 2004 a oltre 300.

Sabato mattina il comandante della Taurinense generale Claudio Berto e il colonnello Emmanuele Aresu saranno al Salone del Gusto, con dieci giornalisti afgani, per raccontare il viaggio dello zafferano al sapore di pace.

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