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Nessuno investe più in Italia

Ultimo Aggiornamento: 03/01/2011 12:16
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03/01/2011 12:16

"Per fortuna che Silvio c'è"

PIAZZA PULITA A PIAZZA AFFARI

- UN 2010 DA DIMENTICARE PER LA BORSA ITALIANA, TRASCINATA GIÙ DALLA CADUTA DELLE BANCHE: L’INDICE MIB A -12% (SOLO GRECIA E SPAGNA, IN PIENO TRACOLLO, FANNO PEGGIO), 2 QUOTAZIONI A FRONTE DI 10 DE-LISTING

- GLI STRANIERI NON VOGLIONO PIÙ INVESTIRE NELLA RAGNATELA BLOCCATA DEL CAPITALISMO NOSTRANO

- I BIG COME BARILLA E FERRERO NON CI PENSANO NEANCHE A QUOTARSI, ALTRI FUGGONO ALL’ESTERO: BERTELLI PORTERÀ PRADA A HONG KONG…

Francesco Spini per "La Stampa"

Broker in crisi

A Piazza Affari, avanti di questo passo, toccherà cambiare nome. Altro che «affari»: se qualcuno avesse puntato mille euro sulla Borsa di Milano a inizio anno, ne avrebbe persi quasi 120, visto che l'indice principale, il Ftse-Mib, ha perso l'11,94%. È andata meglio che in Grecia (piegata dalla crisi) e in Spagna (dove imperversa anche una crisi bancario-immobiliare), ma peggio che in Portogallo (il paese candidato a seguire l'Irlanda nella richiesta di aiuti) dove il calo è del 6% e ovviamente di Parigi (-1,95%) e Berlino (+17%).

Cosa è successo alla vecchia Borsa Valori di Milano, poi Borsa Italiana, ora sotto il controllo della Borsa di Londra?

I grandi investitori hanno ipervenduto le banche un po' ovunque, sulla scia dei timori che i guai dei debiti sovrani dei paesi periferici le contagiassero. Ma se in Europa da inizio anno i titoli del credito perdono circa l'8%, in Italia (dove le banche hanno reagito alla crisi meglio che altrove) cedono qualcosa come il 27%. E siccome il loro peso nella capitalizzazione totale della Borsa milanese è del 21%, hanno tirato giù tutto.

Cattelan Milano foto Walter Rovere Borsa close

Basta questo a spiegare il mega flop di Milano? Secondo Paola Toschi, market strategist di Jp Morgan Asset Management, «al di là delle ragioni oggettive alla base del calo, ovvero il peso del settore finanziario sul listino, il mercato italiano è percepito come non particolarmente trasparente e non aperto agli investitori di minoranza. E in un periodo di scarsa visibilità, come quello attuale, tra gli investitori prevalgono atteggiamenti di prudenza».

La fuga del 2010 è dunque anche una fuga dai salotti che continuano a controllare grandi gruppi con un pugno di azioni. Un sistema all'estero è mal sopportato. E, in tempi di magra, scansato. Le logiche «che rendono opachi i processi decisionali di grandi gruppi finanziari» fanno sì che il mercato italiano «sia percepito anche come più rischioso», dice Toschi. Così dall'estero si limitano a escursioni rapide e possibilmente indolori nel listino tricolore: entrano la mattina, uscendone prima di sera.

Se infatti il 45% degli scambi giornalieri è fatto da intermediari esteri (si presume per conto di investitori stranieri), solo tra il 15 e il 20% della capitalizzazione vede la presenza stabile di azionisti d'oltreconfine. Con ciò nulla di male, dimostra però che l'Italia non è un posto dove, finanziariamente parlando, valga la pena di soffermarsi. Tutt'al più qualche gita, come turisti a Venezia. Non bastasse, fa notare Mario Spreafico, direttore investimenti di Schroders Italia, «le operazioni di concentrazione nel risparmio gestito hanno ridotto il peso dei fondi italiani a Piazza Affari, lasciando sempre più il pallino in mano ai portafogli esteri».

PATRIZIO BERTELLI, MIUCCIA PRADA

Questi però non hanno grandi motivi per fermarsi a Milano. Dove c'è «un listino - aggiunge Patrizio Pazzaglia, direttore area finanza di Bank Insinger de Beaufort - scarsamente rappresentativo, dove è difficile operare una reale diversificazione degli investimenti». 400 miliardi di capitalizzazione per 332 azioni quotate. Ma che non possono riflettere un tessuto economico che in Italia è ricco di Pmi spesso inadatte a soffriggere sui monitor delle sale operative.

Paolo Barilla - vicepresidente del gruppo di famiglia

Il risultato? «Abbiamo una forte esposizione al settore finanziario mentre sono meno presenti altri comparti più ciclici che hanno reagito meglio», fa notare Alessandro Stanzini, strategist di Banca Aletti. Insomma pesano molto i settori che sono andati male e poco quelli che hanno spinto di più. Tante banche, pochissimi farmaceutici, tante assicurazioni, pochi grandi industriali.

Quando qualcuno fa l'appello dei pochi grandi gruppi che potrebbero fare la differenza a Piazza Affari (ma se ne guardano bene) i nomi sono sempre quelli. Ferrero, Barilla, Esselunga... Prada presto risponderà alla chiamata. Ma con ogni probabilità non lo farà in Italia. Il patron della casa di moda, Patrizio Bertelli, è sempre più convinto di quotare la sua società migliaia di chilometri più a est, a Hong Kong.

Hong Kong

Di motivi ce ne sono da vendere: visibilità del marchio in un'area strategica, investitori col portafoglio gonfio. E poi una variabile tecnica da non sottovalutare: il 30% quotato sarebbe sottoscritto in quote rilevanti - secondo quanto prevede il regolamento di Hong Kong - dal pubblico, creando un effetto-scarsità per gli investitori istituzionali, i fondi. Il meccanismo, secondo le banche d'affari, permetterebbe alle quotazioni un premio del 20-30% rispetto a quanto accadrebbe sul mercato italiano.

Senza contare che la fame di Ipo che c'è in Asia consentirebbe a Prada di osare sul prezzo di quotazione, con multipli che da 10 volte il margine operativo lordo (così la valutazione in Italia) potrebbero passare a 12 volte. Borsa Italiana avrebbe tentato, nelle scorse settimane, di dissuadere Bertelli dalla scelta asiatica, presentando una propria offerta. Pare, però, con scarso successo.

L'indice crolla  [SM=x44522]

Milano sembra dunque condannata a vivacchiare, con le sue 2 nuove quotazioni sul listino principale (più 8 tra Aim e Mac) registrate nell'anno, a fronte di 10 addii. Nemmeno i mercati obbligazionari sono più una certezza: i listini alternativi soffiano sul collo. «Nel 2007 - dice Luigi Campa, responsabile della business strategy di EuroTlx, partecipata di Unicredit e Intesa Sanpaolo - avevamo una quota di mercato del 14%, oggi siamo già al 45%».




Fonte: Francesco Spini per "La Stampa" Link

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Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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