Aran. L'Irlanda che più verde non si può

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killing zoe
00sabato 17 marzo 2012 22:32
Si arriva e quasi si fa fatica a capire dove ci si trova. Nell'aria risuona una parlata strana che si confonde con il vento. Scattante e allo stesso tempo melodiosa, sembra ammantare di poesia ogni parola. È il suono del gaelico, l'antica lingua dell'Irlanda (proprio delle "aeree Gaeltacht", i paesi del Celti), ancora viva e parlata a Inishmore, la più grande delle tre isole Aran. (l'arcipelago delle Aran, Oileain Arann in gaelico, si trova a circa cinquanta chilometri al largo di Galway e ne fanno parte, Inishmore, Inishmaan, Inisheer, in ordine di grandezza).
Una leggenda racconta che, un tempo, la baia era un grande lago, il Loch Lurgan. Quando le sue rive si sono erose, sono rimaste le tre isole Aran a fare da barriera alle onde dell'Oceano Atlantico. Di fatto le isole sono una parte emersa dell'altopiano calcareo del Burren (si possono raggiungere con il servizio di navi, Aran Island Ferries).
Arrivare a Inishmore è come fare un tuffo nel passato. E non solo per la lingua ufficiale, l'unica che conoscono gli anziani (anche se per rivalutarla e farla conoscere ai giovani ci sono lezioni nelle scuole, corsi di aggiornamento e persino la messa viene detta in gaelico). Ampi spazi incontaminati e poca gente. Circa ottocento abitanti (Kilronan è l'unico centro abitato dell'isola), fieri della loro storia, delle loro tradizioni. Persone ospitali che sono soliti salutare con un cenno del capo o alzando tre dita della mano, quasi per benedire, proprio come facevano gli antichi monaci che qui si rifugiarono a meditare in cerca di silenzio e spiritualità. Perché questa è anche l'isola del silenzio. Ci si muove a piedi (in bicicletta o con i pulmini turistici; il fatto di non poter portare l'auto contribuisce ad immergersi nell'atmosfera fuori dal tempo di queste isole) e gli unici rumori sono i passi (o le ruote sul selciato) e il vento che "sbatte" sull'intreccio di muretti di pietra a secco (ce ne sono ben 12 chilometri su un'isola lunga 14,5 chilometri) che qui disegnano strade e confini.
Quasi smarriti, dinnanzi a questo paesaggio lunare, si arriva a Dún Aenghus, una fortezza di pietra, una delle meglio conservate in Europa, situata a picco, per oltre 100 metri d'altezza. Il suo nome? Deriva da quello di un eroe della letteratura gaelica medievale. È costituita da mura concentriche, con la pianta simile ad un ferro di cavallo, ed un lato aperto proprio sullo strapiombo. Sembra di essere sospesi tra cielo e terra, guardando in giù, verso l'impressionante dirupo perfettamente in verticale sull'Oceano Atlantico.
Un angolo tra i più affascinanti e misteriosi d'Europa. Non si può immaginare null'altro che questa architettura (risale all'età del ferro e pare sia stata abitata fino al V secolo). E, questa volta, ad interrompere il silenzio è solamente il rumore delle onde che s'infrangono lungo la roccia. La gente del luogo è convinta che questi forti, in realtà, fossero dei "cerchi fatati" dove le fate (uguali nelle sembianze agli uomini ma proiettati in un mondo parallelo) si riunivano per danzare. Se per sbaglio si capitava in una di queste feste, si finiva per essere rapiti. Non sono in pochi a credere ancora a queste superstizioni (basti pensare che nessuno tocca gli alberi dei biancospini perché ritenuti cari alle fate) ed è stato proprio questa forma di rispetto ad aver salvaguardato questi monumenti megalitici. Avvolta da magia è l'oasi leggendaria chiamata "Hy Brasil". Si credeva abitata dai Santi ed eroi ma in realtà non esiste, anche se guardando di fronte, verso le onde, si ha ha la sensazione di veder sbucare un piccolo massiccio montuoso.
Sull'isola ci sono altre costruzioni che spiccano per la particolare collocazione: Dùn Dubhchathair, il forte nero, costituito da un solo grande muraglione che isola un braccio di roccia circondato dal mare e i resti del complesso monastico Teampall Breachain, o delle "Sette Chiese", anche se, in realtà, le chiese sono solamente due (le altre strutture appartenevano ai monaci dominicani), tra croci e lapidi di un cimitero che racchiude le vicende degli uomini scomparsi in mare.
Per portare via un ricordo del territorio, vale una sosta l'Aran Sweater Market & Museum, dove si trova la lana ecrù non tinta, dall'odore forte, utilizzata per la lavorazione dell'Aran Sweater, il caldo maglione che porta il nome di queste isole. Diverse le fantasie come a nido d'ape, a scala, a diamante, ad albero della vita: i punti utilizzati hanno un significato simbolico (ad esempio il "punto rombo" ricorda i piccoli campi circondati da muretti in pietra, quello ad "albero della vita", esprime l'unità della famiglia), ma il più delle volte si rifanno ai nodi usati dai pescatori per legare le barche. Un tempo ogni trama distingueva una famiglia. In caso di naufragio, un cadavere poteva essere riconosciuto anche dopo molti giorni, proprio grazie al maglione.
Alla sera, infine, tappa d'obbligo in uno dei pub, i luoghi dove si sente maggiormente parlare gaelico, qui dove la gente si ritrova per ascoltare musica, scambiare due chiacchiere con l'immancabile pinta di birra, scelta tra la bruna Guinnes, la rossa Smith Wick's o la bionda Harp, o un bicchiere di whiskey (tassativamente con la e). Tra il rumore dei bicchieri, è un continuo rincorrersi di "Sláinte", alla tua salute. Ovviamente in gaelico.



di Isa Grassano
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