Basta con le telefonate

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Etrusco
00giovedì 11 settembre 2008 15:46
telemarketing
IL FOCUS
Stop alle telefonate. E a 30 mila posti
Telemarketing, gli effetti del blocco del Garante. Il consenso (discusso) di 15 milioni di italiani


Questa volta è veramente dura prendere posizione: da una parte ci sono ancora loro, gli «schiavi » del neo-fordismo tecnologico, i lavoratori dei call center microfono, cuffietta e contratto talvolta precario nel cassetto. Insomma, quelli del film di Paolo Virzì finiti sotto le grinfie della Ferilli in versione Crudelia De Mon per intenderci. Dall’altro, però, ci siamo noi: che per una firma magari strappata con l’inganno di fronte a un supermercato, in una banca o chissà dove (qualcuno si ricorda quando ha dato l’autorizzazione a trattare i propri dati personali?), ora dobbiamo subire quelle chiamate di telemarketing che giungono, per sfiga astrale, sempre nel momento peggiore della giornata. Banda larga sì, banda larga no. Servizi di Iptv. Nuovi contratti telefonici ed energetici (magari anche più economici del precedente).

Rinnovo degli abbonamenti alle riviste. Ma anche altro. La lista è infinita (e peggiora). E, dunque, perché non emettere un bel sospiro di sollievo di fronte alla decisione del Garante della privacy di farla finita con le telefonate fatte partendo da una lista di 15 milioni di italiani che quel consenso non lo avevano dato o a cui era stato richiesto in maniera tutt’altro che trasparente? Prima di tutto perché con la decisione sacrosanta dell’authority il mercato del telemarketing, antipatico e geneticamente aggressivo, secondo le stime dell’Assocontact, l’associazione del settore affiliata a Confindustria, rischia di perdere 30 mila posti di lavoro. Numeri che vanno analizzati e spiegati ma che, in ogni caso, anche dopo la giusta vivisezione rischiano di far impallidire la discussione sugli esuberi dell’Alitalia, il caso del momento.

Secondo perché siamo proprio sicuri che dopo questa decisione non sentiremo più squillare il nostro telefono? «Le attività dei call center che lavorano in outsourcing, cioè a cui le aziende esternalizzano le chiamate da fare — spiega Alberto Zunino, direttore di Assocontact — occupano circa 70 mila persone in Italia. Di queste poco meno di metà lavorano sul cosiddetto inbound, cioè rispondono alle chiamate fatte dagli stessi clienti. Il resto, tra i 35 e i 40 mila sono invece impegnate nell’outbound, in poche parole il telemarketing, telefonate fatte a nome dell'azienda a fini commerciali. Ora, partendo da questi numeri stimiamo che circa il 70-75% di questa attività subirà un forte impatto dalla decisione presa».

È un mercato popolato da decine di imprese che rispondono alle richieste di sempre maggiore flessibilità che arrivano da parte delle aziende con punte in concomitanza con il lancio di nuovi servizi. E in alcuni casi il telemarketing non è il core business. Ma le principali sono Almaviva, Comdata, Omnianetwork, Teleperformance (la prima azienda del settore nel mondo, con base a Parigi), CalleCall, Gruppo Visiant, Phonemedia, Transcom, Telic e Allmedia Group. A sottolineare l’importanza del passaggio c’è anche una stima dei gruppi minori di tlc secondo la quale senza l’attività di telemarketing la capacità delle aziende di entrare nel mercato della banda larga si ridurrebbe anche del 25%. Zunino specifica correttamente che buona parte di queste persone hanno dei contratti part-time, perché per ragioni commerciali le telefonate rivolte alle famiglie vanno concentrate in due fasce orarie: quella principale che va dalle 18 alle 21 e quella secondaria che va da mezzogiorno alle 15 quando qualcuno torna a casa. Insomma, tradotto in termini di ore lavorative, i 30 mila non corrispondono a 30 mila posti di lavoro full time. E andrebbe considerato inoltre che una fetta di queste persone è rappresentata da studenti universitari o comunque persone alla prima esperienza lavorativa che — si spera — riusciranno a crescere professionalmente anche spostandosi in altri settori. Anche se da un altro punto di vista, proprio perché part-time sono posizioni più fragili delle altre. Un mercato importante, dunque.

Costretto spesso a lavorare sottotraccia, aspettando le commesse dalle grandi aziende. Ma che si è conquistato una posizione e, soprattutto, che è figlio delle norme e delle regole introdotte in Italia con la legge sulla privacy. Secondo molti, si trascina proprio da quella scelta un piccolo peccatuccio originale. Lo spartiacque è il 2005. Prima c’era il caos primordiale e la raccolta selvaggia di dati. Dopo una situazione ben definita con un database risultato di una fatica erculea: nel 2005 25 milioni di famiglie italiane ricevettero i moduli per dare il proprio consenso ad entrare nella lista di persone contattabili a disposizione di tutte le aziende. Ma solo il 3%, secondo gli ultimi aggiornamenti disponibili, diede il proprio assenso pieno per ricevere telefonate commerciali: 750 mila. Da questo l’importanza delle liste di circa 15 milioni di persone precedenti al 2005 vendute da Consodata del gruppo Seat Pg, da Ammiro Partners e da Telextra e ora bloccate, con il rischio di sanzioni anche penali, dal Garante. Peraltro l’accusa è pesante: i dati erano stati raccolti in maniera «selvaggia».

«Se qualcuno vuole entrare in casa nostra—ha commentato il relatore Mauro Paissan — deve bussare.
Così, se qualcuno vuole chiamarci per vendere un prodotto o un servizio, deve avere il nostro consenso per usare il nostro numero telefonico. Il Garante vuole difendere i cittadini che si sentono molestati da telefonate non desiderate. In questo modo si tutelano anche gli operatori di telemarketing che si comportano correttamente». Il provvedimento ne ha anche vietato l’utilizzo da parte delle società che avevano acquistato questi dati (Sky Italia, Wind, Fastweb e Tiscali). Ed ecco che il cerchio sui 30 mila si chiude: non potendo più usare quei dati le società non potranno più usare i canali in outsourcing per raggiungere nuovi clienti. I malumori che si registrano nei toni degli altri operatori sono sempre gli stessi, tre anni fa come oggi dopo la decisione del garante: alla fine, nei fatti, ad uscirne favorita è sempre l’ex monopolista Telecom Italia che può fare riferimento sul parco clienti che aveva dato il proprio assenso in qualche maniera (non era previsto come ora un fax) prima del 2005. E, ormai, anche Vodafone Italia, che può far saldamente riferimento agli oltre 30 milioni di clienti-sim del mobile.
Infatti, unica deroga, ogni operatore può chiamare un proprio cliente che ha già un servizio attivato per proporgli un upgrade, un aggiornamento, e dunque un nuovo servizio.

Massimo Sideri
msiderei@corriere.it
11 settembre 2008

Corriere della Sera

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