E si può fare di meglio!
UN'IDEA DI GIOVANI CREATIVI MILANESI
La «solarschiscetta»: cestini-pranzo con la forza del Sole
Scatole di cartone ondulato ricoperto da alluminio che riscaldano gli alimenti
La «solar-schischetta»
MILANO - Usare le tecnologie del Terzo mondo nei Paesi avanzati per inquinare meno. È quello che hanno pensato due giovani creativi italiani, inventando contenitori scaldavivande che funzionano nello stesso modo dei rudimentali fornelli solari africani. Cestini per il pranzo a bassissima tecnologia, composti da cartone ondulato ricoperto da alluminio che riscaldano gli alimenti soltanto grazie al sole e alla base nera per accumulare il calore presente nella scatola. Un’idea semplice, venuta ai ragazzi del piccolo studio milanese NormaleArchittetura osservando il quotidiano. In modo particolare la pausa pranzo. Individuando non solo una diffusione crescente delle cosiddette lunch box, ma anche una consuetudine parallela, ovvero quella dell’usa e getta. «I nostri contenitori», spiega Chiara Filios, ideatrice insieme a Arnaldo Arnaldi del progetto, «sono stati pensati per un utilizzo plurimo e non per essere buttati dopo una sola volta. La schiscetta solare, infatti, resta sempre la stessa. Perché i cibi vengono riscaldati dentro appositi sacchetti di carta reperibili in tutti i supermercati, che vanno cambiati di pasto in pasto».
SCHISCETTA SOLARE – Evocativo, oltre al sistema di cottura basato sui raggi solari, anche il nome scelto dai ragazzi per chiamare il nuovo contenitore portavivande. «La schiscetta», racconta Chiara, «è nata in Italia negli anni Cinquanta per rispondere ai bisogni sia economici che pratici dei lavoratori. Un termine che proviene dal dialetto lombardo ma che, in tutto il mondo, si è replicato sotto altri nomi. Dalla lunch-box dei Paesi anglosassoni fino alla bento box giapponese. Ed è normale, visto la crisi in cui viviamo, che in questo momento le persone scelgano di portarsi il cibo da casa piuttosto che consumare il pasto in un ristorante».
La solar-schiscetta
COTTI E MANGIATI – Tantissimi, del resto, i cibi che possono essere riscaldati dentro la schiscetta solare. Dalla pasta alla carne, fino alla pizza. «Per riuscire a capire se l’idea avrebbe funzionato», spiega Filios, «abbiamo fatto centinaia di esperimenti. Soprattutto per capire i tempi di cottura dei vari alimenti. Per scaldare la pasta precotta, per esempio, ci vogliono circa dieci minuti. Mentre, ci vuole un po’ di pazienza in più per cuocere bene la carne». Per farla bella calda, infatti, occorrono circa una quarantina di minuti. Un tempo, comunque, in cui non è necessario fare niente se non aprire la scatola, lasciare gli alimenti dentro al sacchetto e aspettare che i raggi del sole facciano tutto il resto. «Adesso», anticipa Filios, «il prossimo passo sarà lavorare su un indicatore che segnali il giusto livello di riscaldamento dei cibi. Niente di tecnologicamente complesso, per non perdere di vista la filosofia con cui è nato il nostro scaldavivande. Ad esempio, stiamo pensando di trovare un modo di far cambiare il colore dei lacci dei sacchetti: portandoli da azzurri a rossi a cottura ultimata».
PRODURRE UNA BUONA IDEA – Difficile che una buona idea come quella inventata da Chiara e Arnaldo riesca a sfuggire agli organi d'informazione. «Da quando l’abbiamo presentata», raccontano gli ideatori, «ci hanno chiamato subito molte radio per andare a parlarne». Un successo talmente immediato da spingere i due inventori a fare una prima produzione di 6 mila pezzi. «In verità», conclude Filios, «si tratterà di una vera e propria autoproduzione perché vogliamo controllare bene tutte le fasi del progetto e distribuire il primo lotto in Italia. Dopo, in caso si riuscisse a trovare l’accordo giusto, penseremo a una produzione anche per l’estero, partendo dal Nord Europa».
Carlotta Clerici
Corriere della Sera