Dal porcospino le nuove graffette chirurgiche

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killing zoe
00domenica 23 dicembre 2012 18:26
Copiare i compiti dal vicino o un lavoro dal collega non è mai stato un gesto nobile e utile. A meno che l’oggetto non sia la natura e a farlo non siano alcuni ricercatori che analizzano le strutture superficiali e nanometriche del mondo animale e vegetale per riproporre alcune caratteristiche vincenti in oggetti del nostro quotidiano o in sofisticate strumentazioni medico-scientifiche. «Spesso in natura troviamo materiali multifunzionali dalle proprietà tuttora irraggiungibili coi nostri materiali ingegneristici», commenta Nicola Pugno, ingegnere e fisico e fondatore del Laboratorio di nanomeccanica bioispirata Giuseppe Maria Pugno al Politecnico di Torino e attualmente professore ordinario all’Università di Trento, «per questo è importante studiarle e replicarle, in modo da trasferire queste multifunzionalità in un materiale ingegneristico bio-ispirato».

ISPIRAZIONI - È il caso della ragnatela, sia tenace - quindi in grado di assorbire energia grazie alla sua deformazione - sia resistente, o delle zampe del geco: «Dopo alcuni utilizzi di un nastro adesivo vi si attacca polvere e sporcizia», spiega Pugno, «mentre in natura esistono strutture, come le zampe del geco, che aderiscono e si auto-puliscono allo stesso tempo». È proprio per la sua doppia capacità di penetrare con facilità e fuoriuscire con difficoltà che la struttura dei 30 mila aculei dall’istrice nordamericano (Erethizon dorsatum) ha incuriosito i ricercatori dell’Harvard Medical School di Boston e del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge.

SFIDA - Il team di ricerca, guidato dall’ingegnere biomedico Woo Kyung Cho, dopo aver scoperto che questi «aghi» sono ricoperti di scaglie microscopiche con struttura a uncino, ha quindi iniziato a studiare le forze fisiche che caratterizzano il processo di ingresso e uscita degli aculei dai tessuti di predatori e curiosi. «Il concetto di uncino», chiarisce Pugno, «è in realtà noto da tempo, basti pensare all’amo da pesca o meglio al pungiglione delle api, la cui struttura a seghetto impedisce al pungiglione di uscire dopo essersi conficcato nella nostra pelle». La sfida consiste nel trasferire le conoscenze in modo intelligente, «senza limitarsi a copiare ciò che vediamo, ma ottimizzando le nanostrutture in funzione degli obiettivi», commenta Pugno.

UNCINI - La presenza di queste scaglie uncinate permette, come hanno dimostrato gli esperimenti pubblicati su Pnas, di ridurre la forza necessaria per la loro penetrazione nei tessuti: per infilzare la pelle del maiale basta metà della forza utilizzata con aculei senza uncini. Viceversa, quando i ricercatori hanno provato a rimuovere gli aghi dal campione di tessuto, si sono resi conto che gli aculei uncinati richiedevano una forza quattro volte superiore rispetto agli aculei lisci. Questo perché quando l’aculeo entra, le scaglie uncinate localizzano tutta la forza in piccoli punti, come avviene quando usiamo un coltello seghettato. Quando invece proviamo a tirare indietro l’aculeo, gli uncini oppongono resistenza, si aprono e quindi si incastrano nel tessuto, impedendogli di uscire.

SOLUZIONI - A questo punto i ricercatori hanno quindi copiato questa caratteristica in campo medico sanitario, riproducendola nella costruzione di quelle particolari graffette chirurgiche – chiamate Agrafes – utilizzate per suturare le ferite, o in tutti quei dispositivi che devono essere introdotti nei tessuti con poca forza, per evitare lacerazioni e quindi eventuali infezioni. Ma come risolvere il problema della loro fuoriuscita? «Si può per esempio progettare ad hoc la seghettatura», spiega Pugno, «in modo che permetta ingresso e uscita controllati, si può ipotizzare di far uscire le graffette in pochi giorni in modo naturale, oppure si può utilizzare un materiale che sia riassorbibile dall’organismo».



di Eleonora Maria Viganò
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