Hi tech, l'Agenda Digitale

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Etrusco
00martedì 10 maggio 2011 13:28
quel che B. non dice
di Fabio Chiusi

L'Italia è tra i pochissimi Paesi al mondo a non avere un progetto per lo sviluppo della Rete. Indispensabile a ogni economia moderna.
3 mesi fa un gruppo di esperti aveva lanciato un appello. Il presidente del Consiglio ha fatto spallucce.
Forse perché gli interessa solo la tv


(09 maggio 2011)

Secondo un recente studio del Boston Consulting Group, la internet economy italiana vale 31,6 miliardi di euro, il 2% del Pil. Ma la cifra è destinata a raddoppiare entro i prossimi 5 anni.

Si capisce, dunque, come per il Paese possedere un'agenda digitale – cioè un piano per lo sviluppo della Rete - non sia indifferente. «Eppure manca una visione di insieme, un progetto».

E' l'amministratore delegato di eZecute.com Peter Kruger, uno dei primi firmatari dell'appello per far ripartire l'Italia da internet lanciato a fine gennaio su agendadigitale.org, a spiegare a "l'Espresso" che l'iniziativa ha raccolto tante promesse individuali, ma non una risposta organica da parte della politica. Tuttavia ce ne sarebbe estremo bisogno: come rivela un dossier dell'International Communication Union, l'Italia è l'unico paese al mondo, insieme con Libia e Somalia, a essere priva di un piano strutturato di intervento. Un centinaio, tra esperti del settore, esponenti dell'imprenditoria e della società civile, ha provato a porre rimedio all'emergenza chiedendo risposte alla politica entro 100 giorni. Ora il tempo è scaduto.

Certo, ci sono gli oltre 22 mila firmatari e 12 mila iscritti alla pagina Facebook; ci sono le manifestazioni di interesse e disponibilità bipartisan: da Paolo Gentiloni, Pd, a Mario Valducci, Pdl, passando per Pier Ferdinando Casini, Linda Lanzillotta e l'eterno transfugo Luca Barbareschi; e c'è la promessa di collaborazione del ministro Renato Brunetta. Ma solo in pochi casi si è andati oltre alle buone intenzioni. «Non possiamo parlare del futuro della sostenibilità delle pensioni, per esempio, senza affrontare in modo deciso e il tema dello sviluppo tecnologico», dice Kruger. Del resto «lo fanno tutti i paesi avanzati, e da dieci, addirittura vent'anni, come in Israele. Noi non abbiamo neanche iniziato». E questo nonostante gli esempi di Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti, Corea del Sud, Giappone, Cina. Tutti paesi che affrontano il tema in modo organico da un decennio. E da noi? «Dieci anni fa o più avevamo una penetrazione di Internet di tutto rispetto rispetto al resto d'Europa. Da allora a oggi c'è stata crescita, ma in relazione a quanto è successo negli altri paesi è stato un tracollo».

Per porvi rimedio ci sarebbe già una traccia: l'agenda digitale europea. «Non è solo un elenco di azioni da intraprendere per rendere l'Europa più competitiva e democratica», dice Juan Carlos De Martin, docente al Politecnico di Torino e tra i sostenitori dell'appello, «rappresenta anche un importante salto di qualità concettuale. Aver, infatti, posto sotto un'unica regia tutti i vari filoni del digitale, dalle infrastrutture ai contenuti, dallo spettro elettromagnetico agli open data, è la scelta a giusta a tutti i livelli - dall'Europa ad una singola città - per cogliere appieno le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale». Ma in Italia non è accaduto nulla di tutto ciò. Da cui l'urgenza dell'iniziativa per l'agenda digitale.

A cui il presidente del Consiglio non ha ritenuto di dover dare alcuna risposta. Lasciando così il compito di far fronte alle istanze dei firmatari, ma anche e soprattutto del Paese, alle iniziative dei singoli ministeri. Tra cui quello dello Sviluppo Economico, che non ha gradito particolarmente la sollecitazione, definendola prima «contraddittoria e incomprensibile», e poi accampando l'esistenza di un piano per il digitale ufficialmente datato il 15 dicembre, ma in realtà vergato il 2 febbraio, cioè dopo l'appello. Così, tra parole di circostanza, silenzi – di tomba quello della Lega - e polemiche, la maggioranza non ha sfruttato l'occasione di confrontarsi con i rappresentanti di un mondo che continua a non incentivare come dovrebbe.

Nell'opposizione, invece, qualche buona eccezione non manca. La proposta del Pd, per esempio, è leggibile in rete da febbraio. E quella dell'Udc, grazie anche al lavoro del deputato Roberto Rao, lo sarà presto. Simili i contenuti di fondo: potenziamento delle infrastrutture, net neutrality, lotta al digital divide e alfabetizzazione informatica dei cittadini. Le voci di Italia dei Valori, Sinistra e Libertà e Movimento 5 Stelle non si sono invece fatte sentire. Un po' per gli interventi a macchia di leopardo della politica, un po' perché «non c'è stata una trasmissione di Porta a Porta o Ballarò», commenta Kruger, un tema così importante ha finito per non fare breccia nell'opinione pubblica. Con il rischio che, come con le promesse di liberalizzazione del Wi-fi dei mesi scorsi, non appena abbassata la guardia il legislatore torni a fare danni.

De Martin, tuttavia, invita a considerare il triplice livello di lettura dell'iniziativa: l'adeguamento all'agenda europea, il carattere nazionale del dibattito e gli interventi locali. Piano su cui forse la sortita ha avuto maggiori effetti. A Torino, per esempio, dall'iniziativa è nata torinodigitale.it: sei obiettivi, tra cui Internet come diritto della cittadinanza, software libero e open data per le amministrazioni pubbliche, copertura con reti senza fili dell'80% dei torinesi in cinque anni. E dieci domande per i candidati sindaco delle prossime amministrative. Che rispondendo - e il solo candidato del centrodestra, Michele Coppola, ha ripetutamente ignorato l'appello - si impegnerebbero a prendere sul serio il digitale. Sarà un caso ma neanche due settimane fa il capoluogo piemontese ha approvato «la prima legge italiana a sostegno del Wi-fi libero e gratuito», osserva De Martin. Ma se a Milano, Napoli e in Basilicata sembrano sorgere analoghe richieste, l'obiettivo strategico è ben più ambizioso: «Stiamo chiedendo a tutti i candidati sindaco di nominare, una volta eletti, una figura di coordinamento di tutte le politiche digitali, che riferisca almeno una volta all'anno al consiglio comunale e alla cittadinanza».

L'esperienza di un'altra città, Bologna, fa pensare che la strada da percorrere sia tanta. Anche qui, in sintonia con l'iniziativa di agendadigitale.org, è nato un appello per l'open government, OpenBologna. «Ma tra tutti i candidati sindaci», spiega la docente di sociologia e prima firmataria Laura Sartori, «hanno risposto soltanto quello del Pd, Virginio Merola, e i due rappresentanti di liste civiche».

Silenzio invece dal leghista Manes Bernardini e, sorprendentemente, «perfino del grillino Massimo Bugani». E anche nel caso delle adesioni la firma non si è tradotta, come chiesto da Sartori, in un confronto pubblico sul digitale con i rivali. Un problema riscontrato per la verità anche a Torino, come spiega il blogger Fabio Malagnino. La virtù dei singoli, dunque, non basta: serve uno sforzo collettivo, e che in particolare scendano in campo anche sindacati e Confindustria.

Emma Marcegaglia, presidente di viale dell'Astronomia, si è detta interessata ad approfondire
, e ha dato disponibilità per aprire un tavolo il 13 giugno. E' un piano inclinato, dicono i proponenti dell'agenda digitale, e la pallina ha iniziato a rotolare. «Difficile alle prossime elezioni politiche non ne possano tenere conto», concludono. Anche perché il prossimo passo sarà la proposta di contenuti. Presto, tuttavia, per dire quali: «Vogliamo che l'agenda venga dal confronto», precisa Kruger. «Quel che è certo è che la storia non si chiude qui».

espresso.repubblica.it/dettaglio/hi-tech-il-silenzio-di-b/21...
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 01:48.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com