I delfini sono svegli anche quando dormono

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killing zoe
00venerdì 2 novembre 2012 10:33
I delfini sono vigili anche quando dormono: per poter respirare, affiorando in superficie, e monitorare l’ambiente circostante, evitando incontri ravvicinati con predatori affamati. Secondo una ricerca pubblicata su PlosOne, l’importanza di non abbassare mai la guardia può aver giocato un ruolo determinante nell'evoluzione di questo comportamento. I delfini, infatti, dormono con una sola metà del cervello alla volta e un occhio aperto. Hanno, cioè, sviluppato quello che viene definito «sonno uniemisferico alternato»: quando un emisfero cerebrale mostra il tracciato elettroencefalografico tipico del sonno, l’altro emisfero presenta quello della veglia, e viceversa.

SENTINELLE INSTANCABILI - Dallo studio, condotto da Brian Branstetter della National Marine Mammal Foundation, è emerso che i delfini possono rimanere all'erta fino a quindici giorni consecutivi, senza alcun segno di affaticamento. Questi maestosi animali sono dunque sentinelle incrollabili. E, anche mentre dormono, riescono a scandagliare l'ambiente con i loro biosonar. I delfini, infatti, sono animali ecolocalizzatori: emettono cioè dei suoni (clic) e, ascoltando gli echi di ritorno che rimbalzano da ciò su cui si imbattono, possono individuare e stimare la distanza di oggetti, prede e predatori. A causa della visibilità scarsa nelle acque marine, l'ecolocalizzazione è fondamentale infatti per orientarsi, cercare il cibo o scampare a eventuali pericoli.

SAY E NAY - Lo scienziato ha testato la capacità di due delfini della specie Tursiops truncatus, Say (una femmina di 30 anni) e Nay (un maschio di 26), nel monitorare l’ambiente circostante attraverso l'ecolocalizzazione e segnalare la presenza di oggetti. Dopo cinque giorni dall’inizio dell’esperimento, condotto nella baia di San Diego in un recinto galleggiante, i due animali erano attenti e in grado di rilevare con successo presenze estranee nel loro ambiente (in realtà si trattava di presenze simulate, ottenute dalle registrazione degli impulsi di ecolocalizzazione emessi dai delfini e dalle registrazioni degli impulsi di risposta modellati su un reale bersaglio fisico). In particolare le prestazioni di Say sono state impeccabili anche dopo quindici giorni: anche dormendo, è riuscita a monitorare l’ambiente circostante, mantenendo un comportamento vigile attraverso l'ecolocalizzazione. «Non sappiamo per quanto tempo ancora avrebbe potuto eseguire correttamente il compito, ma in 15 giorni non ha mai perso un colpo», sottolinea Branstetter, secondo il quale le migliori prestazioni della femmina sono riconducibili a una maggiore esperienza (Say aveva partecipato a due precedenti studi, mentre Nay solo a uno) ma anche alla motivazione: «Say sembrava essere altamente motivata ​​e desiderosa di partecipare a questo studio: produceva spesso strilli di vittoria ogni volta che individuava un target positivo». Insomma, i delfini hanno una capacità estrema di controllare costantemente il proprio ambiente per giorni e giorni, senza interruzione. «Del resto», spiega il ricercatore, «se dormissero come gli animali terrestri, potrebbero annegare, non riuscendo a nuotare e ad affiorare in superficie per respirare. E se abbassassero la guardia durante il sonno, sarebbero facili prede. È una questione di sopravvivenza». Non a caso, i delfini scelgono in modo selettivo il loro habitat, preferendo quelli dove la presenza di squali è più bassa, e tendono a muoversi in gruppi più numerosi se ci sono troppi squali nei paraggi, perché più efficace sarà il rilevamento del pericolo in agguato.

PERICOLI IN MEZZO AL MARE – Non sono però solo gli attacchi degli squali a mettere in pericolo i delfini. I 100 milioni di tonnellate di plastica dispersa in mare alterano l’ecosistema e fanno inevitabilmente pesare la loro presenza sugli organismi marini. Anche nell’area protetta del Santuario dei cetacei, lingua di Mediterraneo che si estende fra Toscana, Sardegna settentrionale, Liguria e Costa Azzurra, la presenza di microplastiche è allarmante: il valore medio di 0,62 particelle di microplastica per metro cubo è simile a quello riscontrato nelle isole di spazzatura che galleggiano nell’oceano Pacifico. Secondo una ricerca condotta all’Università di Siena, le microplastiche impattano pesantemente sul plancton e quindi, a cascata, sugli organismi marini. In particolare, è emerso che la balenottera comune, specie a rischio di estinzione, è contaminata in modo preoccupante dagli ftalati, i derivati più nocivi della plastica che hanno la capacità di interferire sulle capacità riproduttive. I ricercatori, coordinati dalla professoressa Maria Cristina Fossi, hanno provato che gli ftalati presenti nel plancton vengono metabolizzati e possono avere effetti tossici sui cetacei. Ne hanno rilevato, per esempio, alte concentrazioni nell’adipe sottocutaneo di quattro balenottere comuni su cinque ritrovate spiaggiate lungo le coste italiane.



di Simona Regina
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