La Ue dichiara guerra
al mito della Nutella
di CARLO PETRINI
Si tranquillizzino il Nanni Moretti di "Bianca", Walter Veltroni e tutti gli altri nutelliani d'Italia. La Nutella non diventerà mai fuorilegge. Sono sicuro che non me ne avrà il vicepresidente del Gruppo Ferrero, Francesco Paolo Fulci, che ieri ha lanciato l'allarme dopo il voto del Parlamento Europeo sull'etichettatura dei prodotti dell'industria alimentare.
Perché se il suo presagio dovesse avverarsi sarebbe un po' come se con tutte le polemiche sulle intercettazioni alla fine mettessero fuorilegge i telefoni cellulari.
Vorrei ricordare al manager dolciario un motto che in Piemonte abbiamo elevato a filosofia di vita: "Esageruma nen", non esageriamo. La sua dichiarazione è esagerata e inverosimile. Anzi, tradisce un sorprendente disappunto per quella che alla fine, per l'industria alimentare europea, ieri è stata una vittoria. Il Parlamento Ue, infatti, ha bocciato la cosiddetta "etichettatura a semaforo", che molto intuitivamente avrebbe messo in guardia i consumatori sulle quantità di grassi saturi, sale e zuccheri presenti nei prodotti. È passato invece il principio del "miglior profilo nutrizionale", che ci costringe a fare controlli incrociati e calcoli tra le quantità riportate nelle tabelle nutrizionali ideali e la lista d'ingredienti. Non è un caso che le lobbies si siano mobilitate come non mai. Hanno ottenuto ciò che volevano: la solita difficile leggibilità delle etichette.
Da langarolo, so bene quali possono essere i pericoli legati a un eccessivo consumo di Nutella. Conosco a menadito le nocciole e quelle che possono essere le loro splendide virtù se unite al cacao in una crema spalmabile. Da bambini ne facevamo un buon consumo, ma sempre dopo tre ore in cortile a giocare a pallone. Credo che non si debba essere necessariamente langaroli per capire che dopo aver mangiato un barattolone morettiano di Nutella poi si sta male. In questi casi è sufficiente il buon senso.
Allora mi domando perché viviamo in un continente dove la gente si ammala sempre di più a causa del cibo e dove è necessario promulgare leggi per far capire ai cittadini cosa si deve e non si deve mangiare. Siamo arrivati al punto che ci vogliono leggi per stabilire che se mi mangio quattro chili di prosciutto crudo l'organismo ne risente, che se m'ingozzo di formaggio i grassi mi tappano le arterie, che se mi trinco tre bottiglie di vino posso perdere i sensi. La verità è che il cibo non si conosce più: da elemento sacro e indispensabile per le nostre vite è diventato oggetto misterioso. Leggi, lotte tra lobbies, i prodotti tradizionali a denominazione di origine sballottati in questo bailamme di codici, diktat e deroghe; si investe in marketing e si paga gente per inondare di e-mail i parlamentari europei, ma mai nessuno che punti sull'urgenza di tornare a una sana, normale - di buon senso dotata - educazione alimentare.
Servono cittadini edotti sui valori del cibo - non soltanto quelli nutrizionali - e non leggi, etichette criptiche o semaforiche. Noi di Slow Food, devo essere sincero, tra le due ipotesi a rigor di logica eravamo favorevoli all'ipotesi semaforo. Ma il semaforo è un altro modo riduzionista di leggere la realtà, di spiegarci a pezzi cosa fare e non fare, portandoci a perdere il significato del tutto, la capacità di leggere la realtà anche attraverso le interconnessioni nascoste che legano tutto ciò che ci circonda. Detto in parole povere: semaforo verde nutrizionale su una bistecca di soia (Ogm?) vorrebbe dire che ne posso mangiare cinque chili senza svenire? No, la moderazione non è un'opzione: è soltanto un antico e riconosciuto modo per stare meglio, ma non è certo ciò che ci insegna il consumismo.
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