Intervista a Carmelo Pipitone, chitarrista dei Marta Sui Tubi
– Con la vecchiaia si diventa più bastardi
Paolo Bassotti | 07.08.2009
I Marta sui tubi ti pigliano in giro. Poi ridono con te, ti si scagliano contro, e a sorpresa ti spalancano il cuore, mostrandoti una ferita e un’idea di bellezza. Riescono a fare tutto questo anche nell’arco di una sola canzone, saltellando da un capo all’altro di mille invenzioni. I loro brani non stanno fermi mai, non c’è da fidarsi. Anche oggi che sul palco salgono in cinque, la band ruota ancora intorno ai due fondatori: Giovanni Gulino, con la sua voce imprendibile e lunatica, e Carmelo Pipitone, capace di tirare fuori fiamme e nuvole dalle sue chitarre acustiche Epiphone e Gibson. Abbiamo intervistato proprio Carmelo, per conoscere la sua storia e per parlare dei Marta sui tubi, una band che non ha alcuna intenzione di smettere di stupire. E vuole anzi diventare sempre più cattiva.
Paolo Bassotti: Vogliamo cominciare dall’inizio?
Carmelo Pipitone: Proprio dall’inizio, quando mi hanno regalato la prima chitarra?
Esattamente!
Avevo undici anni quando mia nonna mi regalò una meravigliosa chitarra classica da centomila lire. Tu pensa che il primo strumento che avevo iniziato a suonare era stata una pentola, attaccata a un pezzo di compensato con un buco in mezzo: suonavo cose che facevano veramente pietà! Così mio padre andò da mia nonna e le disse: “Vuoi comprargli una chitarra, che sta diventando lo zimbello di tutto il paese?” Non conoscendo nessuno che suonasse e che potesse darmi delle dritte, accordai la chitarra in questa maniera: do, re, mi, fa, sol, la! Senza il si. Perché le note sono sette, e ho pensato: si farà così. E sono andato avanti in questo modo per un anno, poi ho incontrato uno che m’ha detto: “Che cazzo stai a fa’?” e mi ha evitato di fare brutte figure in giro. Purtroppo non ho mai avuto il modo di studiare con un insegnante, mi piacerebbe poter tornare indietro.
Quando in seguito hai preso confidenza con la chitarra, c’era qualche chitarrista che provavi a imitare?
All’inizio, essendo un fringuello, ascoltavo un po’ di tutto, anche robe estreme. Metal. Mi sono spostato persino dalla chitarra classica a un’Ibanez elettrica, che chiaramente in seguito è stata bruciata! Avevo come mito un ragazzo di Marsala, che sapeva suonare da dio la chitarra elettrica. Una sera lo trovo a un falò, una di quelle festicciole da spiaggia, con l’alcol, le ragazze, le prime limonate. Lo vedo alle prese con una chitarra classica e scopro che in realtà non sapeva suonare! Ho pensato: no, io non voglio essere così. Ho deciso di tornare alla chitarra acustica, di ammazzarmi di studio, e poi eventualmente passare di nuovo alla chitarra elettrica, solo quando avrei potuto suonarla realmente bene. Questo passaggio poi non è mai avvenuto, sono rimasto fedele all’acustica, che per me è lo strumento fondamentale.
Adesso quali sono le tue chitarre preferite?
Ho una Wildkat meravigliosa della Epiphone, e una Gibson J-45.
Ho anche altre chitarre, che però cambierò presto, perché siano tutte Gibson, visto che mi ci trovo davvero benissimo. Per il mio rapporto con la Gibson devo ringraziare di cuore la mia cara amica Eleonora Del Pozzo.
Passiamo ai Marta sui tubi. Il gruppo è nato come un duo, composto da te e Giovanni Gulino. La collaborazione tra voi due è iniziata già a Marsala?
Nonostante tutti e due fossimo marsalesi, artisticamente ci siamo conosciuti a Bologna. Suonavamo per le sue vie bellissime, come Via del Pratello. Ci mettevamo a terra e suonavamo, di solito vicino a un distributore di sigarette, così era sicuro che prima o poi qualcuno si sarebbe fermato.
Suonavamo cover di Nick Drake, Syd Barrett, e di vari artisti che ci piacevano e ispiravano. Dai Gomez a roba italiana, tipo Bugo: ci facevano impazzire la sua ironia nera e il suo modo di fare, vicino a Syd Barrett. Poi ci siamo rotti delle cover, e abbiamo iniziato a fare cose nostre. Io avevo dei giri di chitarra che mi portavo dietro da una vita, Giovanni aveva delle linee vocali: abbiamo unito le forze, realizzando così il primo disco (Muscoli e dei, 2003, ndr), con canzoni che preesistevano. Nel primo disco i testi erano a per metà miei e per metà suoi. Adesso i ruoli si stanno definendo meglio: lui scrive la maggior parte dei testi, poi io gli do degli input, magari per accompagnare al meglio un giro che mi piace particolarmente.
Capita mai che vi scontriate mentre create?
Ci scanniamo per altri motivi, ma non per comporre! È necessario trovare dei compromessi, dare il giusto spazio agli altri, non fare la primadonna. C’è comunque sempre stato un grande rispetto reciproco.
Come siete arrivati a Milano?
Arrivare a Milano è stato doveroso. Bologna è ricca di arte e cultura, ma mancano gli spazi dove suonare. Milano è la grande capitale dove tutto passa, dalla moda alla musica, alla gente giusta che puoi incontrare. Per me però è troppo grande, e sono poi tornato a Bologna. Ma per via delle prove e di altre cose finisco comunque per vivere spesso a Milano!
Nella canzone che dà il titolo a Sushi e coca emerge un rapporto molto conflittuale con questa città.
La realtà di Milano è per me incomprensibile! Io vengo da una città molto piccola. Marsala ha solo 80000 abitanti, non sono abituato ad avere a che fare con una metropoli.
Torneresti in Sicilia?
Ci voglio tornare per passare gli ultimi giorni della mia vita! Adesso è impensabile trasferirsi di nuovo in Sicilia, soprattutto per la nostra attività live.
Siete soddisfatti dalle reazioni ottenute da Sushi e coca?
Con questo disco abbiamo fatto un salto di qualità. Uno dei motivi è il fatto che l’abbiamo registrato alle Officine Meccaniche di Mauro Pagani, con l’ausilio tecnico del grande Taketo Gohara, il fonico di Capossela. Il salto di qualità è avvenuto soprattutto in termini di suono del disco: mentre i primi due erano un po’ più grezzi, questo è molto più definito, malgrado i testi siano in continua evoluzione e noi seguitiamo a essere molto eclettici. È un disco che puoi ascoltare e dire: “Questi sono i Marta sui tubi!” Dalla critica abbiamo avuto ottime recensioni, ma, si sa, più si ha visibilità, più si inizia a stare sul cazzo a qualcuno! Il pubblico è in perenne crescita, siamo davvero fieri di avere sempre più gente sotto al palco.
A quale delle tue canzoni sei particolarmente affezionato?
Sono tutte figlie nostre! È difficile fare disparità tra i propri figli, anche se sai che la femminuccia è più intelligente e il maschietto più tonto. Ma se proprio dovessi scegliere la mia canzone preferita, direi
Dominique (Canzone di gelosia). È quella che rappresenta di più i Marta sui tubi, una serie di generi pressati insieme e registrati nella stessa traccia.
Ci sono dei gruppi del rock indipendente italiano che vi sono particolarmente cari?
Tra i gruppi amici voglio citare i Lombroso, o i grandi Eterea Post Bong Band. A me piace particolarmente il rap degli Uochi Toki. In genere il rap mi fa schifo, ma le loro parole hanno un significato, sanno essere graffianti. C’è in generale un bel movimento indie. È bello che questi gruppi continuino a rimanere indipendenti, anche perché abbiamo visto gente cambiare il modo di fare arte dopo aver firmato con una major, scendere a compromessi. Noi stiamo facendo di tutto per cercare di crescere senza sputtanarci. C’è gente che ci ha chiesto di limare la parte schizoide del nostro comporre musica. Non esiste! La parte artistica non deve essere intaccata. Le major tendono invece ad appiattire un po’ tutto, a farlo sembrare qualcosa di già sentito. Ci sono gruppi come i Finley che hanno lo stesso suono dei gruppi che arrivano da Londra. Noi vogliamo avere il nostro suono, essere riconoscibili, mantenere la nostra indipendenza artistica. Se poi ci fosse un giorno una major che è d’accordo con tutte queste cose, potrebbe essere una cosa positiva, ci garantirebbe maggiore visibilità.
Io sento comunque una vena pop nelle vostre canzoni.
Io un giro in quattro quarti non l’ho mai fatto e non lo farò mai perché non ne sono capace! Ma effettivamente le nostre sono pur sempre canzoni: se togli i tempi spezzati e cerchi di renderle lineari, hai qualcosa che puoi cantare anche sotto la doccia.
Avete già pronto del materiale per il prossimo album? È diverso dal precedente?
Stiamo avantissimo!
Abbiamo già materiale per pensare al nuovo disco, qualche pezzo in cantiere. Con la vecchiaia si diventa più bastardi: il nuovo disco sarà decisamente più cattivo del precedente.
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