Il cappellino verde cachi se l'è tolto prima di iniziare a parlare. Al centro di una sala quadrata, imbottita di studenti del Centro Sperimentale in religioso silenzio, seduto sul velluto rosso, Woody Allen inizia la sua lezione. Se qualcuno si aspettava che la trasferta romana del regista sarebbe stata all'insegna della ritrosia, si sbagliava. Il regista newyorkese si sta godendo ogni momento, compresa questo fuori programma voluto dai responsabili della scuola a Cinecittà, ospite del laboratorio L'Atto Creativo del professor Daniele Luchetti che fa gli onori di casa. A partire dall'interrogativo più ovvio: come si fa buon film? «Per fare un buon film serve assumere buone attrici e buoni attori e lasciarli liberi di fare, anche di improvvisare». Segue omaggio agli attori italiani con cui a giorni inizierà a girare il suo film dal titolo provvisorio Bop Decameron - attori che, scherza Luchetti «per lei farebbero pure i fermacarte».
STORIE E PERSONAGGI - Da dove pesca le sue storie, gli chiede Luchetti, interpretando le curiosità degli studenti. «E' stato un caso» si schermisce lui «ognuno nasce con un talento. La mia capacità è raccontare storie, non mi sono mai mancate. Anzi, il mio problema è che penso di morire prima di poterle raccontare tutte...». E' la storia che conta, insiste il regista, e i personaggi che devono essere credibili ma non troppo realistici. «Mi piacciono quelli alla Tenessee Williams, credibili, certo, ma sempre un po' sopra le righe: Sono i personaggi che si portano sulle spalle il film, contano più loro che una costruzione perfetta». A lui, ripete, le storie non mancano. «Il momento difficile - spiega - è quando aspetti l'idea. pensi, pensi.. Ma il momento fondamentale è lo sviluppo dell'idea. Lì ti accorgi se funziona. A volte dopo 20 pagine tutto si arena. A voi ragazzi dico di scrivere tantissimo, anche se vi sembrano schifezze. Guardate tanti film e dimenticate critiche e insegnamenti. Dicevano che i primi piani non andavano bene, poi è arrivato Bergman e ne ha fatti di bellissimi. Capite cosa vi serve, trovatelo e portate avanti le vostre idee. Dopo qualche anno le cose verranno da sole e saprete se avete talento o no».
CRITICI? NO GRAZIE - Lui l'ha capito sa solo che il talento c'era. «Mai rivisti i mie film, mai letto le critiche, non mi pongo il problema di cosa pensano gli altri. Se no il rischio è lasciarsi influenzare». Neanche dal pubblico. «Parto dal presupposto che il pubblico parta dalla mia stessa intelligenza. ma le se la gente non capisce, pazienza. Bisogna puntare in alto non in basso. Non avrai il seguito di Terminator, ma io ho potuto comunque passare un'intera vita nel cinema e uscirne soddisfatto. Tutti i grandi cineasti amati dal pubblico poi erano molto intelligenti. Penso al Pantheon dei registi, con Fellini, Truffaut, Kurosawa e De Sica». Luchetti gli chiede delle sue celebri battute: le tiene chiuse in un cassetto? Ha un librone ad cui pescare? «Nooo, vengono insieme alla storia, devono essere naturali e realistiche. Non ti puoi innamorare di uan battuta e costruirci intorno un film. Non funziona». I ragazzi si bevono la lezioni, qualcuno prende appunti, qualcuno ruba immagini e voce con i cellulari. Altri, professionali, riprendono il tutto: diventerà materia di studio. Finisce l'ora lezione finita. Luchetti tranquillizza Allen: «Non si preoccupi, ora c'è tanta curiosità intorno a a lei, ma tempo due settimane sarà come il marziano di Flaiano a Roma».
di Stefania Ulivi
Fonte:
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