ADDIO MIO GIACOBINO
In Francia la mobilitazione non sfonda nemmeno a sinistra. Non ci sono più intellettuali sulle barricate alla Bourdieu. Anzi, c’è stata perfino una marcia dei diecimila per “fare l’amore, non lo sciopero”. Sarkozy: “Non cederemo”
Parigi. “Non cederemo e non faremo marcia indietro”, ha detto Nicolas Sarkozy, interrompendo davanti al congresso dei sindaci francesi il suo silenzio che durava dall’inizio del movimento di scioperi che sta paralizzando la Francia da una settimana. Ieri, oltre al personale del settore dei trasporti pubblici schierato contro la riforma dei regimi speciali delle pensioni, si sono fermati i funzionari della pubblica amministrazione e gli insegnanti che esigono “più potere d’acquisto”, mentre gli studenti continuano a occupare gli atenei per opporsi alla legge Pécresse sull’autonomia delle università. Il presidente francese ha annunciato che le riforme andranno “fino in fondo”, perché la Francia “deve cambiare. Una vera rottura è necessaria per evitare il declino”, ha spiegato Sarkozy: con le elezioni presidenziali “i francesi mi hanno dato mandato di compierla” e “non tradirò la fiducia di quelli che mi hanno eletto”. Il presidente vuole essere “aperto” al dialogo e ai negoziati con le parti sociali, ma “occorre saper mettere fine a uno sciopero”, tanto più quando danneggia l’economia. In una democrazia, ha spiegato Sarkozy, “una piccola minoranza non deve imporre la sua legge alla maggioranza, né nei servizi pubblici né nelle università”.
A unire ferrovieri, funzionari pubblici e studenti è il “corporativismo rivoluzionario”, spiega Elie Cohen, economista del Centro nazionale per la ricerca scientifica: una minoranza della minoranza rifiuta qualsiasi negoziato con il governo e le imprese e, soprattutto, l’esito del voto popolare e democratico del maggio scorso. Non è solo la preservazione dello status quo e dei privilegi settoriali a motivare una parte dei sindacalisti, i leader studenteschi o i militanti dell’estrema sinistra. I sindacati autonomi come Sud-rail, gli anarco-sindacalisti, la minoranza dell’organizzazione sindacale della funzione pubblica Fsu, gli elementi minoritari della più radicale Cgt, i quadri del Partito comunista, i militanti della Lega comunista rivoluzionaria, gli estremisti di Lotta operaia e l’Unione nazionale degli studenti sognano un grande movimento sociale per dar vita al “terzo turno” delle presidenziali. Lo scenario è quello del 1995: la Francia paralizzata da un lungo sciopero generale, il governo costretto a rimangiarsi riforme ambiziose, un presidente che sceglie l’immobilismo come pratica di governo, in attesa della rivincita nelle urne dopo quella nelle piazze.
Come andò nel 1995
Dodici anni fa andò proprio così quando, appena eletto all’Eliseo, Jacques Chirac e il suo primo ministro, Alain Juppé, proposero un vasto piano di riduzione della spesa, compresa la riforma dei regimi speciali delle pensioni riservati ai funzionari della pubblica amministrazione e ai dipendenti delle imprese statali. Allora come oggi la collera di sindacati e studenti fu immediata, nonostante le riforme fossero state ampiamente annunciate nel programma chiracchiano per ridurre la “frattura sociale”. Il 24 novembre 1995, nove giorni dopo l’annuncio del “Piano Juppé”, 400 mila persone scesero nelle strade, dando il via a tre settimane di scioperi, inizialmente concentrati nel settore dei trasporti pubblici. Subito le università furono occupate e, in pochi giorni, lo sciopero si allargò alle poste, alla funzione pubblica, agli insegnanti e ai controllori aerei. Fino al 12 dicembre, quando il movimento sociale raggiunse il suo apice, con due milioni di manifestanti nelle strade, la Francia bloccata, il governo Juppé costretto a rinunciare alla riforma dei regimi speciali e Chirac convinto a convocare elezioni anticipate – vinte nel 1997 dai socialisti – per tentare di evitare la paralisi della sua presidenza. Salvo che il 2007 non è il 1995 e Sarkozy non è Chirac.
La decisione dei ferrovieri di prolungare per una settimana il loro sciopero era dettata dalla volontà di “fare la giunzione” con i funzionari pubblici, che ieri sono scesi in strada per chiedere più “potere d’acquisto” e l’aumento dei salari. Solo un “movimento generale” che va dal settore pubblico alle imprese private, passando per gli studenti, può far “indietreggiare il governo”, ha spiegato al Foglio un dirigente di Lutte Ouvriér. Il calendario politico è favorevole: oltre a ferrovieri e funzionari, ci sono gli studenti che già occupano gli atenei, i lavoratori delle Poste e di France Télécom che intendono scioperare contro la riduzione del personale e il sindacato della magistratura che organizza una “mobilitazione nazionale” contro la riforma della carta giudiziaria. Ma a differenza del 1995, non c’è stata l’aggregazione dei singoli movimenti. Anzi, per la prima volta in dodici anni, la simpatia dell’opinione pubblica nei confronti dei movimento sociali è in calo, evidenziando una rottura con l’attitudine giacobina tipica di parte della società francese. Secondo Stéphane Rozès, direttore dell’istituto demoscopico Csa, “l’opinione pubblica riconduce questo conflitto a un rifiuto della riforma, dove gli interessi di categoria si oppongono all’interesse generale”. La maggioranza dei francesi è a favore della modifica dei regimi speciali delle pensioni e ritiene che gli scioperi non siano legittimi. Nel 2007 manca anche una parola d’ordine comune e non ci sono più nemmeno gli intellettuali pronti a salire sulle barricate della rivolta sociale. Come il filosofo, Pierre Bourdieu, che il 12 dicembre 1995 salì alla tribuna della sala degli spettacoli della Gare de Lyon a Parigi per “portare il nostro sostegno a tutti quelli che lottano da tre settimane contro la distruzione di una civilizzazione associata all’esistenza del servizio pubblico, quella dell’uguaglianza repubblicana dei diritti, diritti all’educazione, alla salute, alla cultura, alla ricerca e, soprattutto, al lavoro”. Allora Libération pubblicò integralmente, a mo’ di volantino, l’intervento di Bourdieu, figura di punta dell’Appello degli intellettuali in sostegno degli scioperanti. Oggi, invece, il quotidiano progressista ammette che “il contesto è cambiato e i francesi non sono più favorevoli allo sciopero come dodici anni fa”. Meglio sperare che “quando uno sciopero dura, alla fine l’opinione pubblica lo sostiene”.
“Un reale senso di responsabilità”
“La Francia è pronta a essere riformata”, ha scritto il Figaro in un editoriale della scorsa settimana, constatando che “i francesi sono cambiati” dopo l’elezione di Sarkozy all’Eliseo. “Si vede nascere un reale senso di responsabilità al posto di slogan datati. Il modello sociale francese, il diritto intoccabile a pensioni speciali, il diritto allo sciopero illimitato, la salute gratuita per tutti e per tutto, il diritto inalterabile al lavoro: i francesi sanno di non poter sfuggire a una realtà che tutti i nostri vicini hanno già affrontato e sanno che occorre muoversi”. E’ il contrario del Bourdieu pensiero che venne interpretato da molti “come la prima rivolta contro la globalizzazione”. A parte una frangia, gli intellettuali tacciono o stanno dalla parte di Sarkozy. Come Bernard Henry Lévy, che ha scritto il suo ultimo libro per giustificare il voto a Ségolène Royal, nonostante il limite della sinistra francese sia la critica al liberalismo. O Alain Finkielkraut, che ha spiegato al Foglio che l’autunno francese “è una parodia della parodia del ’68”.
I grandi sindacati sono imbarazzati per il proseguimento della sciopero. Il leader della radicale Cgt, Bernard Thibault, era favorevole a un negoziato quasi immediato, ma è stato sconfessato dalla base dei ferrovieri. Il Partito socialista è addirittura favorevole alla riforma dei regimi speciali ed è costretto a limitare i suoi attacchi al metodo scelto da Sarkozy e dal suo primo ministro, François Fillon. Così nelle università la “vita continua” nonostante gli scioperi – come ha scritto il Monde di ieri – e in molti casi le lezioni vanno avanti nonostante il voto del blocco da parte delle assemblee studentesche. A Nanterre, invece, gli studenti hanno votato la fine dell’occupazione al grido di “libertà di studiare” e la polizia ha sloggiato con la forza quelli che impedivano agli altri di accedere alle lezioni. Domenica a Parigi, almeno 10 mila persone hanno manifestato contro gli scioperi nei trasporti pubblici e negli atenei, con cartelli che invitavano a “fare l’amore, non lo sciopero”. Se gli scioperi continuano, si annunciano altre contromanifestazioni. Ma i lavoratori di Gdf ed Edf sono già usciti dal conflitto sociale, accettando il negoziato con il governo dopo un solo giorno di sciopero. Mentre i dati sulla partecipazione alla mobilitazione di ieri sono tutt’altro che maggioritari: solo il 27 per cento dei ferrovieri e il 30 per cento dei funzionari pubblici hanno scioperato. Ora la parola d’ordine con cui il “corporativismo rivoluzionario” cerca di mobilitare lo scontento sociale è “potere d’acquisto”. Ieri il segretario del Partito socialista, François Hollande, ha chiesto una “conferenza salariale, l’assegno trasporti e l’inquadramento degli affitti”. Tema centrale della campagna elettorale sarkozysta, lo slogan “lavorare di più per guadagnare di più” fatica a diventare una realtà. Ma anche su questo il presidente francese ha promesso di prendere iniziative “tra qualche giorno”. Sarkozy intende muoversi in fretta per dare alle imprese la possibilità di accordare una tredicesima mensilità senza contributi, rilanciare i grandi cantieri e premere sui produttori di energia per abbassare le bollette.