Uccisa a sassate madre pachistana

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Arjuna
00lunedì 4 ottobre 2010 15:21
difendeva la figlia da matrimonio combinato

Padre e figlio «puniscono» a sprangate la figlia e sorella che rifiuta un matrimonio combinato, poi con un sasso, usato forse solo dal genitore, mettono a tacere la disperata difesa della madre: la giovane è grave, ma non in pericolo di vita, la mamma è morta sotto i colpi di una storia che ricorda quella di Hina Saleem, la pachistana di 21 anni che voleva vivere «in modo occidentale» e che per questo fu sgozzata il 10 agosto 2006 a Sarezzo (Brescia) nella casa dei genitori. Una similitudine rovesciata, purtroppo non rara in Italia. Là morì la giovane Hina Saleem e la madre di fatto accettò le scelte del padre. Qua è la mamma di Nosheen Butt a pagare il prezzo più alto per una ribellione ritenuta evidentemente oltraggiosa da «morire».

È successo nel pomeriggio attorno alle 16.30 nel cortile di un edificio del centro abitato di Novi di Modena, via Bigi Veles 38. In quella casa la famiglia e i cinque figli vivono da alcuni anni e all'interno del giardino si consuma il dramma, ancora tutto da definire e da decifrare. Ma sembra proprio, almeno così sembra dopo le prime investigazioni, che la ventenne Nosheen si sia ribellata alla decisione familiare di affidarla in sposa a un connazionale.

Pare che in casa in quel momento ci siano anche due degli altri tre figli più piccoli che la coppia, Hamad Kahn Butt, operaio di 53 anni, e Begm Shnez, 46, ha generato, mentre la terza, la più grandicella, sarebbe stata fuori. Sembra che a colpire la ragazza, con una spranga che l'ha ridotta in gravi condizioni, sia stato il fratello di 19 anni, Humair Butt, anche lui operaio, aiutato dal padre, che poi avrebbe impugnato una pietra con la quale colpire la moglie, di 46 anni, uccidendola.

Alla scena hanno assistito alcuni vicini, che hanno chiamato i soccorsi. Sono intervenuti il 118, per una corsa verso il grande ospedale di Baggiovara in cui se non altro è stata giudicata non a rischio di morire la figlia «ribelle», e i carabinieri, che sono riusciti a fermare padre e figlio e a portarli in caserma a Novi per un lungo interrogatorio: hanno scelto di fare scena muta, di non rispondere alle domande del Pm Pasquale Mazzei e degli ufficiali dell'Arma. Sono usciti in tardissima serata in manette, arrestati il vecchio per l'omicidio della moglia, il giovane per il tentativo di omicidio della sorella. Sembra che in passato ci fossero stati altri maltrattamenti in famiglia, anche ai danni della donna uccisa.

Ora che sono in carcere di sant'Anna sono ancora molti gli interrogativi che restano aperti quando è ormai calata la notte sul paesone della ricca provincia modenese che tanta immigrazione ha attirato negli ultimi anni. È grande la comunità pakistana, impiegata soprattutto in agricoltura. Ma sconcerta la somiglianza tra questa storia di cronaca nera e quell'altra di quattro anni fa nei dintorni di Brescia, per la quale Mohamed Saleem, il padre di Hina, è stato condannato a 30 anni di carcere, insieme con i due cognati della vittima per hanno avuto 17 anni a testa per avere aiutato il padre ad occultare il cadavere. A Novi un rifiuto di nozze combinate, a Sarezzo la voglia di vivere liberamente la relazione col proprio fidanzato italiano. In entrambi i casi, la logica del possesso fino alle più estreme conseguenze ha reso spietati assassini due padri. E soggiogate fino alla morte le mogli, le figlie.

Fonte
sbandieratore-solitario
00martedì 5 ottobre 2010 02:48
Io dico che mi sono stufato di questa invasione.

Tanto ormai non c'è più nulla da fare ... andando avanti così saranno le donne occidentali ad essere prese a sassate. Stiamo per essere invasi. E nessuno fa nulla ...
Arjuna
00martedì 5 ottobre 2010 14:34
"Nosheen non voleva sentirsi una schiava"

La rabbia delle amiche: «Diceva: mi sposo solo per amore»
PIERANGELO SAPEGNO
INVIATO A NOVI (Modena)

Gli occhi di Nosheen sono l’unica cosa che potevi vedere quando andava a scuola salendo le scale con la testa china nella sua veste lunga e il velo bianco sul volto, e sono l’unica cosa che hanno visto domenica pomeriggio quelli come Raif, che sono accorsi in questo straccio d’orto, guardandola stesa sulla terra dove suo padre Khan Butt Ahmad aveva seminato le patate, vicino alla tettoia di lamiera, con il braccio maciullato appena sollevato per chiedere aiuto e la testa coperta dal sangue che si spargeva. «Ma aveva gli occhi vivi», ha detto Raif, occhi di ragazza, neri, dolci e spauriti. E anche sua madre, Begam Shanhaz, riversa un poco più in là, «dove c’è la bombola del gas», sotto le viti dell’uva, accanto alle scale poggiate di sbieco contro il muro di mattoni a vista, anche lei era viva: sarebbe morta dopo, mentre la portavano in ospedale.

Madre e figlia sono state massacrate inermi, ferocemente sprangate e lapidate dal padre e da Humair, il fratello più giovane di Nosheen, donne senza difesa e senza giustizia, senza nessuno che urlasse a questo raccapriccio neanche dopo, quando i vicini di casa, pachistani pure loro, accorsi alle grida e all’orrore di quella violenza, allontanavano i curiosi dicendo che «era una cosa che non li riguardava, che era una lite in famiglia», e neanche adesso, alla fine, perché non ci sono femministe, e non ci sono scandali, ma quasi rassegnazione, come quella del sindaco di Novi, Luisa Turci, che dice che «sì, qualche problema era stato evidenziato, ma certo nulla che potesse far presumere una cosa di questo genere».

La mamma era andata dai carabinieri due mesi fa perché il marito picchiava. Poi non aveva fatto denuncia. Il suo era stato un matrimonio combinato, come molti nel suo Paese, in Pakistan, e lei continuava a ripeterlo a sua figlia: «Non devi fare come me. Tu ti devi sposare per amore». Nosheen non è Hina e non è Sanah, ma come loro è vittima di un mondo affacciato alle nostre porte, dove la donna è costretta in schiavitù. Nosheen non è una ribelle. E’ musulmana praticante e aiuta la mamma «a preparare le feste religiose», come spiega una delle amiche pachistane, Nochen Lyas, raccontando che era Begam Shanhaz «che aveva il compito di organizzarle. Faceva il giro a chiamare le altre donne, a raccoglierle tutte per la preghiera, e Nosheen l’accompagnava sempre».

Una compagna di classe, Giulia, dice che «è una ragazza molto seria. Non avvicinava mai i ragazzi. Portava sempre il velo, anche quando veniva a scuola. Vestiva solo nel modo tradizionale pachistano». Non si confidava con nessuno, era molto chiusa e parlava soltanto con pochissime amiche, «ma una cosa la ripeteva a tutti», aggiunge Giulia, ed era «che lei si sarebbe sposata per amore». E’ stata massacrata per questo, per aver detto al padre che non voleva sposare il cugino che voleva lui, per aver difeso il solo ideale che unisce tutte le donne del mondo. L’unica sua amica italiana che riusciva a frequentare e che adesso la aspetta camminando nervosamente nei corridoi dell’ospedale di Modena - dove Nosheen lotta ancora contro la morte - confessa che «un amore ce l’aveva» ed era un ragazzo italiano. L’aveva conosciuto un giorno per caso e avevano girato un video, un piccolo filmato dove sorridevano appena. Ma Nosheen era troppo timida e ancora così ingenua perché quello non fosse altro che un piccolo, grande amore platonico.

Il fatto è che aveva «enorme rispetto per la famiglia» e «terrore del padre», racconta l’amica. Una volta che le stava facendo vedere il filmato con le immagini del suo amore nascosto, «a un certo punto ha spento tutto e buttato via di corsa il video solo perché credeva che fosse arrivato suo papà». Khan Butt Ahmad, 53 anni, da dieci in Italia, operaio saldatore in una ditta di Soliera, è un uomo magro, alto, «con uno sguardo e dei modi persino miti», come ricorda Sergio Pagani, il preside dell’Istituto Vallauri di Carpi dove Nosheen aveva frequentato fino al terzo anno con ottimi risultati: «Lui voleva che lei restasse a casa e non venisse più a studiare. Allora l’ho chiamato e quando l’ho incontrato sono riuscito a convincerlo. M’era sembrato un bravuomo».

Le ha fatto finire l’anno scolastico e poi però non l’ha più rimandata. Il problema non è essere buoni o cattivi, ma quello di un mondo che concepisce la donna come una schiava. Nosheen aveva sempre detto di sì al papà, perché così doveva fare. Il giorno che ha detto di no, che non voleva sposare il cugino imposto da lui, il giorno che l’ha urlato, lui ha cominciato a lapidarla, e quando la madre è intervenuta per difenderla l’ha massacrata a pietrate, mentre suo figlio prendeva a sprangate Nosheen, picchiandola in testa con violenza. Adesso Mohammed Arif e Raja e tutti i vicini di casa pachistani ripetono a tutti che «l’Islam non c’entra niente. E’ un brutto episodio, ma non metteteci di mezzo la religione. Non c’è scritto da nessuna parte che la figlia deve sposare chi vuole suo padre». Solo che Lashid, un ragazzino appoggiato al muro, dice che è brutto ma che è così. Se suo padre glielo imponesse, lui direbbe di «sì». Lo mormora a testa bassa, quasi sottovoce, come un amore che si nasconde e non si urla.

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Arjuna
00martedì 5 ottobre 2010 14:34

Pakistana uccisa a sassate dal marito
La Carfagna si costituirà parte civile


«Il nostro Paese è vicino alle giovani immigrate ogni volta che viene lesa la loro libertà»
Il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, chiederà di essere ammessa parte civile nel processo contro Hamad Khan Butt, l'uomo di origine pakistana che a Novi, nel Modenese, ha ucciso a colpi di pietra la moglie, ritenuta colpevole di difendere la loro figlia che si ribellava ad un matrimonio combinato. «Anche questo - annuncia il ministro - è un modo per essere vicina alle giovani immigrate, per far capire che il nostro Paese è con loro ogni volta che vedono lesa la libertà e il diritto di essere cittadine libere».

«Chi compie violenze e abusi contro le donne, chi addirittura pensa di disporre della loro vita, non può e non deve trovare accoglienza nel nostro Paese, perché l'Italia rifiuta e respinge con decisione - prosegue Carfagna - qualunque forma di prevaricazione degli uomini sulle donne. E, non a caso, punisce severamente chi, italiano o no, si macchia di questo genere di reati. Non ci sono alibi né scusanti di alcuna matrice, né etnica, né religiosa dinanzi questi ’deliri patriarcalì».

Poi un appello alla magistratura «perché giudichi senza sconti gli autori di questa tragedia. E alle giovani straniere, che nel nostro Paese stanno costruendo il loro futuro, voglio ribadire - conclude - che devono denunciare ogni sopruso, liberarsi appena possono, e farlo prima che si verifichino tragedie come questa, o quella di Hiina o quella di Sanaa».

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