da Ippolita Avalli, "LA DEA DEI BACI"

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david dado
00mercoledì 2 luglio 2003 20:21
Mi ero nascosta in un cuneo fra le assi della rimessa. Da lì, senza essere vista, potevo vederti in officina dare gli ordini al Berzaga, il fabbro, avvolto dal fumo degli idrocarburi. Era il nascondiglio mio e di Omero e dovevamo incontrarci per fare la magia.

"Sdraiati e chiudi gli occhi" ha detto Omero.


Aveva disegnato un cerchio nella segatura. Mi sono sdraiata e ho chiuso gli occhi. Ma sbirciavo da sotto le ciglia.


"Non avere paura, tuo papà non viene."


Non ho paura.


Ha preso un po' di segatura nel pugno e lo ha alzato sopra di me. Tra le sue dita ha cominciato a filtrare un filo sottilissimo che mi pizzicava la pelle.


"Se vuoi che la magia funzioni devi indovinare cosa ti scrivo. Che lettera é?"


"P? " ho fatto io.


"No, non è la p."


"Erre?"


"No, nemmeno la erre."


"...O?"


"No. Attenta. Ultima possibilità."


Non riuscivo mai a indovinare. Non avevo il coraggio di dire a Omero: "Non ce la faccio, è inutile, la magia non si farà."


"....Gi?"


Ma prima della risposta di Omero sono arrivate le grida di dolore della mamma. Erano un'onda che mi faceva piegare le gambe, come se un bastone mi colpisse sotto le ginocchia.





"Cosa vai a pensare cara la mia ragazza. Tuo marito ti vuole bene. Ne sono sicuro. Non dare retta alle malelingue."


Lo stava dicendo don Bruno alla mamma. Erano in tinello, come ogni giorno da un po' di tempo a questa parte, e lei gli mostrava avvilita le tue bretelle ricamate. Io ero sulla mia piattaforma, in sala, sotto il tavolo ricoperto dalla tovaglia con l’orlo di sangallo che lei aveva cucito prima di sposarti. Arrivava fino in terra e si guardava fuori attraverso i fori del ricamo. Si vedevano il tinello, la porta d'ingresso e un pezzo del cortile con i grandi vasi di gigli fioriti. Nel primo pomeriggio, un raggio di sole tagliava in due la piattaforma. Un filo d'oro che mi faceva salire fra le nuvole e mi portava a zonzo sulla terra.


Ih, ih! che forza atterrare sul deserto Profumo!


Ma c’era anche la penisola Gomitoli di Lana nell’angolo del divano dove la mamma sedeva a sferruzzare. E il golfo della Dote: le lenzuola di lino che lei ricamava per me a orlo a giorno e punto croce.


La mamma si era aggrappata al golfo della Dote.


"L'ha detto la Dea dei baci a una della contrada. Viene dalla città la Dea, è una donna istruita, lo sa come vanno certe cose" ha detto la mamma.


"Quella donna dev'essere compianta, non ammirata. Attenta, Luigina, il diavolo appare perfino bello per tentare meglio."


La mamma doveva essersi scontrata con un meteorite anche se non si era sentito il botto. A momenti faceva ruzzolare la pianura di Rocchette e il lago Barattolo di Spilli sul pavimento.


Don Bruno le ha fatto una carezza e lei ha lasciato andare la faccia dentro la mano del prete. Lui si è tolto di tasca un fazzoletto a quadri. La mamma se l’è messo sugli occhi e così ho capito che stava piangendo. Ha lasciato cadere in grembo le mani con le tue bretelle.


"Su, Luigina, non fare così. Ho capito, sono il tuo regalo di nozze, le ha sempre portate e adesso non le mette più. Ma che dimostra questo? che non ti vuole più bene? Non dare retta alla gente, il matrimonio è un sacramento, figlia mia. In terra non si può sciogliere quello che Dio ha unito. Non stare a lambiccarti il cervello, a farti il sangue amaro. Abbi fede. La Provvidenza sa come sistemare le cose."


Le ha messo davanti la croce del rosario e lei l'ha afferrata portandosela alle labbra e premendovele come ci fosse da tirar su qualcosa. Era bianca come calce.


Don Bruno si è chinato su di lei. Alto e grosso, per un momento ho creduto che l’avrebbe innalzata come fa per consacrare l'ostia durante la messa. Invece le ha coperto la testa con le braccia, poi ha guardato verso il soffitto e ha fatto una faccia bruttissima, molto più brutta di quando qualcuno stona cantando nel coro.


"Come puoi pretendere che ti creda se non l'ascolti, se non guardi mai dalla sua parte?" strillava.


Lo sapevo benissimo con chi ce l'aveva, anche se non si vedeva nessuno, oltre a loro due. Per questo ho abbassato la tovaglia e mi sono arrampicata sul filo d'oro.




A novembre eri spuntato dalla nebbia con un rigonfio sotto il mantello. Il rigonfio si era animato e io avevo gridato per lo spavento. Avevi scostato il mantello e dalla tua pancia era saltato fuori un cucciolo di cane. L'avevano gettato nella roggia per annegarlo ma lui era riuscito a salvarsi restando aggrappato a un cespuglio di rovi. Il suo muso era una ragnatela di graffi, per questo lo avevamo chiamato Graffiato.


Adesso che nel gran vento di marzo io e la mamma eravamo uscite a raccogliere il bucato in cortile con un canestro per le mollette, Graffiato ci riportava scodinzolando quelle perdute.


La luna è sbucata sopra il tetto del pollaio, grassa e gonfia come una zucca. La mamma si è messa a fissarla con una molletta fra i denti.


"Guarda, Giovanna, com'è bella!" ha sospirato, "sai, quando la gente muore va un poco lassù. Aspetta che il Signore la chiami per entrare in Paradiso."


Avevo paura che dicesse "vedi, è proprio là che voglio andare" così mi sono messa a fare il pagliaccio per farla sviare.


"Guarda mamma" strillavo lanciandomi contro la vela gonfia di un lenzuolo, "guarda mamma" e incornavo un paio di mutande, "guarda mamma" e via una capriola, "guarda mamma guarda, guarda!" I panni le cadevano dalle braccia.


"Fermati, che mi fai girare la testa!"


Un lenzuolo le scendeva dalle spalle fino in terra insieme alle trecce. Gli occhi le si sono riempiti di lacrime.


"Perdonami tesoro, piccola mia, vieni qui, non volevo sgridarti, è che sono troppo stanca" mi ha detto stringendomi al cuore.


Tu sì che sei bella, altro che la luna, avrei voluto dirle, sembri una fata! Mi sono afferrata a una corda per farle vedere quant'ero brava a fare l’altalena ma le forcelle di sostegno hanno ceduto. Mentre picchiavo il mento su un sasso e la bocca mi si riempiva di sangue ho fatto appena in tempo a vedere con la coda dell’occhio che lei non c'era più.


La stavate portando in casa. Tu la sorreggevi per le ascelle e la nonna per le caviglie. La coda del suo vestito spazzava il terriccio del cortile facendo rotolare con sé cumuli di sterpaglia.

Peterpunk
00mercoledì 2 luglio 2003 20:30
dejavu'....
Zalmoxis
00mercoledì 2 luglio 2003 22:40

Déjà lit...

Ma è gradevole!



[SM=x44500] [SM=x44500] [SM=x44500]

[Modificato da Zalmoxis 02/07/2003 22.43]

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