se questo non e' amore

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Xela
00mercoledì 27 febbraio 2002 23:38
Gli occhi senza luce che sognano un gol
Da mezzo secolo un tifoso cieco va allo stadio per seguire il Torino
«Un virus mi tolse la vista quando avevo 11 anni, immagino le azioni e ascolto tutti i rumori della partita, anche quelli che voi non sentite»
Portava ancora i pantaloni corti quando la notte calò per sempre sui suoi occhi. Un virus gli tolse la luce, i colori, le scorribande dei suoi idoli in maglia granata. Il Grande Torino se n´era appena andato in una serata grigia. Luciano aveva 11 anni. Da allora, ogni volta che gioca il Toro, va allo stadio, per una partita che solo quel bambino di tanto tempo fa può ancora vedere: Asta ha i capelli biondi di Valentino, Ferrante la brillantina di Gabetto. Il resto sono suoni: il rumore secco del tackle, l´urlo della curva, il gracidio della radiolina incollata all´orecchio. Quella di Luciano Mantaut, 62 anni e due figli, torinese di radici valdostane, famiglia di orafi di Casa Savoia, è una storia quasi incredibile, fatta di enorme voglia di vivere, di stare in mezzo alla gente, ma anche di uno straordinario affetto per la maglia granata. «Non poteva andare in un altro modo - spiega davanti alla sua casa di via Arnò 44, pochi isolati da piazza Manno, dove per la sua vivacità è punto di riferimento dell´intero quartiere - perché seguo questa squadra da quando ero bambino. Ho avuto il privilegio di vedere in azione il Grande Torino, ho ammirato Loik, Gabetto, Bacigalupo e tutti gli altri. Ho vissuto direttamente quella storia magica, nella mia mente rivedo le azioni, i gol, le vittorie». Il «dopo» non è stato facile. Come non lo è per tutti coloro che hanno incontrato la cecità dopo anni di vita e di vista normali. «Diventare cieco è terribile, non riesco a spiegarlo a chi non lo ha vissuto. Ne sono uscito poco alla volta, una conquista dopo l´altra. Ho cercato nuovi interessi nel lavoro, ma anche nello studio. Ho ritrovato il gusto dell´allegria, della battuta spiritosa, della serenità. Mi sono fatto una famiglia. Il Toro mi aspettava, non l´ho mai perso nemmeno nei momenti più difficili». Che Luciano sia persona solare è evidente in ogni istante della conversazione. Non si lascia sfuggire la minima occasione per una battuta, un commento, una risata. Il Toro è al centro di molte sue considerazioni. Ne parla come di una fidanzata che ha bisogno di mille attenzioni. La accarezza e la coccola anche per le sue debolezze, anche quando racconta delle sofferenze: «Essere del Toro è una scelta che implica coraggio, ma quando è fatta non si torna indietro. Il colore di quella maglia mi è rimasto dentro, mi torna in mente ogni giorno, anche se non lo vedo da quasi cinquant´anni, anche se mi dicono che è un po´ cambiato». Cinquant´anni senza vedere un gol, senza Meroni e Pulici, Claudio Sala e Ferrini. Ma cinquant´anni con tante partite, ancora di più da quando la pensione ed i figli grandi gli hanno ridato fette di tempo libero. Partite da seguire con particolari accorgimenti e briciole di scaramanzia, quasi sempre dalla Tribuna Est dove il Torino concede l´ingresso gratuito ai tifosi con handicap gravi: «Ogni sfida l´affronto in modo diverso, cerco di calarmi nel clima dello stadio. Nelle partite normali mi porto dietro la radiolina: ascolto la cronaca e la fondo con i rumori ed i cori dello stadio. Per quelle particolari, come il derby o come i match con le prime della classe, rinuncio alla radiolina e preferisco ascoltare il fragore degli spalti ed i commenti di chi mi sta intorno: è successo così anche domenica quando mi sono divertito a sentire quanto si dicevano tre giovani juventini arrivati da Reggio Emilia. In questi casi la radiocronaca me la fa il pubblico. Ci sono poi le partite con scarsa affluenza: sono quelle che preferisco perché sento meglio i rumori del campo, quelli dei calci sferrati al pallone, le parole dei giocatori e qualche volta quelle urlate dagli allenatori. Anche il gol ha un suo rumore: quello, particolarissimo, quasi sensuale, della rete che si gonfia». Luciano ha accompagnato la storia del Torino per oltre 50 anni. E´ stato al Filadelfia, poi al Comunale, adesso al Delle Alpi. Stadi così diversi, capaci di trasmettere sensazioni contrastanti: «Il cuore è al Filadelfia, per la storia che c´è dentro quelle mura, ma lo stadio che mi dà emotivamente di più è il Delle Alpi. A tanti pare dispersivo, ma la copertura ed il taglio delle tribune permettono la diffusione dei rumori. Qui sono più nitidi, più riconoscibili. Lo sapete che un tiro di Ferrante fa un rumore diverso da uno di Lucarelli?». E´ geloso del suo rapporto con il calcio. Appena può va alle partite da solo, si mescola con la gente: «Se qualche amico mi può accompagnare, certo che si va insieme. Ma altrimenti mi arrangio, magari prendendo un taxi: il Comune ci passa qualche buono, venti al mese per una spesa massima di 20 mila lire ciascuno. A volte è scomodo il rientro: domenica scorsa, dopo la partita, non c´era verso di trovare un´auto pubblica. Ero in difficoltà, in mezzo alla bolgia dopo lo show di Maresca, chissà che spettacolo deve essere stato. Ho chiesto aiuto ad una pattuglia di carabinieri. Sono stati simpatici e cortesi: mi hanno riportato a casa con una gazzella». Ma la vita di Luciano non è fatta solo di Torino. Anzi. Essere senza vista, non gli ha impedito di costruirsi una cultura. Ne va fiero. «La mia è una vita piena di interessi. Facevo il centralinista, ma da quando sono in pensione frequento la Biblioteca Civica, dove ci sono molti libri registrati. Ho imparato a memoria la Divina Commedia in piemontese. Sì, proprio tutta. E studio l´esperanto, che è lingua affascinante, realmente senza confini. Da quest´anno la insegnerò anche ai miei amici dell´Università della Terza Età, per i quali sto organizzando un corso». Ma poi, al momento del congedo, il discorso torna a scivolare sul Toro. Sulle insidie della trasferta di Perugia, che i granata dovranno affrontare con qualche titolare in tribuna, e sul prossimo turno casalingo con il pericoloso Chievo e con Luciano di nuovo sugli spalti: «La squadra ha certamente l´handicap di una panchina troppo corta: i rincalzi non sono dei fenomeni. Però è una squadra curiosa, piena di risorse, molto spontanea nel bene e nel male. Dalle frasi che i giocatori si dicono in campo, io riesco a sentirli, direi anche molto unita, il vero cuore Toro insomma. C´è da seguirla con la solita fede. Mi verrebbe da dire a occhi chiusi. Sa ho imparato a scherzarci su».


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il potere e' una cosa da deboli,
perche' solo i deboli ne hanno bisogno...
e, quando lo ottengono,
dimostrano le loro debolezze
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sperminator
00giovedì 28 febbraio 2002 09:35
appena ieri ho letto quest'articolo sul giornale volevo buttare giu' qualcosa in questo forum ma ho pensato che era giusto far scrivere ad uno dei tanti cuori granata sparsi qui tra gli iper.. fossi romero gli farei la tessera a vita..[SM=x44520]
selvix
00giovedì 28 febbraio 2002 11:08
[SM=x44470] [SM=x44470] che tristezza
Rocco
00giovedì 28 febbraio 2002 13:16
una storia triste ma bella.[=Email]una storia triste ma bella.


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Rocco alias Ipercafone
webmaster di www.ipercafone.com
amministratore dell'ipercaforum
Waldemar
00giovedì 28 febbraio 2002 15:11
Non è necessario alcun commento ...

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Waldemar
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