00 14/04/2021 11:56
articolo dal corriere della sera del 13 aprile 2021
Venerdì all’ottavo congresso del Pcc ci sarà l’annuncio. Successore designato: il sessantenne Miguel Díaz-Canel. Che promette di non cambiare la via indicata dai «barbudos»

articolo di Sara Gandolfi

A Cuba finisce l’era Castro, 62 anni dopo l’ingresso trionfale dei barbudos all’Avana. L’89enne Raúl va in pensione e lascia ufficialmente la politica. L’annuncio è programmato per venerdì, all’apertura dell’VIII Congresso del Partito Comunista, quando Raúl l’eterno secondo, rimasto il più possibile nell’ombra al contrario del fratello Fidel perfino dopo esser rimasto solo al comando, si dimetterà dalla presidenza del Pcc, tre anni dopo aver lasciato quella dello Stato.

E se Raúl non è mai stato carismatico e onnipresente quanto il fratello maggiore e «líder maximo» Fidel — «non mi piace comparire in pubblico, eccetto quando è necessario», ammise una volta — l’uomo che ha da tempo preso le redini del Paese, il sessantenne Miguel Díaz-Canel, lo è ancor meno. È il successore designato pure ai vertici del partito, ma tra i giocatori di domino nel Parque Central de la Habana Vieja — uno dei pochi luoghi di libera discussione sui segreti movimenti di Palazzo — gira voce che potrebbe scattare nei prossimi mesi una lotta per la leadership. O farsi più dura la repressione del dissenso, per allontanare ogni illusione di «de-castrizzazione».

Chi si aspetta aperture democratiche dalla nuova nomenklatura, che non ha mai combattuto sulla Sierra e in gran parte non era neppure nata quando la Revolución trionfò nel 1959, resterà quindi probabilmente deluso. Come nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, a Cuba tutto cambia perché nulla cambi. #SomosContinuidad è l’ultimo hashtag inventato da Díaz-Canel, che usa spesso Twitter e YouTube.

Dopo l’auto-pensionamento dell’ormai malato Fidel, nel 2008, e ancor più dopo la sua morte a novembre 2016, a Cuba sono in effetti successe molte cose. Raúl ha permesso l’uso dei cellulari e dei computer: oggi quasi il 60% dei cubani ha accesso a Internet, benché la linea resti debole. Ha abolito i visti di uscita per l’estero, ha riallacciato le relazioni diplomatiche con gli Usa e stretto la mano a Barack Obama dandogli il benvenuto all’Avana. Soprattutto, ha dato il via alla liberalizzazione economica, autorizzando la piccola imprenditoria privata e spalancando le frontiere agli investimenti stranieri e perfino alle sfilate di moda sul Malecón. Non c’era alternativa, dopo la caduta dell’Urss. Ma «non sono stato scelto per far tornare il capitalismo a Cuba», aveva avvertito Raúl nel 2013, annunciando le tappe del suo graduale pensionamento: «Sono stato eletto per difendere e continuare a perfezionare il socialismo».

A lui, leader del «socialismo attualizzato», va dato atto di aver gestito con sapienza il fragile mix di riforme economiche e dirigismo di Stato, dando una spallata alla gerontocrazia. Sembrava pure vicino all’allentamento delle sanzioni Usa, ma con Trump la distensione s’è fermata. Vedremo cosa accadrà con Biden, che ha chiarito di non considerare Cuba «una priorità».

Quest’anno il governo di Díaz-Canel ha avviato nuove riforme, aprendo ancor più ai privati. Ma la repressione contro il dissenso interno non si è affievolita. Anzi. Il Pcc ha promesso pugno di ferro contro «la sovversione politico-ideologica» sui social — preoccupato, pare, anche del successo del video musicale «Patria y vida», un reggaeton che fa il verso all’iconico «Patria y muerte» di Fidel Castro — mentre la polizia ha affrontato con durezza le recenti proteste di artisti e intellettuali riuniti nel Movimiento de San Isidro.

Qualcuno vede ancora lo zampino di Raúl, che certo non finirà in plan pijama, come si definisce sull’isola chi subisce le purghe politiche. La sua influenza resterà forte. Semmai è probabile una graduale de-militarizzazione del regime, per far fronte alla crescente crisi economica dovuta all’embargo e alla pandemia, che ha fermato turismo e rimesse dall’estero. Buona parte delle 280 sanzioni imposte da Trump ha preso di mira proprio le società gestite dai generali. Se passeranno in mano ai civili, per aggirare le sanzioni, cambieranno anche gli equilibri.

Forse non basterà a placare i nervosismi. La riforma monetaria di gennaio ha fatto schizzare l’inflazione, alcuni beni sono aumentati del 500% e il rialzo del salario minimo non ne ha compensato gli effetti. Fuori dai negozi sono tornate le code; la popolazione sbuffa e ascolta «Patria y Vida».

_________________

"feriscono il mio cuore
d'un languore
monotono."
Paul Verlaine