Oggi è prevista un'uscita in barca verso la "fabbrica degli
Iceberg", un grande ghiacciaio che scivola direttamente nel
mare.
Assieme ad altri viaggiatori mi imbarco, è uno battello da 25
posti, ma siamo solo in 15, ed i posti migliori sono all'esterno
dove ci si siede sulla coperta della prua. Ci sono due guide
( Sven e Karin ) danesi, che ci parlano in inglese e tedesco,
mentre il capitano è un inuit, abituato alla pericolosa naviga-
zione artica, così come lo è il marinaio che si occupa delle
cime e della passerella.
Attaccate alle paratie vi sono delle cime che attraversano la
coperta: la guida ci dice di restare attaccati e di non alzarci
in piedi durante la navigazione. Infatti anche d'estate l'acqua
è gelida e se ci si cade dentro si hanno poche speranze di
cavarsela; la temperatura dell'acqua porta i corpi sul fondo ed
i cadaveri non vengono più ritrovati...vi sono molte storie su
cacciatori usciti soli in canoa e spariti per sempre.
Per questi motivi, anche se sono circondati dal mare, gli inuit
non sanno nuotare.
Il mare, o meglio, l'oceano è pieno di iceberg, da quelli grandi
come una valigia a quelli tipo piramide egizia, ma il nostro
capitano sa il suo mestiere, ed assieme al radar ed alle indica-
zioni che gli urla il collega ( in lingua locale ) che si è
appostato a prua.
Dopo circa tre ore di navigazione ci avviciniamo al ghiacciaio,
il capitano ferma le eliche, lasciando però le macchine accese,
per essere pronto ad effettuare una manovra rapida.
Karin ( Carina però... ) spiega che non ci si può avvicinare
troppo, alcuni iceberg di grandi dimensioni scivolando nel mare
possono provocare delle pericolose onde.
L'attesa dura poco: dal silenzio assoluto ecco di colpo un boato:
dalla lingua del ghiacciaio un grosso blocco di ghiaccio si stacca, scivola sulla lingua ( del ghiacciaio ) e si getta nel
mare... a vederlo capisci la forza della natura.
Il marinaio dice che secondo una loro leggenda, il famoso
iceberg del Titanic è partito da qui.
Per una mezz'ora assistiamo a questo spettacolo, poi, riavviate
le eliche al minimo ci avviciniamo ad un piccolo iceberg: il
marinaio si lega una cima in vita, ne lancia una altra, assicurata ad un arpione, e trascina il blocco di ghiaccio verso
la barca, poi prende una specie di macete ed un secchiello e
salta sull'iceberg.
"Pulisce" un pò la superfice, poi riempie il secchiello di ghiaccio e ritorna a bordo: le due guide hanno preparato dei
bicchieri, gli mettono dentro un pò di ghiaccio e poi del Martini
Bianco.
"Questo" cito le loro parole, "è il vostro battesimo artico,
il giaccio che ora berrete assieme al Martini è vecchio di secoli
o addirittura di millenni".
Sarà stata solo suggestione, ma un Martini così buono non l'ho
più bevuto !
Durante il viaggio di ritorno vediamo degli uccelli marini che
volano sottocosta, e alcune piccole imbarcazioni di pescatori
locali.
Alla sera, mi siedo su di uno scoglio vicino al porticciolo di
Narsarsuak a guardare l'oceano, meditando, e bevendomi una
Carlsberg ( stavolta Birra vera ! ) con la cannuccia, unico modo
per non bersi anche le zanzare !
La prossima tappa riguarda il villaggio di Narsaq Kujalleq, nome
danese Frederiksdal, un assieme di case basse, molto colorate,
situato sulla punta e sud-ovest della Groenlandia. Qui Terranova
dista all'incirca come Genova da Tunisi.
I locali si avvicinano per vendere delle opere d'artigianato,
ossa di pesci e cetacei lavorate, pietre lucide come il marmo ed
anche un "tabacco" locale per pipe.
L'edificio più grande è occupato da una pellicceria con annesso
negozio di souvenir, dove spicca in bella mostra l'insegna
"Eskimese native art", tanto per rispettare gli indigeni... .
A dirigerlo vi è una grossa danese che subito spiega che se si
comprano le pellicce è possibile avere il rimborso dell'IVA alla
dogana e che non vengono uccisi i cuccioli di foca ( se poi
li ammazzi da grandi non fa niente... ).
Il sistema funziona così: la caccia è formalmente proibita, ma
agli inuit è permesso, per via della tradizione. Fin qui si può
anche capire, ma il problema è questo: non è più l'inuit con
la canoa e l'arpione che caccia una foca, ma vengono fatte delle
grandi battute con motoscafi veloci e fucili da parte di inuit
dipendenti da industriali danesi, che li pagano con uno stipendio
da fame, e poi rivendono le pellicce facendo grossi guadagni.
Vi è una pittoresca chiesetta, ovviamente Chiesa Protestante Danese, il municipio all'interno la foto della Regina ed un poster scolorito raffigurante la Sirenetta di Kopenhagen.
Spedisco un paio di cartoline all'ufficio postale, poi entro a
curiosare in un bazaar: vi sono, naturalmente in forma moderna,
tutti quegli attrezzi che si vedono nei film sui pionieri del
Klondike, scatolame, lampade a gas o a petrolio, arpioni, indumenti pesanti, tutta roba fatta per chi deve vivere molto
tempo lontano dai centri abitati. La cassiera mi spiega in inglese che certi abitanti nelle zone più discoste della costa
fanno rifornimento solo due o tre volte all'anno.
Ah, dimenticavo, il nome inuit della Groenlandia è
Kalaallit Nunaat, e la capitale Nuuk fino a pochi decenni fa
utilizzava per gli atti ufficiali solo il nome coloniale di
Gothab. L'isola è divisa in zone che prendono il nome da re
danesi ( es. Kong Christian IX Land ), con la sola eccezzione
della parte nord dedicata all'esploratore Knud Rasmussen.
Fine seconda parte