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Mentre la prima fase dell’operazione Atlantide-Troia, iniziata nel 1984, era terminata nel 1992 con la pubblicazione di “The Flood from Heaven”, la seconda fase, quella conclusiva, prese il via in grande stile nel 1994. L’équipe di specialisti messi a disposizione di Zangger dal Deutsches Archaologiches Institut fu sostituita da una formazione nutrita di scienziati di molte discipline, un’autentica task force. Era, infatti, sceso in campo l’Istituto federale per le Scienze geologiche e le Materie prime di Hannover con 800 uomini decisi a tutto, forti di un appoggio anche politico, di un sostanzioso budget e di strumenti tecnici d’avanguardia. Il teatro delle operazioni si è spostato direttamente a Troia per iniziare le ricerche sulla base delle indicazioni di Zangger. Il 30 dicembre 1998 l’autorevole settimanale tedesco “Spiegel” dedicava la copertina e dodici pagine alle ricerche di Atlantide-Troia, rivelando la scoperta di prove clamorose. Da allora, il silenzio. Sappiamo, comunque, che le ricerche continuano sulla collina di Hissarlik, poco lontano dallo stretto dei Dardanelli. Quanto tempo dovremo attendere prima di conoscere la verità sulla reale importanza di questi scavi?
L’idea di Zangger è considerata “rivoluzionaria” ancora oggi. Come sarebbe stata accolta la stessa idea un secolo fa? Non è una domanda inutile, perché l’identificazione Atlantide-Troia era già nella mente di Heinrich Schliemann, lo scopritore della città distrutta dagli Achei. Robert Charroux, considerato un’autorità in materia di “misteri del mondo”, nel suo “Libro dei maestri del mondo”, afferma che Schliemann rinvenne sotto i resti della Troia di Priamo quelli di una città di epoca precedente che era stata sicuramente abitata da Ariani, come risultava chiaramente dal ritrovamento di un gran numero di cocci e tavolette di terracotta, che recavano incisi i simboli religiosi di quella razza, tra i quali la svastica degli Indù.
La maggior parte dei vasi trovati era modellata sotto forma di testa di civetta, l’uccello notturno sacro a Minerva Glaucopide (dagli occhi verdi) protettrice di Ilio. In realtà, secondo Charroux, “Minerva era la Ana, la Mater dei popoli celti, vale a dire una divinità tipicamente ariana. Il suo nome, in Gallia, era Belisama, cioè simile alla fiamma”. Schliemann rinvenne anche armi e oggetti di silice, argento, oro e rame. Le armi di rame erano identiche a quelle di bronzo appartenenti alla preistoria danese e alle civiltà lacustri del sud dell’Europa. Secondo lo studioso francese, un così gran numero di indizi e coincidenze persuase Schliemann che tra la preistoria della Troia ariana, negata dagli archeologi tradizionalisti, e la preistoria di Atlantide dovesse esistere una stretta relazione di parentela. Scrive Charroux: “Le tesi ‘eretiche’ dello Schliemann intendevano dimostrare che Grecia, Fenicia, Caldea eccetera avevano una comune origine iperborea, vale a dire che il mondo è nato nell’Atlantide e non nella regione dei Sumeri”. In un momento di evidente eccitazione, Charroux si domanda: “Heinrich Schliemann si rese effettivamente conto di avere realizzato una delle più grandi scoperte di tutti i tempi? Di avere, cioè, ricostruito la vera storia del mondo? La risposta è senza dubbio affermativa, ma lui, da prudente iniziato, avrebbe rivelato la parte più preziosa delle sue scoperte dopo morto, vale a dire quando era probabile che con il trascorrere del tempo le sue tesi avrebbero avuto maggiore probabilità di essere comprese e accreditate”.
Il 20 ottobre 1912, cioè ventidue anni dopo la misteriosa morte di Schliemann a Napoli, suo nipote Paul pubblicò sul prestigioso quotidiano “The New York American” un articolo intitolato: “Come ho ritrovato l’Atlantide, sorgente di tutte le civiltà”. Paul Schliemann rivelava: “Qualche giorno prima della sua morte, mio nonno consegnò ad uno dei suoi più grandi amici una busta sigillata sulla quale aveva vergato queste parole: ‘Questa busta deve essere aperta solo da un membro della mia famiglia, il quale, per il solo fatto di romperne i sigilli, si troverà impegnato sul suo onore a consacrare la vita nel proseguimento di quelle ricerche cui si fa sommario cenno nel presente messaggio”.
Un’ora prima di morire, raccontava ancora Paul Schliemann, mio nonno chiese carta e matita e con mano incerta scrisse queste righe: “Rompere il vaso a testa di civetta ed esaminane il contenuto: riguarda l’Atlantide. Sepolcro all’est delle rovine del tempio di Sais e nel campo funerario della valle di Chacuna. Importante! Vi troverai le prove in merito all’esattezza delle mie tesi. Su di me sta calando la notte: addio!”. Il messaggio insieme con la busta chiusa fu depositato dall’amico sconosciuto in un banca francese. Soltanto nel 1906, dopo aver terminato gli studi in Russia, Germania e in Oriente, Paul decise di assumersi l’impegno solenne lasciato dal nonno e aprì la busta sigillata. C’era un messaggio che diceva: “Io sono giunto alla conclusione che l’Atlantide non solo è veramente esistita, occupando un immenso territorio oggi scomparso, ma è stata anche la culla di ogni civiltà. Chiunque esamini tali documenti, assume l’impegno di proseguire le mie ricerche per giungere a un risultato definitivo e conclusivo. Egli sarà tenuto a proclamare in ogni occasione che il vero ideatore e promotore delle ricerche sono stato io. Presso la Banca di Francia è depositata una somma sufficiente a coprire tutte le spese connesse con le nuove indagini. Voglia l’Onnipotente proteggere questa importante missione. Firmato: Heinrih Schliemann”.
Il nipote Paul in un primo tempo cercò di ubbidire alle disposizioni del nonno. Esaminò prima il materiale depositato nella banca francese, poi intraprese viaggi in Egitto e in sud America. L’articolo suscitò grande impressione. Quando tutti si attendevano gli sviluppi di questa rivelazione, Paul Schliemann sparì dalla circolazione. Le ipotesi sul suo destino sono state tante, e tra queste ce ne sono molte che accennano a una fine altrettanto misteriosa come quella del nonno. Altri, invece, parlarono di un’azione di un mistificatore che, schiacciato da un complesso di inferiorità nei confronti dell’illustre avo, si era preso gioco del mondo dell’archeologia nel tentativo di procacciarsi una rapida e facile fama. Fatto sta che dopo la pubblicazione di quell’articolo, di Paul Schliemann si sono perse le tracce. Nemmeno la polizia più efficiente del mondo è riuscita a risolvere il “giallo” della sua improvvisa sparizione. Restano però i reperti lasciati da suo nonno e che l’archeologo Christos Mavrothalassitis (ricchissimo collezionista di vasi etruschi e di una raccolta numismatica che lui stesso fa risalire ad Atlantide) contribuì a dichiarare autentici avendone lui stesso trovati in gran numero identici a quelli di Schliemann nel corso di ricerche effettuate nell’Africa del nord e in particolare a Djerba. Ma nessuno al mondo ha preso per buone le sue conclusioni sul ritrovamento della vera Atlantide.
Però, dopo oltre sessant’anni, un geoarcheologo di Zurigo, finanziato sontuosamente da istituzioni tedesche, tenta di avvalorare le scoperte “eretiche” di Schliemann e del suo “successore” greco Mavrothalassitis. In attesa di conoscere le nuove scoperte di Eberhard Zangger sulla collina di Hisserlik, la storia tortuosa e affascinante della coincidenza della mitica città di Priamo e del favoloso continente inghiottito dal mare continua, e promette altri nuovi colpi di scena.

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