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Padre Pio, il giallo delle stigmate + rapporti intimi e scorretti con le sue fedeli

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  • Nikki72
    00 24/10/2007 10:34
    Un farmacista: «Nel 1919 fece acquistare dell'acido fenico...

    ...sostanza adatta per procurarsi piaghe alle mani»

    Il cerchio intorno a padre Pio aveva cominciato a stringersi fra giugno e luglio del 1920: poco dopo che era pervenuta al Sant'Uffizio la lettera- perizia di padre Gemelli sull'«uomo a ristretto campo di coscienza», «soggetto malato», mistico da clinica psichiatrica. Giurate nelle mani del vescovo di Foggia, monsignor Salvatore Bella, e da questi inoltrate, le testimonianze di due buoni cristiani della diocesi pugliese avevano proiettato sul corpo dolorante del cappuccino un'ombra sinistra. Più che profumo di mammole o di violette, odore di santità, dalla cella di padre Pio erano sembrati sprigionarsi effluvi di acidi e di veleni, odore di impostura.


    Il primo documento portava in calce la firma del dottor Valentini Vista, che a Foggia era titolare di una farmacia nella centralissima piazza Lanza. Al vescovo, il professionista aveva riferito anzitutto le circostanze originarie del suo interesse per padre Pio. La tragica morte del fratello, occorsa il 28 settembre 1918 (per effetto dell'epidemia di spagnola, possiamo facilmente ipotizzare). La speranza che il frate cappuccino, proprio in quei giorni trafitto dalle stigmate, potesse intercedere per l'anima del defunto. (...) Il dottor Valentini Vista era poi venuto al dunque. Nella tarda estate del '19, il pellegrinaggio a San Giovanni era stato compiuto da una sua cugina, la ventottenne Maria De Vito: «Giovane molto buona, brava e religiosa», lei stessa proprietaria di una farmacia. La donna si era trattenuta nel Gargano per un mese, condividendo con altre devote il quotidiano train de vie del santo vivo.

    Il problema si era presentato al rientro in città della signorina De Vito: «Quando ella tornò a Foggia mi portò i saluti di Padre Pio e mi chiese a nome di lui e in stretto segreto dell'acido fenico puro dicendomi che serviva per Padre Pio, e mi presentò una bottiglietta della capacità di un cento grammi, bottiglietta datale da Padre Pio stesso, sulla quale era appiccicato un bollino col segno del veleno (cioè il teschietto di morte) e la quale bottiglietta io avrei dovuto riempire di acido fenico puro che, come si sa, è un veleno e brucia e caustica enormemente allorquando lo si adopera integralmente. A tale richiesta io pensai che quell'acido fenico adoperato così puro potesse servire a Padre Pio per procurarsi o irritarsi quelle piaghette alle mani».


    A Foggia, voci sul ritrovamento di acido fenico nella cella di padre Pio avevano circolato già nella primavera di quel 1919, inducendo il professor Morrica a pubblicare sul Mattino di Napoli i propri dubbi di scienziato intorno alle presunte stigmate del cappuccino. Non fosse che per questo, il dottor Valentini Vista era rimasto particolarmente colpito dalla richiesta di acido fenico puro che il frate aveva affidato alla confidenza di Maria De Vito. Tuttavia, «trattandosi di Padre Pio», egli si era persuaso che la richiesta avesse motivazioni innocenti, e aveva consegnato alla cugina la bottiglia con l'acido. Ma la perplessità del farmacista era divenuta sospetto poche settimane dopo, quando il cappuccino di San Giovanni aveva trasmesso alla donna – di nuovo, sotto consegna del silenzio – una seconda richiesta: quattro grammi di veratrina.


    Rivolgendosi a monsignor Bella, Valentini Vista illustrò la composizione chimica di quest'ultimo prodotto e insistette sul suo carattere fortemente caustico. «La veratrina è tale veleno che solo il medico può e deve vedere se sia il caso di prescriverla», spiegò il farmacista. A scopi terapeutici, la posologia indicata per la veratrina era compresa fra uno e cinque milligrammi per dose, sotto forma di pillole o mescolata a sciroppo. «Si parla dunque di milligrammi! La richiesta di Padre Pio fu invece di quattro grammi! ». E tale «quantità enorme trattandosi di un veleno», il frate aveva domandato «senza la giustificazione della ricetta medica relativa», e «con tanta segretezza»... A quel punto, Valentini Vista aveva ritenuto di dover condividere i propri dubbi con la cugina Maria, raccomandandole di non dare più seguito a qualsivoglia sollecitazione farmacologica di padre Pio. Durante il successivo anno e mezzo, il professionista non aveva comunicato a nessun altro il sospetto grave, gravissimo, che il frate si servisse dell'una o dell'altra sostanza irritante «per procurarsi o rendere più appariscenti le stigmate alle mani». Ma quando aveva avuto notizia dell'imminente trasferimento di monsignor Bella, destinato alla diocesi di Acireale, «per scrupolo di coscienza» e nell'«interesse della Chiesa» il farmacista si era deciso a riferirgli l'accaduto.


    La seconda testimonianza fu giurata nelle mani del vescovo dalla cugina del dottor Valentini Vista, e risultò del tutto coerente con la prima. La signorina De Vito confermò di avere trascorso un mese intero a San Giovanni Rotondo, nell'estate del '19. Alla vigilia della sua partenza, padre Pio l'aveva chiamata «in disparte» e le aveva parlato «con tutta segretezza», «imponendo lo stesso segreto a me in relazione anche agli stessi frati suoi confratelli del convento». Il cappuccino aveva consegnato a Maria una boccetta vuota, pregando di farla riempire con acido fenico puro e di rimandargliela indietro «a mezzo dello chauffeur che prestava servizio nell'autocarro passeggieri da Foggia a S. Giovanni». Quanto all'uso cui l'acido era destinato, padre Pio aveva detto che gli serviva «per la disinfezione delle siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi di cui era maestro ». La richiesta dei quattro grammi di veratrina le era giunta circa un mese dopo, per il tramite d'una penitente di ritorno da San Giovanni. Maria De Vito si era consultata con Valentini Vista, che le aveva suggerito di non mandare più nulla a padre Pio. E che le aveva raccomandato di non parlarne con nessuno, «potendo il nostro sospetto essere temerario ».


    Temerario, il sospetto del bravo farmacista e della devota sua cugina? Non sembrò giudicarlo tale il vescovo di Foggia, che pensò bene di inoltrare al Sant'Uffizio le deposizioni di entrambi. D'altronde, un po' tutte le gerarchie ecclesiastiche locali si mostravano scettiche sulla fama di santità di padre Pio. Se il ministro della provincia cappuccina, padre Pietro da Ischitella, metteva in guardia il ministro generale dal «fanatismo » e dall'«affarismo» dei sangiovannesi, l'arcivescovo di Manfredonia, monsignor Pasquale Gagliardi, rappresentava come totalmente fuori controllo la situazione della vita religiosa a San Giovanni Rotondo.


    Da subito nella storia di padre Pio, i detrattori impiegarono quali capi d'accusa quelli che erano stati per secoli i due luoghi comuni di ogni polemica contro la falsa santità: il sesso e il lucro. E per quarant'anni dopo il 1920, il celestiale profumo intorno alla cella e al corpo di padre Pio riuscirà puzzo di zolfo al naso di quanti insisteranno sulle ricadute economiche o almanaccheranno sui risvolti carnali della sua esperienza carismatica. Ma nell'immediato, a fronte delle deposizioni di Maria De Vito e del dottor Valentini Vista, soprattutto urgente da chiarire dovette sembrare al Sant'Uffizio la questione delle stigmate. Tanto più che il vescovo di Foggia, inoltrando a Roma le due testimonianze giurate, aveva accluso alla corrispondenza un documento che lo storico del ventunesimo secolo non riesce a maneggiare – nell'archivio vaticano della Congregazione per la Dottrina della Fede – senza una punta d'emozione: il foglio sul quale padre Pio, forse timoroso di non poter comunicare a tu per tu con la signorina De Vito, aveva messo nero su bianco la richiesta di acido fenico. Allo sguardo inquisitivo dei presuli del Sant'Uffizio, era questo lo smoking gun, l'indizio lasciato dal piccolo chimico sul luogo del delitto. «Per Marietta De Vito, S.P.M.», padre Pio aveva scritto sulla busta. All'interno, un unico foglietto autografo, letterina molto più stringata di quelle che il cappuccino soleva scrivere alle sue figlie spirituali: «Carissima Maria, Gesù ti conforti sempre e ti benedica! Vengo a chiederti un favore. Ho bisogno di aver da duecento a trecento grammi di acido fenico puro per sterilizzare. Ti prego di spedirmela la domenica e farmela mandare dalle sorelle Fiorentino. Perdona il disturbo».


    Se davvero padre Pio necessitava di acido fenico per disinfettare le siringhe con cui faceva iniezioni ai novizi, perché mai procedeva in maniera così obliqua, rinunciando a chiedere una semplice ricetta al medico dei cappuccini, trasmettendo l'ordine in segreto alla cugina di un farmacista amico, e coinvolgendo nell'affaire l'autista del servizio pullman tra Foggia e San Giovanni Rotondo? Ce n'era abbastanza per incuriosire un Sant'Uffizio che possiamo immaginare già sospettoso dopo avere messo agli atti la perizia di padre Gemelli. Di sicuro, i prelati della Suprema Congregazione non dubitarono dell'attendibilità delle testimonianze del dottor Valentini Vista e della signorina De Vito, così evidentemente suffragate dall'autografo di padre Pio. Agli atti del Sant'Uffizio figurava anche la trascrizione di una seconda lettera autografa del cappuccino a Maria De Vito, il cui poscritto corrispondeva esattamente al tenore della deposizione di quest'ultima: «Avrei bisogno di un 4 grammi di veratrina. Ti sarei molto grato, se me la procurassi costì, e me la mandassi con sollecitudine».


    Sergio Luzzatto
    24 ottobre 2007

    www.corriere.it

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    PippyZzetta
    00 24/10/2007 10:38
    di Sergio Luzzatto
    corriere.it


    Il cerchio intorno a padre Pio aveva cominciato a stringersi fra giugno e luglio del 1920: poco dopo che era pervenuta al Sant'Uffizio la lettera- perizia di padre Gemelli sull'«uomo a ristretto campo di coscienza», «soggetto malato», mistico da clinica psichiatrica. Giurate nelle mani del vescovo di Foggia, monsignor Salvatore Bella, e da questi inoltrate, le testimonianze di due buoni cristiani della diocesi pugliese avevano proiettato sul corpo dolorante del cappuccino un'ombra sinistra. Più che profumo di mammole o di violette, odore di santità, dalla cella di padre Pio erano sembrati sprigionarsi effluvi di acidi e di veleni, odore di impostura.


    Il primo documento portava in calce la firma del dottor Valentini Vista, che a Foggia era titolare di una farmacia nella centralissima piazza Lanza. Al vescovo, il professionista aveva riferito anzitutto le circostanze originarie del suo interesse per padre Pio. La tragica morte del fratello, occorsa il 28 settembre 1918 (per effetto dell'epidemia di spagnola, possiamo facilmente ipotizzare). La speranza che il frate cappuccino, proprio in quei giorni trafitto dalle stigmate, potesse intercedere per l'anima del defunto. (...) Il dottor Valentini Vista era poi venuto al dunque. Nella tarda estate del '19, il pellegrinaggio a San Giovanni era stato compiuto da una sua cugina, la ventottenne Maria De Vito: «Giovane molto buona, brava e religiosa», lei stessa proprietaria di una farmacia. La donna si era trattenuta nel Gargano per un mese, condividendo con altre devote il quotidiano train de vie del santo vivo.

    Il problema si era presentato al rientro in città della signorina De Vito: «Quando ella tornò a Foggia mi portò i saluti di Padre Pio e mi chiese a nome di lui e in stretto segreto dell'acido fenico puro dicendomi che serviva per Padre Pio, e mi presentò una bottiglietta della capacità di un cento grammi, bottiglietta datale da Padre Pio stesso, sulla quale era appiccicato un bollino col segno del veleno (cioè il teschietto di morte) e la quale bottiglietta io avrei dovuto riempire di acido fenico puro che, come si sa, è un veleno e brucia e caustica enormemente allorquando lo si adopera integralmente. A tale richiesta io pensai che quell'acido fenico adoperato così puro potesse servire a Padre Pio per procurarsi o irritarsi quelle piaghette alle mani».


    A Foggia, voci sul ritrovamento di acido fenico nella cella di padre Pio avevano circolato già nella primavera di quel 1919, inducendo il professor Morrica a pubblicare sul Mattino di Napoli i propri dubbi di scienziato intorno alle presunte stigmate del cappuccino. Non fosse che per questo, il dottor Valentini Vista era rimasto particolarmente colpito dalla richiesta di acido fenico puro che il frate aveva affidato alla confidenza di Maria De Vito. Tuttavia, «trattandosi di Padre Pio», egli si era persuaso che la richiesta avesse motivazioni innocenti, e aveva consegnato alla cugina la bottiglia con l'acido. Ma la perplessità del farmacista era divenuta sospetto poche settimane dopo, quando il cappuccino di San Giovanni aveva trasmesso alla donna – di nuovo, sotto consegna del silenzio – una seconda richiesta: quattro grammi di veratrina.


    Rivolgendosi a monsignor Bella, Valentini Vista illustrò la composizione chimica di quest'ultimo prodotto e insistette sul suo carattere fortemente caustico. «La veratrina è tale veleno che solo il medico può e deve vedere se sia il caso di prescriverla», spiegò il farmacista. A scopi terapeutici, la posologia indicata per la veratrina era compresa fra uno e cinque milligrammi per dose, sotto forma di pillole o mescolata a sciroppo. «Si parla dunque di milligrammi! La richiesta di Padre Pio fu invece di quattro grammi! ». E tale «quantità enorme trattandosi di un veleno», il frate aveva domandato «senza la giustificazione della ricetta medica relativa», e «con tanta segretezza»... A quel punto, Valentini Vista aveva ritenuto di dover condividere i propri dubbi con la cugina Maria, raccomandandole di non dare più seguito a qualsivoglia sollecitazione farmacologica di padre Pio. Durante il successivo anno e mezzo, il professionista non aveva comunicato a nessun altro il sospetto grave, gravissimo, che il frate si servisse dell'una o dell'altra sostanza irritante «per procurarsi o rendere più appariscenti le stigmate alle mani». Ma quando aveva avuto notizia dell'imminente trasferimento di monsignor Bella, destinato alla diocesi di Acireale, «per scrupolo di coscienza» e nell'«interesse della Chiesa» il farmacista si era deciso a riferirgli l'accaduto.


    La seconda testimonianza fu giurata nelle mani del vescovo dalla cugina del dottor Valentini Vista, e risultò del tutto coerente con la prima. La signorina De Vito confermò di avere trascorso un mese intero a San Giovanni Rotondo, nell'estate del '19. Alla vigilia della sua partenza, padre Pio l'aveva chiamata «in disparte» e le aveva parlato «con tutta segretezza», «imponendo lo stesso segreto a me in relazione anche agli stessi frati suoi confratelli del convento». Il cappuccino aveva consegnato a Maria una boccetta vuota, pregando di farla riempire con acido fenico puro e di rimandargliela indietro «a mezzo dello chauffeur che prestava servizio nell'autocarro passeggieri da Foggia a S. Giovanni». Quanto all'uso cui l'acido era destinato, padre Pio aveva detto che gli serviva «per la disinfezione delle siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi di cui era maestro ». La richiesta dei quattro grammi di veratrina le era giunta circa un mese dopo, per il tramite d'una penitente di ritorno da San Giovanni. Maria De Vito si era consultata con Valentini Vista, che le aveva suggerito di non mandare più nulla a padre Pio. E che le aveva raccomandato di non parlarne con nessuno, «potendo il nostro sospetto essere temerario ».


    Temerario, il sospetto del bravo farmacista e della devota sua cugina? Non sembrò giudicarlo tale il vescovo di Foggia, che pensò bene di inoltrare al Sant'Uffizio le deposizioni di entrambi. D'altronde, un po' tutte le gerarchie ecclesiastiche locali si mostravano scettiche sulla fama di santità di padre Pio. Se il ministro della provincia cappuccina, padre Pietro da Ischitella, metteva in guardia il ministro generale dal «fanatismo » e dall'«affarismo» dei sangiovannesi, l'arcivescovo di Manfredonia, monsignor Pasquale Gagliardi, rappresentava come totalmente fuori controllo la situazione della vita religiosa a San Giovanni Rotondo.


    Da subito nella storia di padre Pio, i detrattori impiegarono quali capi d'accusa quelli che erano stati per secoli i due luoghi comuni di ogni polemica contro la falsa santità: il sesso e il lucro. E per quarant'anni dopo il 1920, il celestiale profumo intorno alla cella e al corpo di padre Pio riuscirà puzzo di zolfo al naso di quanti insisteranno sulle ricadute economiche o almanaccheranno sui risvolti carnali della sua esperienza carismatica. Ma nell'immediato, a fronte delle deposizioni di Maria De Vito e del dottor Valentini Vista, soprattutto urgente da chiarire dovette sembrare al Sant'Uffizio la questione delle stigmate. Tanto più che il vescovo di Foggia, inoltrando a Roma le due testimonianze giurate, aveva accluso alla corrispondenza un documento che lo storico del ventunesimo secolo non riesce a maneggiare – nell'archivio vaticano della Congregazione per la Dottrina della Fede – senza una punta d'emozione: il foglio sul quale padre Pio, forse timoroso di non poter comunicare a tu per tu con la signorina De Vito, aveva messo nero su bianco la richiesta di acido fenico. Allo sguardo inquisitivo dei presuli del Sant'Uffizio, era questo lo smoking gun, l'indizio lasciato dal piccolo chimico sul luogo del delitto. «Per Marietta De Vito, S.P.M.», padre Pio aveva scritto sulla busta. All'interno, un unico foglietto autografo, letterina molto più stringata di quelle che il cappuccino soleva scrivere alle sue figlie spirituali: «Carissima Maria, Gesù ti conforti sempre e ti benedica! Vengo a chiederti un favore. Ho bisogno di aver da duecento a trecento grammi di acido fenico puro per sterilizzare. Ti prego di spedirmela la domenica e farmela mandare dalle sorelle Fiorentino. Perdona il disturbo».


    Se davvero padre Pio necessitava di acido fenico per disinfettare le siringhe con cui faceva iniezioni ai novizi, perché mai procedeva in maniera così obliqua, rinunciando a chiedere una semplice ricetta al medico dei cappuccini, trasmettendo l'ordine in segreto alla cugina di un farmacista amico, e coinvolgendo nell'affaire l'autista del servizio pullman tra Foggia e San Giovanni Rotondo? Ce n'era abbastanza per incuriosire un Sant'Uffizio che possiamo immaginare già sospettoso dopo avere messo agli atti la perizia di padre Gemelli. Di sicuro, i prelati della Suprema Congregazione non dubitarono dell'attendibilità delle testimonianze del dottor Valentini Vista e della signorina De Vito, così evidentemente suffragate dall'autografo di padre Pio. Agli atti del Sant'Uffizio figurava anche la trascrizione di una seconda lettera autografa del cappuccino a Maria De Vito, il cui poscritto corrispondeva esattamente al tenore della deposizione di quest'ultima: «Avrei bisogno di un 4 grammi di veratrina. Ti sarei molto grato, se me la procurassi costì, e me la mandassi con sollecitudine».



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    00 24/10/2007 14:18
    [SM=x44466] no, dai, mi crollerebbe un mito [SM=x44466] [SM=x44515]

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    Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
  • Nikki72
    00 24/10/2007 16:27
    Re:
    Etrusco, 24/10/2007 14.18:

    [SM=x44466] no, dai, mi crollerebbe un mito [SM=x44466] [SM=x44515]




    E' da sempre che ci sono dubbi sull'effettiva santità di Padre Pio, non a caso per arrivare alla canonizzazione sono passati decenni e il processo è stato piuttosto difficile. a me ha sempre destato una certa inquietudine come personaggio, non so perché [SM=x44464]


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    00 24/10/2007 18:45
    Ma avete dubbi? Voglio dire...San Pio aveva le stigmate nel posto sbagliato. La crocifissione avveniva trafiggendo i polsi, non i palmi - i palmi non reggerebbero il peso.

    Le cose sono due: o se le faceva da solo, o il Signore non conosce l'anatomia, visto che le ferite le aveva da un'altra parte. Fate vobis.

    _________________

    Io seguo sempre il gregge.

    Sono il lupo.

  • Nikki72
    00 24/10/2007 19:31
    Re:
    -Asmodeus-, 24/10/2007 18.45:

    Ma avete dubbi? Voglio dire...San Pio aveva le stigmate nel posto sbagliato. La crocifissione avveniva trafiggendo i polsi, non i palmi - i palmi non reggerebbero il peso.

    Le cose sono due: o se le faceva da solo, o il Signore non conosce l'anatomia, visto che le ferite le aveva da un'altra parte. Fate vobis.




    Sì, infatti, ma in tutte (o la maggior parte) le raffigurazioni di Cristo in croce i chiodi sono nei palmi, come sono nei palmi anche nei crocifissi che penso quasi tutti abbiamo in casa, quindi l'immagine "tradizionale" è quella e i santi hanno "memorizzato" questa immagine (non conoscendo la storia dei polsi)... le stigmate possono essere sia procurate materialmente dagli stessi soggetti, ma anche frutto di alterazioni psichiche, in ogni caso la "base" sulla quale nascono è sempre l'immagine di Cristo così come lo vediamo nelle opere d'arte e nelle varie immagini, non come era nella realtà.

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    00 24/10/2007 20:32
    Re: Re:
    Nikki72, 24/10/2007 19.31:




    Sì, infatti, ma in tutte (o la maggior parte) le raffigurazioni di Cristo in croce i chiodi sono nei palmi, come sono nei palmi anche nei crocifissi che penso quasi tutti abbiamo in casa, quindi l'immagine "tradizionale" è quella e i santi hanno "memorizzato" questa immagine (non conoscendo la storia dei polsi)... le stigmate possono essere sia procurate materialmente dagli stessi soggetti, ma anche frutto di alterazioni psichiche, in ogni caso la "base" sulla quale nascono è sempre l'immagine di Cristo così come lo vediamo nelle opere d'arte e nelle varie immagini, non come era nella realtà.




    Preciso. [SM=x44459]

    Pensare che invece la Sindone i segni li ha corretti...almeno studiassero prima di farsi del male. [SM=x44451]

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    00 24/10/2007 23:59
    Re:
    -Asmodeus-, 24/10/2007 18.45:

    Ma avete dubbi? Voglio dire...San Pio aveva le stigmate nel posto sbagliato. La crocifissione avveniva trafiggendo i polsi, non i palmi - i palmi non reggerebbero il peso.

    Le cose sono due: o se le faceva da solo, o il Signore non conosce l'anatomia, visto che le ferite le aveva da un'altra parte. Fate vobis.



    Si, ma sempre ammettendo che il Cristo sia stato crocefisso coi chiodi anzichè legato:
    perchè in quel tempo i chiodi di ferro erano un grande lusso che pochissimi cristi potevano permettersi, eh!

    PS sempre con rispetto parlando [SM=x44476]

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    00 25/10/2007 00:03
    Re: Re: Re:
    -Asmodeus-, 24/10/2007 20.32:



    Preciso. [SM=x44459]

    Pensare che invece la Sindone i segni li ha corretti...almeno studiassero prima di farsi del male. [SM=x44451]




    Forse non lo sai, ma in certi ambienti "pensare troppo", come farsi troppe domande, approfondire, studiare.... è visto come un peccato
    che possa agevolare la nascita di dubbi e conseguente indebolimento della fede....
  • Nikki72
    00 25/10/2007 10:13
    Re: Re: Re: Re:
    Etrusco, 25/10/2007 0.03:




    Forse non lo sai, ma in certi ambienti "pensare troppo", come farsi troppe domande, approfondire, studiare.... è visto come un peccato
    che possa agevolare la nascita di dubbi e conseguente indebolimento della fede....





    Infatti in certi ambienti la definizione "cattolici adulti" (cioè, quei cattolici che pensano con la propria testa) equivale ad un insulto: loro dicono che i cattolici devono essere "bambini" e farsi guidare in tutto e per tutto. mi chiedo a questo punto a che scopo Dio ci abbia dato il cervello... ma forse è una domanda troppo impegnativa per loro [SM=x44453]

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    00 25/10/2007 12:40
    Re: Re: Re: Re: Re:
    Nikki72, 25/10/2007 10.13:


    Infatti in certi ambienti la definizione "cattolici adulti" (cioè, quei cattolici che pensano con la propria testa) equivale ad un insulto: loro dicono che i cattolici devono essere "bambini" e farsi guidare in tutto e per tutto. mi chiedo a questo punto a che scopo Dio ci abbia dato il cervello... ma forse è una domanda troppo impegnativa per loro [SM=x44453]





    Anche nei gruppi neocatecumenali che frequento si cerca di selezionare prevalentemente "cattolici bambini":
    prima si cerca di "recuperarli", ma poi se questi continuano ad avere troppo spirito critico, farsi troppe domande, mettere troppe cose in dubbio....
    allora in un modo o nell'altro vengono allontanati.... [SM=x44499]

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    Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
  • bremaz
    00 25/10/2007 13:42
    Re: Re: Re: Re: Re:
    Nikki72, 25/10/2007 10.13:





    Infatti in certi ambienti la definizione "cattolici adulti" (cioè, quei cattolici che pensano con la propria testa) equivale ad un insulto: loro dicono che i cattolici devono essere "bambini" e farsi guidare in tutto e per tutto. mi chiedo a questo punto a che scopo Dio ci abbia dato il cervello... ma forse è una domanda troppo impegnativa per loro [SM=x44453]





    che domande.... per permettere di mangiare con gusto ad Hannibal Lecter [SM=x44452]
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    00 25/10/2007 13:45
    Nel libro di Sergio Luzzatto ricostruite anche le diffidenti valutazioni del pontefice
    «Padre Pio, un immenso inganno»
    Giovanni XXIII annotava: «I suoi rapporti scorretti con le fedeli fanno un disastro di anime»


    Padre Pio (Ansa)
    «Stamane da mgr Parente, informazioni gravissime circa P.P. e quanto lo concerne a S. Giov. Rotondo. L’informatore aveva la faccia e il cuore distrutto».
    L’informato è Giovanni XXIII. P.P. è Padre Pio. E queste sono le parole che il Papa annota il 25 giugno 1960, su quattro foglietti rimasti inediti fino a oggi e rivelati da Sergio Luzzatto.
    «Con la grazia del Signore io mi sento calmo e quasi indifferente come innanzi ad una dolorosa e vastissima infatuazione religiosa il cui fenomeno preoccupante si avvia ad una soluzione provvidenziale.

    Mi dispiace di P.P. che ha pur un’anima da salvare, e per cui prego intensamente» annota il Pontefice. «L’accaduto—cioè la scoperta per mezzo di filmine, si vera sunt quae referentur, dei suoi rapporti intimi e scorretti con le femmine che costituiscono la sua guardia pretoriana sin qui infrangibile intorno alla sua persona— fa pensare ad un vastissimo disastro di anime, diabolicamente preparato, a discredito della S. Chiesa nel mondo, e qui in Italia specialmente. Nella calma del mio spirito, io umilmente persisto a ritenere che il Signore faciat cum tentatione provandum, e dall’immenso inganno verrà un insegnamento a chiarezza e a salute di molti».

    «Disastro di anime». «Immenso inganno ». Una delle «tentazioni» con cui il Signore ci mette alla prova. Espressioni durissime. Che però non si riferiscono alla complessa questione delle stigmate, su cui si sono concentrate le prime reazioni al saggio di Luzzatto, «Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento», in uscita la prossima settimana da Einaudi. All’inizio dell’estate 1960, Papa Giovanni è appena stato informato da monsignor Pietro Parente, assessore del Sant’Uffizio, del contenuto delle bobine registrate a San Giovanni Rotondo. Da mesi Roncalli assume informazioni sulla cerchia delle donne intorno a Padre Pio, si è appuntato i nomi di «tre fedelissime: Cleonilde Morcaldi, Tina Bellone e Olga Ieci», più una misteriosa contessa che induce il Pontefice a chiedere se il suo sia «un vero titolo oppure un nomignolo». Nel sospetto—cui il Papa presta fede—che la devozione delle donne nei confronti del cappuccino non sia soltanto spirituale, Roncalli vede la conferma di un giudizio che aveva formulato con decenni di anticipo.

    Al futuro Giovanni XXIII, Padre Pio non era mai piaciuto. All’inizio degli Anni ’20, quando per due volte aveva percorso la Puglia come responsabile delle missioni di Propaganda Fide, aveva preferito girare alla larga da San Giovanni Rotondo. Ma è soprattutto la fede ascetica, mistica, quasi medievale di cui il cappuccino è stato il simbolo, per la Chiesa modernista di inizio secolo come per la Chiesa conciliare a cavallo tra gli Anni ’50 e ’60, a essere estranea alla sensibilità di Angelo Roncalli. Che, sempre il 25 giugno, annota ancora: «Motivo di tranquillità spirituale per me, e grazia e privilegio inestimabile è il sentirmi personalmente puro da questa contaminazione che da ben 40 anni circa ha intaccato centinaia di migliaia di anime istupidite e sconvolte in proporzioni inverosimili». E, dopo aver ordinato una nuova visita apostolica a San Giovanni Rotondo, ad appunto quasi quarant’anni da quella compiuta nel 1921, il Papa conclude che «purtroppo laggiù il P.P. si rivela un idolo di stoppa».

    Gli appunti di Roncalli rappresentano uno dei passaggi salienti dell’opera di Luzzatto. E, se letti con animo condizionato dal pregiudizio, possono indurre a giudicarla o come una demolizione definitiva della figura del santo, o come un’invettiva laicista contro un fenomeno devozionale duraturo e interclassista. Ma sarebbero due letture sbagliate. Il giudizio di Luzzatto su Padre Pio non è quello sommariamente liquidatorio, che si è potuto leggere ad esempio nel recente e fortunato pamphlet di Piergiorgio Odifreddi. Luzzatto prende Padre Pio molto sul serio. E, con un lavoro durato sei anni, indaga non solo sulla sua biografia, ma anche e soprattutto sulla sua mitopoiesi: sulla costruzione del mito del frate di Pietrelcina e sulla sua vicenda, profondamente intrecciata non solo con quella della Chiesa italiana, ma anche con la politica e pure con la finanza. Unmito che nasce sotto il fascismo (Luzzatto dedica pagine che faranno discutere al «patto non scritto» con Caradonna, il ras di Foggia; ed è un fatto che le prime due biografie di Padre Pio sono pubblicate dalla casa editrice ufficiale del partito, la stessa che stampa i discorsi del Duce). Ciò non toglie che l’esito di quella ricerca sarà inevitabilmente elogiata e criticata, com’è giusto che sia. Ma anche gli stroncatori non potranno non riconoscere che uno studioso estraneo al mondo cattolico ha affrontato la figura del santo con simpatia, nel senso etimologico, e non è rimasto insensibile al fascino di una figura sovrastata da poteri—terreni prima che soprannaturali—più grandi di lei, e (comunque la si voglia giudicare) capace di alleviare ancora oggi il dolore degli uomini e di destare un interesse straordinario.

    Scrive Luzzatto che «l’importanza di Padre Pio nella storia religiosa del Novecento è attestata dal mutare delle sue fortune a ogni morte di Papa».
    Benedetto XV si dimostrò scettico, permettendo che il Sant’Uffizio procedesse da subito contro il cappuccino.
    Più diffidente ancora fu Pio XI:
    sotto il suo pontificato si giunse quasi al punto di azzerarne le facoltà sacerdotali.

    Pio XII invece consentì e incoraggiò il culto del frate.
    Giovanni XXIII autorizzò pesanti misure di contenimento della devozione. Ma Paolo VI, che da sostituto alla segreteria di Stato aveva reso possibile la costruzione della Casa Sollievo della Sofferenza, da Pontefice fece in modo che il frate potesse svolgere il suo ministero «in piena libertà». Albino Luciani, che per poco più di un mese fu Giovanni Paolo I, da vescovo di Vittorio Veneto scoraggiò i pellegrinaggi nel Gargano. Mentre Wojtyla si mostrò sempre profondamente affascinato dalla figura del cappuccino, che sotto il suo pontificato fu elevato agli altari.

    Non è in discussione ovviamente la continuità morale e teologica tra i successori di Pietro.
    Però è impossibile negare che i Pontefici succedutisi nel corso del Novecento abbiano guardato a Padre Pio con occhi diversi, comprese le asprezze giovan
    nee.
    E, come documenta Luzzatto, quando «La Settimana Incom illustrata» sparò in prima pagina il titolo «Padre Pio predisse il papato a Roncalli »”, compreso il dettaglio di un telegramma di ringraziamento che il nuovo Pontefice avrebbe inviato al cappuccino, Giovanni XXIII ordina al proprio segretario di precisare all’arcivescovo di Manfredonia che era "tutto inventato": «Io non ebbi mai alcun rapporto con lui, né mai lo vidi, o gli scrissi, né mai mi passò per la mente di inviargli benedizioni;
    né alcuno mi richiese direttamente o indirettamente di ciò, né prima, né dopo il Conclave, né mai».

    Aldo Cazzullo
    25 ottobre 2007
    www.corriere.it/cronache/07_ottobre_25/padrepio.shtml

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    00 25/10/2007 13:52
    Per la prima volta va all'asta una macchina di un santo. Secondo le stime
    dovrebbe superare ampiamente la quotazione di un milione di euro
    In vendita la Mercedes
    appartenuta a Padre Pio

    di VINCENZO BORGOMEO


    La Mercedes del 1959 di Padre Pio

    Dopo la Ford Escort, la malconcia Warzsawa di Papa Wojtyla e la Golf di Benedetto XVI ora si va oltre: per la prima volta al mondo va in vendita la macchina di un santo. Fra poco, potendo disporre di un bel gruzzolo (oltre un milione di euro si stima) ci si potrà mettere al volante della berlina di Padre Pio, una splendida Mercedes 180 bicolore del 1959 guidata personalmente dal frate di Pietrelcina.

    La macchina sarà battuta all'asta da Coys a fine ottobre nell'ambito del gigantesco salone riservato alle auto d'epoca organizzato a Padova. ....

    (24 ottobre 2007)

    www.repubblica.it/2007/10/motori/motori-ottobre-2007/motori-auto-padre-pio/motori-auto-padre-pio.html?ref=m...

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    00 26/10/2007 14:20
    PIO O NON PIO?
    - ALLA PIA DONNA CLEONICE: “TI INVIO UNA FIUMANA DI BACI E CAREZZE”
    – LE SUPER FEDELI GLI CREARONO GUAI A NON FINIRE. MA MENTÌ QUELLA CHE CONFESSÒ RAPPORTI SESSUALI
    – IL CARTEGGIO TRA IL FRATE E CLEONICE TRAE IN INGANNO. MA È CASTO…





    Marco Tosatti per “La Stampa”


    Le donne, le «pie donne», il gruppo di super fedeli di padre Pio gli hanno sempre procurato guai a non finire.
    Una di esse, gelosa di una «concorrente» giunse ad autoaccusarsi di avere avuto rapporti sessuali con il frate.
    Un falso: ma lo raccontò a monsignor Maccari, che per conto di Giovanni XXIII indagava sul frate, con le conseguenze che si possono immaginare.

    Scriveva in una relazione riservata nel 1979 padre Alberto D’Apolito: «Soltanto una donna isterica, esaltata e malata di mente poteva calunniare se stessa e padre Pio di rapporti immaginari contro il sesto comandamento».
    (Padre Pio da pitrelcina)

    Ma c’è da dire che padre Pio usava, nei suoi rapporti con le figlie spirituali, e in particolare con una di esse, Cleonice, un linguaggio mistico-amoroso che avrebbe potuto trarre in inganno chi non era esperto del genere di tensione spirituale che si crea in spiritualità particolari, come quella di San Giovanni della Croce. Padre Pio e Cleonice si scambiavano bigliettini (padre Pio usava lo pseudonimo di Mammina). Siamo in grado di presentarne alcuni, contenuti nella «Positio», cioè nella relazione per la causa di beatificazione, mai pubblicati finora. Bisogna ricordare, prima di leggerli, che padre Pio era in età avanzata e pieno di acciacchi, e la sua interlocutrice, malata, non era esattamente una pin up.

    Cleonice è in un momento difficile. Le scrive Padre Pio: «Io sono con te. Non ti abbattere, ma sii la donna forte di animo come io ti ho eletta. Non ti devi far vedere così triste, per quanto a te è possibile, perché mi sento trafiggere l'anima. Mammina mi incarica di inviarti una fiumana di carezze con caldissimi baci. Io ti benedico con tutta l'effusione del cuore».

    Sono queste espressioni, così apparentemente «forti», ma fanno parte del linguaggio spirituale dei due. Così troviamo frasi del genere: «Mammina ti manda mille carezze e una fiumana di baci»; oppure: «Figlia mia, sappi che il padre tuo è sempre tuo, e tutto tuo. Sono pronto a tutto. Qualunque cosa ti fa bisogno basta dirlo, e tutto ti sarà concesso».

    Oppure: «Diletta del cuore della Mammina, la tua Mammina non sa né può rinunziare di far pervenire sia pure un semplice saluto alla sua figliola prediletta. Ti mando un milione di affettuosità e di carezze nel dolce Gesù. Vivi serena poiché Gesù è con te e niente hai perduto, ma vai sempre più guadagnandoci. Mammina ti manda un milione di baci. Io ti benedico ripetutamente con tutta l'effusione del mio cuore».

    Gli incontri sono rari.
    Così il frate scrive nel 1940: «Quale conforto, mi dice la tua Mammina, le è stato al suo cuore ulcerato l'incontro furtivo e inaspettato del suo sguardo con quello della sua prediletta! Non si può descrivere, ma solo gustare. Gesù gliene renda infiniti meriti; mentre la tua Mammina dice di portare il tutto sepolto nel suo cuore. B.B.B. C.C.C. (baci caldissimi, o baci e carezze N.d.A)».

    Ancora nel 1940, in un momento di difficoltà per Cleonice, le scrive: «Mammina ti fa sapere a mezzo mio di startene tranquilla perché sei stata esaudita in tutto e non ti lascerà mai e poi mai orfana. Lei vive per la sua figliola e per Iddio. Perciò tranquillizzati e vivi serena. Lei mi dice pure che in tutti i momenti di ti invia una fiumana di carezze e di infuocati baci nel dolce Signore. Io poi ti saluto nel Signore ed in lui ti invio tenerezze e BBBB CCCC».



    E poi questo dialogo.
    Cleonice: «Lo dici davvero che ti basta l'amore di una sola creatura?». Padre Pio: «Sì. Il tuo solo mi basta».

    Cleonice: «Perché proprio su di me è caduta la tua predilezione?». Padre Pio: «Perché ti ho eletta». Cleonice: «Pure Gesù mi predilige?». Padre Pio: «Sì». Cleonice: «Non è questo motivo di confusione per me?». Padre Pio: «Sì, ma anche di dolce conforto». Cleonice: «Mi struggo dal desiderio di baciare Rachelina (un altro pseudonimo usato da padre Pio). Perché non domandi a Gesù di farlo venire da me?». Padre Pio: «Va bene».

    E’ chiaro che di fronte a una corrispondenza scritta secondo le formule del linguaggio affettivo, fra un religioso e una laica ci è posto il problema, nelle cause di beatificazione e canonizzazione, se nelle manifestazioni o relazioni affettive fra padre Pio e Cleonice tutto si sia svolto in maniera casta. La risposta è stata affermativa.


    213.215.144.81/public_html/articolo_index_35439.html

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    00 26/10/2007 18:08
    Re: Re:
    Etrusco, 24/10/2007 23.59:



    Si, ma sempre ammettendo che il Cristo sia stato crocefisso coi chiodi anzichè legato:
    perchè in quel tempo i chiodi di ferro erano un grande lusso che pochissimi cristi potevano permettersi, eh!

    PS sempre con rispetto parlando [SM=x44476]





    [SM=x44457]

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    Ero solito portare una pallottola nel taschino, all'altezza del cuore. Un giorno un tizio mi tirò addosso una Bibbia ma la pallottola mi salvò la vita.
  • Nikki72
    00 08/11/2007 09:14
    Sono sbalordita dalla puntata di Matrix di ieri sera, ospite Luzzatto che ha potuto parlare liberamente e non solo: hanno mandato in onda tutte le frasi "dure" di Giovanni XXIII su S. Pio e ricostruito i motivi per cui è stato così osteggiato dalla Chiesa (rapporti ambigui con le donne ecc.). ancora una volta Mentana è stato coraggioso [SM=x44459] anche Vespa ha trattato l'argomento ma senza mai nominare Luzzatto né tantomeno invitarlo, c'era sì Odifreddi (è già tanto), ma in compenso c'era un frate di S. Giovanni Rotondo, la Pivetti, Ron, Messori, una miracolata da S. Pio e altri 3-4 tutti cattolici (+ Vespa)... [SM=x44464]

  • bremaz
    00 08/11/2007 17:27
    Re:
    Nikki72, 08/11/2007 9.14:

    Sono sbalordita dalla puntata di Matrix di ieri sera, ospite Luzzatto che ha potuto parlare liberamente e non solo: hanno mandato in onda tutte le frasi "dure" di Giovanni XXIII su S. Pio e ricostruito i motivi per cui è stato così osteggiato dalla Chiesa (rapporti ambigui con le donne ecc.). ancora una volta Mentana è stato coraggioso [SM=x44459] anche Vespa ha trattato l'argomento ma senza mai nominare Luzzatto né tantomeno invitarlo, c'era sì Odifreddi (è già tanto), ma in compenso c'era un frate di S. Giovanni Rotondo, la Pivetti, Ron, Messori, una miracolata da S. Pio e altri 3-4 tutti cattolici (+ Vespa)... [SM=x44464]





    L'ho vista anch'io, mi è piaciuta molto.

    E' stata data la posibilità di parlare a tutti, anche ai devoti del santo [SM=x44458]

    Mentana piace molto a me: per lavorare in un'ammiraglia è molto competente e coraggioso.

    Su Vespa invece non mi so esprimere, non ho mai visto in vita mia una puntata di porta a porta [SM=x44465]

    Unico appunto a Mentana: cazzo dà da lavorare alla palombelli
    come odio quella cretina [SM=x44472]
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    00 10/11/2007 00:51
    Dai, non c'era mica bisogno che Mentana ci facesse lo scoop (lui è sempre alla ricerca del servizio clamoroso che faccia scalpore)
    si sapeva già da tempo che intorno a Padre Pio c'erano molte montature un po' troppo artificiose....

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  • Nikki72
    00 10/11/2007 12:39
    Re:
    Etrusco, 10/11/2007 0.51:

    Dai, non c'era mica bisogno che Mentana ci facesse lo scoop (lui è sempre alla ricerca del servizio clamoroso che faccia scalpore)
    si sapeva già da tempo che intorno a Padre Pio c'erano molte montature un po' troppo artificiose....





    Vallo a dire a Vespa [SM=x44452]

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