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Adriana Zarri, una teologa cattolica controcorrente

  • Messaggi
  • Nikki72
    00 28/12/2007 16:21


    Teologa e scrittrice cattolica, Adriana Zarri abita da molti anni nelle campagne di Albiano, non lontano da Ivrea.

    Più di trent’anni fa ha scelto di vivere in un casale e di seguire uno stile di vita monastico. Vive sola, ma non si è rinchiusa nella solitudine. La domenica si rivolge al pubblico del quotidiano "Il Manifesto". Nella sua rubrica, intitolata "Parabole", non mancano mai commenti acuti e a volte pungenti sulla società e la politica italiane. E la sua casa, grande e spaziosa, alcune volte l’anno si riempie di gente, di amici, che discutono con lei di temi religiosi, in uno spirito di libertà e di ricerca.

    Adriana Zarri, come passa le sue giornate?
    Mi alzo alle sei del mattino, poi faccio colazione e recito le lodi. E poi comincia la giornata. Durante il mattino dirigo un poco i lavori di campagna e poi faccio la liturgia nella chiesetta. A mezzogiorno pranzo. Il pomeriggio mi riposo un poco perché vado a letto tardissimo. Poi mi alzo, lavoro, vado a cena alle otto poi mi distendo un poco e verso le dieci riprendo a lavorare, fino alle tre di notte. Ed è il periodo in cui faccio il lavoro più importante, più impegnativo perché durante il giorno tra lavori esterni, tra corrispondenza e articoli la giornata mi passa. E invece i lavori seri li sbrigo di notte.

    Che cosa significa oggi scegliere di vivere la povertà?
    Io ho scritto un libro sulla povertà nel quale dico che la povertà evangelica è soprattutto il distacco, non solo dal denaro, ma dal potere, dall’ambizione, da tutto. E quando mi si chiede qual è la massima evangelica che più mi interessa io dico sempre che è dove si dice “chi perde la propria vita la troverà”, quella è veramente la povertà, l’essere liberi da tutto, a cominciare da noi stessi.

    Quali sono le cose in cui lei proprio non crede?
    Sono parecchie. Ad esempio non credo nell’inferno perché mi sembra un insulto alla bontà di Dio, tra l’altro. Anche la nostra cultura, anche laica, anche di non credenti, non ammette più la giustizia puramente punitiva. E la concepisce solo come capacità di riscatto, di reinserimento. In una pena che dura per sempre come quella dell’inferno questo riscatto non c’è. Penso sia difficile ritenere che gli uomini sono più buoni di Dio. Quindi all’inferno non credo.

    Si può dire che noi viviamo in un tempo che non vuole più ascoltare Dio?
    È una domanda difficile, perché c’è di tutto: c’è della gente che è stanca, anche a ragione, non per colpa di Dio, ma per colpa degli uomini che presumono di parlare di Dio e ne parlano malissimo, anche con le buone intenzioni. E c’è della gente che lo ascolta anche troppo e in maniera fanatica, fondamentalista. Ci sono questi movimenti di nuovo fondamentalismo come i neocatecumenali, come CL, per non parlare poi dell’Opus Dei, quelli l’ascoltano anche troppo e l’ascoltano male. Sarebbe meglio che non lo ascoltassero, piuttosto che ascoltarlo in quel modo.

    Gesù è stato veramente capito dal cristianesimo?
    Certamente è stato capito poco perché se ne è fatto una persona molto più allineata e molto meno trasgressiva di quanto non fosse. L’abbiamo molto addomesticato. Perché ci faceva comodo addomesticarlo, perché la sua capacità di ribellione ci disturbava, ci dava fastidio.

    Le capita di mettere in discussione Dio, di rivolgergli delle domande?
    Sì, delle domande sì. Delle contestazioni, no. Ma delle domande sì. Vorrei sapere tante cose che lui non ci ha detto. Vorrei saper un po’ meglio che cosa succede nell’aldilà. Perché la fede ci dice qualcosa, ma non è poi che ci dica tanto. E allora, come sarà la vita futura, come sarà? Io penso e spero che sia somigliante a questa. E qualche volta gli dico: non farmi brutti scherzi perché io voglio trovare le mie rose, i miei gatti e tutto quello che ho amato sulla terra.

    E della morte che cosa pensa?
    La morte è l’ultimo danno, l’ultimo disastro. Tutti hanno paura della morte, a cominciare da Cristo che ne ha avuto paura.

    La morte non è nostra amica, come ha detto qualcuno?
    No, quel qualcuno credo che non aveva neanche letto il Vangelo, perché Cristo ha avuto paura della morte, come tutti. La morte è veramente un passaggio terribile, poi sì ci aprirà le porte dell’aldilà, ma questo passaggio resta una cosa molto traumatica.

    E rispetto alla sofferenza, che cosa pensa?
    Penso che anche qui noi abbiamo travisato un po’ il Vangelo. Il Vangelo è molto più normale, molto più umano. C’è una santa – non mi ricordo più chi, anzi temo che sia santa Teresa d’Avila – che diceva: non voglio morire, voglio seguitare a soffrire. E c’è tutta una esaltazione doloristica che non fa parte del Vangelo. Nostro Signore le malattie le curava, le guariva, non è che era così affezionato alla sofferenza.

    C’è chi sostiene che il dolore e la sofferenza abbiano una virtù didattica. Il dolore può insegnare qualcosa?
    Dipende da come è vissuto, dipende dalle situazioni, dipende dalle persone. A qualcuno insegnerà qualcosa e a molti insegna solo l’insofferenza e la ribellione. Quindi non è così automatico che la sofferenza abbia queste capacità di insegnare qualcosa.

    Che importanza hanno per lei i rapporti ecumenici?
    Sono molto importanti, anche perché è difficile dire dove finisce la chiesa e dove finisce il cattolicesimo, dove finisce la fede e dove comincia.

    Eppure c’è una tradizione che ha indicato quali sono i confini, c’è un dentro e c’è un fuori…
    Sì, si dice questo, ma credo che il dentro e il fuori lo sappia solo Dio e non noi.

    Quindi il detto che fuori della chiesa non c’è salvezza non vale?
    Beh, fuori della chiesa vera non c’è salvezza, ma quale è la chiesa vera? La chiesa vera è la nostra fede, ma che cos’è la fede? Anche lì, dove comincia la fede e dove comincia la non credenza?

    Come definirebbe la fede?
    Credo che noi abbiamo un concetto molto intellettualistico della fede. La fede non è necessariamente credere nell’esistenza di Dio, nella divinità di Cristo, nella risurrezione, nei cosiddetti contenuti di fede. La fede è soprattutto un atteggiamento di ascolto, di disponibilità. Perché se è vero che ci si salva per la fede, e se è vero che gli uomini onesti si salvano, allora si vede che questi uomini onesti anche se non hanno la fede, anche se non credono come crediamo noi, la fede ce l’hanno, i cosiddetti non credenti. I non credenti onesti oggi sappiamo tutti che si salvano, a parte il fatto che si salvano tutti perché io nell’inferno non ci credo, quindi si salvano tutti. Si tratta di vedere l’ampiezza dell’anticamera che dovranno fare. E certo anche tanti cosiddetti credenti dovranno fare una lunga anticamera. E magari tanti cosiddetti non credenti la faranno più breve.

    Si parla di chiese che si svuotano, di fede che viene meno. È un vero problema della nostra epoca?
    Bisogna vedere se le chiese che erano piene una volta, di chi erano piene, di credenti o di non credenti? È il discorso che facevamo prima, della fede. Quelli che vanno in chiesa, sì, sono credenti dal punto di vista intellettuale, credono nell’esistenza di Dio e tutto il resto, ma tante volte non hanno questa disponibilità, questo ascolto. Per cui in realtà non sono credenti. E le nostre chiese sono piene di non credenti e per fortuna le nostre strade sono piene di credenti inconsci, anonimi. Che dicono di non credere e magari credono, sia pure in una maniera diversa da noi.

    (intervista a cura di Paolo Tognina)

    www.voceevangelica.ch/index.cfm?method=articoli.main&id=2917
  • Nikki72
    00 28/12/2007 16:23
    Il papa che verrà


    di ADRIANA ZARRI



    Non è gentile, non è opportuno criticare un defunto, a salma ancora calda. Di solito le critiche si fanno più avanti, quando la salma si è raffreddata. Prima è il momento degli elogi che - per verità, per cortesia o per ipocrisia - si fanno a tutti i morti. Volevo anch'io fare così, rimandando ad un secondo tempo le valutazioni degli aspetti negativi, presenti in papa Wojtyla, come in ogni essere umano, per potente e sacro e santo che sia. Però quanto sta succedendo: l'enfasi celebratoria che rasenta il fanatismo idolatrico (qualcuno ha parlato di papolatria) mi induce ad anticipare alcune critiche, anche se questo è il momento meno adatto. E' risaputo che, durante il Concilio, Wojtyla fu sempre dalla parte conservatrice e si oppose duramente a quei documenti conciliari che aprirono alla chiesa ed al mondo nuove strade. In seguito, eletto papa, la sua linea non cambiò e la sua teologia (posto che teologia si possa dire ciò che fu una semplice norma pastorale) fu sotto lo stesso segno regressivo: vedi l'opposizione al sacerdozio femminile il ribadito assenso al celibato ecclesiastico, alle discusse norme contraccettive, alla morale sessuale e via dicendo. E in tutto questo non si riferì (non poteva, in alcun modo, riferirsi) alla fede e alla Scrittura. Si tratta solo di teologia (e di cattiva teologia come cattiva è sempre stata la teologia che vige in Vaticano).

    Questo per quanto attiene alla dottrina. Se poi vogliamo scendere a considerazioni più strettamente personali dobbiamo registrare l'appoggio che Wojtyla ha sempre dato all'Opus Dei: appoggio che è culminato con la canonizzazione dell'Escrivà de Balaguer che, com'è noto, dell'Opus fu il discusso fondatore. La canonizzazione dell'Escrivà: un personaggio quanto mai ambiguo («Va via, puttana porca» esclamò contro una donna che aveva osato contraddirlo) fu un fatto scandaloso; e so di telegrammi di indignato dissenso di cui il papa non tenne alcun conto. Né quella dell'Escrivà fu la sola canonizzazione discutibile. Altre ne seguirono.

    Oltre alla qualità va rilevata l'incredibile quantità dei beati e dei santi creati da questo papa: più di quanti ne abbiamo fatti tutti i suoi predecessori messi insieme: un fatto assolutamente anomalo, nella storia della chiesa.

    Penso che possa bastare; e mi scuso per tutti gli ammiratori (e verrebbe quasi da dire «adoratori») di questo papa che ha pur tanti meriti: ad esempio lo slancio ecumenico (mentre però seguitava ad elargire indulgenze che certo ecumeniche non sono).

    Dopo questo papa, di cui tutto il mondo ha parlato con toni che, come già abbiamo detto, rasentano la papolatria, qual'è il successore più idoneo a ricondurre la chiesa a toni più poveri ed evangelicamente più dimessi?

    Personalmente mi auguro una figura di basso profilo, proprio per ridimensionare la figura papale e contrastare l'enfasi papalista che è un «peccato» tipicamente cattolico. Un papa senza spettacolo, dimesso: meno «papa» possibile, nel senso trionfale che questa figura ha sovente incarnato. Un papa che abbandoni la piazza trionfale di san Pietro e si trasferisca a san Giovanni in Laterano: la cattedrale di Roma. Semplificando (con tutta l'approssimazione delle semplificazioni) si potrebbe dire che san Pietro è il potere, san Giovanni la fede.

    Il papa è gestore universale in quanto vescovo di Roma. Però la cura della diocesi è sempre stata trascurata e demandata ad un vicario, il che significa accentuare oltre misura il potere universale a detrimento della cura pastorale di quella diocesi che pure è quanto rende papa il papa. In sintesi possiamo dire che il papa di domani vorremmo che fosse sempre più uomo come noi: senza extraterritorialità, senza svizzeri ed alabarde, senza stato né capi di stato (e quanti ne verranno a Roma, in questi giorni!) ma con una tavola accogliente alla cui mensa invitare non solo i potenti della terra ma anche i suoi cuochi e giardinieri. Un giardino glielo vogliamo concedere, con tante rose, qualche lucertola e qualche gatto.

    www.cdbchieri.it/rassegna_stampa_2005/wojtyla_zarri.htm
  • Nikki72
    00 28/12/2007 16:36
    Intervista con Adriana Zarri di Davide Pelanda, Megachip

    Da poco più di trent'anni Adriana Zarri, 88 anni, teologa progressista e saggista, ha scelto di vivere in un cascinale di campagna in totale solitudine. Segue uno stile di vita austero che si può definire monastico. È una sorta di eremita. Quando prese questa radicale decisione era il settembre 1975. Lo comunicò agli amici con una lettera che annunciava un trasloco non «dovuto a motivi pratici» scriveva la Zarri, ma a causa «di una scelta di vita eremitica. La mia nuova residenza sarà infatti una vecchia cascina solitaria, dove trascorrere i restanti anni della mia vita nella preghiera e nel silenzio».

    Nonostante gli acciacchi dell'età è una infaticabile scrittrice, molto critica sulle scelte di questo papa.
    La sua collaboratrice ci fa strada fino al fondo dove la scorgiamo coricata a letto che si rinfresca con un ventilatore. È parecchi mesi, infatti, che non cammina più: ci spiega che è caduta e si è rotta i femori. Ma è rimasta lo stesso attiva, perché la testa ce l'ha ancora buona. Vicino al letto un tavolino con i ritagli di alcuni giornali, con altre riviste e libri.
    Nel frattempo, anche se ha temporaneamente sospeso la sua collaborazione con Il Manifesto per la sua rubrica domenicale “Parabole” - acuti e pungenti commenti sulla società e sulla Chiesa cattolica – («Oggi o domani telefonerò al direttore Gabriele Polo per dire che riprenderò a breve» ci dice) ha scritto un ennesimo libro che uscirà a settembre di cui sta correggendo le bozze.
    «È la storia di un papa. – ci spiega - Ha un titolo un po' lungo e strano “Vita e morte senza miracoli di Celestino VI” era un papa che ha voluto riprendere il nome di Celestino V che nessun altro papa aveva più osato riprendere. La casa editrice è piccola, molto capace, del nord».
    Mentre parla sempre con un filo di voce, Adriana Zarri mi guarda con dignità, con quei due occhietti vivacissimi, grigio-azzurri che comunicano serenità. Nonostante tutti i suoi acciacchi. Ed è ancora vivace il suo argomentare critico sull'attualità della Chiesa e di alcuni suoi componenti più conservatori.

    Il nostro colloquio sarà ritmato da lunghe pause e silenzi meditativi. Colloquio che comincia inevitabilmente dalla sua opinione riguardo il motu proprio di Papa Benedetto XVI che introduce la facoltà se si vuole (e se c'è richiesta) di celebrare la messa in latino con il rito liturgico preconciliare.
    «Non penso certamente tanto bene a riguardo. Non riesco a capire perché il papa abbia fatto una cosa del genere. Ma il latino è una punta emergente di tutta una situazione problematica che riguarda oggi la Chiesa. Probabilmente avrà voluto recuperare i lefebvriani. E' possibile... Però è un prezzo troppo alto per tutti»

    Si può dire che sia un ritorno indietro? Si può parlare di una restaurazione della Chiesa?
    «Penso proprio di sì».

    Quando è morto Giovanni Paolo II lei aveva espresso forti critiche dalle colonne del Manifesto.

    «Avevo ed ho ancora delle riserve su quel papa. Ma in confronto a questo di oggi era ancora meglio! (ride)».

    Perché questo papa non la soddisfa?
    «Dirò quello che mi piace e quello che non mi piace. Condivido il suo amore per i gatti, perché amo anche io questi animali: ciò non può che farmi piacere. Mi piace molto il suo amore per la musica, la sua dote musicale. Mi piacciono quei suoi bei capelli bianchi che gli svolazzano attorno, ma questa non è proprio una cosa importante. E invece non mi piacciono varie cose. Ne dico ad esempio una che è stata forse la cosa più eclatante. Ricorda quando c'è stata quella riunione di giovani in Germania, a Ratisbona? Benedetto XVI ha concesso l'indulgenza plenaria, a mio avviso una prima gaffe: le indulgenze non hanno nessuna base biblica e non si dovrebbe più parlarne. Tantomeno in Germania dove la Chiesa si è spaccata proprio sulle indulgenze».

    Si riferisce al protestantesimo?
    «Eh sì! A questo papa non si può neanche concedere l'attenuante dell'ignoranza perché ignorante certo non è, queste cose le sa molto meglio di me. Però finge di non saperle… non lo so, ci sono delle cose strane…
    C'è per esempio la Cristina, una persona che viene qui tutte le mattine a lavorare nell'orto che avrà si e no la quinta elementare: in certe cose da dei punti al papa! A proposito della messa in latino, ad esempio, diceva: “Allora si tornerà come in antico quando, durante la messa, le persone recitavano il rosario”»

    Vuol dire cioè che il prete parlerà con Dio e le persone faranno altro?
    «Sì, certo! Le persone continueranno a recitare il rosario che non ha niente a che fare con la messa. Questo lo diceva appunto una persona che ha si e no la quinta elementare. Però ha qualcosa da insegnare a questo dottissimo papa!»

    E che dire del fatto che alcuni cardinali, come Carlo Maria Martini, si siano dissociati e non celebreranno la messa secondo l'antico Messale di Pio V? Tra di essi anche alcuni padri del Concilio Vaticano II tristi davanti a questa decisione.
    «Sì, sì! Il cardinal Martini è certamente la voce episcopale più significativa che abbiamo!»

    Oltre alla messa in latino c'è anche il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede e cioè una messa a punto sulla identità della Chiesa cattolica come soggetto in cui concretamente sussiste la Chiesa di Cristo.
    «E' bruttissimo! Veramente, è bruttissimo!»

    C'è allora una sorta di “esclusiva” per entrare in Paradiso?
    «Sì, sì, sembrerebbe così. Ci sono gli ortodossi e i protestanti che sono giustamente furiosi! Perché in questo modo diventano cristiani di serie b!»

    Sul Corriere della Sera dell'11 luglio 2006 Alberto Melloni scriveva del rischio di rottamare la svolta conciliare e di ferire a morte la credibilità ecumenica.
    «Certo, anche se non si dice direttamente con le parole lo si dice con i fatti, perché queste cose di cui abbiamo detto non sono passi certamente ecumenici».

    Perché le gerarchie vaticane svolgono queste operazioni? Hanno paura di perdere consensi e potere?
    «Non lo so, bisognerebbe chiederlo a loro… perché è difficile per noi da capire…»

    Ma allora che papa avrebbe voluto?

    «Avrei voluto il cardinal Martini, che però ha detto al Conclave di non considerarlo per ragioni di salute e quindi… Poteva essere anche monsignor Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta chi altri?! (silenzio e riflessione). Questi sono i nomi che avrei desiderato».

    Venendo in Italia, perché si dice che la Chiesa sia l'unica istituzione che difende la famiglia?
    «Questo familismo cattolico è una cosa un po' strana. Perché Gesù Cristo non è stato affatto familista: ci dimentichiamo che quando c'era sua madre e i suoi fratelli che lo cercavano disse “Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? Sono quelli che ascoltano le parole del Padre”. Quindi ha messo la parentela interiore molto al di sopra della parentela biologica. Anche gli attuali movimenti cattolici legati alla famiglia sono molto discutibili».

    La Chiesa e la contestazione del 1968: Benedetto XVI dice che la contestazione del 1968 ha rappresentato una fase di “crisi della cultura in Occidente”, di “deriva” lassista e illuminista della società contemporanea e di “relativismo” dei valori. Lei come la vede?
    «Io non credo, non credo… Bisognerebbe chiedere al papa che ci desse delle spiegazioni più ampie e convincenti di ciò che ha detto. Si potrebbe rispondere che Dio è molto relativista perché la Trinità è fondata sulle relazioni. E' un discorso, come dire, molto difficile: oggi la gente non sa neppure cosa sia la Trinità. Questa mancanza di dimensione trinitaria è una delle cose più tragiche della nostra cultura cattolica e della nostra teologia».

    Ci sono state delle influenze tra il Concilio Vaticano II e la contestazione del 1968? Ci sono delle affinità?
    «Sì, ci sono certamente delle correlazioni».

    Quei famosi “contestatori” della Chiesa, quelli che cominciarono le Comunità di Base (ad esempio Giovanni Franzoni) sono ancora oggi attivi?
    «Mah! Le dirò che ce ne sono ancora di attivi e non sempre positivamente attivi. Ho delle riserve molto forti, per esempio, contro Franco Barbero di Pinerolo, riserve fortissime su di lui. Ma tante! Per esempio, se ricordo bene - e lo ricordo bene - per telefono una volta mi disse che lui non credeva nella Trinità. Purtroppo è una dimensione che si sta allontanando mentre abbiamo delle dimensioni trinitarie nella nostra cultura di cui non siamo consapevoli».

    Ma allora cosa è rimasto del Concilio Vaticano II?
    «E' rimasta molta nostalgia in tanti e molta ignoranza in altri. Specialmente nei giovani perché sono i più lontani, è gente che non ha vissuto il '68, non ha vissuto il Concilio e si dimostrano i più conservatori».

    I “profeti” di oggi: quali sono i personaggi più “profetici” di oggi? Potrebbe essere Giuseppe Alberigo? Oppure don Milani?
    «Sono due nomi su cui ho delle riserve. Sì, su entrambi. Alberigo è stato un grande studioso ma come persona non era molto simpatico. E poi, tra le figure più profetiche di oggi, farei il nome di due vescovi uno lontano ed uno vicino a noi. Quello vicino è il nostro ex Luigi Bettazzi, mentre quello più lontano con cui sono amicissima - ma sono amica anche di Bettazzi, sia chiaro - è monsignor Nogaro, di cui ho già detto. È un uomo di grandissima levatura interiore, intellettuale, teologica. Di Martini abbiamo già detto».

    Perché ha delle riserve su don Milani?
    «C'è stata tutta una storia con lui perché non ero d'accordo su ciò che diceva. E gli ho scritto una lettera che però è arrivata quando era già mancato. (pausa di riflessione e silenzio). Certamente abbiamo avuto dei contrasti».

    Per motivi legati alla sua pedagogia ed alla scuola di Barbiana o per altro?
    «Mah, credo prima di tutta la vicenda di Barbiana… non ero d'accordo su certe cose che lui aveva detto sul piano teologico… (lungo silenzio) E poi tutta la vicenda di Barbiana io l'ho vissuta molto da lontano perché non ci sono mai stata. Credo che sia stata un'esperienza molto interessante, ma anche lì con dei limiti, credo…(lungo silenzio riflessivo)».

    La formazione sacerdotale e le donne: avrà seguito la vicenda della pedofilia riferita a uomini di Chiesa, dove in alcune diocesi americane, ad esempio, hanno dovuto risarcire i danni economici alle vittime degli abusi e per questo sono andate in bancarotta. E poi la puntata della trasmissione Anno Zero di Michele Santoro che ha fatto vedere quel filmato sconvolgente sull'argomento. Poi don Pierino Gelmini viene indagato dalla magistratura di Terni per supposti abusi sessuali nei confronti di alcuni ragazzi ospiti delle sue comunità di recupero. Secondo lei perché scoppiano improvvisamente questi casi all'interno della Chiesa e di alcune diocesi? E' la formazione dei sacerdoti che non va e sarebbe da rivedere?
    «Non glielo so dire. La formazione dei sacerdoti è estremamente carente perché si formano in seminari dove non ci sono donne e quindi sono in una situazione anomala. E quindi tutta la psicologia dei sacerdoti è molto viziata».

    Li farebbe sposare?
    «Sì, certo, solo quelli che lo vogliono. E' che il celibato dovrebbe essere un'opzione libera: la maggior parte dei preti non sceglierebbe il celibato, è un obbligo imposto e subito dalla grande maggioranza di essi».

    Adriana Zarri, teologa di sinistra… Negli anni Settanta fu molto critica verso la Democrazia Cristiana e verso la commistione tra questo partito e la Chiesa italiana. E fu anche protagonista di lotte significative per la sinistra italiana: lotte sociali ed ecclesiali come, ad esempio, la difesa della legge civile sul divorzio.
    A pagina 15 del suo libro “Erba della mia erba – Resoconto di vita” (Cittadella editrice 2^ edizione 1984) la Zarri dice anche di aver «condotto un'intensa campagna religioso-politica in difesa della legge che ammette la non punibilità, a talune condizioni, dell'aborto. Non lo prevedevo, non lo mettevo in conto, ma mi è parso di non dovermene dispensare».

    Sulla politica attuale però dice di essere estremamente sprovveduta.
    Eppure nel 2004 si candidò, come indipendente, nelle liste di Rifondazione Comunista nella prima circoscrizione del nord-ovest.
    Come l'hanno presa le gerarchie cattoliche? Ci sono stati dei richiami ufficiali?

    «Non ho avuto nessun richiamo da quella parte».

    E come mai questa scelta della candidatura? Quale motivazione l'ha spinta ad accettare?
    «Non è che mi sono candidata, qualcuno ha fatto il mio nome ed allora è saltata fuori questa storia un po'strana. E' passato un po' di tempo e non ricordo nemmeno come sono andate bene le cose».

    …amica di quelli de Il Manifesto…e di Michele Santoro.
    Lei, oltre che come teologa progressista, è anche conosciuta come firma sul quotidiano Il Manifesto con la sua rubrica Parabole dove tratta di argomenti prevalentemente di critica alla Chiesa cattolica. Ha ricevuto per questa attività giudizi negativi o consensi dal mondo cattolico?

    «Non ho mai avuto dei rilievi per questa attività. Adesso poi è molto che non scrivo più su quel giornale perché da quando sono caduta, mi sono ammalata, ho sospeso la mia collaborazione. Questa collaborazione comunque non mi ha mai creato problemi di alcun genere».

    Ricordiamo anche che Lei è comparsa in televisione con Michele Santoro nella sua primissima trasmissione della Rai Samarcanda.
    «Ho lavorato con lui per quattro anni. Quello che ricordo è che l'ultimo anno facevo una cosa interessante ma anche difficile: raccontavo tutte le volte una storia diversa. Ed è uscito anche un volume che le ha raccolte tutte. Ricordo che quando andavo a Torino alla Rai - andavo in treno, poi mi riportavano a casa in macchina - in treno cercavo di memorizzare un po' queste storie».

    www.cattoliciromani.com/forum/showthread.php/ne_pensate_adriana_zarri-14...


    Ho riportato il link della discussione di un sito cattolico ultrà, naturalmente i commenti sono poco benevoli nei confronti di questa teologa [SM=x44464] a me piace molto però [SM=x44462]