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Terremoto in Abruzzo

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    roadrunner
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    00 05/04/2010 23:26
    un anno dopo
    ROMA (5 aprile) - L'Aquila ricorda il terremoto che nella notte tra il 5 e il 6 aprile del 2009, alle 3,32, con una scossa di magnitudo 6,3, devastò la città e i paesi della provincia, causando 308 vittime e 80mila senzatetto. Il culmine delle celebrazioni alle 3,32 di martedì, con la lettura dei nomi delle vittime sarà accompagnato dai rintocchi delle campane della chiesa delle Anime Sante, uno per vittima.

    Tensione e qualche contestazione in serata durante la riunione del Consiglio comunale straordinario aperto a L'Aquila. Ci sono stati fischi in particolare quando è stato letto il messaggio inviato dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Sono stati anche mostrati cartelli con scritte come: "Sono un cittadino senza città" o "Riaprire la città". «Non ci hanno mai ascoltato», ha detto una signora ai microfoni di Skytg24. Contestazioni anche durante l'intervento del sindaco, Massimo Cialente.

    Alla seduta, cominciata alle 22, hanno preso parte centinaia di cittadini assiepati nella chiesa delle Anime sante e in Piazza Duomo, ma i lavori sono stati più volte interrotti dai fischi rivolti da un gruppo di persone durante la lettura del messaggio del presidente del Consiglio: i fischi hanno superato di molto gli applausi. Applausi invece al messaggio di saluto del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, qualche fischio a quello del presidente del Senato, Schifani.

    In precedenza, invano, il presidente del Consiglio comunale, Carlo Benedetti, aveva chiesto alle persone intervenute, tra i cittadini, di lasciare le sedie per far posto alle autorità. Nessuno ha voluto rinunciare al proprio posto. Vani anche i richiami alla sicurezza da parte delle forze dell'ordine. «Alla sicurezza - hanno gridato alcuni - dovevate pensarci il 31 marzo anno scorso», in riferimento alla Commissione grandi rischi, convocata a 7 giorni dal
    sisma.

    Bertolaso: data una casa a tutti, per la ricostruzione occorrerà tempo. «Tutto quello che si poteva fare è stato fatto. Sin dalle prime ora c'è stata una mobiltazione completa e convinta di tutto il Paese che è proseguita in tutti questi mesi - ha detto il capo dello Protezione Civile, Guido Bertolaso al Tg2 - Restano un migliaio di persone ancora fuori casa e che presto avranno un'abitazione».

    Tempi lunghi, invece, per la ricostruzione: «Per la ricostruzione ci vorranno diversi anni. Questo lo sapevamo fin dall'inizio e abbiamo fatto la scelta precisa e strategica di dare, intanto, a tutti una casa e non lasciare i cittadini nei container», ha aggiunto Bertolaso.

    Bertolaso ha ricordato che a L'Aquila l'Italia ha affrontato «e vinto» una «sfida gigantesca», dimostrando che tutto il paese, quando vuole e senza distinzioni politiche, sa dare «risposte serie, uniche ed efficienti». Bertolaso ha poi tirato il bilancio di un'emergenza che, ha detto in un'intervista all'Ansa, ha fatto emergere «il meglio dell'Italia», una «solidarietà e disponibilità» verso gli aquilani che si è tradotta in un aiuto concreto da parte di istituzioni e cittadini.

    «I problemi non sono risolti: perché vi sono ancora persone che vivono negli alberghi e, soprattutto, l'identità della città è andata persa. È possibile che venga ricostruita, ma ci vorrà tempo e tanta volontà, idee e progetti che ad oggi mancano. È indubbio però - ha continuato il capo della protezione civile - che nel terremoto dell'Aquila lo Stato ha risposto nel migliore dei modi: a 48 ore dalla scossa c'erano già 10mila soccorritori e dieci mesi dopo non c'era più una tenda. L'idea di costruire a tempo di record delle palazzine antisismiche anzichè utilizzare i container, inoltre, è stato un azzardo che poteva diventare un boomerang. Ma alla fine si è rivelata una scommessa vincente che, ad oggi, consente una sistemazione più che dignitosa a 15mila persone e che già altri paesi europei e non stanno pensando di adottare in caso di emergenze«.

    «La risposta dello Stato è senza precedenti nella storia del nostro paese, che è pieno di tragedie ricordate per l'inefficienza dei soccorsi e le polemiche post emergenza - ha sottolineato ancora Bertolaso -. Stavolta invece abbiamo dimostrato una grande capacità di far funzionare tutto il sistema».

    Ma ora che l'emergenza è finita, che sarà dell'Aquila e degli aquilani? «L'Aquila deve essere ricostruita dagli aquilani - ha risposto Bertolaso - questo è uno slogan che in campagna elettorale è stato utilizzato per contrapporre qualcuno a qualcun altro. E invece oggi deve essere fatto proprio da tutti, in primis dalle autorità locali e da chi ha responsabilità in questo tipo di interventi. Bisogna accelerare il processo di ricostruzione».

    La Protezione Civile, comunque, non abbandonerà l'Abruzzo. «Noi abbiamo fatto il nostro compito ma non voltiamo la testa dall'altra parte, saremo a fianco degli aquilani, del Commissario e di tutti quelli che hanno una grossa responsabilità per risolvere i problemi che si dovranno affrontare, dandogli una mano quando ce la chiedono e anche incalzandoli quando ce ne sarà bisogno, in modo che tutti gli interventi e le attività di ristrutturazione vengano realizzate in tempi compatibili con le esigenze dei cittadini», ha detto ancora Bertolaso.

    Nonostante l'impegno messo dallo Stato, però, non sono mancate e non mancano le polemiche. Come dimostra la rivolta del popolo delle carriole. Perché? «Perchè siamo bravissimi a distruggere tutto quello che di buono facciamo, buttando ogni cosa in politica - ha rielvato Bertolaso -. Io mi domando se al posto del governo Berlusconi vi fosse stato un altro governo, se certe reazioni e certe polemiche sarebbero state altrettanto forti e sarebbero state uno dei motivi della campagna elettorale che si è appena conclusa». La sensazione che c'è, sottolinea, è che «non ci viene perdonato di aver fatto fare bella figura ad un governo piuttosto che ad un altro. E questo è abbastanza doloroso e avvilente per chi lavora per lo Stato e si sente un servitore dello Stato. Come per la vicenda dei rifiuti in Campania. E questo è inaccettabile».

    Bertolaso ha chiesto ai sindaci degli oltre tremila comuni italiani inseriti nelle zone più a rischio della mappatura sismica, di tenere nel giorno del terremoto un consiglio comunale aperto ai cittadini, per parlare di prevenzione. Perchè, come ha scritto nella lettera che ha inviato loro, «è l'unico strumento efficace di difesa a priori contro i terremoti. Per la prima volta sono ottimista, questa può essere l'occasione per mobilitare le coscienze e far si che la vicenda aquilana non venga dimenticata. L'Aquila ha colpito davvero, non solo il cuore ma anche la testa degli italiani e dunque vi sono le condizioni per impostare una politica seria di prevenzione». Senza però farsi illusioni. «Tutto non può essere risolto in poco tempo: ci vogliono 20 anni per mettere in sicurezza tutto quello che c'è a rischio in Italia. E dunque bisogna rimboccarsi tutti quanti le maniche».
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    Arjuna
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    00 06/04/2010 10:20
    L'Aquila, il giorno del ricordo

    Un anno fa il terremoto. In centro cerimonie e fiaccolata per le vittime
    Non mancano fischi e contestazioni
    L’AQUILA

    Alle 3.32 del 6 aprile 2009 una scossa di magnitudo 6.3 provocò all’Aquila e nel circondario centinaia di crolli che causarono la morte di 308 persone e il ferimento di altre 1.600. La gente si riversò immediatamente per le strade e nelle piazze; attonita, impaurita, inerme, mentre continuavano a cadere pezzi di muri e cornicioni. In pigiama, senza portare nulla con sè, spesso sanguinanti, i cittadini, provati da tre mesi di sciame sismico, si radunarono senza un programma - non ne erano stati predisposti - cercando di sapere che fine avessero fatto i famigliari, gli amici.

    Molti non poterono fuggire, bloccati dalle macerie, molti altri non lo fecero per soccorrere i propri cari. E non sempre ci riuscirono. Dalle macerie cominciavano a spuntare i primi corpi. La città era nel caos; i telefoni andati in tilt non consentivano comunicazioni decenti, e a decine partirono dalle altre città per raggiungere il capoluogo abruzzese dove avevano i figli a studiare. Intere famiglie, studenti non aquilani, rimasero «per sempre» sotto alle macerie. Mezz’ora dopo partì la macchina dei soccorsi: da tutta Italia arrivarono centinaia di volontari della Protezione civile, delle associazioni, i vigili del fuoco: un esercito per cercare di organizzare una città distrutta, rasa al suolo, senza più nulla; per aiutare a scavare nelle macerie, a dare una coperta, un bicchiere di acqua, una parola di conforto, una flebile speranza a chi era convinto che le centinaia di scosse dei mesi precedenti e le due della stessa sera mai avrebbero avuto il coraggio di riservare la "botta". Quella "botta" che, a un anno di distanza, non è stata metabolizzata e chissà se mai lo sarà.

    Stanotte migliaia di aquilani si sono ritrovarti nella loro città ancora ferita, con attorno 4 milioni di tonnellate di macerie, con le attività che sono scomparse o stentano a riprendere, con un tessuto sociale modificato dalle 19 new town realizzate per dare un tetto prima che arrivasse l’inverno gelido. In Piazza Duomo, che fu il primo grande ritrovo mentre la terra non smetteva di tremare, stanotte sono state ricordate le vittime, ma, soprattutto, si è cercato di recuperare una identità che rischia di scomparire tra gli alberghi della costa, le sistemazioni fuori città, la difficoltà di ristabilire normali relazioni sociali, con 53 mila persone ancora assistite e una ricostruzione che stenta a ripartire.

    Circa venticinquemila persone si sono radunate con fiaccole, candele e lumini. In piazza Duomo sono confluite quattro lunghe fiaccolate che hanno attraversato le poche strade aperte del centro. Qui sono stati letti i nomi dei morti, poi alle 3:32 - ora della devastante scossa dello scorso anno -, le campane della chiesa delle Anime Sante hanno suonato a morto con 308 rintocchi. I cortei erano aperti ognuno da striscioni retti dai familiari delle vittime. In uno, che aveva anche le foto di otto studenti, si leggeva: "Assassinati nella casa dello studente".

    Le fiaccolate si sono svolte in silenzio e senza alcun indicente. Molti cittadini hanno raggiunto il piazzale di Collemaggio, dove alle 4 c'è stata la messa solenne. Un breve e contenuto applauso ha seguito, dopo qualche minuto di raccoglimento, i 308 rintocchi di campana. Una persona presente alla commemorazione ha accusato un lieve malore, probabilmente a causa dell’emozione.

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    Arjuna
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    00 06/04/2010 10:23
    L'Aquila, il sisma delle parole
    MARIO TOZZI
    Dal punto di vista sismico - mutatis mutandis - l'Aquila è stata la nostra Haiti: un terremoto nemmeno tanto potente che uccide più di 300 persone e fa danni ancora incalcolabili perché qui sono state sistematicamente ignorate le leggi antisismiche ben note. Qualche paese vicino ha peraltro egregiamente resistito pur essendo costruito in muratura, segno che già nel medio evo si costruiva tenendo conto della qualità e dei terremoti e non solo del profitto. Ma per ricostruire l'intero patrimonio abitativo della città, compreso quello storico monumentale, ci vogliono 15-20 anni, come dimostra quanto avvenuto per il sisma dell'Umbria-Marche del 1997. I tempi tecnici per ricostruire un palazzo sono questi: 5-10 anni quando va bene, e se si vogliono rispettare le leggi e i metodi antisismici. Certo, con limitati investimenti, si sarebbero potute ristrutturare le case meno lesionate e riportare una parte delle 7000 persone alloggiate negli alberghi sulla costa adriatica nelle loro abitazioni.

    Ma a L’Aquila si è scelta la via dimostrativa, quella dell'Italia del fare. E si è usata proprio la parola ricostruzione quando di ricostruito non c'era un bel niente e non ci sarà un bel niente per molto tempo ancora (basti pensare che ci vorranno forse altri 12 mesi solo per mettere in sicurezza la città, ossia per renderla agibile).

    Si è preferito spendere fino a 2700 euro al mq per costruire migliaia di nuovissimi appartamenti - perfettamente antisismici, ultramoderni e dotati di ogni comfort -, che però non possono rappresentare che la «fase del container», quella che si mette inevitabilmente in opera dopo le tende e prima di tornare nelle proprie abitazioni. Perché è ormai chiaro a tutti che non c'è un sola famiglia di L'Aquila che consideri quelle come case definitive, visto che non lo erano nemmeno nei decreti della Protezione Civile, in cui si parla chiaramente di «moduli abitativi provvisori», bellissimi, ma inesorabilmente provvisori. Ci saranno ora i denari per ricostruire il tessuto urbanistico storico e monumentale insieme alle case (come si fece ad Assisi, dove le chiese si tiravano su insieme alle case perché motore della ripresa)? E che ne sarà di quelle migliaia di appartamenti quando gli abitanti torneranno nei propri? Quante potranno essere destinate a servizi e alloggi o foresterie quando la crescita demografica è appena sopra lo zero e i quartieri-satellite sono sorti in luoghi che più brutti non si può?

    Intanto il popolo delle carriole si mobilita per sgomberare le macerie dal centro storico: giusta esigenza, ma difficile da eseguire tecnicamente, perché lo smaltimento deve essere controllato. Ma possibile che nessuno abbia pensato di riciclare quel materiale, una volta conservato quello che serve a ricostruire i palazzi storici e i monumenti? Possibile che debba essere solo «buttato»?

    Nessun miracolo è avvenuto a L'Aquila, solo la normale amministrazione dopo un evento naturale a carattere catastrofico in cui la Protezione Civile ha funzionato bene, ma meno bene si sono mossi quei politici che hanno promesso ciò che non solo non si poteva, ma che neppure doveva essere promesso: il miracolo di una ricostruzione immediata che è stata contrabbandata come tale dalla gran parte dei media nazionali. Il terremoto non poteva essere previsto, come qualche ignaro funzionario continua a denunciare, ma i tempi e le fasi della ricostruzione sì: lenti e accurati. Questo avrebbero meritato i cittadini invece di facili illusioni.

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    piperitapatty
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    PippyZzetta
    00 07/04/2010 00:03
    stasera bertolaso ha dichiarato che in un anno si è fatto molto più di quello che solitamente si fa in 5. immagino si riferisse al giro di mignotte e al costo di 2.700 €/mq delle casette (beh mai nessuno ci era riuscito prima!), visto che in 12 mesi qualche maceria è stata raccattata dagli aquilani con le carriole.

    fa ridere la cosa, il popolo viola, il popolo delle carriole....mi rimane cmq ignoto come mai, nonostante queste proteste, abbiano votato con convinzione il pdl alle scorse elezioni. mah...

    resta il fatto che al tg1 (fino a che l'ho visto [SM=x44454] ) la parola più utilizzata per parlare della "ricostruzione" dell'aquila è stata puntellamento

    ps. giusto una curiosità, hanno dichiarato che tra i maggiori contributi sono arrivati dalla regione friuli venezia giulia e dalla città di verona. no così per dire, visto che il nord è notoriamente grezzo, ignorante e razzista [SM=x44450]
    [Modificato da piperitapatty 07/04/2010 00:04]

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    Il peggior nemico del bremaz è l'utente Rurro Rurrerini La dichiarazione di guerra
    10/07/2009 13.45 - Capitano Marino: Mi quoto, aggiungendo che io soltanto pagherò il dolce alla Pippi.
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    Arjuna
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    00 03/06/2010 16:19
    "Mancato allarme a L'Aquila" Indagata la Protezione Civile

    L'accusa è omicidio colposo
    L'AQUILA
    Omicidio colposo: è l’accusa rivolta dalla procura dell’Aquila ai membri della Commissione Grandi rischi che il 31 marzo scorso, 6 giorni prima del terremoto che sconvolse L’Aquila, parteciparono alla riunione che si tenne nel capoluogo abruzzese. Tra gli indagati, nove persone in tutto, ci sarebbero alcuni funzionari ai vertici del Dipartimento della Protezione Civile e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Gli ufficiali di polizia giudiziaria stanno notificando in queste ore gli avvisi di garanzia.

    La procura della Repubblica dell’Aquila ha inviato agli indagati l’avviso di conclusione delle indagini. Gli accertamenti sono scattati subito dopo l’esposto di diversi cittadini che hanno chiesto alla Procura di verificare il lavoro della commissione che, nella riunione del 31 marzo, analizzò la sequenza di scosse sismiche che da mesi colpiva L’Aquila. Lo stesso procuratore della Procuratore della Repubblica, Alfredo Rossini ha confermato la chiusura delle indagini, senza però rendere noto il numero degli indagati. Ma secondo quanto si è appreso il numero sarebbe di nove persone, tra cui funzionari della Protezione Civile e dell’Ingv.

    «Questo è un lavoro serio». Lo ha detto il Procuratore della Repubblica, Alfredo Rossini, nel commentare il nuovo filone di indagine ufficializzato dalla procura con le notifiche dell’avviso di chiusura indagine in atto in queste ore. «Si sono concluse le indagini preliminari di un filone di inchiesta molto importante. In tal modo - ha continuato Rossini - gli indagati possono portare avanti le loro difese con tutto il tempo possibile. Speriamo di arrivare a un risultato conforme a quello che la gente si aspetta».

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    Arjuna
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    00 03/06/2010 16:20
    "Le lievi scosse non sono un avviso"

    La commissione "Grandi rischi" e la riunione del marzo 2009: "Impossibile prevedere il sisma"
    ROMA

    «Non c’è nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento». Sono le parole pronunciate da Franco Barberi, presidente vicario della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile, nel corso della riunione che si svolse il 31 marzo 2009, pochi giorni prima del terremoto che il 6 aprile colpì L’Aquila. Lo riferisce lo stesso verbale di quell’incontro, una riunione con le massime autorità scientifiche nel settore sismico che «si è resa necessaria - spiegò il vice capo della Protezione Civile Bernardo De Bernardinis, aprendo i lavori - per esaminare la fenomenologia sismica in atto da alcuni mesi nel territorio della Provincia Aquilana».

    Un verbale che torna d’attualità, dopo che la procura dell’Aquila ha chiuso le indagini nei confronti dei componenti della Grandi Rischi ipotizzando il rato di omicidio colposo. Questa Commissione è la principale struttura scientifica di riferimento della Protezione civile e si occupa di previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio, fornendo indicazioni ed esaminando i dati forniti da istituzioni e organizzazioni preposte alla vigilanza degli eventi. Alle riunioni della Commissione, prevede il decreto istitutivo, può partecipare, senza diritto di voto, il capo della Protezione civile o, su sua richiesta, il direttore degli uffici del Dipartimento interessati agli argomenti posti all’ordine del giorno.

    Come risulta dal verbale della riunione del 31 marzo 2009, all’incontro, oltre a Barberi e De Bernardinis, erano presenti il presidente dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia Enzo Boschi, il direttore del Centro Nazionale Terremoti Giulio Selvaggi, il direttore dell’ufficio rischio sismico della Protezione Civile Mauro Dolce, il professor Gian Michele Calvi dell’Eucentre di Pavia, il professor Claudio Eva dell’Università di Genova, l’assessore alla Protezione civile della Regione Abruzzo, il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, Altero Leone, responsabile della Protezione civile regionale e altre rappresentanti del Dipartimento di Protezione civile e della Regione. Dei nomi presenti sul verbale non si sa, al momento, quali figurino tra gli indagati. Quando la Commissione fu convocata, da quasi sei mesi nel territorio dell’Aquila si susseguivano scosse sismiche, culminate il 30 marzo, cioè il giorno prima della riunione, in una scossa di magnitudo 4.0. Un aspetto, questo, sottolineato dallo stesso De Bernardinis all’incontro. Ma gli esperti non ritennero che la situazione fosse il preludio di una scossa devastante, sottolineando l’impossibilità di previsioni attendibili in questo campo.

    Boschi evidenziò come «i forti terremoti in Abruzzo hanno periodi di ritorno molto lunghi. Improbabile - disse - che ci sia a breve una scossa come quella del 1703, pur se non si può escludere in maniera assoluta». Eva aggiunse che «la casistica è molto limitata», ma sottolineò anche che «essendo la zona di L’Aquila sismica, non è possibile affermare che non ci saranno terremoti». Boschi rilevò anche che «la semplice osservazione di molti piccoli terremoti non costituisce fenomeno precursore». Anche Barberi lo ribadì, affermando che «oggi non ci sono strumenti per fare previsioni e qualunque previsione non ha fondamento scientifico». «L’unica difesa dai terremoti - aggiunse - consiste nel rafforzare le costruzioni e migliorare la loro capacità di resistenza». Le conclusioni a cui giunse la Commissione furono ribadite il 6 aprile, subito dopo il terremoto, quando Barberi, a nome della Commissione, tornò a sottolineare l’impossibilità di prevedere i terremoti. «Quello che è possibile - disse in una conferenza stampa - è indicare la pericolosità sismica di un’area». Quanto agli edifici, se a cadere sono anche quelli moderni e se si verificano «danni irragionevoli, ancora una volta si pone il problema del controllo della qualità delle costruzioni».

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    Arjuna
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    00 10/06/2010 11:08
    Indagato chi non prevede i terremoti. Ma sono altri i colpevoli dei crolli dell’Aquila

    La Procura dell’ Aquila ha accolto un nuovo principio scientifico: prevedere i terremoti è possibile. Quindi consiglio a tutti i sismologi italiani di cambiare mestiere, se non vogliono prima o poi finire indagati per omicidio colposo. Non comprendiamo a chi giovi né a chi serva che per ritorsione, come ieri avrebbe minacciato il Presidente del Consiglio, si ritiri la Protezione Civile dall’Abruzzo. Ma un’inchiesta sulle scarse capacità divinatorie della Commissione “Grandi Rischi” rientra più nella categoria della caccia alle streghe che in quella dell’indagine giudiziaria.

    Il professor Franco Barbieri vice presidente della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile nel corso della riunione con le massime autorità scientifiche del settore sismico, che si tenne pochi giorni prima del terremoto dell’Aquila, proprio per esaminare la fenomenologia sismica che aveva colpito la città, disse: “Non c’è nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata un precursore di un grande evento”. Aveva ragione e il fatto che disgraziatamente vi sia stato, in seguito, il “grande evento” temuto non gli dà certo torto.

    Questa tesi è confermata dal professore e componente dell’ufficio di direzione dell’Earthquake Research Institute dell’Università di Tokyo, Naoshi Hirata, secondo il quale prevedere un terremoto come quello che ha colpito l’Abruzzo è impossibile, perché “l’intensità delle scosse preliminari, quando sono troppo basse, rende pressoché impossibile dire quando un evento sismico si può verificare”. In un paese come il Giappone che ha sviluppato sofisticate tecniche di rilevazione, margini di ragionevole previsione sono possibili quando il terremoto “é almeno di 7-7,5 gradi della scala Richter” perché le onde preparatorie sono più facilmente interpretabili: non come quello abruzzese, di “appena” 5,8.

    Il terremoto della città giapponese di Niigata avvenuto a luglio 2007, è stato un “evento che ha colpito di sorpresa” malgrado la scossa fosse di magnitudo 6,8. “Sappiamo – continua il professore, tornando alla situazione del Giappone, che situato alla congiunzione di quattro placche tettoniche registra il 20% delle scosse telluriche più violente al mondo all’anno – che nell’area della piana di Tokyo, sulla base della lunga serie statistica accumulata, c’é la probabilità maggiore al 70% che si avveri un fortissimo terremoto nei prossimi 30 anni. Però ci sono scosse ogni 10 minuti, di piccola intensità che non permettono un’identificazione chiara”.

    Anche un altro dei massimi esperti internazionali di prevenzione del rischio sismico, il giapponese Kojiro Irikura, dell’istituto Aichi di tecnologia e del Centro di ricerca del Giappone per la prevenzione dei disastri, in occasione del convegno su “Costruire e conservare in area sismica”, organizzato dall’Ordine dei Geologi della Campania, ha detto che “prevedere i terremoti è una possibilità interessante dal punto di vista scientifico, ma non ha ancora un’applicazione. Abbiamo molte possibilità, ma nessuna di queste si è tradotta finora in pratica”. Tra queste ci sono anche le ricerche basate sulla rilevazione del livello di radon, di cui molto si è parlato in ordine alla possibilità di prevedere il terremoto dell’Aquila del 6 aprile scorso.

    “Il radon è uno dei tanti fenomeni legati ai terremoti, ma non penso sia realizzabile utilizzare da sole queste osservazioni per fare delle previsioni. Certamente da solo il radon non può essere un indicatore sufficiente. Oggi abbiamo a disposizione molti modi per sorvegliare e studiare i movimenti della crosta terrestre e per capire quali sono le zona in cui è possibile che si accumuli più energia, ma è anche vero – ha rilevato – che questi movimenti non sono stabili, possono modificarsi o interrompersi improvvisamente, per poi riprendere.”

    “Allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile realizzare una previsione certa dei terremoti, ovvero la previsione della localizzazione, dell’istante e della forza dell’evento. Questo è vero anche in presenza di fenomeni quali sequenze o sciami sismici che nella maggior parte dei casi si verificano senza portare al verificarsi di un forte evento”. A sostenerlo è un altro studioso, Massimo Cocco, dirigente dell’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Ingv, che è l’ente preposto alla sorveglianza della sismicità sul territorio nazionale).

    E a proposito del radon: “L’emissione più forte di gas non può significativamente giustificare un allarme sismico. È prevedibile, però, che una scossa che ha colpito l’Abruzzo questa notte venga normalmente seguita da numerose repliche, alcune delle quali intense”. Lo sciame sismico nell’area aquilana, conferma Cocco, era attivo da fine ottobre – novembre scorsi ma “come ce ne sono tanti altri in Appennino e per noi sono eventi assolutamente naturali. Dall’inizio dell’anno abbiamo registrato in Italia circa 2 mila terremoti, di cui 200 in quella zona.”

    Dunque i maggiori esperti del settore concordano che non è possibile prevedere i terremoti. D’altra parte in un paese come il Giappone o la California, quando i terremoti si verificano – e si verificano considerato che nessuno può impedirlo – causano danni ridottissimi in quanto tutti gli edifici sono progettati e costruiti secondo avanzatissimi criteri antisismici. In Italia una scossa relativamente inferiore procura danni ingenti, crolli degli edifici e, conseguentemente, un alto numero di vittime. Si stima che in Italia soltanto il 14% di tutti gli edifici costruiti nelle zone sismiche più pericolose risponda alle norme antisimiche a causa della diffusione sul territorio degli edifici storici e, per quelli costruiti in epoca moderna, del mancato rispetto delle norme di costruzione. In Italia quando il terremoto colpisce, gli edifici sono i principali assassini.

    Per arginare il fenomeno il decreto legge 248 del 2007, all’art.20, comma 5 fissa al 31 dicembre 2010 la scadenza per la messa a norma degli edifici esistenti “Le verifiche tecniche di cui all’articolo 2, comma 3, della ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 2003 ad esclusione degli edifici e delle opere progettate in base alle norme sismiche vigenti dal 1984, devono essere effettuate a cura dei rispettivi proprietari entro il 31 dicembre 2010 e riguardare in via prioritaria edifici e opere ubicate nelle zone sismiche 1 e 2”.

    Se il nodo non è la prevedibilità dei terremoti o la loro evitabilità, ma la sicurezza degli edifici, la responsabilità di chi li costruisce e di chi controlla il rispetto delle norme di costruzione, su quali basi allora i magistrati dell’Aquila hanno emesso i loro avvisi di garanzia? Dobbiamo pensare che siano stati condizionati dagli esposti di alcuni cittadini aquilani che, feriti dall’immane tragedia che li ha colpiti, cercano un capro espiatorio, cui addebitare le colpe della natura avversa, che non può sedere al banco degli imputati?

    Uno dei più autorevoli vulcanologi islandesi Freysteinn Sigmundsson per 18 anni ha sorvegliato il vulcano Eyjafjallajokull ma al momento dell’eruzione era a Parigi: senza volo di ritorno, ha dovuto seguire a distanza la situazione, ospite di un dipartimento di geologia parigino. L’eruzione ha preso alla sprovvista non solo lui, ma tutta l’Europa. Possibile che nessuno l’avesse prevista e avesse segnalato il pericolo? Non è proprio così: da giorni il vulcano era sorvegliato. Semplicemente, era impossibile prevedere la violenza e l’altezza della colonna eruttiva.

    Dobbiamo aspettarci che altri magistrati accolgano dei potenziali esposti delle compagnie aeree mondiali contro i geologi islandesi per le mancate previsioni sulle eruzioni del vulcano Eyjafjallajokull, che hanno bloccato la mobilità mondiale?

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    00 07/07/2010 16:07
    Corteo dei terremotati dell'Aquila
    Tre feriti negli scontri con la polizia


    Nella capitale 5 mila persone
    Fischi al governo e a Bersani
    Cialente: "Ci hanno calpestati"

    ROMA
    Sono arrivati fin sotto il Senato, dopo aver marciato sotto la residenza di Berlusconi e aver sfidato i blocchi della polizia in piazza Venezia. Migliaia di aquilani, a Roma per protestare contro l’atteggiamento del governo sul post-sisma, hanno incendiato la capitale con un lungo corteo che, in alcuni momenti, si è scontrato contro il cordone della polizia. A metà giornata il bilancio parla di tre feriti, e di una situazione che nonostante gli appelli del sindaco dell’Aquila Cialente si è fatta incandescente.

    Gli aquilani sono arrivati nella capitale con i pullman per chiedere al governo la sospensione delle tasse, più lavoro per i terremotati e Più sostegno all’economia dei territori colpiti dal terremoto del 6 aprile 2009. Le misure chieste- hanno spiegato- dovranno essere inquadrate in una legge organica, che preveda procedure snelle ed efficaci per la ricostruzione, finanziamenti certi attraverso tassa di scopo o contributo di solidarietà. La giornata, inizialmente pacifica, ha cambiato volto intorno alle 11, quando due blindati dei carabinieri hanno chiuso ermeticamente l’accesso a via del Corso da piazza Venezia ma un gruppo, un centinaio di persone, ha cercato lo stesso di superare lo sbarramento ed è entrato in contatto con le forze di polizia.

    Tafferugli e spintoni, mentre il sindaco Cialente, appena ricevuto da Schifani, cercava di riportare la calma. Chi è riuscito a superare il blocco è arrivato fin sotto Montecitorio, dove alla manifestazione si è aggiunto il leader Idv Di Pietro. I manifestanti esibivano cartelli contro il Governo e i suoi principali esponenti. «Onna distrutta e tassata», si leggeva su uno striscione, «Chiodi non pazzia», su un altro. A piazza Colonna è spuntato anche il segretario Pd Bersani, accolto dai fischi. «Vergogna, buffoni, ci avete lasciati soli», hanno urlato gli aquilani. «Ci ha abbandonati anche l’opposizione». Bersani, dal canto suo, ha criticato il governo che, ha detto, «non può far trovare la polizia davanti al Parlamento».

    La situazione, dopo alcuni momenti di tensione davanti a Palazzo Grazioli, è tornata alla normalità nel pomeriggio. - «È stato allucinante vedere gente tranquilla e pacifica coinvolta negli scontri di oggi con le Forze dell’ordine. Sono sconvolto per aver visto in prima fila professori universitari, noti imprenditori e pensionati, ovvero gente normale, che nella vita mai avrebbe pensato di trovarsi al centro di scontri del genere», dice amareggianto Cialente. «Io mi sono trovato in mezzo agli scontri fra le Forze dell’ordine e i manifestanti, ho cercato di sedare gli animi e per questo sono stato calpestato e ho preso un po’ di botte. Oggi è andato in scena il dolore e il terrore di una città e quello che è accaduto, ovvero caricare gente tranquilla che vuole solo manifestare non è stato uno spettacolo edificante».

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    00 12/07/2010 18:31
    Pd, il consigliere comunale Francesco Valentini sbatte la porta

    Fu il primo degli eletti alle comunali di tre anni fa. Oggi, Francesco Valentini, eletto consigliere comunale nella lista dei Ds con 652 preferenze, e poi entrato a pieno titolo nel Pd, abbandona il partito.
    Riportiamo la sua lettera di dimissioni, indirizzata al sindaco Cialente, al presidente del Consiglio comunale, al capogruppo del Pd e al segretario nazionale Bersani.

    A più di un anno di distanza dal terremoto, tutti noi cittadini ci chiediamo quale sarà L’Aquila del futuro, quale città lasceremo in eredità ai nostri figli.
    Tutti noi ci poniamo queste domande ogni giorno, tranne coloro che dovrebbero veramente pensare a dare un futuro alla nostra città.
    Com’ è noto, un evento già drammatico di per sé come un terremoto, non esaurisce tutto il suo potenziale offensivo in quei lunghi istanti in cui entra in azione, ma con il passare degli anni: dalla disgregazione sociale si passa al danno psicologico sulle persone che sono avvinte da una commistione di sentimenti: paura, rabbia ed impotenza insieme, sì da lasciare voragini molto più ampie di quelle provocate la notte del 6 aprile.
    Ecco che entra in gioco la politica, il ruolo che i singoli partiti e un’amministrazione comunale nel suo insieme deve svolgere per ridurre quanto più possibile gli innumerevoli disagi provocati e provocandi.
    Quanti di noi si sono chiesti quali atti abbia emanato l’Amministrazione comunale per far fronte alla ricostruzione della nostra città, cosa abbia fatto e quali progetti sono stati proposti e portati avanti per consentire a questa città di non morire.
    Nessuno! O meglio, nessuno che abbia avuto un’incidenza tale da garantire quantomeno un affievolimento dei problemi che i cittadini aquilani sono costretti a vivere quotidianamente.
    Mi rendo conto perfettamente di quanto sia difficile affrontare la ricostruzione di un’intera città, ma allo stesso tempo
    -non credo sia accettabile per una collettività che il primo Consiglio comunale si sia svolto a distanza di mesi dal drammatico evento;
    -non credo che si possa essere talmente inerti da non essere stati in grado di individuare o costruire la tanto auspicata sede unica del Comune;
    -non credo possa essere accettata l’idea di una città priva di luoghi di incontro, di aggregazione, sportivi, didattici, o quant’altro dove le relazioni sociali trovano il loro spazio e consentono di definire vivibile la città in cui si vive;
    -non credo si possano far morire di fame gli aquilani, non preoccupandosi minimamente per il loro diritto di lavorare;
    -non credo si possano commettere errori come dare incarichi a persone senza nessuna particolare competenza e per di più di opposta estrazione politica, facendo rivivere i fantasmi di tempi passati;
    -non credo infine si possano continuare a prendere decisioni senza alcuna partecipazione e/o condivisione di coloro che fanno parte della maggioranza e per di più da coloro che fanno parte del principale partito della maggioranza;
    Al di là della nuova richiesta di sospensione del pagamento delle tasse, di innumerevoli parole gettate al vento e di una strabiliante protesta consistita addirittura nel “ripiegamento” della fascia, il nostro Sindaco non ha posto in essere alcuna azione concretamente diretta ad alleviare i problemi degli aquilani, ma è stato relegato a subire le scelte che gente straniera, lontana dal conoscere i problemi della collettività aquilana, gli ha imposto.
    Alla più che concepibile incapacità di far fronte alla tragedia che purtroppo ci ha colpito, non v’è stata da parte del Primo Cittadino, neanche la modestia e la furbizia di contornarsi di persone competenti, con esperienza, con capacità di prendere decisioni e di assumersi responsabilità o comunque di condividere le scelte di governo con coloro che non poco hanno contribuito alla vittoria del centro sinistra. Tutte le nomine degli assessori nel tempo succedutisi (e questo purtroppo anche prima del terremoto) sono state il frutto di veri e propri ricatti politici accettati - ancora una volta passivamente - da colui che avrebbe dovuto essere la guida per la città e in cui tanti riponevano le speranze di rinascita della città stessa.
    Questo mio sfogo è dovuto alla speranza e alla fiducia che avevo riposto in questa amministrazione, come partecipazione ad un processo di rinnovamento che, superando i limiti dell’individuo e della di lui appartenenza ad un qualsiasi gruppo, potesse in qualche modo favorire lo sviluppo armonico della nostra società, del nostro territorio e della nostra gente.
    Credo francamente che questa amministrazione, considerata nel suo complesso, non solo non abbia futuro, ma non abbia neanche una specifica ragion d’essere.
    Anche se volessi dare alla mia intelligenza la massima opacità possibile e credere a tutte le parole sino ad ora pronunziate dal primo cittadino, non potrei non rimanere esterrefatto dinanzi alla mancanza assoluta di corrispondenza tra ciò che viene detto e ciò che poi viene (o meglio, non viene) fatto.
    Anche gli uomini di vertice del PD non sembrano essersi per niente affannati nel suggerire la elaborazione di meccanismi partecipati e democratici che potessero condurre a vere scelte di governo, non distaccandosi troppo dalle vecchie autoritarie logiche, a retaggio di mentalità a struttura stalinista. Inevitabile il conseguente allontanamento da qualsivoglia partecipato meccanismo: vale a dire, dalla gente.
    Esemplari al riguardo le ultime nomine, gli ultimi avvenimenti amministrativi e politici all’interno del Comune di L’Aquila che stanno a significare la ragion di stato.
    D’altronde, sin dal momento della formazione di tale partito, non si è mai avuta in seno ad esso una scelta che può definirsi ragionata e condivisa né con i consiglieri del PD, né tantomeno con i cittadini, i quali sono costretti ad assistere inermi agli innumerevoli avvicendamenti nelle varie poltrone man mano lasciate libere.
    Da tali determinazioni, i consiglieri del PD, o almeno lo scrivente, sono stati di fatto esautorati, potendo apprenderle solo in un secondo momento, quando oramai non c’era più niente da dover discutere.
    Detto ciò, e poiché lo spazio è tiranno, non riuscendo ad intravedere nel comportamento di questo neonato partito il germoglio di una nuova vita, o, se volete, di un nuovo modo di fare politica e di amministrare la cosa pubblica che, proprio in quanto tale, andrebbe amministrata meglio di quella privata, credo di poter e di dover rassegnare le mie dimissioni dal Partito Democratico con effetto immediato.
    È per onestà e coerenza comportamentale nei confronti di 652 persone che mi hanno votato che non posso dimettermi dal Consesso comunale nell’ambito del quale cercherò, per quanto possibile, di onorare la fiducia accordatami.

    Francesco Valentini

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    00 04/10/2010 15:10
    In Abruzzo restauri senza sponsor

    Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva dimostrato interesse per la chiesa di S. Maria Paganica, il premier spagnolo Zapatero si era soffermato sulla fortezza spagnola, i rappresentanti del governo cinese avevano preso a cuore la sorte dell'ex convento agostiniano, ora palazzo della prefettura, per l'oratorio di Sant'Antonio da Padova si era mosso lo Stato australiano. All'indomani del terremoto d'Abruzzo si era messa in moto la catena di solidarietà internazionale anche ai piani più alti, sollecitata dal ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi, che aveva stilato una lista di 45 monumenti, in gran parte aquilani, da "adottare" per il restauro.
    Sulle prime sembrava che nessuno di quei monumenti dovesse rimanere "orfano", complice anche la vetrina offerta dal G8, spostato in tutta fretta dalla Maddalena all'Aquila. A un anno e mezzo dal sisma, di quei 45 monumenti, solo cinque hanno trovato un governo disposto ad adottarli: si è fatta avanti la Francia, che ha stanziato la metà dei soldi (3,2 milioni di euro) necessari per rimettere in sesto il complesso monumentale di S. Maria del Suffragio; ha risposto il governo russo, che si è accollato tutte le spese per restaurare palazzo Ardinghelli e una buona parte di quelle per riportare alla vita il complesso monumentale di S. Gregorio Magno; il governo kazako ha contribuito con 1,7 milioni al ripristino del complesso monumentale di S. Biagio d'Amiternum; la Germania, infine, ha voluto salvare la chiesa di S. Pietro apostolo, a Onna, che non figura nella lista dei 45 monumenti.
    In tutti gli altri casi, le dichiarazioni di intenti dei grandi della terra sono rimaste tali. E la lista dei monumenti da salvare si presenta desolatamente vuota di sponsor e di risorse: ci vorrebbero 300 milioni per far rifiorire i 45 monumenti adottabili (e la stima dei danni in alcuni casi è ancora provvisoria), mentre ne sono stati raccolti 27,5. E solo una parte è di provenienza straniera. Gli altri sono stati offerti da privati (per esempio, le fondazioni bancarie), dalle raccolte (la vendita del Cd "Domani", con la partecipazioni di diversi cantanti, ha incassato 900mila euro; la trasmissione "Porta a porta" di Bruno Vespa è riuscita a mettere insieme due milioni), dalle istituzioni (la Camera dei deputati ha offerto un milione per restaurare il palazzetto dei nobili), dalle associazioni (dal gruppo aquilano Panta rei, che ha messo a disposizione 27mila euro, al Fai, che con 500mila euro ha provveduto al restauro della fontana delle 99 cannelle, che sarà restituita al pubblico a fine ottobre).

    Pochissime risorse, dunque, che danno da pensare per i tempi di restauro. Tutti i 45 monumenti della lista sono stati messi in sicurezza e per alcuni di quelli adottati dai paesi stranieri si è conclusa la fase di progettazione degli interventi. Per tutti gli altri, però, mancano i soldi per agire. Ecco perché il ministro Bondi qualche settimana fa ha promesso di destinare al recupero del centro storico dell'Aquila 20 milioni a partire dal prossimo anno, per venti anni. Finanziamenti che saranno prelevati dal fondo di Arcus, la spa di Beni culturali e Infrastrutture che può contare su una parte delle risorse per le grandi opere. Ci sono poi i 3 milioni raccolti dal ministero con la campagna "Salviamo l'arte in Abruzzo" e gli altri finanziamenti che possono arrivare dallo Stato e dagli enti locali.
    La situazione, tuttavia, resta preoccupante. Basta considerare che la lista dei 45 monumenti non esaurisce certo l'elenco delle opere d'arte danneggiate dalle scosse, le quali – ancor meno del patrimonio adottabile – hanno ricevuto risorse. L'unica consolazione (se così si può dire) è che il terremoto ha riportato alla luce reperti che le ricostruzioni successive ai tanti terremoti avevano coperto. «L'Aquila – spiega Angela Ciano, responsabile dei rapporti con la stampa della direzione regionale dei beni culturali – è una città di fondazione e le tante chiese sono nate insieme al nucleo cittadino. Nella chiesa di S. Giusta, per esempio, sono venuti alla luce affreschi medioevali e rinascimentali. Stiamo recuperando pezzi importanti della storia della città». C'è però il rischio che quelle memorie restino per tanto tempo circondate dalle rovine.
    © RIPRODUZIONE RISERVATA
    I NUMERI

    45
    I monumenti
    Sono stati indicati dal ministero dei Beni culturali perché venissero adottati da paesi stranieri. Sono solo una parte delle opere danneggiate
    300 milioni
    I costi del restauro
    È l'importo necessario per recuperare i 45 monumenti
    27,5 milioni
    I finanziamenti
    Provengono dai contributi dei paesi stranieri e dalle varie iniziative di raccolta.

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    00 23/12/2010 19:31
    Trovo scandaloso la disparità di trattamento
    tra i terremotati d'Abruzzo e gli alluvionati del Veneto.

    Ai terremotati avevano tutti (da Bertolaso al Premier Berlusconi) garantito che avrebbero avuto sgravi fiscali ed ora invece gli chiedono pure gli arretrati?
    Capirei pure che per un artificio a copertura della finanziaria si possa esser creato qualche disguido, ma non si può ogni volta costringere questi disgraziati ad andar a protestare fino a Roma per riavere quanto dovuto e promesso.

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    Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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