00 19/05/2010 11:35
Simboli fonetici utili
ALFABETO FONETICO            INTERNAZIONALE
TESTO ORIGINALE ITALIANO di Veronica Villa
COPYRIGHT di: Casiraghi Jones Publishing srl
PUBBLICATO SU: English4Life n. 6 pag. 28-29

Nonostante English4Life utilizzi un suo proprio sistema fonetico per insegnare la corretta pronuncia dell’inglese, la conoscenza dell’alfabeto fonetico internazionale è comunque indispensabile per poter utilizzare la maggior parte dei dizionari professionali. In questo articolo, Veronica Villa ci racconta come è fatto e come ci può essere utile.

L’importanza della fonetica 

Come sappiamo, la pronuncia è uno degli elementi fondamentali dello studio della lingua inglese. Gli aspetti sonori, cioè fonetici, non dovrebbero mai essere trascurati, anche se al principiante a volte possono sembrare secondari. In effetti sbagliare una pronuncia, sotto certi aspetti, è grave quanto sbagliare una regola di grammatica, non bisogna infatti dimenticare che confondere anche una sola vocale è sufficiente per rendere una intera frase incomprensibile per il nostro interlocutore.

Dal punto di vista strettamente fonetico, per pronunciare una parola noi emettiamo una serie di suoni (fonemi). Quando scriviamo usiamo invece le lettere, che abbiamo imparato, fin dalle scuole elementari, ad associare in modo convenzionale ai suoni. Ma ad una singola lettera del nostro alfabeto non corrisponde necessariamente un singolo suono. In italiano pensiamo per esempio alla parola “chiesa”, dove “ch” è pronunciato convenzionalmente con un solo suono, cioè come “c” in “cosa”. O in inglese pensiamo a “high”, dove “gh” non viene pronunciato affatto. Le lettere dell'alfabeto, unità minime della nostra scrittura, non corrispondono dunque ai fonemi, unità minime dei suoni della pronuncia. Il rapporto tra lettere e suoni è dunque altamente convenzionale, sviluppato all'interno di ogni lingua nel corso dei secoli e condizionato da innumerevoli cambiamenti storici (migrazioni), sociali (usi scritti) e più specificatamente linguistici (mutazioni).

L'inglese e l'italiano sono imparentati in modo piuttosto stretto, si può dire che siano lingue “cugine”: entrambe sono lingue indoeuropee, ma l'inglese è una lingua derivata dal ceppo germanico, mentre l'italiano è derivato dal latino. L'alfabeto che utilizzano è sostanzialmente lo stesso (tranne per le lettere in più dell'inglese), ma le convenzioni che legano lettere e fonemi sono radicalmente diverse. Noi abbiamo comunemente l'impressione che l'italiano “si pronunci come si scrive” (cioè che le lettere e i suoni corrispondano) e siamo tentati di pensare che invece in inglese ci sia una totale incoerenza tra scrittura e pronuncia. In effetti in inglese le regole che legano lettere e fonemi sono molto complesse, al punto che non si è mai sicuri di come si pronuncia una parola finché non la si sente. Questo accade perché l'inglese ha subito varie mutazioni in seguito alle migrazioni dei popoli germanici, durante le varie vicissitudini di Angli e Sassoni nelle terre isolate che prima erano celtiche, e, in seguito, al contatto con il francese.

Ma in realtà anche un inglese ha l'impressione che l'italiano non si pronunci come si scrive! Tutto dipende dalle convenzioni che legano la scrittura e la pronuncia, che tutti noi impariamo da bambini. Ognuno di noi tende a pensare che la propria lingua madre “si legga come si scrive”, si tende cioè a valutare le altre lingue con il proprio metro. Ma quando si inizia lo studio di una lingua straniera è necessario apprendere le sue regole fonetiche specifiche, senza “pregiudizi” linguistici. Se queste regole sono abbastanza simili a quelle dell'italiano (come accade per esempio con il tedesco) non ci sarà bisogno di un grande sforzo, ma se sono molto diverse (come in inglese) bisognerà applicarsi maggiormente. 

 

Perché nasce l’alfabeto fonetico internazionale

Ogni lingua indoeuropea ha sviluppato il suo modo peculiare di pronunciare le lettere di un alfabeto complessivamente comune. È quindi nata la necessità, in particolare tra i linguisti che studiano scientificamente questi aspetti, di creare un “alfabeto dei fonemi”, dove ogni segno rappresenti effettivamente un unico suono. Questo alfabeto può essere applicato a qualunque lingua allo scopo di  scrivere, in modo assolutamente inequivocabile, le parole nel modo in cui sono pronunciate. L'alfabeto fonetico internazionale (IPA-API) viene largamente utilizzato nei dizionari, infatti accanto ad ogni lemma è di solito riportata la trascrizione corrispondente. Questo è utilissimo, a patto che si conosca l'alfabeto stesso, che ad un principiante appare come un esoterico elenco di misteriosi simboli. Per esempio troveremo che la familiare parola “that” diventa in alfabeto fonetico “ðæt”. La legenda fornita dal dizionario potrebbe essere scoraggiante o insufficiente a chiarire i dubbi del principiante, quindi è indubbiamente preferibile apprendere alcuni simboli.

 

Simboli “strani” ma utili 

 qui
 

L'alfabeto fonetico internazionale può essere copiato liberamente purché se ne dia riconoscimento alla Internationl Phonetic Association (c/o Department of Linguistics, University of Victoria, VIctoria, British Columbia, Canada)

 


L'IPA-API, come si vede dalla mappa qui sopra, è decisamente complesso e comprende moltissimi simboli, categorizzati in maniera precisa. L'italiano e l'inglese utilizzano solo alcuni dei simboli della mappa. Per esempio entrambe le lingue non usano il colpo di glottide (l'ultimo simbolo in alto a destra), che è tipico delle lingue arabe (che è però presente nel cosiddetto cockney londinese). Entrambe le lingue utilizzano un certo numero di suoni comuni, come le vocali “e” e “o” aperte e chiuse. Ma solo l'inglese utilizza i famosi “th” di “this” e “that” (rispettivamente “”  e “ð”). Per gli italiani è così difficile imparare questi suoni perché nella nostra lingua non vengono utilizzati, quindi devono essere appresi integralmente. I principianti poi si sforzano di sostituirli con suoni della lingua italiana, illudendosi che questa sia una buona idea. Ma non è così. Pronunciare una sorta di malferma “z bolognese” per dire “the” o una specie di “d” per dire “that” è totalmente sbagliato e deve essere evitato in tutti i modi. È un po' come ascoltare uno straniero che, non conoscendo il suono per pronunciare “gn” pronuncia “bolog-nese” con la “g” dura. Bisogna farsi coraggio ed imparare a pronunciare questi suoni, accostando la punta della lingua al retro dei denti superiori e soffiando l'aria nel passaggio. Facendo contemporaneamente vibrare le corde vocali si ottiene il “th” sonoro di “that”, altrimenti quello sordo “this”. 

Senza bisogno di iscriversi ad un corso di fonetica o di studiare un manuale di linguistica, è possibile imparare a riconoscere facilmente i simboli fonetici più comuni e significativi, in modo da essere in grado di leggere almeno indicativamente le utilissime pronunce scritte sui dizionari.

 

Elementi di fonetica (senza pretese di completezza) 

Le consonanti si distinguono a seconda del punto in cui il suono viene emesso (per esempio sui denti, sul palato, sull'ugola...) e del modo in cui viene emesso (nasale, vibrante, affricato etc.). Per esempio la “d” è un suono dentale perché per produrlo si appoggia la lingua ai denti, ed è anche n suono esplosivo (plosivo, in linguaggio fonetico) perché si produce staccando improvvisamente la lingua dai denti stessi. La “n” è dentale e nasale, perché il naso partecipa alla produzione del suono (se mettete la mano davanti al naso sentirete l’aria uscire ogni volta che dite “n”). La “r” è altrettanto dentale ma è vibrante, perché per produrla si fa vibrare la punta della lingua sui denti. Il comune difetto di pronuncia che chiamiamo “erre moscia” è proprio l'incapacità di far vibrare la lingua sui denti, mentre la “erre francese” è prodotta facendo vibrare la parte medio-terminale della lingua sull'ugola. Una affricata si produce invece creando uno stretto passaggio e soffiandovi l'aria, come per “th” e “dh” o per le più familiari “f” e “v”. 

  È l'affricata dentale sorda di “thing”, si ottiene accostando la punta della lingua al retro dei denti superiori e forzando l'aria nel passaggio. Non esiste in italiano. 

ð  Il suono è identico, ma sonoro perché le corde vocali vibrano, come in “that”. Anche questa non esiste in italiano. 

z  È la “s” sonora di “rosa” e di “rose” in inglese. 

g  Si intende la “g dura” di “gara” e di “gone” in inglese. 

   È l'affricata palatale sorda di “sh” in “ship”, e “sc” di “scena” in italiano. Con la scrittura t  si intende la “c” di “centro” in italiano e la “ch” di “change” in inglese. 

   È la stessa affricata palatale, ma sonora, come in “vision”.  d   è la “g” di “gioco” in italiano e la “j” di “Jane” in inglese. 

k  Il suono velare “ch” di “chiesa” e “k” di “key” in inglese. 

   È come la comune “n”, una nasale dentale, ma il suono è prodotto un po' più indietro, sul palato. In inglese è di solito il suono della “n” quando precede la “g”, come in “king”, questo succede perché il carattere velare (il velo è la parte terminale del palato) della “g” influenza quello della “n” trascinandolo un po' indietro. 

Diversamente le vocali si distinguono a seconda del grado di apertura della bocca e a seconda del coinvolgimento anteriore, medio o posteriore della bocca stessa. La “a” aperta rappresenta l'apertura totale posteriore, la “i” quella minima anteriore (si parla infatti di triangolo vocalico). 

   È una “e” aperta. 

 æ  È un suono a metà tra la “a” e la “e”, più chiuso di “a” ma più aperto di “e”. 

   È un suono intermedio, assolutamente centrale rispetto a tutti i suoni vocalici. È una sorta di emissione indistinta. Se è piccola e in apice il suono è solo accennato. 

   È una “a” molto aperta. 

   La “o” aperta. 

   È una vocale molto posteriore e relativamente aperta, più simile ad una “o” che ad una “e”, per esempio nella parola “cup”. Gli italiani, percependo bene la posteriorità del suono ma non altrettanto bene la sua apertura (che non è totale) tendono a sostituirla, sbagliando, con una “a”.  

    Un suono di U breve prodotto senza sporgere in fuori le labbra 

   È una “i” breve che assomiglia quasi ad una e stretta italiana. È un suono inesistente in italiano. 

Nei dizionari noteremo anche dei piccoli segni, simili ad apostrofi, virgole e due punti, all'inizio, durante o alla fine delle parole. Si tratta di utili indicazioni di accento e intonazione. 

Un piccolo apice in alto indica l'accento primario, cioè l'inizio della sillaba su cui si concentra l'emissione sonora. Una piccola virgola in basso indica l'accento secondario, un'altra emissione sonora significativa ma meno intensa. I due punti indicano che il suono vocalico precedente è lungo, cioè bisogna soffermarsi su di esso per più tempo. 

Questi pochi simboli bastano per imparare a leggere in modo efficace la notazione fonetica sui dizionari. Volendo ci si può anche cimentare in un dettato fonetico, o si può provare a leggere la trascrizione di parole note, per esercitarsi. 

Conoscere l'alfabeto fonetico internazionale, anche se in modo sommario, aiuta a percepire la natura fonetica delle lingue, a conoscere i suoni, e soprattutto aiuta a pronunciarli correttamente. Un piccolo sforzo nell'imparare gli elementi più importanti di questo alfabeto porta ad un grande miglioramento della propria abilità nella pronuncia e permette una maggiore potenzialità di apprendimento.

 

L'ALFABETO FONETICO INTERNAZIONALE E LA NOSTRA PRONUNCIA GUIDATA

Perché English4Life ha scelto di utilizzare un proprio sistema di Pronuncia Guidata anziché usare l’AFI? Non è stato un capriccio: i motivi sono sostanzialmente 5.

1. L’alfabeto fonetico internazionale è nato solo per rispondere alle limitate esigenze dei produttori di dizionari tanto è vero che non prevede né la distinzione fra lettere minuscole e lettere maiuscole né segni di interpunzione (punti, virgole, ecc.). Un testo normale traslitterato in AFI ha un aspetto non naturale, per la mancanza dei segni di interpunzione, e complica la vita allo studente in quanto non gli permette di identificare subito in un testo i nomi propri geografici e di persona, cosa che si realizza abitualmente tramite le iniziali maiuscole.


2. L’alfabeto fonetico internazionale è un font particolare che non fa parte della dotazione standard di un computer. Risulta dunque difficile scrivere testi in AFI per pubblicarli su Internet, inviarli via email o stamparli su carta, visto che raramente gli utenti finali, i siti Internet o gli stampatori dispongono di questi font.


3. Scrivere testi lunghi come quelli da noi normalmente pubblicati su English4Life è complicato anche perché la disposizione dei simboli AFI sulla tastiera di un normale computer non corrisponde affatto alle lettere già riportate sulla tastiera stessa. Il processo di scrittura di un testo lungo si rivela dunque oltremodo lento e stressante o, altrimenti, bisogna ricorrere a tastiere speciali.


4. Non esiste un software per computer che gestisca la trasformazione automatica di un testo inglese nel corrispondente scritto in AFI.


5. I testi scritti in alfabeto fonetico internazionale risultano più ostici rispetto alla Pronuncia Guidata a causa di un numero abbastanza elevato di simboli speciali. Dato che la nostra intenzione era, ed è, quella di rivolgerci ad un pubblico il più possibile vasto, l’uso dell’alfabeto fonetico internazionale avrebbe costituito per molti lettori un deterrente fortissimo ad accostarsi alle problematiche della pronuncia che, per vari motivi, sono già in coda alla scala delle priorità da parte di chi vuole imparare l’inglese.

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Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.