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Cherry picking

Ultimo Aggiornamento: 23/11/2014 13:47
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23/11/2014 11:09

Secondo l’Istat negli ultimi 6 mesi l’occupazione è aumentata, ma di sole 70 mila unità. Invece Renzi ieri ha proclamato l’aumento di 153 mila posti di lavoro, il suo è solo frutto di un ingenuo trucco statistico, che gli anglosassoni chiamano cherry picking (scegliersi le ciliegie), cioè presentare solo i dati che ci danno ragione: in questo caso confrontare i dati di settembre non con quelli di 6 mesi prima (marzo), ma con quelli del mese più basso dell’anno (aprile, in questo caso). [SM=g1700002]

Quale sarà il prossimo gioco di prestigio del sor Matteo? Occhi aperti [SM=x44499] ultimamente quelli che si chiamano Matteo sembrano divertirsi a giocare con gli annunci sensazionalistici...
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23/11/2014 12:24

si è sempre saputo che le statistiche possono dire tutto o il contrario di tutto, basta rigirarle come fa comodo e gli si tirano fuori i risultati personalizzati [SM=x44458]
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23/11/2014 13:33

Durante l’intervista a Rtl 102.5 dell'altro ieri Renzi ha sostenuto che: "In sei anni l'Italia ha perso un milione di posti di lavoro. Negli ultimi sei mesi ne abbiamo recuperati 153.000. Non mi basta"

Quella del tweet è una cifra presentata da Matteo Renzi in diverse occasioni da inizio novembre: a Brescia all’assemblea degli industriali, al G20 in Australia. Anche il ministro Maria Elena Boschi, durante un incontro a Piacenza l’8 novembre scorso, ha parlato di questi 153 mila posti di lavoro “creati” dal governo Renzi, solo che in questo caso a cambiare è la tempistica. Infatti per la ministra questo risultato sarebbe stato raggiunto in “3 mesi” e non in 6. Tralasciando che i “posti di lavoro” recuperati sono per lo più precari e che il mercato del lavoro rimane in grande sofferenza (con la disoccupazione che continua a salire), questo dato non corrisponde comunque alla realtà è utilizzato come pura propaganda. Come hanno già verificato IlFattoQuotidiano.it e Pagella politica la cifra infatti cambia a seconda di dove si decide di partire per contare: Il governo Renzi si è insediato a fine febbraio 2014, quando gli occupati erano 22 milioni e 318 mila; l’ultimo aggiornamento Istat indica la presenza di 22 milioni e 457 mila occupati nel mese di settembre. L’aumento febbraio-settembre è quindi pari a +139 mila unità. Incuriositi dal numero preciso ma sbagliato citato dal Presidente del Consiglio, abbiamo confrontato settembre con gli altri mesi del 2014. L’aumento di 153 mila unità si riscontra rispetto ad aprile, ma se si decide di partire da marzo (primo mese pieno di attività del governo) l’aumento è stato meno della metà, “appena” +70 mila. Il presidente del Consiglio prendendo come punto di partenza il mese di aprile ha reso «sproporzionato – continua Pagella politica – il risultato positivo, dal momento che quel mese ha registrato l’occupazione più bassa del periodo del governo Renzi». Come scrive sempre Pagella Politica: L’aumento degli occupati quest’anno si ferma a 96 mila unità, meno di due terzi del livello indicato da Renzi. Se non avesse scelto furbescamente di partire dal punto più basso della serie storica, avremmo concesso un “C’eri quasi” al Premier, visto che abbiamo comunque riscontrato un aumento di quasi 140 mila occupati dal suo insediamento. E invece, nella decisione arbitraria di scegliere aprile come punto di partenza per accentuare i risultati positivi, vi ravvisiamo quel precipuo esempio di manipolazione del dato [SM=x44512] che Pagella Politica vuole combattere. “Nì” per Renzi. I posti di lavoro e gli occupati non sono la stessa cosa. I primi sono un flusso, e la creazione di un certo numero di posti di lavoro deve essere considerato al netto dei posti di lavoro persi nello stesso periodo di riferimento. Inoltre un occupato può avere più di un posto di lavoro. È generalmente più utile confrontare il livello dell’occupazione piuttosto che i posti di lavoro.

Da Il Fatto Quotidiano:



Il tweet di Matteo Renzi è stato infatti ritwittato dall’account del Tg di La7. A questo punto si pone un altro problema. Ma perché un organo d’informazione riprende pari pari un’affermazione di un politico senza verificarla? Non si presta in questo modo alla propaganda? [SM=x44510]

Non si può stabilire quanti di questi “70.000″ inattivi in meno siano rientrati nei disoccupati e quanti invece abbiano trovato lavoro e si siano quindi spostati nel conto degli occupati. Al di là di tutto, comunque, quando si analizzano dati di questo tipo è più corretto ragionare in termini di tassi che in valore assoluto. L’Istat, infatti, ha spiegato che «per il profilo temporale è più corretto fare riferimento ai tassi (occupazione, disoccupazione, inattività) in quanto i valori assoluti scontano l’effetto popolazione che nel medio lungo periodo può produrre distorsioni nella lettura dei dati».

la fonte: www.valigiablu.it/renzi-abbiamo-recuperato-153mila-posti-di-lavoro-ma-non...
Licenza cc-by-nc-nd valigiablu.it

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Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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23/11/2014 13:47

Segnalo questo articolo che trovo interessante:
Sul lavoro il governo rischia il flop
Articolo di Luca Ricolfi su La Stampa - 23/11/2014
E se avesse ragione la Camusso?


Sul lavoro il governo rischia il flop
Articolo di Luca Ricolfi su La Stampa - 23/11/2014
E se avesse ragione la Camusso?

Nel sollevare il dubbio, lo dico subito, non mi riferisco alle proposte economiche della Cgil, e tantomeno alla baruffa sull’articolo 18. No, il sospetto che abbia ragione la Camusso, e torto il governo, mi è venuto su un’unica questione, che però ai miei occhi è anche la più importante: la situazione del mercato del lavoro e i mezzi per creare nuova occupazione.

Cominciamo dal mercato del lavoro. Secondo Renzi negli ultimi sei mesi sono stati creati 153 mila posti di lavoro, che certo non bastano ma segnalano finalmente un’inversione di tendenza. Secondo i sindacati, invece, bisogna guardare anche alla qualità dei posti di lavoro, all’andamento della disoccupazione, alle ore di cassa integrazione.

Chi ha ragione? Difficile dirlo con sicurezza, ma il pessimismo sindacale appare più fondato dell’ottimismo governativo. Secondo l’Istat negli ultimi sei mesi l’occupazione è aumentata, ma di sole 70 mila unità. L’aumento di 153 mila posti di lavoro proclamato da Renzi è solo frutto di un ingenuo trucco statistico, che gli anglosassoni chiamano cherry picking (scegliersi le ciliegie), ovvero presentare solo i dati che ci danno ragione: in questo caso confrontare i dati di settembre non con quelli di 6 mesi prima (marzo), ma con quelli del mese più basso dell’anno (aprile, in questo caso).

Si potrebbe obiettare che, se consideriamo solo le ultime due rilevazioni, ossia agosto e settembre, l’aumento è di 83 mila posti di lavoro, un risultato decisamente positivo.

Ma qui intervengono ben tre contro-obiezioni dei sindacati.
1) in attesa dei dati Istat più analitici, nulla sappiamo della qualità dei nuovi posti di lavoro, e tutto lascia pensare che l’aumento possa essere dovuto soprattutto alla sostituzione di posti di lavoro full-time con posti di lavoro part-time, una tendenza che non si è mai interrotta negli ultimi 10 anni.
2) fra agosto e settembre la disoccupazione non è affatto diminuita, bensì è aumentata di 48 mila unità.
3) sempre fra agosto e settembre sono esplose le ore di cassa integrazione, e questa tendenza è proseguita fra settembre e ottobre. Se si convertono le ore di cassa integrazione in posti di lavoro, e si correggono i posti di lavoro nominali con i posti di lavoro congelati dalla cassa integrazione, si scopre che l’occupazione reale (fatta di posti di lavoro in cui si lavora) non è aumentata di 83 mila unità ma è diminuita di 145 mila. Il che, forse, spiega l’aumento dei disoccupati registrato dall’Istat, un dato che ad alcuni è parso in contrasto con l’aumento dell’occupazione.

Primo round: Camusso 1, Renzi 0.

Ma passiamo al secondo round. Dice Renzi che «i sindacati passano il tempo a inventarsi ragioni per fare scioperi, mentre io mi preoccupo di creare posti di lavoro». Susanna Camusso gli risponde che «se fosse vero che il governo ha intenzione di creare posti di lavoro, le norme che ci sono nella legge di stabilità rispetto ai precari sarebbero tutte diverse». Sono convinto anch’io che talora i sindacati scioperino per scioperare, e naturalmente non nutro alcun dubbio sul fatto che Renzi desideri creare posti di lavoro. Però il punto sollevato dalla Camusso è di sostanza, non di buona o cattiva volontà. La domanda cruciale non è che cosa sogna Renzi, ma è se le norme varate dal governo, in particolare la riduzione dei contributi a carico del datore di lavoro prevista dalla Legge di stabilità, siano idonee a creare nuovi posti di lavoro, dove per «nuovi» si deve intendere posti che senza quelle norme non sarebbero mai nati.

Secondo la Cgil no: se Renzi puntasse davvero a massimizzare i nuovi posti di lavoro, «non distribuirebbe fondi a pioggia alle imprese, ma li vincolerebbe alle assunzioni». Qui le obiezioni della Cgil collimano perfettamente con le perplessità degli studiosi, che si possono riassumere in almeno 5 osservazioni.

1) la decontribuzione riguarda solo gli assunti nel 2015, quindi non potrà fornire una spinta permanente all’economia.
2) la decontribuzione non richiede all’impresa beneficiaria di aumentare l’occupazione e quindi, nella maggior parte dei casi, si risolverà in un regalo alle imprese.
3) è molto improbabile che i pochi fondi stanziati per il 2015 (1,9 miliardi) bastino a coprire le richieste, che saranno tantissime proprio perché nulla si pretende dalle imprese.
4) la previsione governativa che i lavoratori assunti con la nuova formula siano 1 milione implica che i relativi posti di lavoro siano quasi tutti part-time, un po’ come i mini-job alla tedesca (lo sgravio medio preventivato dal governo è di soli 5000 euro per addetto, più o meno quel che paga un datore di lavoro per un assunto part-time).
5) proprio perché non può creare un numero apprezzabile di posti di lavoro addizionali, la decontribuzione governativa non si finanzia da sé (attraverso l’aumento del Pil generato dai nuovi posti di lavoro), ma richiede ogni anno di essere rifinanziata, cosa per cui il governo non ha le risorse.



Fine del secondo round: Camusso 1, Renzi 0.

Arrivati a questo punto, qualche lettore potrebbe obiettare che è tutto da dimostrare che la decontribuzione prevista dal governo non produrrà molti posti di lavoro. E allora lasciamo parlare il governo. Nella Legge di stabilità (che è scritta dal governo, non da me) si prevede che l’impatto complessivo delle decine e decine di misure della legge stessa sia di appena 40 mila nuovi posti di lavoro. Anche assumendo che tutte le altre misure non creino un solo posto di lavoro, e che l’intero merito vada alla sola decontribuzione, si tratta di un risultato davvero modesto. Un risultato che è reso ancora più deludente dalla lettura di quel che la Legge di stabilità prevede per il lontano 2018: un tasso di occupazione e un tasso di disoccupazione quasi identici a quelli attuali, con circa 3 milioni di disoccupati.

Se queste sono le prospettive, forse non sarebbe male che il governo, fra un tweet e l’altro, trovasse cinque-minuti-cinque per ascoltare non solo la Cgil ma le tante voci che, in queste settimane, hanno posto il medesimo problema: la norma prevista dal governo non pare lo strumento più incisivo per creare veri nuovi posti di lavoro. Ne ha scritto Tito Boeri sul sito lavoce.info, ne abbiamo parlato noi, come Fondazione Hume e come Stampa, con la proposta del job-Italia, ne ha discusso Confartigianato pochi giorni fa a Torino, ne ha parlato più volte in pubblico Giorgia Meloni, che sul nodo fondamentale della «addizionalità» dei posti di lavoro ha anche depositato un emendamento al Jobs Act.

Su una questione come questa, il presidente del Consiglio non può cavarsela con una battuta. Perché, è vero, la Cgil troppo spesso ha lo sguardo rivolto al passato, ma in questo caso è vero precisamente il contrario: la battaglia per creare nuovi posti di lavoro è la battaglia cruciale del nostro futuro.

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Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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