Il "consiglio europeo" non raggiunge l’accordo sull'etichetta di origine obbligatoria. «Il governo Renzi non ha fatto abbastanza»
LE MISURE EUROPEE - La battaglia persa del «Made in». Industriali contro la ministra Guidi del Governo Renzi. - Il "consiglio europeo" non raggiunge l’accordo sull'etichetta di origine obbligatoria. «Il governo Renzi non ha fatto abbastanza» - Articolo del Corriere della Sera del 4 dicembre 2014
Giovedì mattina, in attesa che si riunisse il Consiglio europeo sulla competitività presieduto dalla ministra dello Sviluppo economico italiana, Federica Guidi, Claudio Marenzi diceva che «siamo di fronte a un altro disperato Italia-Germania... Speriamo che finisca come nel 2006». Cioè con la vittoria. In questo caso, non su un campo di calcio ma sul «made in», l’etichetta di origine obbligatoria che l’Europa non ha e che hanno invece tutte le maggiori aree del mondo, Stati Uniti e Cina compresi. Non è stato così: ha vinto la Germania e il blocco di Paesi che porta con sé. E le speranze di chi si è impegnato in prima persona come Marenzi (è presidente di Sistema moda Italia), Lisa Ferrarini (vice presidente di Confindustria con delega all’Europa), Cleto Sagripanti (calzaturieri) e molti altri ancora sono andate deluse. Per l’ennesima volta. E adesso gli imprenditori sono sul piede di guerra e accusano la ministra Guidi e il premier Matteo Renzi di aver fatto troppo poco, di «non aver compreso l’importanza di questa misura per il nostro Paese», per riassumere con le parole di Marenzi e Ferrarini. Tra i 28 Paesi europei «non c’è accordo — ha detto Guidi uscendo dal Consiglio —. Non siamo riusciti a trovare una mediazione in quanto diversi Stati membri, tra cui la Germania, non hanno una visione comune».
Una doccia fredda per chi da tempo preme sull’introduzione di questa misura, già approvata dal Parlamento europeo ma non dal Consiglio. «Il ‘made in’ avrebbe ricadute economiche concrete sui territori e soprattutto un impatto emotivo sugli imprenditori: ridarebbe loro quella punta di ottimismo, quella fiducia, che vale più di un trattamento economico», dice Lisa Ferrarini. Ed è per questo che la vice presidente di Confindustria punta il dito contro il governo italiano: «Oggi ci aspettavamo un atteggiamento molto più assertivo dalla presidenza italiana – dice Ferrarini in una nota —. Questo Consiglio o, più precisamente, la sua preparazione, poteva rappresentare un punto di svolta. Non ci siamo mai illusi che portasse alla chiusura del dossier con una vittoria schiacciante del fronte del “sì” e avremmo accolto con soddisfazione anche soltanto un segnale che si era imboccata la strada giusta. Invece il ministro Guidi, presidente di turno del Consiglio, nel dare conto degli sforzi compiuti fin qui per sostenere il ‘made in’, anche evocando possibili soluzioni tecniche, ha poi concluso rinviando ogni sviluppo agli esiti di uno studio di impatto che giungeranno a semestre scaduto, promettendo che l’Italia insisterà durante la presidenza lettone. Ci sembra un po’ poco».
Una presa di posizione da sottolineare considerando che la stessa Guidi di Confindustria è stata, in passato, vice presidente e presidente dei giovani imprenditori. «Nel corso della discussione — aggiunge Ferrarini — è apparsa più netta la Commissaria polacca Bienkowska, contitolare del dossier, nel richiedere agli Stati membri un approccio costruttivo per giungere finalmente all’approvazione del pacchetto legislativo. Le circostanze, invece, richiedevano di buttare il cuore oltre l’ostacolo al momento decisivo, perché l’Italia è lo Stato membro che ha maggiormente a cuore il dossier. Ci fa sicuramente piacere che sono finalmente in corso contatti con il governo tedesco per trovare una soluzione. Il fatto è che ci aspettavamo che questi contatti fossero stati stabiliti fin dall’inizio del semestre, così da fornire dei risultati al momento in cui ce n’era bisogno». «Una gravissima incomprensione del nostro governo sul manifatturiero – concorda Marenzi —. Ci siamo espressi tutti a favore, da Confindustria a noi, ai calzaturieri al legno arredo... È quasi paradossale che si debba spingere così tanto su un argomento che dovrebbe essere tra i principali problemi italiani: siamo il secondo Paese manifatturiero in Europa e abbiamo qualche milione di persone occupate... Oltre a essere il nostro biglietto da visita, la nostra eccellenza... ».
Parlando in televisione ieri sera il premier Matteo Renzi aveva detto che «teniamo duro» nonostante i tentativi di boicottarci in Europa, ma per ora la partita è – ancora una volta -—chiusa. Intanto ieri Sistema moda Italia e Indicam hanno firmato a Bruxelles insieme alle associazioni della moda francesi un memorandum contro la contraffazione. «Un passo molto importante — spiega il presidente di Smi —. Italia e Francia, avendo il 90 per cento dei marchi del lusso, sono i più colpiti dalla contraffazione. Con questa intesa che inasprisce le pene, prevede maggiori controlli alle dogane e una informativa ai consumatori sugli effetti della contraffazione (come per esempio l’incentivo alla malavita o i rischi per la salute) cerchiamo di sensibilizzare il governo europeo». Un accordo che Lisa Ferrarini sposa in pieno. Ma che la porta a un ragionamento più ampio: «Se dobbiamo arrivare a firmare trattati bilaterali quando siamo in Europa, allora devo sapere chi mi rappresenta». Su questi temi non (o poco) l’Europa.
[Modificato da Robert - W la... foiga! 06/12/2014 15:36]
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