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15/09/2003 09:42 | |
Scritto da: Zalmoxis 15/09/2003 7.59
Fu come fu che da bambino mi ritrovai a passare estati ed estati sulle Alpi. Stesso albergo e stesso sentierino, accosto accosto ad un ruscello che lambiva prati e radure – sì, prati e radure, poche case. Una chiesetta non più piccola che per due persone e solo in piedi, uno spiazzo lì vicino ridosso a una scuoletta – una di quelle dei sogni, chiara e con meridiana e legni chiari, ma soprattutto chiusa... Lì scivolavano a metà agosto feste e i loro vestiti arricciati e rossi (o blu, chi lo ricorda più) però di sicuro con tanti fiori, minuti e serrati quel tanto che a tenerli ancora nel cuore non occupano poi molto spazio: biglietti dunque, e lotterie proprio sopra i cappelli a barba di camoscio dei bandisti, un goccio di limonata strana che sa fino ad adesso di lontananza e curiosità, di quelle troppe bollicine e delle mie poche parole di allora. Solo poche? Le ultime piuttosto, a essere onesti, dinanzi a una piccola sagoma sbiadita e colorata, ma che profuma ancora di luce e di erba - sì, non potrei dirne il volto – , di quella che oggi chiamerei una ragazza. La ricordo e la dimentico assieme: la ruggine è dura a lasciare i cuori. Le piace lasciarli cigolare, li vuole tenere accanto a sé per chiacchierarci nei viali di ogni farraginoso autunno…
Insomma per di là passeggiavo, mi ripeto, lungo estati e premi non vinti - soprattutto però la sera. E quello era il vero incantesimo. Giù l’ultimo boccone della cena, certi passi sgattaiolavano in silenzio per una sottile striscia di luce accanto al torrente, come se dunque fossero due le lame di acqua e di terra ad indicarmi la via dei canti, la via del cielo. Sì, lì vicino non c’era traccia di fuoco e nemmeno di una luce: solo buio su buio. I miei venivano spesso a spasso con me, ma preferivo perderli al primo bivio, al decimo odore. Aspettavo la svolta di una segheria e lì potevo restarmene libero con quelle cataste di legno alte come giganti. Scure e possenti ma sul serio! tanto potenti da farmi sentire protetto come mai più in vita mia. Lì nulla avrebbe potuto portarmi via dai sogni e dall’odore penetrante e giallo della resina, dalla voce sussurrata del vento: non avevo, e nulla è cambiato in me, bisogno di null’altro che di quel monte bianco e puntuto là lontano – identico identico a quel che, una volta a Roma, mi sembrava essere la montagna di Heidi, la piccola bambina tanto triste in città.
Scendevo e salivo per il mio cuore più che per il leggero e delicato fianco della valle, morbido e caldo. Una curva, due curve e daccapo il buio profondo; svolta e svolta, bivio su bivio, la strada che brilla e il torrente che gorgoglia. E poi il contrario. E daccapo ancora e ancora. Verbum sapienti: quo plus habent, eo plus cupiunt. Ma solo all’interno…
Perché quello è il segreto, quel che nascondono perfino le ali degli angeli.
Il respiro si trattiene, un colore addosso e scuro in mezzo a un’altra oscurità, malgrado non ci sia nessuno per di là. Le nubi all’improvviso e il frusciare forse di un ramo secco, una pietra che lontano cade chissà dove e ne chiama un’altra – se non Altro. Dov’è che ho perso le mie tasche, per metterci dentro tutto questo? E’ tanto che ancora non lo so…
E forse davvero non mi importa. Il profilo di nuovo forte e caro del monte, fra gli abeti rossi – “die Fichten” qui li chiamano, come il filosofo - che come fosse nulla lo abbracciano e non lo lasciano più andar via, quanto un’amante segreta eppure da sempre sotto gli occhi di tutti. Chiarore nel blu di lacca prussiano del cielo ormai stanco, il mio capo che vorrebbe un riparo sicuro.
Allora e come sempre. Allora e per sempre
...zal..abbracciami..
[Modificato da collagediemozioni 15/09/2003 9.43] ________________________________
Quando mi trovo di fronte a tanta cortesia e ostentazione di buoni sentimenti,mi aspetto sempre di trovare una corrispondente dose di brutalità.E' la legge delle coppie di opposti:si presentano sempre insieme.
Jung
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