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Gianfranco Fini e la sua coerenza...

Ultimo Aggiornamento: 20/04/2010 19:23
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26/02/2005 14:54

Re: Re:

Scritto da: Zalmoxis 26/02/2005 14.36



Manca la storia di un tal Sergio Mariani...
[SM=x44451]



[SM=x44463] sei proprio un pestifero......[SM=x44498]

tratto da :
Fini: di tutta l' "erba" un "Fascio"
Liberamente tratto da “Tribù” edito Mondadori e arricchito di altri dati inediti.
www.italianiestero.antoniodipietro.it/sezioni/editoriali/editoriali.php?e...

Nipote di un nonno comunista (paterno: Alfredo) e di uno fascista (materno: Antonio, partecipante alla Marcia su Roma), figlio di un funzionario della gulf socialdemocratico, studente disastroso al ginnasio (5 in italiano, 5 in latino, 4 in greco, 4 in francese: bocciato), buono alle magistrali, laureato in pedagogia a Roma con una tesi sui decreti delegati, racconta a tutti di essere diventato missino dopo che i rossi gli avevano impedito di assistere al film Berretti verdi con John Wayne. Meglio: più che missino, fascista. Lo dice lui. Smentendo lo stesso amico Silvio che s’affanna a sdrammatizzare: «Macché fascista: se è nato nel ’52!». No: «Sono un postfascista, ma sarebbe meglio dire un fascista nato nel dopoguerra».
Lo diceva nel 1988, mentre stava per essere eletto segretario nazionale del msi. Al ballottaggio, ma con voti reali. La prima volta non era andata così. Alle elezioni per la carica di capo del Fronte della Gioventù, nel ’77, era arrivato quinto su sette candidati. I camerati, più fanatici e maneschi di lui, lo consideravano infatti troppo moderato. «Per noi era un vile» avrebbe spiegato anni dopo Valerio Fioravanti, che a quei tempi stava slittando con la futura moglie Francesca Mambro verso la scellerata scelta della lotta armata.
Uno che preferiva la parola al manganello, il dibattito allo scontro fisico. Onore al merito, per noi. Non per i suoi camerati, che nelle sezioni caldissime di Acca Larentia o di via Sommacampagna lo chiamavano «er Caghetta». E lo accusavano, secondo le testimonianze raccolte da Goffredo Locatelli e Daniele Martini, autori d’una biografia del leader destrorso, di cose inimmaginabili nell’ottica dei balilla: «Veniva ai cortei in giacca e impermeabile. Così al primo pericolo si infilava nei negozi e si spacciava per poliziotto». Figurarsi se lo avrebbero fatto capo dei giovani missini. Almirante non aveva, però, voluto sentir ragioni: dal quinto l’aveva cooptato d’autorità al primo posto. A riprova di quanto «Faina» avrebbe spiegato anni dopo. E cioè d’aver appreso «i valori della democrazia» proprio dentro il msi.
Seccato dalla fama di debolezza muscolare, dirà: «Ne ho date e ne ho prese, credo d’esser finito in pareggio». L’unico pestaggio di cui si abbia notizia, tuttavia, non glielo impartirono i rossi ma i camerati amici del marito di quella che, in seconde nozze, sarebbe diventata sua moglie, Daniela Di Sotto: «Sospettavano di me e di lui». Un passo indietro. Daniela, che oggi si veste con minigonne e spacchi da sventola e ha un fisico da palestra coi bicipiti luccicanti ma allora era una cicciona di settantacinque chili che lavorava come tastierista al «Secolo d’Italia» dove Gianfranco faceva il giornalista, si era sposata molto giovane con Sergio Mariani, che tutti chiamavano «Folgorino» perché era stato nella Folgore, un manesco così manesco da essere spedito per un anno in soggiorno obbligato in Sardegna.
Cosa fosse successo, in quell’anno di provvisoria vedovanza, tra Daniela e il futuro presidente di An non si sa. Niente, dicono loro. Certo è che quando il marito rientrò, lei scoprì che non ci poteva più vivere insieme. Anni più tardi avrebbe raccontato: «Dopo mesi di totale estraneità, un giorno gli dissi: “Sto uscendo, vado dall’avvocato”. Lui mi rispose: “Se ci vai mi sparo”. Chiusi la porta, uscii sul pianerottolo, chiamai l’ascensore. Sentii un colpo di pistola. Sergio si era sparato alla pancia. Chiamai l’ambulanza, avvertii il partito. Fu operato subito e per fortuna si salvò. Ma da quel momento io per tutti diventai il carnefice e lui la vittima. Io la donnaccia senza cuore che non prova pietà, lui il poverino che per causa mia aveva rischiato addirittura la vita. Furono mesi, anni terribili. Tutti gli amici, il partito, si schierarono contro di me; nessuno, vent’anni fa, ammetteva che una donna, di destra per giunta, potesse scegliere di vivere la propria vita, di alzare la testa, di tornare a sorridere dimenticando l’infelicità».

[SM=x44515]
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