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C'era una volta la Rai

Ultimo Aggiornamento: 13/05/2008 11:18
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13/05/2008 11:18


NON BASTANO 13 MILA DIPENDENTI, 43 MILA COLLABORATORI:
IL 64% VIENE APPALTATO
STUDIO-CHOC DI CGIL: O SI TAGLIANO I COSTI DEL PERSONALE O SI RISCHIA IL DECLINO

SI “VEDE” RAI MA SI LEGGE MEDIASET.
LA PARTE DEL LEONE DEI PROGRAMMI ENDEMOL


1 - RAI, DAI CONTI AGLI APPALTI: ORA VA IN ONDA IL DECLINO
Giuseppe Sarcina per il “CorrierEconomia”


Non bastano 11.436 dipendenti fissi (più 1.872 contratti a tempo determinato).
E non sono sufficienti neppure 43 mila collaboratori.
La Rai non può fare a meno degli «appalti esterni», quasi non avesse energie e talenti all’altezza dei propri compiti.

Se si tolgono i tg e qualche programma di informazione (come «Report» o «La Storia siamo noi») praticamente tutto quello che vediamo su Rai1, Rai2 e Rai3, dalla mattina a notte fonda, è confezionato all’esterno.

Cuochi, pacchi, nonni, piste da pattinaggio, ballerini sotto le stelle, seggiole e divani. Tutto, o quasi: le fiction, i varietà della prima serata, i talk show, i documentari. Nel bilancio 2006 su un totale di ricavi pari a 3.111 milioni di euro, 1.516 sono stati stanziati per «l’acquisto di beni e servizi esterni», cui vanno aggiunti 580 milioni di euro di investimenti per comprare diritti televisivi.
Totale: 2.096 milioni di euro spesi fuori casa, a fronte di 979 milioni di euro versati al personale interno. Il consuntivo del quinquennio 2002-2006 mostra che per ogni 100 euro che entrano nelle casse aziendali, 64,4 vanno ad alimentare una «mezza Rai» che negli anni si è sviluppata lontana dagli studi di Saxa Rubra o di via Teulada.


Claudio Petruccioli
© Foto U.Pizzi

Queste risorse si trasformano negli incassi delle società di produzione, tra le quali spiccano Endemol (che fa capo a un pool di azionisti guidato da Mediaset), Magnolia (De Agostini) e la Ballandi Entertainment. La Rai, l’azienda del servizio pubblico, la «compagnia di bandiera» della tv italiana, può andare avanti così? La Slc-Cgil (Sindacato lavoratori della comunicazione) ha fatto esaminare i bilanci degli ultimi cinque anni (2002-2006) da un gruppo di esperti coordinati dal consulente finanziario Sergio Cusani. Ed è giunta a una conclusione che è allarmante.

No, la Rai non può continuare così, perché di questo passo l’azienda presieduta da Claudio Petruccioli è destinata al declino. Sia chiaro: non a un tracollo violento come quello dell’Alitalia; piuttosto un cedimento lento, ma inesorabile. Uno slittamento dei conti, con le perdite che si accumulano, gli investimenti che non tengono il passo dell’innovazione e le risorse del canone che non bastano più. L’analisi della Slc, guidata da Fulvio Miceli, parte da un pacchetto di dati «strutturali». Dal 2002 al 2006 (quattro anni e mezzo di governo Berlusconi, sei mesi con Prodi), l’azienda di viale Mazzini ha incassato 7.261 milioni di canone, cioè di denaro pubblico, più 5.900 milioni dalla raccolta pubblicitaria. Il 21,2% degli incassi (cioè 3.131 milioni) è stato investito soprattutto nell’acquisto di diritti televisivi (2.753 milioni). Solo una quota residuale, 482 milioni è servita per svecchiare il parco degli impianti, dei macchinari, delle attrezzature da studio.

Negli anni il costo del lavoro è cresciuto con regolarità (dagli 868 milioni del 2002 ai 979 del 2006), oscillando su un livello pari al 20-21% dei ricavi. Completa il quadro la voce più cospicua, il 45,7% (6.751 milioni) destinato ai «beni e servizi esterni», da sommare ai 2.753 milioni di euro per investimenti «fuori porta» (18,6% dei ricavi), per un totale di 9.504 milioni pari al 64,4% del fatturato.

Di nuovo, attraverso le cifre, la Cgil arriva a quello che considera il passaggio cruciale: dal 2002 al 2006 «il ricorso a produzioni esterne è cresciuto in media dell’11%». Vista da un’altra angolazione: nel 2002 a fronte di un euro speso per i dipendenti, ce n’era 1,38 per gli esterni. Nel 2006 questo rapporto è salito fino a quota 1,46. Illuminante anche il confronto con gli altri operatori europei che si avvalgono del canone. Dall’esame del «piano triennale 2008-2010» messo a punto dai vertici di viale Mazzini, risulta che l’azienda italiana può contare sul 75% di lavorazioni interne, il 3% di co-produzioni e il 22% di esterne. Tuttavia, si legge nel documento del sindacato, «le produzioni interne di Rai attengono sostanzialmente ad attività a basso valore aggiunto e non caratteristiche del business».


Claudio Cappon
© Foto U.Pizzi

In altri termini in casa si fanno le cose più facili e, spesso, meno pregiate. Gli inglesi della Bbc, invece, hanno una quota più bassa di «interni» 62%, il 34% di co-produzioni e solo il 4% di esterni. La Bbc è inarrivabile? Non proprio. Basta osservare nella tabella pubblicata in queste pagine che i francesi di Tdf e i tedeschi di Ard si regolano nello stesso modo.
Fin qui i numeri di quella che la Cgil definisce «l’anomalia» della Rai. Lo stesso studio, comunque, sottolinea come l’impianto finanziario dell’azienda abbia sostanzialmente retto. A monte dell’attività il margine operativo lordo (nel 2006) pari a 702 milioni di euro, ha dato copertura a sostanziali investimenti. Il punto è che, anche qui, la gestione ha utilizzato i due terzi delle risorse all’esterno e il resto, 109 milioni, ai «beni tangibili» (fabbricati, impianti e macchinari). Il risultato è che il patrimonio interno diventa sempre più obsoleto e quindi è chiaro che, alla lunga, appare più semplice ricorrere alle lavorazioni esterne (studi, troupe eccetera).

Secondo la Slc-Cgil la tendenza sarebbe destinata a durare. Nel piano triennale 2008-2010 della Rai i costi esterni «non subiscono riduzioni»: si parte dai 1.327 milioni previsti nel 2007 e si arriva a 1.311 milioni nel 2010. Tuttavia la direzione generale di viale Mazzini è convinta di poter riportare i bilanci in attivo. Esiste, però, anche un’altra simulazione, quella del cosiddetto «scenario inerziale». Che cosa succederà se le dinamiche di spesa dei prossimi tre anni continueranno ad aumentare con il ritmo del biennio 2006-2007? Le cose si metterebbero male, avverte il gruppo di esperti guidato da Cusani. I conti chiuderebbero in rosso, accumulando a fine percorso (2010) una perdita di quasi 200 milioni e una posizione finanziaria negativa per 500 milioni di euro. E a quel punto la svolta sarebbe obbligatoria.



Sandro Curzi
© Foto U.Pizzi


2 - E ENDEMOL (MEDIASET) FA IL PIENO
Maria Silvia Sacchi per il “CorrierEconomia”


Si «vede» Rai ma, in buona parte, si può leggere Mediaset.
La parte del leone dei programmi che la società pubblica affida all’estero è, infatti, di Endemol, cioè della società partecipata al 33% dal gruppo del Biscione.

Oltre 800 ore nel 2006, quasi il 40% di tutte le ore che la Rai ha comprato da terzi in quell’anno.
Endemol ha la sua vera roccaforte in Rai nell’intrattenimento, dove nel 2006 ha prodotto 795,9 ore trasmesse dalla televisione pubblica, il 48% di tutte quelle acquistate da produttori esterni. Più della metà sono state trasmesse su RaiUno.
Si tratta di programmi di successo come la «Prova del cuoco» e «Affari tuoi». Il dato emerge dall’analisi realizzata dallo Iem (l’Istituto di economia dei media della Fondazione Rosselli) sul mercato dell’intrattenimento e della fiction tv.

Endemol resta anche in testa alla classifica delle cinque società «top» del settore, con circa 138 milioni di euro di fatturato, quasi il doppio della seconda classificata che (a dati 2006) è la Lux Vide della famiglia Bernabei, con quasi 76 milioni di euro.

Se si paragona questa classifica con quella degli inizi del 2000, però, si nota quello che è stato il cambiamento più importante del settore: l’arrivo di Magnolia, la società produttrice de «L’isola dei famosi» fondata nel 2001 da Giorgio Gori e oggi parte del gruppo De Agostini. In pochissimi anni Magnolia ha scalato le posizioni e nel 2006 si è piazzata al terzo posto con quasi 64 milioni di euro di giro d’affari. Per il gruppo Rai, Magnolia significa intrattenimento sulle reti Uno e Due: i dati Iem indicano che in questo filone è al secondo posto dopo Endemol, con una quota del 27,1% delle ore Rai acquistate da terzi nel 2006. Un totale per Magnolia di 450 ore trasmesse, divise quasi equamente tra il primo e il secondo canale.


Paolo Bassetti
© Foto La Presse

Seguendo la classifica si trova, poi, al terzo posto un classico come la Ballandi Entertainment, il signore dei grandi show del sabato sera di RaiUno: nel 2006 ha collezionato 111,6 ore su RaiUno, pari al 6,7% delle ore totali di intrattenimento appaltate a terzi dalla tv pubblica.

Più variegato è, invece, il mondo Rai della fiction fatta realizzare esternamente. Nel 2006 il maggior fornitore della Rai è stato Grundy Italia, la società che fa capo al gruppo Bertelsmann forte di titoli come «Un posto al Sole» e «La squadra» giunti, rispettivamente, al tredicesimo e al decimo anno di età. Complessivamente Grundy ha coperto il 31,6% delle ore di ficton date in appalto ed è il punto di riferimento della Terza rete Rai. Al secondo posto, la Videa Cde di Sandro Parenzo con il 16,7% delle ore fornite da terzi (relative alla sfortunata soap «Sotto casa»), seguita da Palomar Endemol con l’8,5%.

Interessante anche la situazione della programmazione fiction Rai di quest’anno. Al primo posto Grundy Italia con lavori per complessivi 42,9 milioni di euro (da «Un posto al sole» a «Medicina generale 2»). Seconda Lux Vide (famiglie Bernabei-Ben Ammar) con lavori per 29,4 milioni di euro, il cui punto di forza è «Don Matteo», settima edizione. Terza, infine, la Publispei di Carlo Bixio («Un medico in famiglia 6») con lavori per 21 milioni di euro.




CorrierEconomia 12 Maggio 2008

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Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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