VIENI AVANTI, BERLINO
DAL COLPO DI TESTA DI MATERAZZI ALLA CRANIATA DI ZIDANE A MATERAZZI
IL PARADOSSO È CHE I MIGLIORI SONO STATI I CALCIATORI PIÙ VICINI AL SISTEMA MOGGI
MELANDRI ACCOLTA NEGLI SPOGLIATOI DAL CORO “FACCELA VEDE’ FACCELA TOCCA'"
Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera
Foto LaPresse
Hanno vinto quelli che avevano più fame.
Fabio Grosso, il Tardelli del 2006, l’uomo del Mondiale azzurro: una vita in serie C.
Marco Materazzi che prima regala un rigore poi va a pareggiare di testa: il capocannoniere azzurro è lui, pari merito con Toni.
Fabio Cannavaro che alza la Coppa del mondo alla centesima partita in nazionale.
La generazione che non aveva vinto nulla, ed era arrivata all’ultima occasione.
Il Paese che ne aveva più bisogno.
Finisce con gli azzurri a ballare e abbracciarsi sotto il loro spicchio di curva.
Addio condanna dei rigori, costata tre Mondiali di fila.
Vendicato il golden gol dell’Europeo 2000 di Trezeguet, ieri unico francese a sbagliare.
Macchiata l’uscita di scena di Zidane, visto non dall’arbitro,
ma dalla telecamera mirare con una testata al cuore di Materazzi, espulsione decretata (via auricolare) dalla tv.
Nel secondo tempo supplementare accade di tutto, il segnalinee Garcia non vede non sente non parla, Lippi fa per scagliarsi contro Domenech,
Domenech calcia una borraccia in campo, Zidane non vuole uscire.
I rigori si tirano sotto la curva francese, però
tutto lo stadio è contro di noi,
i tedeschi non ci amano o non hanno capito bene; ma sotto una pioggia di buu i cinque rigoristi azzurri non sbagliano un colpo.
I RIGORI:
Si erano avviati al centro del campo come condannati al patibolo:
l’unico che riesce a scherzare è Cannavaro che schizza d’acqua Buffon, come a scuoterlo.
Lippi e Del Piero prima discutono poi si abbracciano. Tutte le riserve si tolgono la pettorina gialla per restare anche loro in azzurro,
Oddo l’eterno escluso la scaglia via con rabbia.
Segnato il suo rigore,
Pirlo attende abbracciando da dietro il capitano.
Grosso infila il penalty decisivo e poi trova chissà dove la forza per farsi tutto il campo di corsa senza meta;
ma pure
Nesta salta come un matto sulla gamba malata. Avevano più fame degli avversari; e tutti noi con loro.
Anche alla Francia di "fine-era Chiracchiana" la Coppa avrebbe fatto bene.
L’hanno ripetuto un po’ tutti i loro calciatori, alla vigilia, a cominciare da uno dei pochi bianchi,
il difensore Willy Sagnol:
dopo l’anno terribile di Parigi, dalla rivolta delle banlieue alla bocciatura della Costituzione europea
fino allo scandalo di fine regime che ha visto scannarsi i leader della maggioranza,
una vittoria avrebbe «ricompattato il Paese».
A maggior ragione ne aveva bisogno l’Italia; uscita da una stagione di
contrapposizioni politiche per la vita e per la morte, e da una crisi morale lunga anni che ha raggiunto per ultimo il calcio
e lo lascia ora devastato, con una sentenza incombente che se pure non accoglierà appieno le richieste del procuratore Palazzi comunque rivoluzionerà l’antico regime del pallone.
A differenza di neri e arabi francesi, gli azzurri non vengono dalle banlieue,
alla vigilia non hanno fatto riferimenti al di fuori del calcio, ma nelle prime battute all’uscita dagli spogliatoi
- «abbiamo unito l’Italia» dice Toni -
hanno colto il senso non solo sportivo della loro vittoria, il passaggio che il quarto Mondiale può rappresentare;
qualcosa di diverso e di più dello 0,7% di Pil calcolato dagli economisti.
I tifosi, nella notte di festa, hanno rappresentato l’evento a loro modo, attraverso gli slogan e gli striscioni,
mescolando cose che non c’entrano, cartelli e cori a chiedere «amnistia per Moggi»,
visto anche un «Farina patriota» e parecchi «Salvo libero».
Ma che uno spartiacque sia stato varcato ieri notte nel fatale Olympiastadion di Leni Riefenstahl
e del
mito tragico degli Anni Trenta - lo stadio della nostra unica vittoria olimpica, 70 anni fa - era ben chiaro a tutti.
I due Mondiali del ’34 e del ’38 rappresentarono, oltre a una grande gioia popolare, altri due passi verso il regime:
gli azzurri vestivano di scuro, Pozzo chiamava il saluto romano, Monzeglio viveva in casa Mussolini.
Il Mundial dell’82 segnò un punto di svolta dopo gli anni del terrorismo, della violenza politica, dell’austerità:
l’Italia prese un’altra direzione, anche se non quella desiderata da molti;
il calcio impazzì, arrivarono
Platini Boniek Zico Maradona, Moggi vinse i primi scudetti al Napoli,
planarono gli elicotteri di
Berlusconi.
Ora invece i signori del pallone faranno uno o più passi indietro. Poco sarà come prima.
Il paradosso è che i migliori sono stati i calciatori più vicini al sistema Moggi.
Buffon lo scommettitore, ieri splendido sulle conclusioni degli ex compagni Henry e Zidane (che gli ha fatto il cucchiaio e per poco non l’ha sbagliato).
Cannavaro sottratto all’Inter con metodi spicci e intercettati, ora indicato dalla Fifa come miglior difensore del Mondiale.
Lippi dal figlio indagato,
c.t. coraggioso al punto da schierare due punte e mezza nel momento di massima pressione dei francesi,
e fermo nel dopopartita a ribadire che se ne andrà.
Subito dopo,
gli outsider:
Grosso, che una manciata di anni fa veniva venduto dal Teramo al Chieti per 40 milioni (di lire).
Materazzi, mattatore della finale, le lunghe braccia coperte dal tatuaggio con la data di nascita (19/8/1973, ma in numeri romani),
la voce triste che ricorda:
«Il razzismo non c’è solo verso i neri, in tutti gli stadi d’Italia mi beccano, mi insultano, mi fanno buuu»;
gliel’hanno fatto anche a Berlino, ma al momento di tirare il suo rigore lui non ascoltava.
E poi
Pirlo e Gattuso, considerati fino a ieri bravi gregari di Shevchenko e Kaká e usciti consacrati dall’Olympiastadion.
Gattuso ha ascoltato l’inno a occhi chiusi, ha azzannato per due ore le caviglie di Zidane e di chiunque gli capitasse a tiro,
è stato il mediano che la Fifa non nomina mai
«uomo della partita», ma che lo è sempre.
Soprattutto quando la partita non riesce eccellente come contro la Germania, ma stentata, dura,
con troppe energie spese a rimontare un rigore balordo (era la prima volta che gli azzurri andavano in svantaggio), poi quasi tutti in difesa.
Non è la nazionale irresistibile dell’82,
Toni non si è mai davvero sbloccato,
gli uomini che avrebbero dovuto essere decisivi,
da Totti a Del Piero, hanno dato quanto avevano, che non era moltissimo.
Non hanno dato meno
gli italiani saliti a Berlino, poco pittoreschi, ma molto vicini alla squadra, che hanno imparato a sentire loro.
Relegati nello spicchio concesso dalla Fifa a ognuna delle due tifoserie,
dentro uno
stadio pieno di invitati degli sponsor e di tedeschi all’inizio silenziosi e dopo l’espulsione di Zidane incattiviti,
i tifosi hanno cantato l’inno come coro di incitamento, mutato il refrain da discoteca «o-o-o-o-o-o-o» in «siamo campioni del mondo», e aperto la festa che oggi sarà di tutti, al Circo Massimo, su e giù per l’Italia.
Il piccolo Cannavaro con la Coppa levata sembra ancora più alto di quando salta di testa,
Buffon piange,
il Presidente della Repubblica Napolitano rilascia dichiarazioni in zona mista
mentre passano Henry e Vieira sudatissimi,
il Ministro Melandri è accolta negli spogliatoi dal coro «faccela vede’ faccela tocca’»,
Materazzi va via senza parlare con in mano una radio che canta Notti magiche,
Paolo Rossi commenta in tv, le ombre di Meazza e Piola sono più vere delle sagome invecchiate di Clinton e Maradona intraviste in tribuna.
Dagospia 10 Luglio 2006
[Modificato da Etrusco 10/07/2006 13.04]
Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.