10/10/2013 - MASSIMO GRAMELLINI
Gli inoccupabili
Dopo «bamboccioni» «choosy» e «sfigati», ieri è toccato al nuovo ministro di un’attività in via di estinzione (il Lavoro), definire «poco occupabili» gli italiani, a commento di uno studio dell’Ocse che colloca i nostri giovani all’ultimo posto in Europa per alfabetismo e al penultimo per conoscenze matematiche.
Poiché a nessuno risulta che negli ultimi 20 anni in Italia ci sia stata un’epidemia di cretinismo nei reparti d’ostetricia, si deve supporre che l’impreparazione dei ragazzi non derivi da tare mentali o caratteriali, e nemmeno soltanto dal lassismo complice dei genitori, ma da
scelte strategiche incompatibili con la parola futuro. Quella classe dirigente uscita dalle assemblee del Sessantotto, che oggi irride e disprezza i suoi figli, è la stessa che ha tolto risorse all’istruzione, alla ricerca e alla formazione. Che si è rifiutata di indirizzare le scelte di politica economica verso la cultura, il turismo e l’innovazione tecnologica. Che ha ammazzato il merito, praticando in prima persona l’appartenenza a qualche cordata: per quale ragione i ragazzi dovrebbero credere in un sistema che non privilegia i più bravi, ma
i più ammanicati?
Gli investitori stranieri si tengono alla larga dall’Italia non perché considerano i nostri figli dei caproni, ma perché si rifiutano di allungare
una bustarella ai loro padri o, in alternativa, di aspettare 3 anni per avere un bollo che altrove ottengono in 3 ore.
Altro che poco occupabili: il problema italiano è che in questi anni qualcuno si è occupato, e ha occupato, fin troppo.