di Pino Allievi (dalla Gazzetta dello Sport del 20 novembre 2000)
È stato un grandissimo campione, è diventato un guru. Quando parla lui, fa spesso più notizia di tanti campioni celebrati in attività. Niki Lauda è oramai una leggenda vivente. Ma soprattutto un uomo libero che ha fatto della sua disarmante sincerità, unita ad una intelligenza davvero fuori dal comune, un biglietto da visita. Non si è mai nascosto da pilota, non si nasconde neppure ora da industriale dei cieli, con la Lauda Air che è diventata una famosa compagnia, ma di tanto in tanto attraversa zone di turbolenza. Una società grande, che vola in ogni angolo del pianeta, con alleanze azionarie importanti, centinaia di dipendenti e numerosi aerei tra cui un Boeing 767 battezzato "Enzo Ferrari" gemello di quello che, per cause tecniche, esplose sopra la Thailandia il 26 maggio 1991 causando la morte di 223 persone. Una statura ben diversa, Lauda, rispetto ad altri piloti o ex che si sono bruciati i miliardi guadagnati o si sono limitati a qualche investimento immobiliare. Niki, in realtà, arriva da una famiglia che ha sempre lavorato nella finanza. Una famiglia dell' aristocrazia viennese, che il giorno di Natale si riuniva per gli auguri nelle austere sale dell' Hotel Imperial. Banchieri, economisti, uomini d'affari. Quando suo nonno scoprì che il nipote faceva i debiti per correre, emanò una sentenza tagliente: "I Lauda devono finire sulle pagine economiche dei giornali, non su quelle sportive". Trasgressivo, determinato, un po' egoista, ironico: così era Lauda a 20 anni e così è oggi. L'essere nato ricco non gli ha giovato, nella carriera e nella vita. Gli studi li interruppe poco prima della maturità. E, con scandalo dei parenti, andò a fare il meccanico in una officina BMW-Volvo, per conquistarsi un minimo d' indipendenza. Quando decise di diventare pilota, ricorse a mille stratagemmi per pagarsi le macchine. Non è un mistero che Lauda abbia versato alla March 250 milioni per "acquistare" un sedile in F.1 accanto a Ronnie Peterson, nel 1972. Solo dal '73, con la BRM, prese a guadagnare. Briciole. I soldi veri sono stati quelli incassati dal ' 74, con l' avvio del rapporto con la Ferrari. Un anno dopo, con il titolo, si è regalato il primo aereo, un Cessna Golden Eagle, responsabile del flirt con l' aria ed embrione di quello che poi sarebbe diventato un lavoro. Quello con Enzo Ferrari è stato un rapporto di amore-odio-amore. Ma in realtà è stato anche un lungo, bellissimo, romanzo: "Fosse rimasto con noi, Lauda avrebbe potuto eguagliare o battere Fangio, nella classifica dei più grandi di ogni tempo", commentò Enzo Ferrari. Verissimo. Eppure, sono stati tanti coloro che lo hanno denigrato. Lauda calcolatore, Lauda opportunista, Lauda slalomista del rischio. Osservazioni solo parzialmente pertinenti. Perché per vincere bisogna sapersi amministrare e per sopravvivere a uno sport del genere è preferibile non avere troppa intimità col pericolo.
MAI SCORRETTO - Lauda, come Fangio, non ha mai fallito gli obbiettivi importanti né ha accusato cali di rendimento nell' arco di tredici anni di F.1. A questo va aggiunta una capacità di concentrazione unica, insieme con una visione di corsa da campionissimo ed un cervello che lavorava meglio di quello della maggioranza dei suoi colleghi: è così che Niki si è elevato dalla media. Per lui la corsa è stato divertimento solo negli anni dopo il ritorno, non prima. Ed anche alla fine ha saputo imporsi, sfruttando non più l' impeto, ma l' esperienza. Grande nel capire quando farsi da parte, quando riaffacciarsi alla ribalta, quando chiudere definitivamente. Il tutto senza mai una polemica in pista, senza scorrettezze o litigi con i colleghi. Un signore dei circuiti. Ma Lauda non sarebbe assurto alla popolarità che lo circonda senza l' incidente del 1° agosto 1976 al Nuerburgring, con la Ferrari. Un' uscita di pista paurosa, la macchina che viene avvolta dalle fiamme e lui dentro. Deve tutto a Merzario e Lunger, che si gettarono in mezzo al fuoco, se è vivo. Quando superò i problemi respiratori (fu in pericolo solo perché i polmoni avevano inspirato i fumi della benzina) e si accorse che le bruciature erano meno devastanti di quanto immaginasse, Lauda si ripresentò a Maranello. Sconvolse tutti per l' aspetto, per quei tremendi segni del fuoco sul volto, sul capo, sulle mani. Ma era pronto a riprendere il suo mestiere. Trentatrè giorni dopo risaliva su una F.1 mentre Enzo Ferrari, che non credeva al suo recupero, aveva già ingaggiato Reutemann per sostituirlo. Si giunse così al GP d' Italia con tre Ferrari, anziché due. Insieme con Regazzoni e Reutemann c' era anche chi non doveva esserci: Lauda. Sofferente, ma lucidissimo e spinto a dare ancora di più. Giunse quarto. Non fece punti a Mosport, ma si presentò ugualmente in testa, di soli 3 punti su Hunt, all' ultima, decisiva gara del mondiale, il GP del Giappone al Fuji. Dove dopo pochi giri, causa la pioggia che già aveva provocato tanti incidenti, rientrò ai box e, slacciandosi le cinture di sicurezza, disse: "L'auto è a posto, io ho paura. Non ha senso rischiare la vita in questo inferno". Niente di più. L' ingegner Mauro Forghieri, con senso pratico, gli urlò: "Fai come vuoi. Diremo ai giornalisti che si è rotto qualcosa nella macchina, va bene?". "No, dovete dire la verità: che Lauda ha avuto paura". Il titolo andò ad Hunt, ma Niki e la Ferrari tornarono a dominare nel ' 77 conquistando il Mondiale con anticipo, tanto che Lauda rinunciò polemicamente alle ultime due gare e Ferrari lanciò la stella Villeneuve. Niki, rabbioso per quello che era accaduto l' anno prima, aveva firmato già in agosto per correre con la Brabham-Alfa nel 1978, rivelandolo apertamente per fare un dispetto a Ferrari. "Col tempo mi sono pentito - ha raccontato - perché non era giusto che io, giovane, ricco, famoso, mi accanissi contro Ferrari che sentiva il peso dei suoi 78 anni".
"BASTA, MI FERMO" - La Brabham non gli offrì il materiale tecnico che lui sperava. E questo contribuì a fargli prendere la decisione improvvisa di abbandonare le piste, alla mattina delle prime prove del GP del Canada 1980. Fu sintetico: "Bernie - disse rivolto al suo patron Ecclestone -, mi sono rotto di girare in tondo, ogni domenica, sui circuiti. Me ne vado". Rientrò in hotel con la tuta, lasciando dentro la Brabham casco e guanti, tanto che molti pensarono ad uno scherzo. Da Montreal volò negli USA per acquistare un aereo per la sua compagnia che stava nascendo e che, per due anni, lo assorbì totalmente. Poi venne preso di nuovo dalla frenesia della velocità. Ron Dennis fu bravissimo a intuire il suo tormento, l' entusiasmo per le corse che gli stava ricrescendo dentro. Così Lauda si ripresentò di nuovo al via di un Mondiale. Era il 1982. Tornò da leader, guidando la protesta dei piloti, a Kyalami, contro la Federazione e la Foca sulla questione della super-licenza. Alla terza gara, Long Beach, era già sul gradino più alto del podio. Ma il Mondiale, il terzo, arrivò solo nel 1984 con la McLaren spinta dal turbo Tag-Porsche. Un capolavoro di campionato, con una squadra efficientissima in cui il rigore di Lauda era essenziale e da stimolo a ogni componente del team sulle piste. Una volta di più, Niki aveva imposto il suo sistema, aggiungendo ad una squadra che stava rinascendo la sua abilità di fine collaudatore ed organizzatore. Suo compagno di colori era Prost, l' uomo che ne avrebbe poi rilevato l' eredità ma che ai tempi si comportava da scolaretto. L' anno dopo gareggiò per onor di firma, con un impegno relativo salvo qualche impennata, come quella di Zandvoort, al GP d' Olanda quando, ribellandosi agli ordini del team, battè il lanciatissimo Prost: "Non lo farò più, d'ora in poi aiuterò Alain a conquistare il suo primo Mondiale". Fu l' ultimo graffio, l' ultima zampata da leone, prima di tornare per un po' a godersi la famiglia, i figli, la moglie Marlene, a concedersi brevi vacanze con la barca, a frequentare a sprazzi ambienti mondani: naturalmente con gli immancabili pantaloni di velluto beige o jeans, mai in smoking.
LA SUA VITA, UN FILM - La grandezza di Lauda emerge oggi, parallelamente al film nel quale scorrono le immagini di una carriera avventurosa. Perché tale è stata. A partire dalla famosa costola che si fratturò cadendo dal trattore (o da una moto da cross?!) nel suo giardino nel ' 76, al dramma del Nuerburgring, a quella confessione, otto anni dopo, di aver fumato hashish - una sola volta - e aver ritrovato la memoria persa nel rogo, alle liti e agli abbracci con Ferrari, alle accese e leali discussioni con Forghieri, ai momenti spensierati con Regazzoni, all' amore freddo con Ecclestone, ai successi ed ai drammi del suo mestiere di imprenditore del volo. A 50 anni suonati, è lui stesso sorpreso di come ancora riesca a divertirsi guardando le macchine "girare in tondo", tutto sommato felice di aver saputo costruire qualcosa, ma forse ansioso di voltare nuovamente pagina e darsi ad altro. Non stupiamoci se lo farà: la vena creativa di Lauda non si è ancora esaurita...