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Il PDL alla conta finale con voto di fiducia (e continua la campagna acquisti)

Ultimo Aggiornamento: 01/10/2010 08:53
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30/09/2010 12:05

Ha vinto eppure ha perso
Non è semplice spiegare che Berlusconi è stato sconfitto ottenendo una delle maggioranze più larghe - 342 voti - che, tolta l’epoca dei governi di unità nazionale, si siano mai viste a Montecitorio. Ma è così. La fiducia che il premier ha avuto dalla Camera non ci sarebbe stata senza i voti determinanti dei finiani e dell’Mpa, il movimento autonomista del governatore siciliano Lombardo, che hanno stipulato una specie di patto federativo dopo aver spedito in Sicilia il Pdl all’opposizione.

Malgrado gli apporti di gruppetti di fuorusciti e singoli deputati, che hanno affollato il dibattito parlamentare, l’autosufficienza inseguita invano dal Cavaliere, in settimane e settimane di calciomercato, è franata tutt’insieme. Inoltre, dopo quel che è accaduto, non solo Berlusconi, ma anche Bossi è nelle mani di Fini: alla prossima votazione importante, guarda caso proprio quella sugli insulti del Senatùr contro i romani, la mozione di sfiducia individuale presentata contro il leader della Lega, in quanto ministro, potrebbe essere approvata con gli stessi voti che sono risultati indispensabili per tenere in piedi il governo.

Si sa: Berlusconi è il classico gatto dalle sette vite e in questi sedici anni il dopo-Berlusconi è stato proclamato troppe volte senza che sia mai cominciato. Eppure è difficile credere che chi adesso ne dispone non sia tentato di chiudere il rubinetto dell’ossigeno a un capo di governo che negli ultimi mesi è stato descritto (e ha messo del suo per farsi descrivere) come un tiranno, un despota avvezzo a stroncare con minacce, censure, espulsioni, non il dissenso, ma qualsiasi discussione interna al suo partito. E che ieri, ormai consapevole della sua debolezza, s’è presentato alla Camera come un nuovo Andreotti: disponibile, morbido, umile, avvolgente, illuso da se stesso che uno dei suoi infiniti travestimenti potesse bastare a muovere a compassione la schiera di avversari dichiarati e nascosti che gli avevano teso l’agguato.

Se non fosse che in politica i sentimenti non contano, o contano assai poco, e il Cavaliere dovrebbe saperlo, si potrebbe anche dire che ce l’ha messa tutta, mentre sciorinava il suo finto amore per il dissenso, la disponibilità dichiarata, ma per mesi rinnegata, a discutere ogni emendamento, ad accettare proposte migliorative, distinzioni, critiche, perfino a riconoscere la terza gamba - i finiani - di una maggioranza che finora era andata avanti solo con due, la sua e quella di Bossi. Chissà quanto dev’essergli costata quell’innaturale citazione di Piero Calamandrei, il padre costituente che più di sessant’anni fa si batté per l’introduzione della Corte Costituzionale, l’autore di uno storico elogio della magistratura. Chi lo ha ascoltato sapendo di chi parlava, non credeva alle proprie orecchie: lui, Berlusconi, il nemico dei giudici della Consulta, che ha sempre giudicato comunisti, e delle toghe politicizzate, che s'inchina a sorpresa ai suoi avversari. Incredibile. Si vede che nel Parlamento della Seconda Repubblica non sono in molti a conoscere la storia della Costituzione.

Così la conclusione a cui si è arrivati rappresenta per il premier un completo fallimento. Al punto che, nei corridoi del Parlamento che si svuotava, dopo una giornata unanimemente considerata di svolta, erano tanti a esercitarsi sulle sorti della legislatura. Da qualsiasi punto la si guardi, infatti, la diagnosi per Berlusconi è funesta: come tutti i malati gravi, il governo può resistere ancora un po’, se Fini deciderà di cucinare a fuoco lento l’ex alleato divenuto suo persecutore, riservandogli la vendetta come il classico piatto freddo. Oppure precipitare rapidamente, per esempio sulla mozione di sfiducia a Bossi, o perché Bossi medesimo decide di sfilarsi. Il leader leghista non ha fatto mistero con nessuno di essere insoddisfatto: avrebbe voluto subito le elezioni, alle prime crepe apparse nella fragile corteccia del Pdl. Non le ha ottenute. E dalla situazione attuale non ha più niente da guadagnare.

Tutto è dunque in movimento, e sono in molti, forse troppi, a volersi liberare di Berlusconi, perché il gatto dalle sette vite possa sorprendere ancora una volta. Di qui alle elezioni anticipate, lo sbocco obbligato a cui ognuno dei contendenti già si prepara, non è detto tuttavia che il percorso sia lineare. Figurarsi: nell’aria è già tornata la voglia di un governo d’emergenza che faccia prima una nuova legge elettorale, per poi alzare una lapide definitiva sul ventennio berlusconiano. E se è presto per dire come e con chi ci si arriverà, si può essere certi che quella di ieri è solo una forte scossa, non la prima né l’ultima, purtroppo, di un terremoto che a lungo farà ballare il Paese.

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30/09/2010 12:14

Lo stallo

Il discorso del presidente del Consiglio ruota tutto attorno a due perni, che solo i politicamente incapaci possono sottovalutare: la non contrapposizione fra governo e Parlamento e il suo rivolgersi finale, decisivo, a “tutto il Parlamento”. Silvio Berlusconi ha parlato a quella maggioranza occulta, composta di moderati e riformisti, siano essi elettori o eletti, di cui scrivevamo ieri. Ora, però, si tratta di adottare condotte e scelte istituzionalmente coerenti e conseguenti. Il governo continua il suo cammino, non per questo rafforzato e più coeso (o meno diviso), il tempo che ha davanti è difficile coincida con quello naturale della legislatura, tanto più che ieri è nato un partito nuovo, senza il quale la maggioranza non esiste. Sarebbe già molto, comunque le cose vadano, se gli schieramenti fossero piegati alla necessità di confrontarsi, tutti, con temi reali e proposte effettive. In molti hanno osservato, nel dibattito e nei commenti, che l’ispirazione e le promesse sono le stesse di sedici anni fa. Sarebbe, per la verità, singolare il contrario. Il problema non consiste nelle parole, ma nel bilancio: magro. La ragione di tale insuccesso non è ascrivibile solo alla natura dei diversi governi, di centro destra o di centro sinistra, ma al fatto che il sistema politico non ha più trovato, dalla fine della prima Repubblica ad oggi, un suo baricentro operativo. La nostalgia non è solo inutile, ma anche sbagliata. Non per questo è saggio continuare con l’andazzo che ha massacrato un governo dopo l’altro, creando una condizione del tutto anomala, per qualsiasi democrazia: chi governa, dal 1994 al 2008, non ha mai vinto le elezioni. Questo, almeno fin qui, il poco esaltante consuntivo.

Pier Luigi Bersani ha interpretato il ruolo di capo dell’opposizione concedendo un po’ troppo al tono e alla sostanza di un comizio. Il suo intervento, però, ha avuto un epilogo assai interessante, conducendolo ad ammettere che se è da condannare la politica del governo non per questo è da promuovere quella dell’opposizione. “Anche noi”, ha detto, “abbiamo bisogno di un progetto nuovo”. Verissimo. Finché se ne staranno fermi all’antiberlusconismo non riusciranno a darselo. Sono quindici anni, ha detto Bersani, che il “teatrino della politica” ruota tutto attorno a Berlusconi. Verissimo. Ma questa è una colpa dell’opposizione, della sua incapacità d’essere reale alternativa. Neanche nel linguaggio, visto che non riesce ad affrancarsi neppure dalle immagini e dagli slogan di Berlusconi. Un discorso come quello di Bersani manda in visibilio i propri sostenitori, ma non parla agli altri italiani. Riproduce il vecchio, non propizia il nuovo.

La scelta di portare il dibattito in Parlamento, rivolgendosi all’intero emiciclo e ponendo una fiducia non tecnica, non destinata a troncare il dibattito e far passare un provvedimento specifico, è costituzionalmente corretta e politicamente saggia. Un primo effetto lo si è visto subito: sul tema giustizia si sono accese polemiche furibonde all’interno della maggioranza, ma una volta fissati i punti più importanti dell’azione, dalla separazione delle carriere al conseguente sdoppiamento del Csm, i vecchi compagni d’arme si son ritrovati sullo stesso fronte. Magia? No, ipocrisia. Ma utile, perché porta le contraddizioni e le incoerenze davanti agli occhi di chi segue il dibattito politico e ne trasmette il clima al resto dell’opinione pubblica.

Berlusconi ha parlato come capo di un governo che nasce dal Parlamento e nel Parlamento vive (o cade). Ora sia conseguente, portando le Aule al dibattito sulle grandi questioni, comprese nei cinque punti da lui illustrati e anche ulteriori. Così facendo aiuterà lo stesso Bersani a trovare la via di quel “progetto” che, al momento, ha la stessa consistenza delle promesse governative. Scarsa. Ed è nelle Aule che deve prendere corpo l’iniziativa di riforma istituzionale, che poi vuol dire costituzionale. Questa non è materia strettamente governativa, ma è di tutta evidenza che senza quelle riforme il motore della politica continuerà a girare a vuoto, indebolendo la propria credibilità e il Paese tutto.

Detto ciò, resta il fatto che se anche ci si rivolge alla maggioranza occulta poi, alla conta dei voti, pesano le altre due: quella nata con le scorse elezioni e quella apportata da qualche trasloco. L’aritmetica restituisce somme che portano alla fiducia, ma la geometria politica, sottolineata dalle quattro mozioni che recano lo stesso testo, evidenziando l’incompatibilità personale, suggerisce l’approssimarsi del capolinea. Si può scendere o restare seduti a bordo, non sperare che si vada da qualche parte. E’ difficile che, in queste condizioni, gli eletti moderati e riformisti ritrovino subito un linguaggio comune. Stiano attenti a non provocare il più pericoloso dei disastri: indurre i loro elettori, oggi divisi e mal rappresentati, a restarsene a casa, lasciando più spazi a elettori ed eletti espressione delle tifoserie ringhianti e non ragionanti. Forse il bisogno di rivolgersi all’intero Parlamento poteva essere avvertito prima, forse il tema delle riforme istituzionali andava posto all’inizio e non al sussulto semifinale della legislatura. Noi lo abbiamo scritto e riscritto, ma questo conta poco e nulla. Ora serve che, da subito, ci si mostri conseguenti. Per dare un contenuto al proseguire, o per dare un significato allo sbaraccare.

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30/09/2010 15:07

Il governo sta chiedendo la fiducia anche al Senato (dove però PDL e Lega hanno la maggioranza senza contare i 10 finiani) ed ecco che spunta immancabile il genio di turno che risponde al nome di Ciarrapico...

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Sportivo ipercafone
01/10/2010 08:53

Nel disinteresse collettivo - perchè giustamente non ha rilevanza politica - anche il Senato dà la fiducia con 174 voti favorevoli.
Pura nota di cronaca.

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