E un’altra “stagione” del berlusconismo è tramontata. Quella, per l’esattezza, che gli aveva concesso di entrare nel salotto buono del capitalismo italiano. Che lo aveva investito di un ruolo politico all’interno dei grandi gruppi finanziari italiani. Già: la sfiducia a Cesare Geronzi, preceduta di poco dalle dimissioni dello stesso a capo delle Generali, è un colpo strutturale all’asse che ha permesso al Cavaliere di essere accettato nel mondo che conta della finanza. Lo ha ricostruito con dovizia di particolari Massimo Giannini su Repubblica quando spiega come quest’ingresso era stato «confermato una cena a casa di Bruno Vespa l’8 luglio 2010, quando il premier (insieme all’inseparabile Gianni Letta, gran sacerdote del rito geronziano) sedeva allo stesso tavolo con lo stesso banchiere di Marino e con il segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone».
È evidente, anche qui, come sia stato Gianni Letta l’artefice dell’ennesima entry strategy del Cavaliere il cui risvolto è stato da quel momento «un potere d’influenza, diretta o indiretta, sulle banche e le aziende strategiche rimaste nel paese (da Mediobanca a Generali, da Ligresti a Pirelli, da Telecom a Rcs). Alimentandolo sotto il profilo lobbistico-mediatico (spesso con l’ausilio della «macchina del fango»), attraverso la rete collaudata della P4 di Luigi Bisignani e dei siti Internet più o meno «amici» (come Dagospia)».
Adesso con l’uscita di scena del referente Geronzi – che era anche una sorta di dominus di un certo modo di gestire il settore che faceva tutt’uno con quello che Berlusconi rappresenta in politica – il contraccolpo all’interno del sistema berlusconiano sarà pesante. Non fosse altro perché questo passaggio di testimone segna un altro punto a favore dell’uomo che più si contrappone al sistema-Letta ossia Giulio Tremonti (che nell’affare Geronzi ha avuto un ruolo fondamentale) e della Lega, per la quale il titolare di via XX settembre continua a rappresentare il referente privilegiato nel governo di Roma. Cavaliere avvisato…
